Processo ndrangheta

 

  • 27.2.2020 – Graviano: «Durante la latitanza andavo a sciare e allo zoo safari» Il capomafia di Brancaccio risponde alle domande dei giudici a Reggio Calabria. «In quegli anni ho continuato a seguire i miei affari» «Durante la mia latitanza continuavo a seguire le mie attività economiche». A spiegarlo, deponendo in videoconferenza al processo sulla ‘ndrangheta stragista di Reggio Calabria, è il boss mafioso Giuseppe Graviano. Rispondendo alle domande della Presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria che gli chiede come ha finanziato la sua lunga – e costosa – latitanza, dal 1984 al 1994, il capomafia di Brancaccio spiega che avrebbe seguito i suoi affari «anche da latitante». «E poi vendevo delle proprietà di mio padre – dice – mandavo la procura a Palermo. L’ultima proprietà l’ho venduta nel 1997, dopo il mio arresto». Poi, parlando della sua latitanza, ha sottolineato di averla trascorsa «tra la Sardegna, Courmayeur a sciare, a Milano» e per breve tempo «anche a Palermo». «Dal 1984 al 1986 sono stato nel palermitano, a Bagheria, ospite in famiglia – dice ancora Graviano – poi sono stato due anni in Sardegna, nella tenuta di mio zio Carmelo Graviano, nei pressi di Cagliari».«Nel 1989 ero a Courmayeur – ricorda – poi una tappa a Palermo e il veglione del 1990 l’ho trascorso all’Hotel Quark di Milano, ricordo che c’erano le ballerine sudamericane perché era uscita da poco la canzone famosa ‘Lambada’. Il capodanno successivo l’ho festeggiato a Omegna, nel Milanese, dove ho vissuto fino al mio arresto». «L’ultima volta sono venuto a Palermo nel 1991, poi non sono più venuto». E se c’erano degli «incontri importanti andavo, ad esempio, allo zoosafari vicino Alessandria». Corriere di Calabria
  • 21.2.2020 – Mafia, il messaggio di Graviano: “L’agenda rossa di Borsellino? Aprite i cassetti della procura di Palermo – “Torna in aula il boss Giuseppe Graviano, ma adesso che la palla è passata alla parte civile il suo atteggiamento cambia radicalmente. Riottoso, reticente, aggressivo, ad Antonio Ingroia – un tempo pm del pool della procura di Palermo che ha indagato sulla Trattativa Stato-Mafia – risponde assai malvolentieri. Pochi minuti di risposte telegrafiche per confermare i rapporti con Berlusconi che già nelle precedenti udienze ha raccontato e per smentire di aver mai conosciuto Marcello Dell’Utri. Poi sbotta. E si scaglia contro Ingroia, contro la procura di Palermo che negli anni Novanta hanno indagato sull’omicidio del padre e negli anni successivi su di lui, sulle stragi.  “Quarant’anni di bugie” per Graviano, che perde la testa, urla, si scaglia contro l’ex pm e i suoi colleghi. “Se volete la verità – dice – aprite i cassetti dove il processo di mio papà ha soggiornato per 37 anni nei cassetti della procura di Palermo e lì c’è la verità. Perché non basta fermarsi agli esecutori. Dovete trovare tutti i responsabili della morte di mio padre, anche se c’è qualche vostro collega che è stato fatto eroe”. E poi “Ancora che cercate l’agenda rossa e gli autori dell’omicidio Agostino? Aprite i cassetti in Procura che sono chiusi da quasi 40 anni” urla Graviano, che nella foga mastica le parole, fin quando la presidente della Corte non lo interrompe, imponendogli di darsi un contegno