BORSELLINO DUE MESI PRIMA DELLA STRAGE INTERVISTATO DA CANAL+

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Il 21 maggio 1992, due mesi prima della Strage di Via d’Amelio, i giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi intervistano Paolo Borsellino.

Dunque incominciamo. Lei si è occupato di questo maxiprocesso di Palermo, cos’ha fatto signor Giudice in questo maxiprocesso di Palermo?

Mah, io ero uno dei giudici istruttori. Inizialmente eravamo quattro che abbiamo raccolto le dichiarazioni di tutti i collaboratori che sono stati utilizzati in questo processo. Buscetta principalmente, ma anche tanti altri collaboratori minori che hanno dato un apporto dal punto di vista giudiziario, strettamente giudiziario, non meno consistente di quello di Buscetta. E poi ho redatto nell’estate dell’85, ho redatto il provvedimento conclusivo del processo che va come ordinanza, maxi ordinanza, sulla base della quale si è svolto poi il giudizio di primo grado

Conosce bene gli imputati?

Beh, pressoché tutti gli imputati.

Quanti sono?

Beh, gli imputati del Maxiprocesso erano circa 800. Ne furono rinviati a giudizio 475.

Tra questi 475 ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei lo conosce? Ha avuto a che fare con lui?

Si, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, precisamente negli anni tra il ’75 e l’80, ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava una delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane.

Borsellino al telefono: “Ah pronto, pronto, pronto… se possiamo sospendere un istante. Pronto Nino, senti volevo sapere com’è andata stamattina… si… si…”

Tra queste centinaia d’imputati ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei l’ha conosciuto?

Sì, Vittorio Mangano l’ho conosciuto in epoca addirittura antecedente al maxiprocesso perché fra il ’74 e il ’75 Vittorio Mangano restò coinvolto in un’altra indagine che riguardava talune estorsioni fatte in danno di talune cliniche private che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste erano inviati dei cartoni con all’interno una testa di cane mozzata. L’indagine fu particolarmente fortunata perché attraverso la marca dei cartoni e attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice, si poté rapidamente individuare chi li aveva acquistati e attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria, un negozio di vendita di salumi, che risultava avere acquistato questi cartoni si scoprirono all’interno sepolti in questo giardino i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere… Ora i miei ricordi sono un po’ affievoliti, di questa famiglia, credo che si chiamasse Guddo che era stata l’autrice materiale delle estorsioni. Fu processato, non ricordo quale sia stato l’esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano, che poi ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra.

Uomo d’onore di che famiglia?

Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano (ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento, cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso), che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.

E questo Mangano Vittorio faceva il traffico di droga a Milano?

Il Mangano… Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane preannuncia, o tratta, l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli. Mangano è stato poi sottoposto al processo dibattimentale ed è stato condannato proprio per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa, bensì per associazione semplice. Riportò in primo grado una pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione.

In che anno era?

In che anno riportò questa condanna? Riportò questa condanna in primo grado nel millenovecento… all’inizio del 1988. Ne aveva già scontato un buon numero di questa condanna e in appello, per le notizie che io ho, la pena è stata sensibilmente ridotta.

Dunque quando Mangano al telefono parlava di droga diceva cavalli?

Diceva cavalli e diceva magliette talvolta.

Perché se ricordo bene nell’inchiesta della San Valentino un’intercettazione tra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di cavalli…

Si, e comunque non è la prima volta che viene utilizzata. Probabilmente non so se si tratti della stessa intercettazione, se mi consente di consultare… No, questa intercettazione in cui si parla di cavalli è un’intercettazione che avviene tra lui e uno della famiglia degli Inzerillo.

Ma ce n’è un’altra nella San Valentino con lui e Dell’Utri.

Si, il processo di San Valentino, sebbene io l’abbia gestito per qualche mese poiché mi fu assegnato a Palermo allorché i giudici romani si dichiararono incompetenti e lo trasmisero a Palermo. Io mi limitai a sollevare a mia volta un conflitto di competenza davanti alla Cassazione. Conflitto di competenza che fu accolto, quindi il processo ritornò a Roma o a Milano, in questo momento non ricordo. Conseguentemente non è un processo che io conosca bene in tutti i suoi dettagli perché appunto non l’ho istruito, mi sono dichiarato incompetente.

Comunque lei, in quanto esperto, lei può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono vuol dire droga?

Si, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta a dibattimento. Tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga… Fu condannato esattamente a 13 anni e 4 mesi di reclusione più 70 mila lire… 70 milioni di multa. E la sentenza di corte d’appello confermò questa decisione del primo grado sebbene, da quanto io rilevo dalle carte, vi sia stata una sensibile riduzione della pena.

E Dell’Utri non c’entra in queste schede?

Dell’Utri non è stato imputato del maxiprocesso per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.

A Palermo?

Si, credo che ci sia un’ indagine che attualmente è a Palermo, con il vecchio rito processuale, nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.

Dell’Utri, Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri?

Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto… cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, entrambi.

Quelli della Publitalia insomma?

Si

E tornando a Mangano… la connessione tra Mangano e Dell’Utri?

Si tratta di atti processuali dei quali non mi sono personalmente occupato, quindi sui quali non potrei riferire nulla con cognizione di causa. Posso ulteriormente riferire che successivamente al maxiprocesso, o almeno all’istruzione del maxiprocesso, di questo Vittorio Mangano parlò pure Calderone che ribadì la sua posizione di uomo d’onore e parlò pure di un incontro con Mangano avuto da Calderone, credo nella villa di… nella tenuta agricola di Michele Greco. Insieme dove lo conobbe mentre si era ivi recato dopo aver compiuto un omicidio, almeno questo lo dice Calderone, assieme a Rosario Riccobono. Dello stesso Mangano ha parlato anche a lungo un pentito minore che è recentemente deceduto, un certo Calzetta, il quale ha parlato dei rapporti fra quel suddetto Mangano e una famiglia del Corso dei Mille, la famiglia Zancla i cui esponenti furono sottoposti a processo… erano tutti imputati nel maxiprocesso.

La prima volta che l’ha visto quando era?

La prima volta che l’ho visto…l’ho visto, anche se fisicamente non lo ricordo, l’ho visto fra il ’70 ed il ’75.

Per l’interrogatorio?

Per l’interrogatorio, si.

E dopo è stato arrestato?

Fu arrestato fra il ’70 ed il ’75. Fisicamente non ricordo il momento in cui lo vidi nel corso del maxiprocesso perché non ricordo neanche di averlo interrogato personalmente io. Comunque si tratta di ricordi che cominciano ad essere un po’ sbiaditi in considerazione del fatto che sono passati abbondantemente dieci anni, quasi dieci anni.

A Palermo?

Si. Si, a Palermo. La prima volta sicuramente a Palermo.

Quando?

Fra il ’70 ed il ’75 e dopo… cioè fra il ’75 e l’80. Probabilmente sarà stato a metà strada fra il ’75 e l’80.

Ma lui viveva già a Milano?

Beh, lui sicuramente era dimorante a Milano anche se risultò… lui stesso affermava di avere…di spostarsi frequentemente fra Milano e Palermo.

E si sa cosa faceva… lei sa cosa faceva a Milano?

A Milano credo che lui dichiarò di gestire un’agenzia ippica o qualcosa del genere. E comunque che avesse questa passione di cavalli risulta effettivamente la verità perché anche nel processo questo delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito, venivano fuori dei cavalli effettivamente cavalli, non cavalli come parola che mascherava il traffico di stupefacenti.

Si, ma quella conversazione con Dell’Utri poteva anche trattarsi di cavalli?

Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che devono essere mandati in un albergo… Quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo.

In un albergo dove?

Ho vaghi ricordi, ma probabilmente si tratta del Plaza o di qualcosa del genere, si.

Di che città?

Di Milano.

Ah, per di più!

Si.

E a Milano non ha altre precisioni sulla sua vita, su che cosa faceva?

Guardi se avessi possibilità di consultare gli atti del procedimento molti ricordi mi riaffiorerebbero, ma ripeto si tratta di ricordi ormai un po’ sbiaditi dal tempo.

Si è detto che ha lavorato per Berlusconi…

Non le saprei dire in proposito anche se dico… debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo poiché ci sono addirittura… so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali degli atti siano ormai conosciuti ed ostensibili e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda, che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.

Ma c’è un’inchiesta ancora aperta?

So che c’è un’inchiesta ancora aperta.

Su Mangano e Berlusconi? A Palermo?

Su Mangano credo proprio di si, o comunque ci sono delle indagini istruttorie che riguardano rapporti di polizia concernenti anche il Mangano. Questa parte dovrebbe essere richiesta a Guarnotta che ne ha la disponibilità, quindi non so io se sono cose che possono dirsi in questo momento.

Ma lui comunque era uomo d’onore negli anni 70, no?

Beh, secondo le dichiarazioni di Buscetta, Buscetta lo conobbe già come uomo d’onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo, periodo antecedente agli anni ’80. Ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quelle estorsioni del processo dei cani con le teste mozzate di cui ho parlato prima”.

Ma Buscetta come fa a dire che Mangano era un uomo d’onore?

Evidentemente Buscetta precisa ogni qualvolta indica una persona come uomo d’onore, precisa quali siano state le modalità di presentazione di cui lui ha parlato in generale nelle sue dichiarazioni e poi specificamente ne parla con riferimento a ogni singola persona accusata. Cioè la presenza di un terzo uomo d’onore che garantendo della qualità di entrambe le persone che si presentano, presenta l’uno all’altro e l’altro all’uno.

E’ un rito?

Secondo il rituale, si tratta proprio di un rituale, descritto non soltanto da Buscetta, ma descritto anche da Contorno e descritto da tutti i pentiti, descritto da Calderone e descritto da altri pentiti minori. Gli uomini d’onore non possono scambievolmente presentarsi se non vi è la presenza di un terzo uomo d’onore che già è stato presentato ad entrambi e quindi sia in grado di rivelare all’uno la qualità di uomo d’onore dell’altro. E’ un rito di Cosa Nostra del quale abbiamo trovato decine e decine di conferme.

Lei nelle sue carte non ha la data esatta dell’arresto di Mangano negli anni ’70?

Guardi le posso dire che non ho la data esatta dell’arresto di Mangano perché mi manca il documento. Però Buscetta parla di un incontro avvenuto nel carcere… con Mangano nel carcere di Palermo, un incontro avvenuto nel 1977. Mangano negò in un primo momento che vi fosse stata questa possibilità di incontro tra lui e Buscetta. Gli accertamenti espletati permisero di accettare che sia il Mangano che il Buscetta erano stati detenuti assieme all’Ucciardone proprio nel 1977 e probabilmente forse in qualche anno prima o dopo il ‘77.

‘77… vuol dire che era dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare per Berlusconi? (Paolo Borsellino fa cenno di non sapere o non potere rispondere)

Da quanto sappiamo lui ha cominciato a lavorare nel ’75.

Le posso dire che sia Mangano che Buscetta… ehm sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d’onore.

Lei sa come Mangano e dell’Utri si sono conosciuti?

No. Non lo so perché questa parte dei rapporti di Mangano, ripeto, non fa parte delle indagini che ho svolto io personalmente, conseguentemente quello che ne so io è quello che può risultare dai giornali o da qualsiasi altra fonte di conoscenza. Non è comunque mai una conoscenza professionale mia e sul punto peraltro non ho ricordi.

Sono di Palermo tutti e due?

Non è una considerazione che induce ad alcuna conclusione perché Palermo è una città, diversamente come ad esempio Catania dove le famiglie mafiose erano composte di non più di una trentina di persone, almeno originariamente, in cui gli uomini d’onore sfioravano, ufficiali, sfioravano duemila persone secondo quanto ci racconta ad esempio Calderone. Quindi il fatto che fossero di Palermo tutti e due non è detto che si conoscessero.

Un socio di Dell’Utri, un tale Filippo Rapisarda che dice che ha conosciuto Dell’Utri tramite qualcuno della famiglia di Stefano Bontate.

Guardi Mangano era della famiglia di Porta Nuova, cioè la famiglia di Calò. Comunque considerando che Cosa nostra è…

– (interruzione della Signora Borsellino per un’auto da spostare)-

Rifaccio la domanda: c’è un socio di Marcello Dell’Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade.

Beh considerato che Mangano ricordo appartenesse alla famiglia di Pippo Calò, evidentemente non sarà stato Mangano…non sarà stato qualcuno del… cioè non saprei individuare chi potesse averglielo presentato. Comunque tenga presente che nonostante Palermo sia la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose… si è parlato addirittura in certi periodi almeno di duemila uomini d’onore con famiglie numerosissime. La famiglia di Stefano Bontade sembra che in certi periodi ne contasse almeno duecento e si trattava comunque di famiglie appartenenti ad un’unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.

Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?

Rapisarda, so dell’esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente.

A Palermo c’è un giudice che se n’è occupato?

Credo che attualmente se ne occupi, se vi è una inchiesta aperta anche nei suoi confronti, se ne occupi il giudice istruttore. Cioè l’ultimo degli appartenenti, cioè il collega Guarnotta, cioè l’ultimo degli appartenenti al pool antimafia che è rimasto in quell’ufficio a trattare i processi che ancora si svolgono col rito… col vecchio codice di procedura penale.

Perché a quanto pare Rapisarda e Dell’Utri erano in affari con Ciancimino tramite un tale Alamia.

Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell’Utri e Rapisarda non so fornirle particolari indicazioni trattandosi, ripeto, sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.

Ma questo Ciancimino, ex sindaco di Palermo, è un mafioso?

Ciancimino è stato colpito da mandato di cattura, nel periodo in cui io lavoravo ancora a Palermo presso l’ufficio istruzione, proprio per la sua supposta appartenenza a Cosa Nostra. Procedimento che si è svolto a dibattimento in epoca estremamente recente e nel corso del quale è stato condannato, conseguentemente è stato accertato giudizialmente almeno in primo grado la sua appartenenza a Cosa Nostra.

A cosa è stato condannato?

Non ricordo esattamente. Si tratta di una sentenza di qualche mese fa della quale comunque non ricordo… Ricordo la condanna ma non ricordo gli anni relativi alla condanna. E’ chiaro che quando si fa riferimento a Cosa Nostra dal punto di vista dell’organo giudiziario penale italiano, non viene considerato sempre necessario che la persona sia uomo d’onore all’interno di Cosa Nostra perché queste sono regole dell’ordinamento giuridico mafioso. In Italia, secondo l’ordinamento giuridico statuale si può essere condannati per 416 bis, cioè per associazione mafiosa, anche se (ndr) non appartenenti ritualmente, a seguito di una regolare e rituale iniziazione, a Cosa Nostra. Faccio l’esempio, peraltro molto diffuso nelle indagini che sono state fatte, di una famiglia che si avvale di Cosa Nostra, che si avvale per la consumazione, abitualmente, per la consumazione di taluni delitti di sangue di giovani non ancora inseriti in Cosa Nostra.. diciamo in periodi di tirocinio. Questo secondo l’ordinamento giuridico statuale, questi giovani killer che vengono reclutati da Cosa Nostra, ma non ancora ritualmente inseriti secondo la rituale cerimonia nell’organizzazione, fanno comunque parte dell’organizzazione criminosa secondo l’ordinamento giuridico statuale.

Lei in quanto uomo, non più in quanto giudice, come giudica la fusione che si opera, che abbiamo visto operarsi, tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconi o Dell’Utri e uomini di onore di Cosa Nostra. Cioè Cosa Nostra si interessa all’industria?

Beh, a prescindere da ogni riferimento personale perché ripeto con riferimento a questi nominativi che lei ha fatto, io non ho personali elementi tali da poter esprimere opinioni. Ma considerando la faccenda nel suo atteggiarsi generale allorché l’organizzazione mafiosa, la quale sino agli anni ’70, sino all’inizio degli anni ’70 aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili, all’inizio degli anni ’70 in poi Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa.. un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole che a un certo punto diventò addirittura monopolistico nel traffico di sostanze stupefacenti… Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali naturalmente cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero. E allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nosta cominciò a porsi il problema e ad effettuare degli investimenti leciti o para leciti, come noi li chiamiamo, di capitali. Naturalmente per questa ragione cominciò a seguire vie parallele e talvolta tangenziali alla industria operante anche nel nord, della quale in un certo qual modo… alla quale in un certo qual modo si avvicinò per potere utilizzare le capacità… quelle capacità imprenditoriali al fine di far fruttare questi capitali dei quali si era trovata in possesso.

Dunque lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessa a Berlusconi?

E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente queste esigenze, queste necessità per le quali l’organizzazione criminosa a un certo punto della sua vita storica si è trovata di fronte, hanno portato ad una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per dover far trovare uno sbocco a questi capitali. E quindi non mi meraviglia affatto che a un certo punto della sua storia Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali.

E uno come Mangano può essere l’elemento di connessione tra questi due mondi?

Beh guardi Mangano è una persona che già in epoca, oramai diciamo databile abbondantemente di due decenni almeno, era una persona che già operava a Milano. Era inserita in un qualche modo in una attività commerciale. E’ chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone, di Cosa Nostra che erano in grado di gestire questi rapporti.

Però lui si occupava anche di traffico di droga, l’abbiamo visto, ma anche di sequestro di persona.

Mah, tutti quei mafiosi che in quegli anni (siamo probabilmente alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70), che approdarono a Milano e fra questi non dimentichiamo che c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali che poi investirono nel traffico delle sostanze stupefacenti, anche con i sequestri di persona. Lo stesso Luciano Liggio fu coinvolto in alcuni clamorosi processi che riguardavano sequestri di persona. Ora non ricordo se si trattasse ad esempio di quelli di Rossi di Montelera, ma probabilmente fu proprio uno di questi e diversi personaggi che ancora troviamo come protagonisti di vicende mafiose, a Milano si dedicarono a questo tipo di attività che invece, salvo alcuni fatti clamorosi che costituiscono comunque l’eccezione, sequestri di persona che invece ad un certo punto Cosa Nostra si diede come regola di non gestire mai in Sicilia.

Un investigatore ci ha detto che al momento in cui Mangano lavorava per Berlusconi, c’è stato un sequestro, non a casa di Berlusconi però, di un invitato che usciva dalla casa di Berlusconi.

Non sono a conoscenza di questo episodio.

E questo sequestro fu opera insomma, fu implicato dentro un tale Pietro Vernengo.

Ritengo possa trattarsi, anche perché non ne conosco altri con questo nome, del mafioso che è stato protagonista di alcune vicende che hanno avuto estremo risalto in stampa in questi ultimi tempi… cioè Pietro Vernengo, appartenente alla famiglia mafiosa credo di Santa Maria di Gesù che fu condannato all’ergastolo nel Maxiprocesso con sentenza confermata in appello per aver…era imputato addirittura di 99 omicidi e per qualcuno di essi è stato condannato. Pietro Vernengo, personaggio che fu sicuramente uno dei più importanti del maxiprocesso fra quelli coinvolti, sia nel traffico dei tabacchi lavorati esteri all’inizio che nel traffico delle sostanze stupefacenti poi. Anzi credo che un congiunto di Pietro Vernengo sia quel Di Salvo che risultò titolare di una delle raffinerie di droga scoperte a Palermo, proprio nella città di Palermo e precisamente nella zona di Romagnolo acqua dei corsari, una raffineria che fu scoperta mentre era ancora in funzione.

Avete detto maxiprocesso… Vernengo è stato giudicato con Mangano?

Vernengo è stato giudicato nel Maxiprocesso con Mangano.

Loro due si conoscevano?

Non lo ricordo se sono state fatte domande del genere o accertamenti del genere.

Mangano è più o meno un pesce pilota, non so come si dice, un’avanguardia.

Si, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia. Ce n’erano parecchi ma non moltissimi, almeno fra quelli individuati. Altro personaggio che risiedeva stabilmente a Milano era uno dei Bono. Credo che Alfredo Bono, che nonostante fosse capo della famiglia di Bolognetta, che è un paese vicino Palermo, risiedeva abitualmente a Milano. Nel maxiprocesso, in realtà debbo dire Mangano non appare come uno degli imputati principali. Non c’è dubbio comunque che, almeno con riferimento al maxiprocesso, è un personaggio che suscitò parecchio interesse anche per questo suo ruolo un po’ diverso da quello attinente specificatamente alla mafia militare, anche se le dichiarazioni di Calderone lo indicano anche come uno che non disdegnava neanche questo ruolo militare all’interno dell’organizzazione mafiosa. Se mal non ricordo, Calderone parla di un incontro con Mangano avvenuto in un fondo di Stefano Bontade, dove il Mangano e Rosario Riccobono sopravvenuti nel frangente, si dicevano reduci da un’operazione di sangue, o qualcosa del genere. Debbo dire che l’esito processuale però delle dichiarazioni di Calderone è stato un esito deludente poiché dal punto di vista strettamente giudiziario, cioè delle condanne con riferimento agli accusati, delle dichiarazioni di Calderone è rimasto ben poco. E’ rimasto ben poco probabilmente perchè in concomitanza con le dichiarazioni di Calderone è sopravvenuta quella dirompente sentenza, o decisione, della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha disconosciuto l’unitarietà della organizzazione criminosa Cosa Nostra, sostenendo che trattavasi invece di tante famiglie, o tante organizzazioni, aventi ognuna una propria collocazione territoriale cosicché il procedimento derivante dalla dichiarazione di Calderone è stato spezzettato, credo in dieci o dodici tronconi, pochi dei quali restano ancora in piede e nessuno dei quali credo abbia avuto sino ad ora un esito dibattimentale definitivo e soddisfacente dal punto di vista dell’accusa.

Dunque Mangano era uno capace di partecipare ad azioni militari?

Secondo le dichiarazioni di Calderone si.

Quali azioni militari non si sa?

Mah, ripeto… Calderone parla di un incontro con questo Mangano avvenuto nel fondo di Bontade, nel quale Mangano e Rosario Riccobono si dicevano reduci di un’azione di sangue.

Quando?

Il periodo credo che sia un periodo di poco precedente all’omicidio di Di Cristina, quindi dovremmo essere prima del 1978.

Subito dopo la sua scarcerazione?

Non saprei essere più preciso perché dovrei consultare gli atti. E’ citato in questo libro di Arlacchi questo episodio. Ne parla una sola volta in questo libro…. Ah, dice nel 1976. Un giorno del ’76 quindi, io ricordavo nel ’77. – Borsellino legge: Mi trovavo nella tenuta favarella insieme a Pippo, eravamo seduti a discutere con Michele Greco – Ecco non è Bontade, è Michele Greco, ora che…. Io ricordavo la tenuta di Bontade, mentre si tratta della tenuta di Michele Greco. […a discutere con Michele Greco quando arrivarono Rosario Riccobono e Vittorio Mangano, uomo d’onore di Pippo Calò, che avevo già incontrato a Milano. Erano venuti per informare Greco dell’avvenuta esecuzione di un ordine, avevano appena eliminato il responsabile di un sequestro di una donna e avevano pure liberato l’ostaggio]. Penso di ricordare anche a quale delitto si riferisce il Calderone. Perché in quell’epoca credo che venne sequestrata a Monreale una certa Gabriella o Graziella Mandalà, la quale qualche giorno dopo, appena otto giorni dopo ricomparve, fu liberata. E subito dopo si verificarono tutta una serie di delitti estremamente raccapriccianti, un tizio che probabilmente era sospettato di aver partecipato al sequestro fu ritrovato addirittura nella circonvallazione dentro un sacco di [interruzione] …con riferimento al suo incontro con Mangano.

Fatto da Mangano?

Calderone lascia capire in questo modo. Almeno da queste dichiarazioni che vedo riportate nel libro di Arlacchi. Anzi credo che Calderone cita proprio questo fatto che mi ha fatto ricordare…(interruzione)… Dell’uccisione fatta da Liggio di due donne della quale una viene stuprata e uccisa, una ragazza di 14 anni o 15 anni, che viene stuprata e uccisa subito dopo. Si tratterebbe di un delitto analogo a quello per cui un tizio stamattina è…(interruzione).

Ci sono tutta una serie di appunti, di schede e di computer attraverso le quali occorre però risalire alla documentazione, delle quali alcuni sono sicuramente ostensibili perché fanno parte del maxiprocesso e ormai il maxiprocesso è conosciuto, è pubblico. Alcuni non lo sono perché riguardano indagini in corso, li dovrei fare esaminare da Guarnotta per…

No dicevo solo quei fogli di computer.

Eh si però qualcuno di questi fogli di computer riguarda, per esempio, sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi, e non so sino a che punto sono ostensibili… Io glieli do, l’importante che lei non dica che glieli ho dati io… Sono soltanto…ecco questo computer è organizzato in questo modo, questo è un indice sostanzialmente perché attraverso queste indicazioni noi cerchiamo “Vittorio Mangano” ed il computer ci tira fuori tutti gli indici degli atti dove sappiamo che c’è il nome Vittorio Mangano. Però non sono gli atti, è l’indicazione di come si possono andare a trovare perché poi il processo è microfilmato, c’è lì una cosa, si cerca il microfilm e si tirano fuori. Cosa non sempre facile perché ormai ‘ste bobine microfilm sono diventate numerosissime.

 

L’intervista a Paolo Borsellino di Canal+

Fu registrata due giorni prima della strage di Capaci e due mesi prima di quella di via D’Amelio in cui morì Borsellino stesso

Tra le molte storie importanti e non chiare che si affollano intorno alla storia maggiore delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui vennero uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha assunto col tempo una notevole importanza e ha generato molte ipotesi un’intervista che Paolo Borsellino fece per la rete televisiva francese Canal+ nella sua casa a Palermo il 21 maggio 1992: due giorni prima che fosse ucciso Giovanni Falcone e due mesi prima che fosse ucciso lo stesso Borsellino.

L’intervista, che venne diffusa pubblicamente per intero solo molti anni dopo, ha una strana e interessante genesi. Gli autori sono Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, due giornalisti (il secondo è nato in Italia, ma è un giornalista noto e di lunga carriera in Francia) che avevano chiesto di parlare con Paolo Borsellino per avere informazioni sulle indagini nei confronti di Vittorio Mangano e sui suoi rapporti con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Mangano, nelle ricostruzioni successive di diverse inchieste e nella sentenza che ha condannato Vittorio Dell’Utri confermata nel 2014, è il mafioso che visse tra il 1974 e il 1976 nella villa di Berlusconi come garante e controllore dell’accordo di “protezione” che la mafia siciliana aveva estorto (stando alla sentenza) a Berlusconi grazie al tramite di Dell’Utri (che è stato condannato per questo a sette anni di carcere). Ma nel 1992 tutto questo non si sapeva, e in Italia era del tutto ignorato pubblicamente (lo stesso Dell’Utri allora compariva solo occasionalmente nelle cronache di finanza dei quotidiani come capo della concessionaria Publitalia e pochi conoscevano il suo nome: Berlusconi non faceva ancora politica, ma l’imprenditore, ed era noto soltanto per le reti televisive e la proprietà del Milan).

I due giornalisti francesi però avevano saputo qualcosa: Calvi – che si occupava di mafia siciliana da tempo ed era stato molto a Palermo – racconta di essere stato informato da una sua fonte nei servizi segreti italiani che si stava indagando a Palermo sui rapporti tra la mafia e Berlusconi, ipotizzati in seguito alle indagini su Mangano per altri reati. E di essere stato incuriosito dall’incendio in cui era stato distrutto un grande yacht di Berlusconi in un cantiere e dagli attentati contro un negozio Standa in Sicilia, tra il 1990 e il 1992. E in Francia Berlusconi era da poco diventato una notizia per il suo progetto televisivo La Cinq: la rete Canal+ si dichiarò quindi assolutamente interessata alla proposta di inchiesta di Calvi e Moscardo. Il risultato fu che i primi giornalisti a fare un’inchiesta sulle possibili relazioni con la mafia di Silvio Berlusconi furono francesi, due anni prima che Berlusconi si candidasse alle elezioni.

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Calvi conosceva bene Paolo Borsellino, lo aveva intervistato altre volte, e successivamente lo ha definito “un amico”: iniziò da lui a informarsi sulle indagini su Mangano, e Borsellino gli diede un appuntamento a casa propria, per il 21 maggio 1992.

Le riprese di quel giorno hanno avuto una storia tormentata e controversa, dopo: il progetto di una più ampia inchiesta televisiva fu accantonato dopo che l’impresa francese di Berlusconi si era chiusa, e così l’interesse per la storia, e Calvi ne pubblicò la trascrizione sull’Espresso solo due anni dopo – il documentario era sospeso e intanto Berlusconi si era candidato in politica -, dando al giornale una sintesi del video per garanzia di alcuni passaggi. Sintesi che acconsentì a dare anche alla vedova di Borsellino, la quale a sua volta la consegnò ai magistrati che indagavano sulla strage di via D’Amelio. Da lì ne ottennero una copia dei giornalisti di Rai News 24 che la trasmisero – tra molte tensioni all’interno dell’azienda – con grandi polemiche nel 2000: il fatto che si trattasse di un montaggio parziale generò anche accuse di manipolazione, e tutto il materiale girato a casa Borsellino fu diffuso dal Fatto Quotidiano solo nel 2009 (tantissimo materiale girato per quel documentario, con molti intervistati, è ancora in possesso di Calvi, che non ha mai trovato una produzione, e non è mai stato mostrato).

Il contenuto dell’intervista a casa di Paolo Borsellino è impressionante, non solo col senno di poi rispetto a quello che succederà due giorni e due mesi dopo (c’è un momento in cui Agnese Borsellino avvisa che vanno spostate le macchine da davanti alla casa, per ragioni di sicurezza), ma per le cose che suggerisce e non chiarisce. Borsellino si era evidentemente preparato e documentato ed espone con grande precisione, ma anche attenzione, quello che sa di Vittorio Mangano dalle sue indagini precedenti. Gli intervistatori lo invitano a parlare delle ragioni delle relazioni tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi, e Borsellino conferma le loro ipotesi sugli investimenti della mafia al nord, e sull’esistenza di un’indagine a carico di Dell’Utri e di suo fratello Alberto, ma facendo attenzione a non confermare niente di diretto su Berlusconi e alludendo più volte al fatto di essere a conoscenza di un’indagine su Dell’Utri ma di non poterne parlare perché non è sua. Alla fine del colloquio, però, con una telecamera ancora accesa che lo riprende, Borsellino parla dei documenti investigativi che ha tra le mani – una lista di inchieste diverse in cui compaiono anche riferimenti a Berlusconi – e dice che qualcuno “riguarda ‘sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi”. Ma malgrado questo, e malgrado le ripetute allusioni di Borsellino alla loro esistenza, non risulterà poi nessuna inchiesta a Palermo contro Dell’Utri prima del 1996.

 

Paolo Borsellino, i segreti dell’intervista su Berlusconi e gli interessi di Canal Plus. Parla l’autore: “È la mia maledizione”

Parla Fabrizio Calvi, il giornalista italo francese che il 21 maggio del 1992 intervistò il giudice palermitano nella sua casa nel capoluogo siciliano. E racconta i retroscena su quel colloquio in cui si parla per la prima volta delle indagini su Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. “Come nacque quell’intervista? Canal Plus era interessato ai rapporti tra il padrone della Fininvest e la mafia. Questo perché Berlusconi era azionista di La Cinq ed era entrato in concorrenza con loro. Perché non venne pubblicata? Dopo l’omicidio non vollero sentirne più parlare”

“Ci sono storie maledette, quella dell’intervista a Paolo Borsellino è la mia”. Parola di Fabrizio Calvi, il giornalista italo francese che il 21 maggio del 1992 insieme al collega Jean Pierre Moscardo intervista il giudice palermitano nella sua casa nel capoluogo siciliano. Il contenuto di quell’incontro è clamoroso e ampiamente conosciuto: a 48 ore dall’omicidio di Giovanni Falcone e a meno di due mesi dal suo, Borsellino parla per la prima volta dei rapporti tra Vittorio Mangano, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Altrettanto noto è il difficile percorso che porterà quell’intervista prima ad essere pubblicata in forma scritta dall’Espresso nella primavera del 1994 (al settimanale era stata fornita una sintesi video a garanzia dell’autenticità) e poi alla messa in onda – sempre in forma breve – su Rainews 24 nel 2000 tra le polemiche e le tensioni della televisione di Stato. Per la pubblicazione integrale, invece, bisognerà attendere il 2009, quando Il Fatto Quotidiano la diffonde in dvd. Quello che invece fino a oggi era meno conosciuto – se non totalmente ignoto – è il prequel di quell’intervista: come nasce, i motivi per cui venne commissionata e quindi mai mandata in onda. A venticinque anni dalla strage di via d’Amelio, Calvi ha accettato di parlare con ilfattoquotidiano.it, ripercorrendo i giorni precedenti e successivi a quell’incontro con Borsellino, che doveva fare parte di un film inchiesta da lui oggi ha definito come “la mia maledizione“.

Calvi, perché quel film è la sua maledizione?

Perché me lo porto dietro praticamente da sempre e per un motivo o per un altro non è mai uscito integralmente. Ci sono storiemaledette, quella dell’intervista aPaolo Borsellino è la mia.

Come nasce l’idea d’intervistare Borsellino?

Conoscevo da anni Paolo Borsellino, lo seguivo dagli anni ’80. Me lo aveva presentato Rocco Chinnici anche prima che Borsellino facesse parte del pool antimafia. Tutti correvano dietro a Giovanni Falcone, a me è sembrata una buona idea correre dietro a Borsellino. Avevamo un ottimo rapporto. Non so se di amicizia, ma sicuramente un ottimo rapporto. Così visto che dovevamo fare un film su Silvio Berlusconi e la mafia ho pensato di andarlo a intervistare.

Quel film nasce già come un’inchiesta su Berlusconi e la mafia?

Assolutamente sì. Io avevo avuto notizia delle indagini su Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. Avevamo sentito tutti i protagonisti del blitz di San Valentino a Milano, poi siamo andati in Sicilia  per ricostruire i percorsi di Marcello e Alberto Mangano.

E perché si rivolge a Borsellino?

Io non avevo idea che lui si fosse occupato di Mangano per una storia di estorsioni. Sono andato a trovarlo in procura qualche giorno prima dell’intervista e mi dice: Sì, su Mangano ho delle cose da dire. Io ero andato spesso in procura in passato ma ricordo che all’epoca ho trovato l’ambiente un po’ cupo, pesante. Non si sapeva ancora ma col senno di poi era il momento in cui stavano cambiando le cose.

A quel punto lei propone un’intervista a Borsellino su Mangano.

E lui accetta di farla davanti alle telecamere. Però mi dà appuntamento a casa sua. Un dettaglio che già al momento mi colpì perché di interviste a casa sua non ne avevo mai fatte.

Perché non si fece intervistare in procura?

Onestamente, non lo so. Perché non voleva essere sentito, ascoltato o visto in procura? Questo non lo so. D’altra parte era un’intervista video.

La novità di quell’intervista è il collegamento Mangano-Dell’Utri-Berlusconi.

Due cose mi hanno colpito di quel colloquio. La prima è che Borsellino parla di inchieste in corso a Palermo su Dell’Utri, è quella era per me era una novità. C’erano procedimenti su Mangano ma a Milano e si trattava sempre del blitz di San Valentino, che credo fosse già finito in Cassazione quindi non lo definirei in corso. Ma non si sapeva niente di indagini aperte a Palermo. Non ho mai capito cosa fossero quelle inchieste in corso.

Non si è veramente mai capito neanche dopo: la prima indagine ufficiale su Dell’Utri da parte della procura di Palermo è del 1994. 

Quando già Berlusconi era sceso in politica. Ma lì eravamo prima della stagione di Forza Italia, anche se era il momento in cui la mafia aveva già mollato la Dc.

Quale è la seconda cosa che l’ha colpita dell’intervista?

Il tono usato da Borsellino, lui parla in un modo molto forte e diretto: ha quelle carte davanti che sta guardando e le cita in continuazione. Poi avremmo capito che quello era il fascicolo processuale delle inchieste su Mangano, Dell’Utri e Berlusconi, cioè tutte le volte che erano stati citati in rapporti di polizia. Lui riguarda questo elenco e alla fine me lo dà davanti alla telecamera, dicendo: basta che non dice che gliel’ho dato io. Francamente mi ha stupito: queste cose non le faceva mai.

Era come se volesse parlare di quell’argomento a tutti i costi, cioè di Berlusconi, Mangano e Dell’Utri? Ha avuto questa sensazione?

Lui voleva parlare, questo è chiaro. Voleva parlare e voleva parlare di questi soggetti. Perché in quella fase non sarei capace di dirlo. A Palermo era uno strano momento: di quieta inquietudine direi. Era già morto Salvo Lima, che aveva dato la disponibilità ad essere intervistato da noi e si sapeva che qualcosa si stava muovendo. Ma la città in quel momento era tranquilla anche se lui era inquieto.

Ann

Ma dopo l’omicidio Borsellino, come mai l’intervista non è stata mandata in onda? Era un documento straordinario da diffondere dopo la strage di via d’Amelio.

Perché bisogna capire come nasce l’intervista a Borsellino.

Come nasce?

Io lavoravo per una casa di produzione indipendente e c’era un interesse di Canal Plus per Berlusconi e la mafia. Questo perché Berlusconi era azionista di La Cinq e la voleva trasformare in una tv criptata, entrando in concorrenza diretta con Canal Plus.

Quindi c’era un interesse affaristico di Canal Plus. Sono loro a commissionarvi  l’inchiesta o l’avete proposta voi?

No, noi abbiamo proposto a Canal Plus delle storie sulla mafia. Le nostre fonti ci avevano segnalato che c’erano storie su Berlusconi e la mafia e Canal Plus ci ha detto: questa ci interessa. Il problema è che quando il film era finito, per Canal Plus non era più una storia utile: La Cinq era fallita, Berlusconi non investiva in Francia e loro non volevano più sentirne parlare.

Ann.

Addirittura non volevano sentirne parlare? Ma quello, però, era comunque uno scoop. Non solo per i contenuti ma perché è probabilmente una delle ultime interviste a Borsellino prima di morire: che senso ha non volerne sentire più parlare?

Non lo so, ma Canal Plus era ed è una televisione che si occupa soprattutto di cinema, di sport e soltanto in parte di documentari. E documentari non vuol dire attualità. E poi Canal Plus non sapeva neanche che dentro il nostro girato c’era tutta quella storia di Borsellino. Magari avevano saputo dell’omicidio, però per loro era un’operazione che non interessava più.

Come mai non ha proposto a qualche altra emittente di mandare in onda quell’intervista?

Perché sono subito partito per girare una lunga serie sui servizi segreti nella seconda Guerra Mondiale. E quindi ho messo da parte tutto il capitolo sulla mafia. E poi onestamente non mi andava di pubblicare quest’intervista con la chiave: ecco perché Borsellino è stato ucciso. Non mi piaceva.

Ann.

Ha mai pensato che uno dei motivi per cui Borsellino muore è proprio perché sapeva quelle cose su Mangano e Dell’Utri?

Cioè per l’intervista?

Non per l’intervista, ma per quello che dice nell’intervista.

Ma quello che dice nell’intervista non è stato pubblicato e quindi non era pubblico. Magari qualcuno l’ha saputo ma io penso proprio di no. Io penso che l’omicidio fosse stato già deciso quando uccisero Falcone. Poi da quello che ho sentito, ma non ho seguito direttamente, so che Borsellino era stato ucciso perché si era messo in mezzo alla Trattativa.

Recentemente, però, Giuseppe Graviano – intercettato in carcere – parla di una “cortesia” fatta “al Berlusca” che voleva scendere già in politica nel 1992. Registrazioni che alcuni inquirenti collegano alla strage Borsellino. 

L’ipotesi che lega l’intervista all’omicidio direi che non è credibile. Anche perché ho letto che Graviano sapeva di essere intercettato. Le connessioni tra Berlusconi, Dell’Utri, Mangano erano già saltate fuori. La novità che portava Borsellino era una novità importante ma come documentaristica perché dà un’altra luce alla faccia di Dell’Utri e Mangano ma non è secondo me una luce fondamentale.

In ogni caso, però, quell’intervista, non venne comunque diffusa per due anni e l’intero film non è mai uscito: non è strano?
Sì e per questo che io considero questa storia la mia storia maledetta. L’intervista, come è noto è stata pubblicata dall’Espresso nel 1994 e poi da voi in forma integrale, mentre il film ho praticamente finito di montarlo. Negli anni successivi l’ho proposto a vari network ai quali invece non interessava. Ma se non è mai uscito è stato per una serie di circostanze che non reputo strane o inquietanti o meglio non spinte dall’alto. Varie volte ho sentito il fiato sul collo in certe storie che seguivo, ma devo dire che non è questo il caso.

IL FATTO QUOTIDIANO 19 Luglio 2017

 

Graviano, ho incontrato Berlusconi 3 volte a Milano ANSA 7 Febbraio 2020 

Boss depone a Reggio Calabria, in quel periodo ero latitante

“Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitane”. Lo ha detto il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, già condannato all’ergastolo, deponendo in videoconferenza nel processo “‘ndrangheta stragista”, in cui è imputato, in corso di svolgimento a Reggio Calabria. Graviano sta rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. 

“Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie”. Lo afferma in una nota il legale di Silvio Berlusconi, l’avv. Niccolò Ghedini. “Si osservi – prosegue – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti”. 

 “Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione – prosegue Ghedini – improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.