37° anniversario della strage Chinnici, dove oltre al consigliere persero la vita il Maresciallo Trapassi, L’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. Per me è un brutto ricordo, e i brutti momenti è difficile dimenticarli, specialmente se sono davvero brutti e questi lasciano delle ferite profonde, difficili da rimarginare.
E nemmeno è un ricordo che riaffiora soltanto ogni 29 luglio, rimane lì per 365 giorni l’anno, ma bisogna conviverci e farsene una ragione. Rimane per sempre.
Purtroppo il consigliere Chinnici spesso viene ricordato solo come il primo magistrato ucciso con il metodo dell’autobomba, ma era veramente un grandissimo magistrato dotato di tantissima umanità.
Su altri magistrati giustamente si dice molto, su Chinnici un po’ meno. Non è una critica, è solo una constatazione di fatto, anche perché amo dire sempre quello che penso, forse per questo non godo di molta simpatia, ma io sono così.
Eppure fu il primo in assoluto a credere nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia, recandosi nelle scuole per parlare agli studenti della mafia e del pericolo della droga.
Eppure fu il Consigliere a riaprire e dare una svolta decisiva alle indagini sull’assassinio di Peppino Impastato, non credendo ad alcuni investigatori che volevano che si istruisse il processo per attentato terroristico posto in essere da Impastato stesso.
Eppure è stato lui a volere nella sua “squadra” alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello.
Anche il maxi processo, è il risultato del lavoro iniziato dal dr. Chinnici.
Del suo lavoro ne andava orgoglioso, infatti in un’intervista disse:
“Un mio orgoglio particolare è una dichiarazione degli americani secondo cui l’Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre magistrature d’Italia. I magistrati dell’Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero”.
Eppure anche lui è stato osteggiato, anche lui è morto in una strage, anche lui ha avuto un iter processuale molto travagliato, ben 10 processi e per giunta un fascicolo scomparso per 15 anni.
E’ vero, metteva soggezione, ma se facevi il tuo onesto dovere non avevi nulla da temere.
Come ho già detto il Consigliere era il capo e per tale motivo doveva essere severo, ma era anche un uomo buono e generoso oltre che rispettoso del lavoro degli altri.
Il mio primo giorno di servizio con il consigliere fu di pomeriggio, lo prelevai a casa per condurlo in ufficio, con noi c’era a bordo l’appuntato Bartolotta, quel giorno anziché fare il solito tragitto che facevano i miei colleghi, cambiai strada e qui il consigliere si allarmò non poco: “ma dove sta andando?” mentre me lo diceva guardava Bartolotta, magari per avere conferma che quello che stavo facendo era giusto, l’appuntato rispose che in effetti fare sempre lo stesso tragitto non è molto indicato.
Da qui nacque il nostro rapporto.
A volte ci faceva spegnere la sirena perché non voleva arrecare disturbo ai cittadini.
Ritornando agli incontri con i ragazzi, sono testimone diretto che il consigliere Chinnici parlava ai ragazzi non vestendosi di autorità, ma indossava quelli da padre che faceva le raccomandazioni e la morale ai suoi figli, infatti un giorno volle che l’accompagnassi al liceo Uberto, io credevo che ci andava per parlare con i professori di suo figlio Giovanni, per cui dopo un po’, mosso dalla curiosità, scendo dalla macchina blindata per vedere cosa stava facendo e lo trovo all’interno dell’aula magna strapiena, che parlava a tutti gli studenti con tanta passione. Forse mi ha lasciato in eredità anche questo, parlare ai ragazzi, è chiaro che non mi posso paragonare al consigliere, ma faccio del mio meglio.
Un altro ricordo che tratteggia l’umanità del consigliere è legato ad una operazione chirurgica che doveva subire mia madre, nell’estate del 1982, appunto, mia madre doveva subire un intervento, per cui mi recai nella sua stanza per chiedergli se potevo allontanarmi con due miei colleghi per donare il sangue, si alzò di scatto e si offrì anche lui, dovetti insistere non poco per convincerlo a desistere, in quanto era già sufficiente quello che dovevano donare i colleghi, che poi in definita nessuno di loro poterono donarlo, perché uno aveva un problema di salute e dell’altro non mi ricordo più il motivo.
In ordine cronologico altro ricordo legato al consigliere risale a quando si sposò la figlia dell’allora questore di Palermo, Mendolia. Di nascosto alla scorta andai a prelevarlo a casa e lo accompagnai all’Hotel Villa Igea; lo feci scendere dalla ”blindata” e cominciai a fare manovra per posteggiare. Ebbene: mi accorsi che il Consigliere non entrava in sala… Non mi spiegai quella sua iniziativa; poi lui stesso mi disse che non entrò perché aspettava che concludessi la manovra. In pratica voleva che entrassi con lui. Ma, quando il servizio di sicurezza negò il mio ingresso, andò su tutte le furie e disse al funzionario: “Se non entra anche il signor Paparcuri io me ne vado”. Ebbene, dopo un po’ la vicenda fu risolta e furono allestiti dei tavoli anche per gli altri ragazzi che facevano la scorta ad altre personalità.
A quei tempi all’Ufficio istruzione di Palermo i magistrati più a rischio avevano diritto alle automobili ”blindate” e per i giudici che non erano scortati o che non si interessavano di particolari inchieste, c’era a disposizione una Fiat 128; un giorno, per emergenza, dovetti accompagnare uno di questi giudici con la “blindata”, ma naturalmente chiesi il permesso al Consigliere Chinnici se potevo usarla, e prima che andassi via mi raccomandò che per il ritorno dovevo utilizzare la ”128”. Così feci, ma il collega del dottor Chinnici, dr. Tessitore, non prese bene quell’iniziativa; pensò che fossi stato io a decidere sul tipo di auto da utilizzare. Non fui trattato bene e durante il tragitto per giungere al tribunale, mi disse che, appena ritornati in ufficio, mi avrebbe fatto trasferire in Sardegna. Entrò nella stanza del Consigliere ma quel trasferimento in Sardegna rimase soltanto una ”minaccia”. Io non so cosa si siano detti, tanto che io rimasi a Palermo, mi ricordo che il consigliere lo accompagnò fino alla porta prendendolo sottobraccio.
Nonostante lavorassi al Palazzo di Giustizia non avevo mai visto un mafioso di presenza, se non soltanto attraverso le foto pubblicate sui giornali, ed un giorno mi si offrì l’occasione di conoscerne uno dal vivo, anche se in realtà la violenza mafiosa l’ho sperimentata dal vivo quel tragico 29 luglio del 1983.
Ebbene, una volta accompagnai il Consigliere Chinnici al carcere dell’Ucciardone perché doveva interrogare un uomo d’onore della famiglia di Corso dei Mille. Giunti davanti al carcere disse ad alta voce: “Guarda con quale mafioso devo andare a fare questo interrogatorio”. Io mi girai di scatto, perché era la prima volta che vedevo un mafioso, e rimasi di stucco. Guardai il Consigliere attraverso lo specchietto e gli domandai con gli occhi e con il pensiero: ”Ma che dice?” Lui, si accorse del mio sguardo ma non disse nulla. Bartolotta rimase impassibile. Quel mafioso era un avvocato, il quale, anni dopo, fu processato e condannato per mafia ed espulso dall’albo degli avvocati. L’avvocato Salvatore Chiaracane.
Il destino ha anche voluto che mi occupassi io della banca dati dell’Ufficio Istruzione, forse pochi sanno che il consigliere Chinnici, quando fu ucciso il giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto incontrò il Capo dello Stato Sandro Pertini e gli parlò della necessità di istituire una banca dati, e il caso ha voluto che me ne occupassi proprio io, lui non ha avuto la fortuna di vederne la nascita. E il destino è sempre strano, con il consigliere stavo morendo e grazie al dr. Borsellino dopo la strage, dopo quasi un anno di convalescenza, mi ha fatto rinascere, cioè è stato proprio lui a volermi al fianco del pool, mi ha dato una seconda possibilità, è anche da ricordare che queste due figure che hanno caratterizzato la mia vita, sono nati nello stesso mese e nello stesso giorno e sono morti tutti e due nel mese di luglio con un’autobomba e con lo stesso modello di macchina imbottita di tritolo.
Il Consigliere spesso diceva:
«La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».
Infatti giorni prima della strage, esattamente il 27 luglio il consigliere ci convocò nella sua stanza per avvisarci che nell’aria c’era un progetto di un attentato e ci disse di stare attenti, non ci disse di rafforzare la sua tutela, ma ci lasciò liberi di decidere se continuare a stare con lui. Non siamo stati dei vigliacci e in coro abbiamo detto, noi da solo non la lasciamo.
Da dove provenivano queste preoccupazioni? Dalle dichiarazioni di un certo Bou Chebel Ghassan, che qualcuno sottovalutò e puntualmente per questa negligenza nessuno ha pagato. Addirittura Ghassan il 26 luglio riferì ad un funzionario della Criminalpol che aveva saputo a sua volta da un certo Michele che la mafia stava preparando un attentato in stile libanese. Ma c’era chi doveva andare in ferie e chi si doveva grattare la pancia, per cui non fu istituita nemmeno una zona rimozione sotto casa.
Purtroppo la risposta a questi interrogativi non è mai arrivata. Neppure le numerose telefonate intercettate hanno aiutato a fare chiarezza.
Si vede che le cose dovevano andare così e se non andavano così io non sarei qui a scrivere del Consigliere Rocco Chinnici..
Giovanni Paparcuri.