Qualche mese fa trovammo un articolo del 2001 in cui il Dr Luciano Costantini, collega del Giudice Borsellino a Marsala, ricordandolo, parlava di una bambina bionda che fu “interrogata” da Paolo Borsellino a fine anni 80. La bimba era stata testimone di un incidente aereo avvenuto vicino Birgi. Dopo aver visto l’ accaduto si chiuse in un mutismo assoluto fin quando non arrivò lo ”zio Paolo”
Siamo riusciti, tramite nostri canali , a rintracciare quella che nel 1989 era una bambina di soli 8 anni. Si chiama Ezia, ed ha accettato, in esclusiva per il gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino, di rispondere a delle nostre domande raccontandoci quegli anni.
Come entrò il Dottore Borsellino nella vita della sua famiglia e come lo conosceste?
Paolo Borsellino “entrò” nella nostra vita, mia e della mia famiglia, nel lontano 1987, quando era Procuratore Capo a Marsala.
Avevamo un ristorante a Marsala, La Torre, vicino al mare, a San Teodoro.
Un ristorante a conduzione familiare, e il Dr Borsellino veniva spesso a mangiare da noi. Io avevo appena 6 anni quindi i miei ricordi sono vaghi perché essendo piccola lo consideravo un cliente come gli altri. I miei invece hanno ricordi molto precisi perché sapevano chi fosse. A lui piaceva molto sia il posto, sia il fatto che ci fosse un clima familiare, con piatti semplici e caserecci e amava la nostra discrezione.
Ricordo che le prime volte che sentii parlare e vidi il Giudice Borsellino, lui era in compagnia di altri magistrati, con le rispettive scorte. Successivamente iniziò a venire anche da solo, a volte in compagnia di due colleghe, assolutamente in incognito, a bordo di una 500 bianca viaggiando sul sedile dietro e coperto da uno scialle a quadrettoni. Prima di scendere dalla macchina, visto che era un orario insolito per la cena, una delle signore ci chiedeva di aprire la porta e solo allora lui scendeva ed andava ad occupare il solito posto, spalle al muro e occhi rivolti verso l’entrata. Solo molto tempo dopo mi spiegarono che lo faceva per questioni di sicurezza. Ero troppo piccola per capire, sembrava un gioco..
Che tipo di pietanze amava mangiare?
A volte dei piatti tipici e diceva, in maniera scherzosa, che la Sig.ra Agnese non glieli avrebbe mai preparati in quanto molto ”pesanti ”come la pasta con il nero di seppia o frittura mista.
Ha un ricordo particolare di qualche serata al vostro locale?
Veramente più di uno. Una sera, ad esempio, arrivò mentre noi cenavamo con pasta fresca condita con il sugo di pollo ruspante e con fare amichevole ci chiese se potesse sedersi con noi al tavolo. Per tutti noi fu una gioia ma anche un imbarazzo che superammo immediatamente perché lui incominciò a mangiare il pollo con le mani come si mangia il pollo ruspante e si sentiva a suo agio come fosse a casa sua. Quella sera iniziò un rapporto più confidenziale con tutti noi tanto che con i miei incominciarono a darsi del tu e mia madre, soprattutto, lo riprendeva quando lo vedeva arrivare da solo senza scorta.
Un’altra sera, verso le 19.30,arrivò in compagnia delle solite colleghe. Ordinò e dopo circa 10 minuti arrivarono tre ragazzi in vespa, entrarono e si accomodarono proprio davanti a loro, accanto alla porta di uscita con un sacchetto di plastica in mano.
In quel momento il giudice senza mettere in ansia le colleghe fece un cenno a mia madre con lo sguardo, il senso era:“ Cerca di capire chi sono..”.La prima cosa che fece mia madre fu quella di fare uscire noi bambini dal ristorante e, sempre con gli occhi e lo sguardo, chiese a mia zia di cercare di capire. Questa, con una scusa, si avvicinò ai ragazzi e chiese loro cosa avessero nel sacchetto di così misterioso da custodire così gelosamente. E, in quel momento si accorse che nel sacchetto c’erano solo attrezzi del vespino, stavano aggiustando la vespa proprio fuori dal mostro ristorante.. e così la paura, tanta paura, finì in una grande risata collettiva.
Lei fu “interrogata” dal dr Borsellino per un evento molto particolare. Le va di raccontarlo?
Si, sono ricordi che resteranno indelebili nel mio cuore e nella mente, e che lo saranno per sempre, partendo dal giugno del 1989. Un aereo militare precipitò proprio di fronte al ristorante. In quel tratto di mare che tante volte il Giudice Borsellino ammirava dal suo tavolo. Io ero in punizione, non volevo asciugare i capelli, e guardavo gli aerei militari che facevano dei giochi in aria tipo le frecce tricolori, quando ad un certo punto uno di questi perse quota, toccò l’acqua del mare e cosa strana prese di nuovo quota ma per poi scoppiare in alto poco dopo pochi secondi. L’impatto fu tremendo tanto che mia madre accorse da me non sapendo cosa fosse successo. Io non riuscivo a rispondere ad alcuna domanda che mi faceva lei. Non mi usciva più la voce, ma segnalai con i gesti quanto era appena accaduto. Riuscivo solo a dire che era caduto un aereo. Dopo pochi minuti arrivarono tutti i soccorsi i giornalisti e operatori vari facendo delle domande a cui nessuno volle rispondere. Solo quando arrivò il Giudice Borsellino i miei genitori dissero, in forma privata, che io avevo assistito a tutto e che se lo avesse ritenuto opportuno, avrebbe potuto provare a parlare con me. Allora mi si avvicinò, aspettò che tutti fossero andati via, e con molta pacatezza, mi chiese se mi andava di raccontare allo “Zio Paolo” quella mia giornata particolare. Io a quel punto seduta sulle sue ginocchia raccontai tutto quello che avevo visto. Con il senno di poi, oggi da adulta, posso dire che il ricordo di quella nostra conversazione non solo non mi ha traumatizzata ma in quel momento fece sentire me, una bambina di soli 8 anni, la protagonista di un evento particolare dove io ero la protagonista di un racconto. Da quel momento, ”lo zio Paolo” divenne, per me, molto importante, compresi che se avessi avuto bisogno lui ci sarebbe stato. E infatti, da quel momento, ogni qual volta veniva da noi, io mi sedevo in braccio, o vicino, a lui e consumavamo la cena assieme e mi parlava della sua famiglia, mi raccontava dei suoi figli, della sua splendida moglie. Certo nel modo in cui si può raccontare a una bambina di 8 anni ma avevamo instaurato un rapporto di complicità come solo un grande Uomo può instaurare con una bimba così piccola. Amava i bambini, riusciva a diventare egli stesso bambino nel parlarci. Una grande complicità che non scorderò mai..
Poi il Dottore Borsellino andò a Palermo, tornò a trovarvi?
Si tornò. Per questioni logistiche lo vedevamo di meno ma non per questo i nostri incontri erano meno piacevoli del solito.
Per me lo zio Paolo non era l’uomo pubblico conosciuto da tutti, anche perché non sapevo il vero ruolo della sua professione, per me era un amico a cui riuscivo a raccontare le piccole cose della vita di una bambina.
L’ultima volta che lo vidi mai avrei pensato che fosse l’ultima ma che ci sarebbero stati altri 10, 100 1000 incontri.
Fu un arrivederci e non un addio. Pensavo che da li a poco sarebbe ritornato con un dono che lui pensava potesse rendermi felice, infatti mi disse:”Appena torna, lo zio Paolo ti porta una meravigliosa bambola come te”.
Dopo un pò’ di tempo, in un caldo giorno di Luglio, mentre guardavo la TV appresi della morte dello zio Paolo e subito corsi dai miei a farmi spiegare cosa fosse successo. Le spiegazioni che mi diedero non mi convinsero perché dentro di me ero convinta che non esistesse persona al mondo che potesse fargli così tanto male visto che era una persona buona e altruista. Ma nello stesso momento, adesso mi vergogno quasi a raccontarlo, mi sentii quasi tradita non potendolo più rivedere, ero quasi offesa. Non potevo accettare che lo zio Paolo non ci fosse più e allora lo aspettavo. Speravo di vederlo arrivare, speravo di vederlo entrare dalla porta con in braccio la bambola che mi aveva promesso..
Gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino
PAOLO BORSELLINO, IL CORAGGIO DELLA SOLITUDINE