Fiammetta Borsellino nel carcere di Padova: ricordo e verità

   

Fiammetta Borsellino nel carcere di Padova: “Oggi secondo me si è realizzato un sogno di papà”

Le parole più emozionanti sono state quelle che Fiammetta Borsellino ha detto in chiusura della Giornata del 10 maggio nella Casa di reclusione di Padovadedicata al tema “La cultura della prevenzione, l’incultura dell’emergenza”, organizzata da Ristretti Orizzonti, in collaborazione con la Casa di reclusione di Padova e la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia:
“… ecco io volevo concludere solo con un pensiero: oggi secondo me si è realizzato veramente un sogno di papà. …mio padre era convinto che  bisogna condividere pubblicamente i problemi, condividere pubblicamente i problemi significa prenderne coscienza, ed era fermamente convinto che soltanto una presa di coscienza collettiva  potesse proprio aiutare a risolverli …E quindi bisogna avere la capacità,così come è avvenuto oggi in questa giornata veramente magica, di sapere assumere i problemie farsene carico”.
‘Ascolto partecipato’, forse qualcuno così potrebbe definire l’atmosfera della nostra giornata di studi di ieri 10 maggio nella Casa di reclusione di Padova. Non bastano queste due parole: c’è stato molto di più nelle  ore, mattina e pomeriggio, in cui si sono susseguiti  gli interventi: testimonianze e ascolto sono stati intensi, vibranti, emozionanti. Come se tra le persone che parlavano e le persone che ascoltavano (più di 500, tra cui100 persone detenute, studenti e insegnanti, volontari e operatori del carcere, avvocati e magistrati da tutt’ItaliaMarta Nalin, assessora alle Politiche sociali del Comune di Padova, che sostiene con forza il nostro progetto con le scuole) ci fosse una forte e spontanea empatia.
Sono state ore di intensa emozione, unita a pensieri profondi, articolati, difficili ma portatori di cambiamento. Il riconoscimento più forte è venuto da Fiammetta Borsellino, accolta e poi salutata con  lunghi interminabili applausi. Da Fiammetta Borsellino a Paolo Setti Carraro, chirurgo, fratello di Emanuela Setti Carraro, moglie del Generale Dalla Chiesa uccisa con lui dalla mafia, a  Paolo Picchio  padre di  Carolina, una giovanissima vittima di stalking che non ha retto il peso e si è suicidata a quattordici anni. E poi Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna particolarmente attento alla necessità di fare prevenzione in zone difficili del nostro Paese. E Mauro Pescio, attore di teatro, creatore di testi nella trasmissione “Pascal”  che ha intervistato Valeria Collina, madre di Youssef, un ragazzo diventato terrorista, di cui ha raccontato la storia nel libro “Nel nome di chi”, e Francesca Melandri, scrittrice, autrice tra l’altro di uno straordinario romanzo che ripercorre pezzi di storia dimenticata come quella delle colonie italiane in Africa nel periodo fascista, Sangue giusto. E ancora giornalisti come Francesco Viviano, inviato di Repubblica, ma anche narratore, in “Io, killer mancato”, di una storia personale che lo ha portato vicino a scegliere di stare “dalla parte dei cattivi”, e Paolo Cagnan, autore di un’inchiesta sulla diffusione della criminalità organizzata anche nella nostra regione. Per chiudere con due interventi più tecnici, ma non meno importanti sulla detenzione, di Riccardo De Vito, magistrato di Sorveglianza, e Marco Boato, sociologo, apartire da una idea di sicurezza che si basi su percorsi di autentica inclusione, e non escluda nessuno, neppure quelli ritenuti per la loro appartenenza alla criminalità organizzata irrecuperabili.

La narrazione del dolore subito dalle vittime, inframmezzata dalle testimonianze delle persone detenute sui percorsi di consapevolezza della loro storia criminale, ha tenuto campo senza un attimo di tensione o rilassamento.Impeccabile la gestione di una iniziativa così difficile dentro a un carcere da parte della Polizia  Penitenziaria. 

da RISTRETTI ORIZZONTI 

 

10 MAGGIO 2019 – CASA DI RECLUSIONE DI PADOVA
Giornata nazionale di studi

La cultura della prevenzione, l’incultura dell’emergenza Giornata nazionale di studi Venerdì 10 maggio 2019 con Fiammetta Borsellino


VIDEO interventi di Fiammetta Borsellino

 

Fiammetta Borsellino e la condivisione del dolore

Di Don Marco Pozza

L’intervento al convegno in carcere a Padova: guardare in faccia il male, sorbirsi l’artiglieria della menzogna. Frugare sotto il tritolo per cercare la verità. Una lezione

Ha preso la parola sapendo d’avere dinnanzi una platea di uomini-difficili, storie i cui protagonisti sono apparentemente uomini senza speranza. Tutt’al più uomini che hanno complicato tremendamente la speranza, singola e collettiva. Fiammetta Borsellino – ospite di un convegno svoltosi nel carcere “Due Palazzi” di Padova – è la figlia di Paolo Borsellino, la cui vita è stata frantumata in quella famigerata via D’Amelio il 19 luglio 1992, quarantasette giorni dopo la mattanza che disintegrò l’amico Giovanni Falcone. «Mio padre sentiva forte un’urgenza: comprendere l’uomo prima di tutto – racconta – Per questo amava fra i processi in lingua siciliana: per scavare negli accenti, negli sguardi, per indagare dentro le storture che mortificano la città». Il male è emergenza, il bene è prevenzione, del male prima di tutto. Prevenire è generare educazione civica di prevenzione : fare dell’emergenza la misura di ogni scelta è generare incultura, ostinarsi di stare dalla parte di chi dice “Noi non siamo come loro”. Quando, invece, l’uomo è uguale dappertutto: un perpetuo miscuglio di angelo e bestia, di bene e male. Prevenire è scegliere da quale prospettiva affrontare la vita: «A mio padre importava dire da che parte stare per tentare la liberazione di una terra». Dalla parte dell’amore, preludio di sofferenza, condizione unica per la trasformazione: «Ricordo le sue parole: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perchè il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace, per poterlo trasformare”». A nessuno piace morire. Qualcuno, però, è così ricolmo di vita da accettare di correre il rischio della morte per vivere appieno. Così gravido di vita da produrre una trasfusione-di-vita in coloro che gli stanno vicini, da renderli poi protagonisti di una sfida diretta contro il male, pur di non sapere invana quella morte: «Dopo la morte di mio padre, la nostra è stata un’urgenza emotiva – continua -: condividere il dolore con coloro che lo hanno provocato». Guardare in faccia il male, sfidare i suoi rigurgiti cafoni, sorbirsi l’artiglieria della menzogna. Frugare sotto il tritolo per cercare la verità, perlustrando i bassifondi degli inferi: «Non c’è strada verso la giustizia che non passi attraverso la verità». Verità nascosta, depistata, ingannata: verità che resta l’unica forma di liberazione per la vittima, il carnefice. Ragionamenti lucidi, non solo emozione. Parole taglienti e decise, su sguardi aguzzi e altrettanto decisi: insistere su ciò che arreca paura è il grande inganno del male. Far leva sulla leggerezza del bene è la grande promessa della salvezza: «Ciò che mi rattrista – conclude – è vedere qualcuno che non riesce a compiere quel passo in più che libererebbe anche chi ha ucciso, liberando la parte migliore di sè». Parole intonate tra il ferro-cemento di una patria galera. Che paiono stonate in mezzo alle strade di una nazione che sceglie l’emergenza come carta nautica di navigazione. Così distratta da invocare a squarciagola l’ergastolo preventivo, scordandosi che la vera sconfitta del male è anticiparlo, rendendolo impotente alla sua nascita.