L’ispettore della mobile Valenti riferisce che il responsabile n delle intercettazioni del gruppo Falcone-Borsellino, Giuseppe Di Ganci, gli ordinó di interrompere le registrazioni delle conversazioni di Scarantino quando parlava con i magistrati
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La rivelazione arriva improvvisa, dopo altri due interrogatori in cui non ne aveva fatto cenno: “Mi ordinarono di staccare la registrazione di Vincenzo Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”. E chi fu a ordinarglielo?. “Fu Di Ganci (suo diretto superiore, ndr), mi disse di riattivarla dopo che Scarantino aveva finito di parlare con i magistrati”. Visibilmente scosso, davanti ai giudici del processo nisseno sul depistaggio, l’ispettore della Mobile, Giampiero Valenti, apre per la prima volta uno spiraglio nel muro compatto dell’omertà investigativa sulla gestione delle indagini su via D’Amelio, chiamando in causa il responsabile delle intercettazioni del gruppo Falcone-Borsellino, Giuseppe Di Ganci. E se è destinato a restare un mistero il contenuto di quelle telefonate non registrate tra il pentito farlocco e i magistrati, oggi con le sue parole Valenti oltre a rilanciare sospetti sui pm di allora, rischia di mettere nei guai anche se stesso, costringendo gli inquirenti di Caltanissetta a valutare eventuali profili penali nei labirinti degli obblighi di polizia giudiziaria: le indagini, infatti, non possono essere interrotte a discrezione di chi le conduce.
“Perché non fece una relazione di servizio di quella richiesta illecita?”, gli hanno chiesto le parti civili, gli avvocati Pino Scozzola e Rosalba Di Gregorio.
“All’epoca, non mi sembrò una cosa illecita – ha risposto Valenti – a chi dovevo fare una relazione di servizio? Al mio ufficio, che mi aveva chiesto di staccare quella intercettazione?”. E quando il procuratore Paci gli ha mostrato un “brogliaccio” , l’ispettore ha replicato: “Riconosco la mia firma, ma nego di conoscere qual era l’attività di intercettazione. Sono stato uno stupido, perchè non avevo alcuna esperienza, ero giovane. Non capisco perchè questo verbale non lo firmò chi gestiva l’attività e lo hanno fatto firmare all’ultima ruota del carro”.
Il verbale d’udienza sarà trasmesso adesso alla Procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia che indaga sul periodo tra l’ottobre del ’94 e il luglio del ’95, quando Scarantino era detenuto ai domiciliari in un appartamento di San Bartolomeo al Mare (Imperia), sotto la strettissima sorveglianza dei poliziotti di Arnaldo La Barbera. Da quell’appartamento il balordo della Guadagna, attraverso un telefono fisso, comunicava con i familiari a Palermo, ma anche con poliziotti e magistrati. Proprio quelle conversazioni, contenute in 19 bobine ritrovate nei mesi scorsi dai pm nisseni, sono state trasmesse per competenza ai colleghi di Messina dove il capo dell’ufficio, dopo averle ascoltate, ha indagato gli ex magistrati Anna Palma e Carmelo Petralia, titolari della prima indagine deviata su via D’Amelio, ipotizzando l’accusa di concorso in calunnia. Stesso reato per il quale sono oggi processati a Caltanissetta i tre poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Il Fatto Quotidiano – 19 ottobre 2019