Giuseppe Ferro: ”Fare scruscio, questo l’ordine di Bagarella” 22 Luglio 2018 di AMDuemila Il collaboratore di giustizia sentito al processo ‘Ndrangheta stragist “Vogliono che facciamo scruscio (rumore, ndr), questo disse Bagarella nel 1993″. E’ il collaboratore di giustizia Giuseppe Ferro, ex boss di Alcamo, a ricostruire il clima interno a Cosa nostra in quell’estate rovente dopo l’arresto di Riina. Il collaboratore di giustizia è stato sentito nei giorni scorsi al processo “‘Ndrangheta stragista” che vede imputati il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto all’epoca capo mandamento della ‘Ndrangheta reggina, entrambi sotto accusa per gli attentati ai Carabinieri (tra cui gli omicidi degli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo) inseriti nel contesto stragista proprio per imporre i progetti della cupola calabrese-siciliana e ricattare lo Stato. Così è emerso che dopo Firenze, dove a maggio c’era stata la strage dei Gerogofili, anche la città di Bologna era finita nel mirino delle organizzazioni criminali. “Mi fu chiesto se avevo la possibilità di mettere a disposizione qualcosa a Bologna. Bagarella me lo chiese perché sapeva che avevo un parente là” ha detto Ferro rispondendo alle domande del pm. “Io – ha aggiunto – con garbo e rispetto dissi che ammazzare magistrati e carabinieri va bene, ma la popolazione non c’entra nulla. Donne e bambini non c’entrano niente. Già c’era stata Firenze e poi la strage di Pizzolungo”. Bagarella però insisteva, perché, secondo il collaboratore, qualcuno lo aveva chiesto espressamente. Chi? “Queste domande non si potevano fare – ha detto ancora –. Si moriva a fare queste domande… sicuramente si trattava di qualcuno che ci interessava. Probabilmente qualcuno della politica, della massoneria”. Rispetto ai rapporti tra Cosa nostra e le altre organizzazioni criminali Ferro ha dichiarato di sapere di questi contatti ma senza mai aver saputo nello specifico qualcosa di rilievo.Alla domanda se avesse saputo qualcosa di un ritrovamento di armi nell’estate del 1993 in una villa di Alcamo di proprietà di due carabinieri ha risposto: “Certo che ho chiesto, quello era il mio mandamento, ma nessuno di noi ne sapeva nulla”. Quindi ha ricordato che c’era il sospetto che si trattasse di “roba dei carabinieri stessi o dei servizi”