La Procura di Catania ha aperto un’inchiesta, al momento senza indagati, sull’ultima puntata della trasmissione Realiti su Raidue, mentre il conduttore Enrico Lucci garantisce la bontà del suo operato e il direttore di rete, Carlo Freccero, rivendica le scelte antimafia nella programmazione di Raidue, che domani sera manderà in onda la ‘Trattativa’ di Sabina Guzzanti. Lo tsunami di polemiche che ha investito la trasmissione Realiti, che stasera però sarà spostata in seconda serata e registrata, non si ferma. Un’inchiesta è stata aperta dal procuratore aggiunto di Catania, Carmelo Petralia, che ha delegato le indagini alla polizia postale di Catania. Al centro le contestate dichiarazioni di due cantanti neomelodici: Leonardo Zappalà , presente in studio, e Niko Pandetta, nipote del boss ergastolano Salvatore Cappello, sui giudici Falcone e Borsellino. In particolare, Zappalà, 19 anni, riferendosi ai magistrati uccisi nel 1992, dice: «Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita le sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce ci deve piacere anche l’amaro». Un’affermazione che ha scatenato reazioni e polemiche.
«Bisogna vigilare su quello che si manda in onda, sui contenuti che entrano nelle case di milioni di persone. Perché il rischio è che un lavoro capillare di testimonianza fatto nelle scuole venga annacquato da un messaggio opposto che viene dalla tv». Fiammetta Borsellino è un fiume in piena su quanto avvenuto nello studio di ‘Realiti’ su Raidue. La figlia più piccola del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di Via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio 1992, è da tempo in prima linea nella ricerca di verità e giustizia per quello che accadde in quella tremenda estate di 27 anni fa, dopo depistaggi affermati da sentenze giudiziarie e responsabilità mai emerse. Non solo: Fiammetta Borsellino ha affrontato un percorso personale interiore, che l’ha portata a incontrare in carcere i boss mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, tra i responsabili delle stragi del 1992 e del 1993, ma anche a partecipare a incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nelle case di reclusione. «Preferisco non parlare di indagini ancora in corso…» dice, appena si diffonde la notizia dell’inchiesta per calunnia aggravata, a Messina, nei confronti di alcuni pm che indagarono a Caltanissetta sulla strage di Via D’Amelio. Ma la considera un atto dovuto, alla luce di ciò che è emerso dalla sentenza Borsellino quater. La figlia del giudice ucciso ha sempre denunciato una «responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti». Accetta, però, di riflettere sul caso scoppiato dopo la trasmissione “incriminata”.
Com’è possibile che accadano ancora questi cortocircuiti mediatici?
La questione non è tanto che un ragazzo dica quello che ha detto in tv, perché non fa altro che esprimere il contesto in cui purtroppo è cresciuto. Il vero problema è dare voce a certi elementi. La televisione pubblica deve esercitare un maggiore controllo sui messaggi che vengono veicolati.
La sua famiglia si è indignata con un post su Facebook. Chiederete qualche forma di replica?
La produzione mi ha chiamato per chiarire subito che erano corsi ai ripari, chiedendomi anche di partecipare a una successiva trasmissione. Ma non è assolutamente questa la mia intenzione. Ritengo, invece, che ci debba essere un confronto televisivo tra ospiti appartenenti alla stessa generazione, perché da un lato ci sono questi cantanti neomelodici, dall’altro ci sono tantissimi ragazzi che hanno capito il vero sacrificio di Falcone e Borsellino.
Che ruolo ha il lavoro di educazione e informazione che viene fatto nelle scuole?
Io lo testimonio con i fatti. Da un anno vado in giro a parlare con i ragazzi di tutta Italia, incessantemente. Il lavoro che viene fatto nelle scuole da un esercito di testimoni è importantissimo, ma si corre il rischio che questa opera capillare possa essere contrastata da un messaggio che proviene dalla tv.
Se avesse davanti questo giovane cantante, cosa gli direbbe?
Che si trova sulla strada sbagliata, quella del male, perché le sue parole lasciano intendere che la morte se la sono cercata. La strada che ha intrapreso è opposta a quella percorsa da mio padre, da Falcone e da chi si è sacrificato per l’affer-mazione del bene comune, per liberare tutti dalla schiavitù della mafia. È una visione distorta che ricalca la mentalità mafiosa, quella che ha portato all’uccisione di tantissimi servitori dello Stato.
AVVENIRE 12.6.2019 Alessandra Turrisi