La SECONDA GUERRA di MAFIA

 

La seconda guerra di mafia fu un conflitto interno a Cosa Nostra svoltosi in Sicilia tra il 1981 ed il 1984, che vide l’affermarsi del clan dei corleonesi come fazione egemone.

Il conflitto scaturì da una forte instabilità interna all’organizzazione mafiosa, scossa dai nuovi grossissimi interessi del traffico internazionale di eroina e delle nuove ambizioni della fazione di Corleone capeggiata da Totò RiinaBernardo Provenzano e Leoluca Bagarella.

Il contesto negli anni 1970

Dopo la prima guerra di mafia degli anni ’60, gli arresti e il successivo processo di Catanzaro, i boss sopravvissuti si legarono in una Commissione interprovinciale, allo scopo di evitare nuovi conflitti trovando un equilibrio tra le varie famiglie mafiose siciliane. Secondo il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, la guerra ebbe origine nei primi anni settanta dalle ruggini tra i boss di Palermo ed il clan dei corleonesi, considerati giovani ed in ascesa. Gaetano Badalamenti (boss di Palermo) aveva organizzato un traffico di stupefacenti senza autorizzazione della commissione, che provocò il risentimento di Luciano Liggio e Salvatore Riina (boss rivali, di Corleone): i due legarono con altri boss siciliani mettendoli contro la fazione palermitana di Badalamenti (e dei suoi associati Stefano BontateGiuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone), ingraziandoseli con denaro ottenuto dalle loro attività illecite[1][2].

La situazione precipitò e nel gennaio 1978 Badalamenti, Di Cristina e Calderone incontrarono il boss Salvatore “Cicchiteddu” Greco, giunto dal Venezuela dove risiedeva, per discutere sull’eliminazione di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno, il quale era sospettato di aver ordinato un fallito agguato ai danni di Di Cristina su istigazione di Salvatore Riina, a cui era strettamente legato; Greco però consigliò di rimandare ogni decisione a data successiva ma, ripartito per Caracas, vi morì prematuramente per cause naturali. In seguito alla morte di Greco, Madonia venne ucciso il 16 marzo da Di Cristina e da Salvatore Pillera, inviato da Calderone. Riina invece accusò Badalamenti di aver ordinato l’omicidio di Madonia senza autorizzazione (della commissione) e lo mise in minoranza, facendolo espellere dalla sua Famiglia e facendolo sostituire come capo della “Commissione” da Michele Greco, un suo associato[3]; Badalamenti fuggì in Brasile per timore di essere eliminato. Per queste ragioni Di Cristina tentò di mettersi in contatto con i Carabinieri, accusando Riina e il suo luogotenente Bernardo Provenzano di essere i capi dei Corleonesi e di essere responsabili di numerosi omicidi; alcuni giorni dopo le sue confessioni, Di Cristina venne ucciso a Palermo e la stessa sorte toccò a Calderone qualche tempo dopo[4]. Intanto Riina e Bontate fecero nominare nuovi capimandamento tra i loro associati attraverso Michele Greco ma ad ottenere la maggioranza furono i Corleonesi, che riuscirono a fare approvare dalla “Commissione” numerosi “omicidi eccellenti” (Michele ReinaBoris GiulianoCesare TerranovaPiersanti MattarellaEmanuele Basile), provocando la disapprovazione della fazione di Bontate, in particolare di Salvatore Inzerillo, che reagì facendo assassinare il giudice Gaetano Costa senza l’approvazione della “Commissione[5][6].

Tra gli avvenimenti prodromici più importanti si registrarono:

  • 10 gennaio 1974: omicidio del maresciallo di pubblica sicurezza Angelo Sorino, ucciso nel quartiere di San Lorenzo.[7] Tommaso Buscetta rivelò che Filippo Giacalone, capo di quella famiglia ed accusato del delitto, aveva riferito a Stefano Bontate, essendo entrambi in stato di detenzione, di essere completamente estraneo al crimine e che, una volta rimesso in libertà, avrebbe accertato chi ne era l’autore. Poi, durante la permanenza a Palermo nel 1980, Stefano Bontate gli aveva detto di aver appreso da Filippo Giacalone che esecutore materiale del delitto era stato Leoluca Bagarella su mandato dei Corleonesi; ciò, secondo il Bontate, era un altro dei gravissimi affronti fatti dai corleonesi e l’uccisione del Sorino, compiuta nel territorio del Giacalone, aveva lo scopo di mettere in difficoltà quest’ ultimo con l’Autorità Giudiziaria in modo da renderne possibile la sostituzione. Trattasi della solita, collaudata tattica dei corleonesi per consentire di eliminare un personaggio che essendo troppo vicino a Stefano Bontate e controllando una parte strategica della Piana dei Colli, impediva il pieno dominio della zona ai corleonesi ed ai loro alleati. Ed è un fatto che, nel 1981, Filippo Giacalone è scomparso anche se i suoi familiari sostengono inattendibilmente di sentirlo telefonicamente, ogni tanto.
  • 5 aprile 1976: omicidio di Salvatore Buscemi e tentato omicidio di Giuseppe Buscemi.
  • 20 agosto 1977: Duplice omicidio di Giuseppe Russo (Cosenza, 6 gennaio 1928 – Ficuzza, 20 agosto 1977) ufficiale dei carabinieri, insignito di medaglia d’oro al valor civile alla memoria e Filippo Costa, insegnante. L’omicidio avvenne a Ficuzza, frazione di Corleone, dove il colonnello stava trascorrendo le vacanze, e stava passeggiando con l’insegnante Filippo Costa, pure lui ucciso insieme a Russo per non lasciare testimoni dell’omicidio. L’omicidio di Russo provocava un’ulteriore gravissimo attrito fra Bontade e Badalamenti da un lato e i corleonesi dall’altro. L’omicidio, del quale anche Di Cristina ha indicato quali ispiratori i corleonesi, veniva eseguito da un “commando” del quale faceva parte anche Pino Greco “scarpuzzeda”; nel commentare il fatto, Stefano Bontade faceva notare, in seguito, al Buscetta la falsità del comportamento di Michele Greco, il quale gli aveva detto di non sapere nulla circa mandanti ed esecutori dell’omicidio, mentre il suo uomo d’onore più “valoroso” (e cioè il suo killer più spietato) era stato uno degli autori del vile assassinio. “Anche da tale episodio, dunque, emerge come i corleonesi e i loro alleati, perseguendo un piano diabolico, compivano al momento giusto delle azioni che – a parte la loro barbara ferocia – sono senz’ altro dimostrazioni di una lucida strategia criminale. Nel caso di specie, con l’omicidio del colonnello Russo, essi ottenevano ad un tempo, l’eliminazione di un abile investigatore e di un implacabile nemico della mafia, il disorientamento nelle forze di polizia ed il progressivo isolamento e perdita di prestigio di personaggi come Bontade e Badalamenti, i soli che potevano opporsi ai piani dei corleonesi stessi di egemonizzazione di “cosa nostra”. “Si comincia a notare, inoltre, come le strutture di tale organizzazione, pur formalmente intatte, si avviavano ad essere utilizzate per coprire un audacissimo piano, del tutto riuscito, diretto a trasformare “cosa nostra” in una pericolosissima organizzazione criminale, maggiormente in sintonia con i tempi e con le mutate esigenze dei traffici illeciti. In questo quadro, Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti erano un ostacolo da rimuovere, il primo perché legato ad una visione di “cosa nostra” ormai disarmonica rispetto alle esigente dei traffici; il secondo perché ritenuto dai corleonesi privo delle capacità intellettuali per poter gestire una realtà tanto complessa. Gli eventi successivi dimostrano in modo impressionante la fondatezza delle parole del Buscetta. Ed infatti, alla fine del 1977 – primi del 1978, avvengono sostanziali modifiche della Commissione tali da renderla ancora più docili ai voleri dei corleonesi. Per il suo assassinio erano stati inizialmente condannati come mandante Rosario Cascio e come esecutori i pastori Rosario Mulè, Salvatore Bonello e Casimiro Russo, ma nel 1997 sono stati assolti. In verità, si seppe in seguito, i mandanti del delitto furono Totò Riina e Bernardo Provenzano, mentre il commando che assassinò il colonnello Russo era formato da Leoluca Bagarella, Pino Greco, Giovanni Brusca e Vincenzo Puccio.
  • 21 novembre 1977: Tentato omicidio di Giuseppe Di Cristina (Riesi, 22 aprile 1923 – Palermo, 30 maggio 1978), boss mafioso della famiglia di Riesi, Di Cristina era anche il rappresentante mafioso della provincia di Caltanissetta. Di Cristina riuscì a salvarsi da un attentato nei suoi confronti, dove ebbero la peggio i suoi due uomini: quel giorno, intorno alle ore 7.45, in contrada Palladio, nel tratto Riesi – Sommatino della S.S. 190 delle zolfare, un’autovettura Fiat 127, simulando un incidente, speronava frontalmente un’altra auto, una BMW a bordo della quale viaggiavano Giuseppe Di Fede, alla guida del mezzo, e Carlo Napolitano, seduto a fianco del conducente. Subito dopo l’urto violento, due killers scesi dalla 127 esplodevano numerosi colpi di fucile da caccia e di rivoltella contro i predetti Di Fede e Napolitano, assassinandoli barbaramente.Eventi preliminari

Le prime frizioni tra gli schieramenti si manifestarono verso la fine degli anni ’70; i corleonesi nel 1978 espulsero dalla Commissione Gaetano Badalamenti, accusandolo di essersi arricchito con la droga in maniera scorretta nei confronti degli altri boss. Al posto di Badalamenti, nella Commissione di Cosa Nostra arrivò un altro alleato di Riina, ovvero Michele Greco, boss di Ciaculli, detto il papa. Infine, ci fu l’omicidio di Pippo Calderone, boss di Catania vicino a Stefano Bontate. Con la morte di Calderone, la città etnea passava nelle mani di Nitto Santapaola, altro alleato dei corleonesi. Tommaso Buscetta nel 1980 uscì dal carcere in cui era stato rinchiuso in America Latina e trascorse alcuni mesi a Palermo. Fu, forse, l’unico a comprendere ciò che stava per accadere. Avvertì Inzerillo e Bontate dell’imminente faida ma questi, concentrati solo ed esclusivamente al business della droga, non vollero ascoltarlo e, anzi, gli chiesero di rimanere a Palermo. Il boss non volle ascoltarli e preferì tornare all’estero, nello specifico in Brasile.

  • 16 marzo o l’8 aprile 1978: Omicidio di Francesco Madonia, 70 anni, boss di Vallelunga Pratameno, era l’erede di Giuseppe Genco Russo oltre che l’amico più fedele che Luciano Liggio avesse mai avuto. Nel gennaio 1978 il boss Giuseppe Di Cristina, insieme ai boss Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calderone, incontrò Salvatore “Cicchiteddu” Greco, giunto dal Venezuela dove risiedeva, per discutere sull’eliminazione di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta, il quale era sospettato di aver ordinato il fallito attentato ai danni di Di Cristina su istigazione di Totò Riina, a cui era strettamente legato; Greco però consigliò di rimandare ogni decisione a data successiva ma, ripartito per Caracas, vi morì prematuramente per cause naturali, il 7 marzo 1978. In seguito alla morte di Greco, Madonia venne ucciso il 16 marzo da Di Cristina e da Salvatore Pillera, inviato da Giuseppe Calderone. Riina allora accusò Badalamenti di aver ordinato l’omicidio di Madonia senza autorizzazione e lo mise in minoranza, facendolo espellere dalla “Commissione” e facendolo sostituire con Michele Greco, un suo socio. Madonia fu fatto uccidere da Badalamenti perché sospettato di aver ordinato – per volere di Riina – un (fallito) attentato ai danni di un uomo d’onore a lui vicino: Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi.
  • 30 maggio 1978: Omicidio di Giuseppe Di Cristina (Riesi, 22 aprile 1923 – Palermo, 30 maggio 1978) boss mafioso della famiglia di Riesi, Di Cristina era anche il rappresentante mafioso della provincia di Caltanissetta.
  • 8 settembre 1978: Omicidio di Giuseppe Calderone, soprannominato Pippo (Catania, 1º novembre 1925 – Catania, 8 settembre 1978) boss catanese. Riina si accordò anche con il luogotenente di Calderone, Nitto Santapaola, e decise di eliminarlo: così l’8 settembre 1978 Santapaola telefonò a Calderone (rifugiatosi nel residence La Perla Jonica di Acireale, di proprietà dei fratelli Costanzo) per dargli un appuntamento ad Aci Castello per risolvere alcuni problemi sorti all’interno della Famiglia. Ma arrivato lì fu gravemente ferito da Santapaola, e tre giorni dopo morì.
  • 11 gennaio 1979: omicidio di Filadelfio Aparo (Lentini, 15 settembre 1935 – Palermo, 11 gennaio 1979) poliziotto italiano. Lasciò la moglie Maria e tre bambini, Vincenzo di 10 anni, Francesca di 5 anni e Maurizio di un anno. In suo ricordo è stato piantato un albero nel Giardino della Memoria che ricorda le vittime della mafia a Palermo. Il giardino è stato realizzato in un appezzamento di terreno confiscato alla mafia.
  • 26 gennaio 1979: omicidio di Mario Francese (Siracusa, 6 febbraio 1925 – Palermo, 26 gennaio 1979) giornalista italiano, vittima di mafia.
  • 9 marzo 1979: omicidio di Michele Reina (1932 – 9 marzo 1979). Michele Reina era il segretario provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana. Venne ucciso la sera del 9 marzo 1979 da killer mafiosi. Fu il primo politico ucciso da Cosa Nostra.
  • 21 luglio 1979: omicidio di Giorgio Boris Giuliano (Piazza Armerina, 22 ottobre 1930 – Palermo, 21 luglio 1979) poliziotto, funzionario e investigatore della Polizia, capo della Squadra Mobile di Palermo, assassinato da Cosa Nostra.
  • 13 settembre 1979: Omicidio di Salvatore Anello. Il delitto avvenne a Riesi.
  • 25 settembre 1979: Omicidio di Cesare Terranova (Petralia Sottana, 15 agosto 1921 – Palermo, 25 settembre 1979) magistrato e politico. La sua fedele guardia del corpo, Lenin Mancuso, morì dopo alcune ore di agonia in ospedale. Francesco Di Carlo, di Altofonte, esponente di spicco del mandamento di San Giuseppe Jato, uomo di fiducia di Bernardo Brusca, indica in Luciano Liggio come colui che ha deciso l’assassinio del giudice e come esecutori materiali: Giuseppe Giacomo Gambino, Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella. È stato riaperto il procedimento contro altre sette persone, esponenti della cupola palermitana, che diedero il permesso di eliminare il giudice, perché stava per diventare giudice istruttore: Michele Greco, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Totò Riina e Bernardo Provenzano.
  • 6 gennaio 1980: omicidio di Piersanti Mattarella (Castellammare del Golfo, 24 maggio 1935 – Palermo, 6 gennaio 1980) politico.
  • 3 maggio 1980: omicidio del capitano Emanuele Basile (Taranto, 2 luglio 1949 – Monreale, 3 maggio 1980) ufficiale dei Carabinieri ucciso da Cosa Nostra, insignito di Medaglia d’oro al valor civile alla memoria.
  • 6 agosto 1980: omicidio di Gaetano Costa (Caltanissetta, 1º marzo 1916 – Palermo, 6 agosto 1980) magistrato ucciso dalla mafia.
  • 13 agosto 1980: omicidio di Vito Lipari (Castelvetrano, 1938 – Castelvetrano, 13 agosto 1980) politico italiano, ucciso dalla mafia.
  • 6 settembre 1980: omicidio di Fra’ Giacinto Castronovo, un frate francescano legato alla mafia, devotissimo a Stefano Bontate.

All’inizio del 1981 Stefano Bontate diede l’ordine di eliminare Salvatore Riina. I boss Bontate, Inzerillo, Spatola, Panno e tutta la “vecchia guardia” mafiosa si incontrarono ripetutamente per organizzare un piano per uccidere Totò Riina. Ma il capo dei corleonesi venuto a conoscenza del piano su soffiata di Michele Greco l’11 marzo fece sparire il boss di Casteldaccia Giuseppe “Piddu” Panno. Giuseppe Panno era un vecchio capo famiglia di Casteldaccia, strettamente legato a Bontate, e “uomo d’ onore” di stampo antico che, disgustato dalla piega che avevano preso gli avvenimenti e dell’imbarbarimento di Cosa Nostra, aveva rifiutato di riprendere in seno alla Commissione il posto che aveva ai tempi di “cicchitteddu”; è evidente che la sua autorevole presenza avrebbe costituito serio ostacolo al disegno dei Corleonesi e dei loro alleati di eliminare gli avversari. Bontate reagì facendo ammazzare due uomini vicini a Riina: Angelo Graziano e Stefano Giaconia. In particolare, nel mese di marzo vi fu l’omicidio di Giovanni Ambrogio, il duplice omicidio di Angelo Graziano e Stefano Giaconia e quello del rappresentante della provincia di Agrigento Giuseppe Settecasi, avvenuto nel capoluogo di provincia il 23 marzo 1981.[5]

Lo svolgimento

1981

Il cadavere di Stefano Bontate, assassinato il 23 aprile del 1981 a bordo della sua Alfa Romeo Giulietta.

L’inizio dello scontro si fa risalire al 23 aprile del 1981 con l’assassinio, ordinato da Riina, di Stefano Bontate; questi mentre stava rincasando dopo aver festeggiato il suo compleanno viene assalito mentre alla guida della sua Alfa Romeo Giulietta 2000 e ucciso da un gruppo di fuoco armato con AK-47 e fucile a pallettoni. L’11 maggio appena venne assassinato Salvatore Inzerillo, detto Totuccio.[8] Gli altri due boss della fazione palermitana, Buscetta e Badalamenti, riescono probabilmente ad evitare la morte solo perché in quei giorni si trovano all’estero. La reazione della mafia di Palermo tarda ad arrivare. Le cosche del capoluogo sono molto più ricche dei corleonesi ma non sono pronte ad affrontare la guerra. Riina, invece, organizza un vero e proprio esercito pronto ad uccidere e eventualmente anche a morire per lui. Nei mesi che seguono, vengono uccise un centinaio di persone ritenute vicine alle famiglie Bontate e Inzerillo.

Nel periodo successivo all’omicidio Inzerillo, Girolamo Teresi (vicecapo della Famiglia di Bontate) venne attirato in un’imboscata insieme a quattro suoi uomini: vennero tutti strangolati e fatti sparire. Nello stesso periodo Salvatore Contorno, un ex uomo di Bontate, sopravvisse ad un agguato a colpi di kalashnikov nelle strade di Brancaccio, tesogli da un commando di killer guidati da Giuseppe Greco detto “Scarpuzzedda”. Rosario Riccobono, un tempo legato alla fazione di Bontate, passò dalla parte dei Corleonesi e, per loro conto, attirò Emanuele D’Agostino (un ex uomo di Bontate) in un’imboscata, nella quale venne ucciso e fatto sparire nel nulla. Giuseppe Inzerillo, figlio diciassettenne del defunto Salvatore che aveva promesso di vendicare uccidendo con le sue mani lo stesso Riina, venne rapito; secondo alcune fonti Giuseppe Greco “Scarpuzzedda” prima gli tagliò il braccio con un colpo di accetta e poi lo uccise con un colpo alla nuca. Pochi giorni dopo Santo Inzerillo (fratello di Salvatore), venne catturato dai Corleonesi insieme a suo zio Calogero Di Maggio: i due vennero strangolati e i loro cadaveri fatti sparire[9]. In seguito a questi omicidi, Paul Castellano, capo della Famiglia Gambino di Brooklyn, inviò i mafiosi Rosario Naimo e John Gambino (imparentato con gli Inzerillo) a Palermo per avere delle direttive dalla “Commissione” poiché numerosi parenti superstiti di Inzerillo erano fuggiti negli Stati Uniti[10]; la “Commissione” stabilì che i parenti superstiti di Inzerillo avrebbero avuta salva la vita a condizione che non tornassero più in Sicilia ma, in cambio della loro fuga, Naimo e Gambino dovevano trovare ed uccidere Antonino e Pietro Inzerillo, rispettivamente zio e fratello del defunto Salvatore, fuggiti anch’essi negli Stati Uniti[11]: Antonino Inzerillo rimase vittima della «lupara bianca» a Brooklyn mentre il cadavere di Pietro venne ritrovato nel bagagliaio di un’auto a Mount Laurel, nel New Jersey, con una mazzetta di dollari in bocca e tra i genitali (14 gennaio 1982)[12][13].

Il 25 dicembre 1981 un commando di killer, guidato da Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, compì un agguato a Bagheria contro Giovanni Di Peri, capo della cosca di Villabate, e il suo vicecapo Antonino Pitarresi. Di Peri e Pitarresi, che si trovavano con il figlio Biagio, vennero inseguiti per le strade di Bagheria e scoppiò una sparatoria, nella quale rimase ucciso anche un semplice passante; Di Peri e Biagio Pitarresi finirono uccisi mentre Antonino viene caricato su un’auto ancora vivo e ammazzato in campagna perché le munizioni dei killer erano finite[14][15]: tali omicidi vennero eseguiti per premiare Salvatore Montalto, un uomo di Salvatore Inzerillo che era passato segretamente con i Corleonesi ed ora mirava ad assumere il comando della cosca di Villabate[16]. Nei mesi successivi alla strage di Bagheria si contarono circa dieci uccisioni di mafiosi in appena cinque giorni nella zona tra Casteldaccia ed Altavilla Milicia, che venne soprannominata «triangolo della morte» dalla stampa dell’epoca: nell’agosto 1982 vennero uccisi Pietro e Salvatore Di Peri, rispettivamente padre e fratello di Giovanni[17]; seguirono una serie di regolamenti di conti contro nemici dei Corleonesi da parte di Filippo Marchese (capo della cosca di Corso dei Mille che faceva parte della fazione dei Corleonesi), che, aiutato da Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, portava i nemici nella cosiddetta “camera della morte”, un appartamento abbandonato nella sua zona dove venivano strangolati, sciolti nell’acido e i loro resti gettati a mare[18]. Marchese fece ritrovare i cadaveri di due suoi avversari in un’automobile abbandonata nei pressi della caserma dei Carabinieri di Casteldaccia, che venne annunciata da una telefonata anonima al quotidiano L’Ora[19].

Nel gennaio 1982 i Corleonesi decisero l’eliminazione di Tommaso Buscetta (che risiedeva in Brasile), considerato pericoloso perché era stato strettamente legato a Bontate e Badalamenti[19]. Intanto si scatenano una serie di vendette trasversali contro Giovannello Greco (membro della cosca di Ciaculli) e Pietro Marchese (membro della cosca di Corso dei Mille), ritenuti “traditori” dai Corleonesi perché erano stati amici di Salvatore Inzerillo e Gaetano Badalamenti: i due infatti avevano cercato di attirare in un tranello Michele Greco ma vengono subito scoperti e tentarono una fuga in Brasile, nella speranza di trovare la protezione di Badalamenti e Buscetta; Greco e Marchese vengono però bloccati a Zurigo ed estradati in Italia: Greco, ottenuta la libertà provvisoria, si diede alla latitanza mentre Marchese viene trasferito nel carcere dell’Ucciardone e lì viene ucciso da altri detenuti il 25 febbraio 1982[20]. Nell’estate 1982 finirono uccisi anche il fratello e lo zio di Pietro Marchese e la stessa fine fecero il padre, lo zio, il suocero, il cognato di Giovannello Greco, il quale si vendicò cercando di sparare al cugino Giuseppe Greco “Scarpuzzedda” ma senza riuscire ad ucciderlo (25 dicembre 1982)[21]. Questo provocò un accanimento contro i parenti di Badalamenti e Buscetta, sospettati dai Corleonesi di sostenere Giovannello Greco: già nel settembre 1982 due figli di Buscetta vennero inghiottiti dalla «lupara bianca» e un cognato venne ucciso mentre il 29 dicembre toccò al fratello Vincenzo e al nipote Benedetto[22].

Intanto, da più lati, fioccano i morti. Il 16 giugno 1982 c’è la Strage della circonvallazione, dove i killer dei corleonesi ammazzano il boss Alfio Ferlito mentre lo trasportano al carcere di Trapani. Con lui, cadono sotto i colpi di mitragliatrice anche tre carabinieri e l’autista.

Casteldaccia, l’omicidio di Gregorio Marchese, cognato di Filippo Marchese (3 agosto 1982) innescò un meccanismo sanguinario che porterà a decine di morti nell’arco di poche settimane. Filippo Marchese si vendicherà cercando confusamente i responsabili e lasciandosi dietro una scia di sangue. Qualcuno – probabilmente lo stesso Salvatore Montalto di Villabate lo indirizza verso la banda di Antonino Parisi di Altavilla Milicia, latitante dai tempi dell’omicidio del carabiniere Orazio Costantino (27 aprile 1969). Parisi è a capo di un gruppo di briganti che operava nelle campagne tra Casteldaccia e Altavilla Milicia.

Il fratello del latitante, Giusto Parisi, viene ammazzato due giorni dopo. Giovedì 5 agosto 1982. Giusto Parisi ha 52 anni, di cui 13 passati in carcere per la partecipazione all’omicidio di Orazio Costantino. Lo stesso giorno, a Bagheria, venivano ammazzati Cosimo Manzella, consigliere comunale ex democristiano e ora socialista, e Michelangelo Amato, suo portaborse. La mattina di venerdì 6 agosto, ad Altavilla, viene ucciso Pietro Martorana, figlioccio di Don Piddu Panno, fatto sparire l’anno prima a Casteldaccia. ad Altavilla Milicia, ci sono i killer che lo seguono dentro una 127. Lui è a passeggio con il figlio piccolo, se ne accorge, riesce ad accompagnare il figlio a casa, poi esce di nuovo da casa e va al bar. Gli sparano quando esce dal bar. Al tramonto, a Casteldaccia, è il turno di Michele Carollo, fedelissimo di Panno, e Santo Grassadonia, vicino alla famiglia di Villabate.

Il 7 agosto nella mattinata, a Bagheria ci fu l’omicidio di Francesco Pinello, amico di Giusto Parisi. Intanto Filippo Marchese, consigliato da Salvatore Montalto, continua a cercare informazioni utili per capire chi ha ammazzato il cognato Gregorio Marchese e fa sequestrare l’ex operaio Fiat Cesare Peppuccio Manzella, che viene legato e interrogato in un negozio in disuso in contrada Balate, a Villabate. Manzella gli indica un altro casteldaccese, Ignazio Pedone, che ha un’officina a Ficarazzi e un fratello che fa parte della banda Parisi.

Verso mezzanotte, davanti alla stazione dei carabinieri di Casteldaccia, viene ritrovata una Fiat 127 rossa con i due cadaveri incaprettati all’interno di Cesare Peppuccio Manzella, e Ignazio Pedone. Poco prima era arrivata una chiamata, effettuata da Salvatore Rotolo, braccio destro di Filippo Marchese“Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma”. Martedì 9 agosto ci fu l’omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese che viene trovato morto nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano. Mercoledì 10 agosto gli uomini di Filippo Marchese continuarono a fare piazza pulita dei vecchi mafiosi di Villabate, per togliere ogni ostacolo all’ascesa di Salvatore Montalto.

Nel novembre 1982 Michele Greco invitò Rosario RiccobonoSalvatore ScaglioneGiuseppe Lauricella, il figlio Salvatore, Francesco Cosenza, Carlo Savoca, Vincenzo Cannella, Francesco Gambino e Salvatore Micalizzi nella sua tenuta per una grigliata all’aperto, facendogli credere di essere loro amico. Erano presenti anche Salvatore Riina e Bernardo Brusca, i quali dopo il pranzo attirarono gli altri invitati in una trappola con l’aiuto di Michele Greco e li strangolarono o li uccisero a colpi di pistola con l’aiuto di Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio; i cadaveri delle vittime furono poi spogliati e buttati in recipienti pieni di acido sempre nella tenuta di Greco[23]. Nella stessa giornata a Palermo furono uccisi numerosi associati di Riccobono e pochi giorni dopo suo fratello, Vito Riccobono, fu trovato decapitato nella sua auto[24]. Il massacro nella tenuta di Michele Greco venne attuato perché Riina non poteva tenere sotto controllo Riccobono e gli altri, e aveva bisogno di toglierli di mezzo per ricompensare altri suoi alleati palermitani, soprattutto Giuseppe Giacomo Gambino, con la spartizione del territorio già appartenuto a Riccobono e agli altri boss uccisi nella tenuta.

  • 12 aprile 1981: Omicidio di Diego Gennaro.
  • 23 aprile 1981: Omicidio di Stefano Bontate (Palermo, 23 aprile 1939 – Palermo, 23 aprile 1981), capomandamento di Santa Maria di Gesù. “Il 23 aprile 1981, la sera del suo compleanno, Stefano Bontade veniva ucciso in un proditorio agguato, dopo che Pietro Lo Iacono, recatosi a casa sua con la scusa di fargli gli auguri, aveva appreso dallo stesso Bontade che stava per recarsi nella casa di campagna e, così, aveva avvertito Lucchese Giuseppe che attendeva in macchina sotto casa e che, per mezzo di una ricetrasmittente, aveva avvisato a sua volta, gli assassini acquattati nei pressi della casa. “La ricostruzione dell’omicidio – riferita al Buscetta in Brasile da Antonino Salomone dopo che quest’ ultimo era venuto a Palermo per informarsi dell’omicidio stesso – è la chiarissima dimostrazione del tradimento subito dal Bontate ad opera del suo stesso vice (Pietro Lo Iacono) e del coinvolgimento di tutta la commissione (Lucchese Giuseppe appartiene alla famiglia di Ciaculli).
  • 11 maggio 1981: Omicidio di Salvatore Inzerillo (Palermo, 20 agosto 1944 – Palermo, 11 maggio 1981), capomandamento di Passo di Rigano.
  • 26 maggio 1981: Scomparivano contemporaneamente Giuseppe Di Franco (autista di Stefano Bontate), i fratelli Angelo e Salvatore Federico e Girolamo Teresi, vice di Bontate, vennero strangolati e fatti sparire.
  • 27 maggio 1981: Omicidio di Santo Inzerillo, fratello di Salvatore (1944 – 1981).
  • 28 maggio 1981: Duplice omicidio di Vincenzo e Salvatore Severino.
  • 9 giugno 1981: Omicidio di Francesco Di Noto, reggente della famiglia di Corso dei Mille.
  • 12 giugno 1981: Omicidio di Giuseppe Inzerillo, 17 anni, figlio di Salvatore (1944 – 1981), che aveva detto: “Ammazzerò Riina con le mie mani”.
  • 15 giugno 1981: omicidio di Ignazio Gnoffo, fedelissimo di Stefano Bontate (1939 – 1981) e nella cui famiglia aveva militato a lungo prima di essere autorizzato dalla Commissione a ricostruire la famiglia di Palermo Centro.
  • 25 giugno 1981: Tentato omicidio di Salvatore Contorno (1946).
  • 31 luglio 1981: Omicidio di Domenico Ingrassia.
  • 1º agosto 1981: Duplice omicidio di Giovanni Falluca e Maurizio Lo Verso.
  • 1º agosto 1981: Omicidio di Giacomo Sparacello.
  • 9 agosto 1981: Omicidio di Giovanni Di Fazio.
  • 18 agosto 1981: Omicidio di Antonino Badalamenti. Delitto per cui Salvatore Lo Piccolo (1942) viene condannato all’ergastolo.
  • 28 agosto 1981: Omicidio di Gioacchino Tagliavia.
  • 2 settembre 1981: Omicidio di Leonardo Caruana.
  • 6 settembre 1981: Omicidio di Orazio Fiorentino.
  • 24 settembre 1981: Omicidio di Giuseppe Finocchiaro.
  • 29 settembre 1981: Triplice omicidio di Calogero Pizzuto, capomandamento di Castronovo di Sicilia, e di altre due persone, Michele Ciminnisi e Vincenzo Romano, morte per essersi trovate nella traiettoria di fuoco dei killer. Pizzuto era fedele alleato del boss palermitano Stefano Bontate (1939 – 1981). Il delitto avvenne in un bar di San Giovanni Gemini, nell’agrigentino.
  • 1º ottobre 1981: Omicidio di Stefano Gallina. Delitto per cui Salvatore Lo Piccolo (1942) viene condannato all’ergastolo.
  • 2 ottobre 1981: Omicidio di Francesco Patricola.
  • 3 ottobre 1981: Omicidio di Pietro Mandalà.
  • 5 ottobre 1981: Omicidio di Emanuele Mazzola.
  • 9 ottobre 1981: Omicidio di Antonino Vitale.
  • 9 ottobre 1981: Omicidio di Giovanni Costanzo.
  • 9 ottobre 1981: Omicidio di Agostino Calabria.
  • 14 ottobre 1981: Omicidio di Antonino Grado.
  • 14 ottobre 1981: Omicidio di Francesco Mafara.
  • 14 ottobre 1981: Omicidio di Giovanni Mafara.
  • 6 novembre 1981: Omicidio di Sebastiano Bosio (Palermo, 18 agosto 1929 – Palermo, 6 novembre 1981) medico chirurgo italiano ucciso dalla mafia. Venne ucciso all’uscita dal suo studio, il 6 novembre 1981, da due sicari, colpito da quattro pallottole di una pistola calibro 38. Il motivo della sua uccisione, secondo anche le testimonianze di alcuni pentiti, stava nel fatto che Bosio avrebbe curato in modo superficiale o comunque sbrigativo alcuni boss della mafia accorsi da lui dopo essere stati vittime di scontri a fuoco e di aver curato criminali della cosiddetta fazione della mafia perdente uscita sconfitta dalla seconda guerra di mafia, tra cui Totuccio Contorno. Si scoprì poi in seguito, grazie anche ad indagini più accurate, che Bosio aveva avuto una diatriba, almeno telefonica, con l’allora direttore sanitario della struttura, Giuseppe Lima, fratello del più noto Salvo, ucciso poi nel 1992 dalla stessa mafia, poiché egli prometteva sotto il suo comando di svolgere loro delle operazioni privilegiate. Le prime indagini degli inquirenti furono pressoché limitate, specie per il depistaggio attuato da alcuni membri all’interno degli stessi. Da risvolti successivi, si apprese che alcuni colleghi di Bosio erano in amicizia o addirittura imparentati, seppur di largo grado, ad alcuni esponenti mafiosi di spicco. Dagli esami più approfonditi, dei proiettili, grazie alle nuove tecnologie, emerse che a sparare fu Antonino Madonia. Madonia è stato rinviato a giudizio nel 2011, ed oggi sconta la pena dell’ergastolo, per questo ed una serie di altri omicidi di stampo mafioso.
  • 8 novembre 1981: Omicidio di Antonino Rugnetta.
  • 12 novembre 1981: Omicidio di Antonino Mineo.
  • 25 dicembre 1981: Strage di Natale. Un commando di killer, guidato da Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, compì un agguato a Bagheria contro Giovanni Di Peri, capo della cosca di Villabate, e il suo vicecapo Antonino Pitarresi. Di Peri e Pitarresi, che si trovavano con il figlio Biagio, vennero inseguiti per le strade di Bagheria e scoppiò una sparatoria, nella quale rimase ucciso anche un semplice passante; Di Peri e Biagio Pitarresi finirono uccisi mentre Antonino viene caricato su un’auto ancora vivo e ammazzato in campagna perché le munizioni dei killer erano finite: tali omicidi vennero eseguiti per premiare Salvatore Montalto (1936 – 2012), un uomo di Salvatore Inzerillo che era passato segretamente con i Corleonesi ed ora mirava ad assumere il comando della cosca di Villabate. Nella sparatoria, venne colpito anche Onofrio Valvola, un pensionato che si era affacciato per vedere cosa stava succedendo, che sarebbe morto in un lago di sangue poco dopo. Verso la fine dell’anno Filippo Giacalone scomparve senza apparente motivo anche se i suoi familiari sostengono inattendibilmente di sentirlo telefonicamente, ogni tanto.

Tra la fine del 1981 e l’inizio del 1982 avvenne l’omicidio di Emanuele D’Agostino era uno dei pochi uomini della fazione avversaria a Salvatore Riina a non essersi accordato con lui e perciò un ex uomo di Stefano Bontate (che era stato assassinato da poco), Rosario Riccobono, era segretamente passato dalla parte dei Corleonesi e per loro conto attirò D’Agostino in un’imboscata e lo strangolò facendo poi sparire il suo corpo nel nulla. Mentre moriva, D’Agostino rivolse a Riccobono le sue ultime parole: “Solo tu mi potevi tradire. Questo delitto avvenne durante gli anni della guerra di mafia, ma non vi è una datazione precisa.[senza fonte]

1982

  • 7 gennaio 1982: Omicidio di Michele Graviano, il padre di Filippo e Giuseppe Graviano, i boss di Brancaccio: fu l’inizio della stagione della vendetta contro Riina e Provenzano, diventati i nuovi padroni di Cosa nostra.
  • 8 gennaio 1982: Omicidio di Michel Ienna.
  • 8 gennaio 1982: Omicidio di Francesco Paolo Teresi, cugino di Girolamo Teresi e suo socio in affari.
  • 8 gennaio 1982: Omicidio di Giovanni Di Fresco.
  • 9 gennaio 1982: Omicidio di Antonino Grado, zio del suo omonimo nipote Antonino Grado.
  • 11 gennaio 1982: Omicidio di Ignazio D’Agostino.
  • 14 gennaio 1982: Omicidio di Pietro Inzerillo, fratello di Salvatore (1944 – 1981), veniva a New York e, anche stavolta per derisione, il cadavere veniva fatto trovare in un portabagagli con dollari in bocca e nei genitali.
  • 6 febbraio 1982: Omicidio di Paolo Mazzola.
  • 8 febbraio 1982: Omicidio di Antonino Inzerillo, zio di Salvatore, il capo mandamento di Passo di Rigano che era uno dei principali ostacoli all’ascesa dei “corleonesi” di Riina e Provenzano. Antonino Inzerillo rimase vittima della “lupara bianca” a Brooklin.
  • 25 febbraio 1982: Omicidio di Pietro Marchese. “Il 9-6-1981, a Palermo veniva ucciso, come si è detto, Franco Di Noto, per lungo tempo reggente la famiglia di Corso dei Mille e ciò veniva esattamente interpretato da Giovannello Greco e da Pietro Marchese come inequivoco segnale anche nei loro confronti, per cui si davano a precipitosa fuga con le loro mogli e con Antonio Spica, un rapinatore che gravitava su Milano ed era amico dei Greco. La loro fuga veniva bloccata a Zurigo dove venivano arrestati, mentre stavano imbarcandosi su un aereo diretto in Brasile, perché trovati in possesso di banconote provenienti dai sequestri Susini ed Armellini e di documenti falsi. Estradati in Italia il Greco, cui il G.I. di Milano concedeva la libertà provvisoria, si rendeva immediatamente irreperibile, mentre il Marchese, tradotto nel carcere dell’Ucciardone perché imputato dell’omicidio di Boris Giuliano, veniva ucciso da altri detenuti il 25 gennaio del 1982.

Antefatto dello scontro fu l’omicidio del boss di Villabate Giovanni Di Peri e del suo braccio destro Biagio Pitarresi 25 dicembre 1981, avvenuto dopo un inseguimento e sparatoria per le vie della cittadina alle porte di Palermo, seguito dal sequestro e la sparizione del figlio Antonino Pitarresi. Nella sparatoria viene colpito da un proiettile vagante il pensionato Onofrio Valvola. A bordo della macchina dei killer ci sono il superkiller Pino Greco U’ Scarpuzzedda, il boss di Corso dei mille Filippo Marchese, suo nipote Pino Marchese (18 anni, si pentirà nel 1992) e altri uomini d’onore. L’uccisione di Giovanni Di Peri è una ricompensa dei corleonesi a Salvatore Montalto di Villabate, appena passato con la fazione di Totò Riina, che punta a diventare il reggente di Villabate. Montalto sarà arrestato il 7 novembre 1982, una settimana dopo verrà ammazzato il poliziotto della sezione investigativa Calogero Zucchetto, che aveva contribuito all’arresto. Il boss Filippo Marchese di Corso dei mille, all’interno della mattanza siciliana, fu uno dei personaggi più sanguinari e importanti, divenuto famoso per la sua “camera della morte” in piazza Sant’Erasmo, a Palermo, in cui torturava, strangolava e scioglieva nell’acido decine di vittime. Appena cominciarono gli scontri interni alla Cupola, Filippo Marchese passò con i corleonesi, diventando uno dei loro killer più fidati. Partecipò all’omicidio di Pio La Torre e dei boss Bontate e Inzerillo. Nel luglio 1982, Filippo Marchese suggellò l’alleanza con i corleonesi con un altro omicidio, quello del proprio cognato Pietro Marchese, ammazzato in carcere. Intanto, da più lati, fioccano i morti. Il 16 giugno 1982 c’è la Strage della circonvallazione, dove i killer dei corleonesi ammazzano il boss Alfio Ferlito mentre lo trasportano al carcere di Trapani. Con lui, cadono sotto i colpi di mitragliatice anche tre carabinieri e l’autista. In provincia, l’omicidio di Gregorio Marchese, cognato di Filippo Marchese (3 agosto 1982) innescò un meccanismo sanguinario che porterà a decine di morti nell’arco di poche settimane. Filippo Marchese si vendicherà cercando confusamente i responsabili e lasciandosi dietro una scia di sangue. Qualcuno – probabilmente lo stesso Salvatore Montalto di Villabate – lo mise sulla strada della banda Parisi, una banda di briganti che operava nelle campagne tra Casteldaccia e Altavilla Milicia, capeggiati dal latitante Antonino Parisi, responsabile della morte del carabiniere Orazio Costantino nel 1969. Il 5 agosto 1982 fu assassinato Giusto Parisi, fratello del latitante. Lo stesso giorno, a Bagheria, venivano ammazzati Cosimo Manzella, consigliere comunale ex democristiano e ora socialista, e Michelangelo Amato, suo portaborse.

  • 12 marzo 1982: Omicidio di Francesco Di Fresco.
  • 5 aprile 1982: Omicidio di Francesco Mandalà.
  • 15 aprile 1982: Omicidio di Antonio Spica, molto amico di Giovanello Greco, rapito, ucciso e bruciato in una discarica di Milano dopo essere stato scarcerato.
  • 15 aprile 1982: Omicidio di Salvatore Spitalieri.
  • 17 aprile 1982: Omicidio di Salvatore Corsino.
  • 26 aprile 1982: Strage di via Iris.
  • 30 aprile 1982: Duplice omicidio di Pio La Torre (Palermo, 24 dicembre 1927 – Palermo, 30 aprile 1982) politico e sindacalista, e Rosario Di Salvo, suo autista.
  • 30 aprile 1982: Duplice omicidio di Filippo e Carmelo Pedone. Delitto per cui Salvatore Lo Piccolo (1942) viene condannato all’ergastolo.
  • 16 o 26 maggio 1982: Omicidio di Rodolfo Buscemi e Matteo Rizzuto. Buscemi e Rizzuto vennero portati nella camera della morte dagli uomini di Marchese, che li interrogò su alcuni questioni legate al pizzo dei commercianti di Villabate. Nella stanza c’era pure il boss di Ciaculli Pino Greco Scarpuzzedda, che gestiva con Marchese il territorio di Villabate. La colpa di Buscemi era di aver chiesto il pizzo senza nessuna autorizzazione: inizialmente il muratore mentì, sostenendo di non sapere che fossero zone protette, ma poi confessò e fece il nome del complice Antonino Migliore. Sia lui che il cognato vennero strangolati subito dopo la confessione. Poiché l’acido era finito, i due corpi furono chiusi nel bagagliaio di una Fiat Ritmo rubata, caricati poi su una barca ed infine gettati in fondo al mare, in un punto profondo oltre settanta metri (il cimitero marino della “famiglia” di Corso dei Mille e forse non l’unico della baia di Palermo), legati a due comune (vecchie vaschette di pietra recuperate in una discarica pubblica).
  • 22 maggio 1982: Omicidio di Giuseppe Mineo.
  • 2 giugno 1982: Omicidio di Antonino Migliore, 26enne, che risiedeva vicino a piazza Scaffa, venne sequestrato mentre stava aspettando nella sua Fiat l’apertura del passaggio a livello del Brancaccio: condotto in una villetta protetta da un giardino, non lontano da via Giafar, a cinque minuti dal passaggio a livello, viene interrogato e fa la stessa fine del suo compare: strangolato e gettato in mare.
  • 6 giugno 1982: Omicidio di Carmelo Lo Iacono. L’uomo venne sequestrato dagli uomini di Marchese in piazza Torrelunga, infilato in una Mini Minor, con cui si allontanarono a grande velocità, scontrandosi però con un’altra Mini Minor parcheggiata. Il proprietario dell’automobile che vide tutto, un ex-carabiniere in pensione, Antonio Peri, si mise a inseguirli. Giunta all’altezza di largo Grandi, la Mini Minor dei killer si fermò, ne scese uno dei killer, che freddò Peri con 3 colpi di pistola. Anche Lo Jacomo venne ucciso, il corpo portato nella camera della morte e qui sciolto nell’acido. Il cadavere dell’ex carabiniere venne invece lasciato sul posto.
  • 6 giugno 1982: Omicidio d Antonino Peri.
  • 16 giugno 1982: Strage della circonvallazione. L’attentato era diretto contro il boss catanese Alfio Ferlito, che veniva trasferito da Enna al carcere di Trapani e che morì nell’agguato insieme ai tre carabinieri della scorta (Salvatore Raiti, Silvano Franzolin e Luigi Di Barca) e al ventisettenne Giuseppe Di Lavore, autista della ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti, il quale aveva sostituito il padre. Di Lavore ebbe la medaglia d’oro al valor civile. Il mandante di questa strage era Nitto Santapaola, che da anni combatteva contro Ferlito una guerra per il predominio sul territorio etneo.
  • 29 giugno 1982: Omicidio di Antonino Burraffato (Nicosia, 13 giugno 1933 – Termini Imerese, 29 giugno 1982) poliziotto italiano, vicebrigadiere in servizio presso la Casa Circondariale dei Cavallacci di Termini Imerese. Fu assassinato da mano mafiosa il 29 giugno 1982. Fino al 1996 le indagini non portarono a niente, fino a quando il pentito Salvatore Cucuzza confessò di aver partecipato, fra gli altri delitti, all’assassinio del vicebrigadiere, per ordine di Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina. Il gruppo di fuoco, uno dei più feroci dell’epoca, era composto da Pino Greco detto “Scarpuzzedda”, Giuseppe Lucchese, Antonio Marchese e dallo stesso Cucuzza. Salvatore Cucuzza è stato condannato a 13 anni con sentenza definitiva, la sua posizione è stata stralciata dal processo. Leoluca Bagarella e Antonio Marchese sono stati condannati all’ergastolo con sentenza definitiva. Il figlio Salvatore e il giornalista Vincenzo Bonadonna hanno scritto un libro dal titolo “Burrafato, un delitto dimenticato” Edizioni La Zisa.
  • 9 luglio 1982: Omicidio di Francesco Grillo, membro del clan Santapaola, sarebbe stato torturato e poi ucciso a Catania. Salvatore Pillera, fu accusato di essere il mandante dell’omicidio.
  • 13 luglio 1982: Sequestrò del commerciante Antonio Militello, parente di Totuccio Contorno: Sinagra raccontò che ad attenderlo c’erano gli uomini più spietati del clan di corso dei Mille, con lo stesso Filippo Marchese. Prima di essere ucciso, Militello fu torturato, seviziato e alla fine il suo cadavere sotterrato per sempre in uno dei tanti cimiteri di mafia esistenti a Palermo.
  • 21 luglio 1982: Omicidio di Salvatore Greco.
  • 24 luglio 1982: Omicidio di Giacomo Cinà.
  • 27 luglio 1982: Omicidio di Pietro Ragona.
  • 3 agosto 1982: Omicidio di Gregorio Marchese, trentottenne e fratello della moglie di Filippo Marchese, la sera del 3 agosto 1982, venne ammazzato con una fucilata in faccia durante un banchetto con 11 invitati, nella villa al mare di suo cognato Filippo Marchese, a Casteldaccia: ignaro dell’identità dei killer del cognato, Marchese cominciò a colpire quasi a caso, lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue nei giorni successivi. A guidare la mano di Marchese è Salvatore Montalto di Villabate, un mafioso che era da poco passato con i Corleonesi e aspirante reggente della cosca del paese alle porte di Palermo, arrestato poi il 7 novembre 1982.
  • 5 agosto 1982: I killer di Marchese ammazzarono, ad Altavilla, il fratello del latitante, Giusto Parisi, 39 anni. Poi fu la volta di Cosimo Manzella, 47 anni, consigliere comunale di Casteldaccia, ex-democristiano da poco passato al Psi, e del suo portaborse Michelangelo Amato, 26 anni. I due furono colpiti dai proiettili dei killer in piena mattinata, davanti al municipio di Bagheria.
  • 6 agosto 1982: omicidio di Pietro Martorana ad Altavilla Milicia. Martorana era figlioccio di Don Piddu Panno, fatto sparire l’anno prima a Casteldaccia.
  • 7 agosto 1982: Duplice omicidio di Santo Grassadonia, vicino alla famiglia di Villabate e Michele Carollo, fedelissimo di Panno Giuseppe.
  • 7 agosto 1982: Duplice omicidio di Cesare Peppuccio Manzella e Ignazio Pedone, quest’ultimo meccanico. I due erano stati sequestrati e interrogati da Filippo Marchese, che poi li aveva strangolati e trasformati nei protagonisti del macabro e plateale gesto. Il ritrovamento avvenne grazie a una telefonata alla stazione dei carabinieri: “Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma”. Poco prima la mezzanotte, vi fu il macabro ritrovamento a pochi metri dalla stazione di carabinieri, in una Fiat 127 rossa, dei due cadaveri incaprettati.
  • 7 agosto 1982: Omicidio di Francesco Pinello, amico di Giusto Parisi.
  • 9 agosto 1982: Omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese che viene trovato morto nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano.
  • 9 agosto 1982: Gli uomini di Filippo Marchese uccisero quasi in contemporanea – alle 8.20 e alle 8.25 – dei parenti del boss Giovanni Di Peri, ucciso nella strage di Natale di Bagheria. Salvatore Di Peri venne ammazzato a Palermo, in via dei Tornieri, presso il mercato della Vucciria, mentre Pietro Di Peri venne ammazzato a Villabate, in via Alcide De Gasperi. Arrivò una telefonata al quotidiano L’Ora: “Pronto, siamo l’equipe dei killer del triangolo della morte: con i fatti di stamattina l’operazione che chiamiamo “Carlo Alberto”, in onore del prefetto, è quasi conclusa. Dico quasi conclusa”. Dalla Chiesa venne ammazzato una ventina di giorni dopo, il 3 settembre. Il giorno dopo, alla redazione palermitana de La Sicilia, arrivò la chiamata: “L’operazione Carlo Alberto si è conclusa”.
  • 9 agosto 1982: Omicidio di Leonardo Rizzo, pregiudicato bagherese che viene trovato morto nel suo appezzamento di terreno a Capo Zafferano.
  • 11 agosto 1982: Duplice omicidio di Paolo Giaccone e Diego Di Fatta, il primo era un medico legale che si era rifiutato di falsificare la perizia sulla strage di Natale del 1981, mentre il secondo uno scippatore. Intorno alle dieci, i killer Salvatore Rotolo, Angelo Baiamonte, i fratelli Vincenzo e Antonino Sinagra e loro cugino Vincenzo Sinagra (detto U’ Ndli) si incontrarono in via Messina Marine e si recarono in via 4 aprile, tra via Alloro e piazza Marina, per ammazzare Diego Di Fatta, colpevole di uno scippo ad un’anziana signora protetta dalla mafia di Corso dei Mille. Del gruppo di fuoco, riuscì a scampare all’arresto della Polizia, che aveva assistito all’omicidio in diretta, solo Rotolo: l’auto infatti si era infilata in un vicolo cieco. Anni dopo Vincenzo Sinagra U’ Ndli sarebbe diventato un importante collaboratore di giustizia, svelando numerosi particolari di questo periodo..
  • 24 agosto 1982: Omicidio di Giulio Sciardelli.
  • 30 agosto 1982: Omicidio di Vincenzo Spinelli, 46 anni, imprenditore, ucciso dopo aver riconosciuto il rapinatore a cena, due anni dopo aver subito una rapina a scopo intimidatorio (per convincerlo a piegarsi alle continue richieste di pizzo alle quali si era sempre sottratto) avvenuta nel 1979. Mentre sta cenando in un ristorante riconosce il rapinatore. È seduto ad un altro tavolo dello stesso locale. A quel punto Spinelli segnala l’episodio a un funzionario di polizia e il rapinatore viene arrestato seduta stante. Non si tratta però di un uomo qualunque. Girolamo Frusteri è infatti, uno dei nipoti di Pino Savoca, uomo d’onore di Brancaccio, parente di Masino Spadaro, boss della Kalsa, e compare di Salvatore Riina. Curriculum pesante. Viene fuori l’ordine di punire Spinelli. L’agguato mortale si consuma in una notte di fine estate a Pallavicino, in una traversa di via Castelforte.
  • 3 settembre 1982: Strage di via Carini, in cui morirono il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa (1920 – 1982), la moglie Emanuela Setti Carraro (1950 – 1982) e l’agente di scorta Domenico Russo (1950 – 1982).
  • 11 settembre 1982: Duplice omicidio di Benedetto e Antonio Buscetta. I due figli di Tommaso, venivano fatti sparire per rappresaglia a Palermo.
  • 30 settembre 1982: Omicidio di Vincenzo Sanfilippo.
  • 4 ottobre 1982: Omicidio di Filippo Mineo.
  • 11 ottobre 1982: Omicidio di Armando Di Natale (Siracusa, 1941 – Novi Ligure, 11 ottobre 1982). Dopo la strage di via Carini, dove rimasero uccisi Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, divenne un pentito che collaborava nonostante pendesse sulla sua testa anche un mandato di cattura. Aveva precedenti per omicidi e traffico di droga e la sua situazione di “pentito” braccato dalla legge lo metteva in una posizione scomoda[2]. Prima di essere ucciso per non aver diviso il ricavato di metà di una partita di hashish di 600 chili che era andato a prendere in nave in Marocco e venne sequestrato per indurlo a confessare, ma venne liberato senza aver rivelato il posto dove aveva nascosto la somma ma terrorizzato si rifugiò nella questura di Palermo. Venne colpito con due colpi di pistola 7,65 mm la sera di domenica 10 ottobre nei pressi del casello di Vignole Borbera sull’autostrada A7 mentre andava con la moglie e la figlia in direzione Genova ed era in fuga verso la Costa Azzurra o la Corsica dopo che era stato interrogato a Palermo martedì; venne inizialmente soccorso da un automobilista e intervennero la Polizia stradale di Genova Sampierdarena e l’ambulanza che lo trasportò in fin di vita all’Ospedale San Giacomo di Novi Ligure, dove arrivò alle 23:15, mori alle 00:30 senza aver mai ripreso conoscenza. La moglie e la figlia vennero sequestrate e forse uccise. Grazie a Di Natale erano stati possibili gli ordini di cattura per Nunzio Salafia, Salvatore Genovese e Antonio Ragona, emessi dal giudice istruttore Giovanni Falcone, che aveva emesso anche emesso un ordine di cattura nei suoi confronti. Rimangono ancora ignoti gli autori del delitto di Di Natale e della scomparsa (e probabile omicidio) di moglie e figlia.
  • 19 ottobre 1982: Omicidio di Gaetano Scalici.
  • 14 novembre 1982: Omicidio di Calogero Zucchetto (Sutera, 3 febbraio 1955 – Palermo, 14 novembre 1982) poliziotto. Con il commissario Cassarà andava in giro in motorino per i vicoli di Palermo e in particolare per quelli della borgata periferica di Ciaculli, che conosceva bene, a caccia di ricercati. In uno di questi giri con Cassarà incontrò due killer al servizio dei corleonesi, Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, che aveva frequentato quando non erano mafiosi. Questi lo riconobbero e non si fecero catturare. All’inizio di novembre del 1982, dopo una settimana di appostamenti, tra gli agrumeti di Ciaculli riconobbe il latitante Salvatore Montalto, boss di Villabate, ma essendo solo e non avendo mezzi per arrestarlo rinunciò alla cattura, avvenuta poi il 7 novembre con un blitz di Cassarà. La sera di domenica 14 novembre 1982, all’uscita dal bar “Collica” in via Notarbartolo, una via del centro di Palermo, fu ucciso con cinque colpi di pistola alla testa sparati da due killer in sella a una moto. Successivamente gli autori del delitto vennero individuati in Mario Prestifilippo e Pino Greco, gli stessi che aveva incrociato in motorino. Come mandanti furono in seguito condannati i componenti della “cupola mafiosa”, cioè gli appartenenti all’organo più importante di “Cosa Nostra”, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci e altri.
  • 19 novembre 1982: Omicidio di Salvatore Badalamenti, figlio di Antonino, un ragazzo di appena diciassette anni.
  • 20 novembre 1982: Triplice omicidio di Antonio Salvatore Minore (16 novembre 1927 – 20 novembre 1982), Nicolò Miceli (Buseto, 26 agosto 1928 – 20 novembre 1982) e Martino Buccellato (18 marzo 1958 – 20 novembre 1982). Furono tutti e tre strangolati a Palermo.
  • 30 novembre 1982: Strage del 30 novembre 1982, quando all’interno di Cosa Nostra avviene qualcosa di assimilabile alla “notte dei lunghi coltelli” della storia nazista. L’alleato tradito è Rosario Riccobono, boss di Partanna Mondello che – allo scoppiare dello scontro – è passato con i corleonesi dopo essere stato fedelissimo di Bontate. Michele Greco invitò Rosario Riccobono, Salvatore Scaglione (1940 – 1982), Giuseppe Lauricella, il figlio Salvatore, Francesco Cosenza, Carlo Savoca, Vincenzo Cannella, Francesco Gambino e Salvatore Micalizzi nella sua tenuta per una grigliata all’aperto, facendogli credere di essere loro amico. Erano presenti anche Salvatore Riina e Bernardo Brusca, i quali dopo il pranzo attirarono gli altri invitati in una trappola con l’aiuto di Michele Greco e li strangolarono o li uccisero a colpi di pistola con l’aiuto di Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio; i cadaveri delle vittime furono poi spogliati e buttati in recipienti pieni di acido sempre nella tenuta di Greco. Nella stessa giornata a Palermo furono uccisi numerosi associati di Riccobono e pochi giorni dopo suo fratello, Vito Riccobono, fu trovato decapitato nella sua auto. Il massacro nella tenuta di Michele Greco venne attuato perché Riina non poteva tenere sotto controllo Riccobono e gli altri, e aveva bisogno di toglierli di mezzo per ricompensare altri suoi alleati palermitani, soprattutto Giuseppe Giacomo Gambino, con la spartizione del territorio già appartenuto a Riccobono e agli altri boss uccisi nella tenuta. Secondo vari collaboratori di giustizia tra cui Francesco Paolo Anzelmo, i Corleonesi di Salvatore Riina riuscirono a fare infiltrare all’interno della famiglia della Noce diversi uomini d’onore che in realtà erano fedeli solamente alla fazione di Riina. Per tanto Scaglione venne progressivamente emarginato, e addirittura la Commissione declassò il mandamento della Noce a rango di <<famiglia>> aggregata a quella di Porta Nuova, usando come scusa il rifiuto di Scaglione di punire una sua figlia che sedicenne era rimasta incinta. Dopo l’omicidio di Bontate, Inzerillo e altri del loro gruppo, alcuni membri della famiglia della Noce furono vittima di lupara bianca e Scaglione professò lealtà alla fazione “vincente” dei Corleonesi. la seconda guerra di mafia” che ha insanguinato le vie di Palermo fra l’aprile del 1981 continuò fino ai primi mesi del 1983.
  • 30 novembre 1982: Duplice omicidio di Giovanni Saviano (Palermo, 29 ottobre 1960 – 30 novembre 1982) e Michele Micalizzi (Palermo, 11 ottobre 1949 – 30 novembre 1982). Furono uccisi al bar Two.
  • 25 dicembre 1982: Tentato omicidio di Giuseppe Greco “Scarpuzzedda” (1952 – 1985). Già dalle dichiarazioni di Stefano Calzetta risulta che il 25-12-1982, vi era stata una “rufiata” ai Ciaculli e, cioè, che Giovanneto Greco e Giuseppe Romano inteso “l’americano” avevano sparato a Pino Greco “scarpazzedda” senza riuscire ad ucciderlo. La reazione era immediata e di una ferocia inaudita.
  • 26 dicembre 1982: venivano uccisi: i fratelli Gaspare e Michele Ficaro (Fratello e padre della convivente Giovannello Greco) e, con la stessa arma Giuseppe Genova, Antonio D’Amico e Orazio D’Amico (rispettivamente genero e nipoti di Tommaso Buscetta).
  • 27 dicembre 1982: Omicidio di Paolo Amodeo.
  • 28 dicembre 1982: Omicidio di Antonio Ammannato (Palermo, 19 settembre 1909 – 28 dicembre 1982).
  • 29 dicembre 1982: Duplice omicidio di Vincenzo e Benedetto Buscetta (rispettivamente, fratello e nipote di Tommaso Buscetta).
  • gennaio 1983: Omicidio di Filippo Marchese (1938 – 1983), figura di spicco nella mafia siciliana, killer sospettato di decine di omicidi e boss della famiglia mafiosa del quartiere Corso Dei Mille di Palermo. La sua natura violenta avrebbe potuto rappresentare una minaccia per i boss corleonesi Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Pertanto, nel gennaio del 1983 su ordine di Riina, Pino Greco venne incaricato di uccidere lo stesso Marchese e di scioglierlo nell’acido, così come lui stesso aveva fatto con molte delle sue vittime.

1983

  • 24 gennaio 1983: Omicidio di Nunzio La Mattina. Il La Mattina, membro di spicco della famiglia di Porta Nuova, era stato prima uno dei vertici del contrabbando di tabacchi, e poi, uno degli elementi di maggior spicco nel traffico di stupefacenti. Anzi, secondo il Buscetta, era stato proprio il La Mattina ad iniziare il traffico della morfina base con il medio-oriente e la creazione in Sicilia di laboratori per la produzione di eroina. La sua uccisione e quella del cognato, di cui finora non sono stati accertati i motivi specifici, è comunque da ascrivere a decisione della commissione, molto probabilmente per questioni ricollecabili al traffico di stupefacenti. Al riguardo, è agevole rilevare che se non vi fosse stata unanimità di consensi nell’uccisione dei due, la reazione della famiglia di Porta Nuova, diretta da Pippo Calò (alleato dei corleonesi), sarebbe stata violentissima. E tale conclusione è avvalorata dal fatto che – come ha riferito Stefano Calzetta – nell’omicidio del cognato di La Mattina, Francesco Lo Nigro, sono coinvolti Paolo Alfano e Pietro Senapa, membri della famiglia di corso dei Mille, alleata di quella di Pippo Calò.
  • 25 gennaio 1983: Omicidio di Giangiacomo Ciaccio Montalto (Milano, 20 ottobre 1941 – Valderice, 25 gennaio 1983) magistrato italiano, vittima di Cosa nostra.
  • 5 febbraio 1983: Omicidio di Giovanni Benfante.
  • 8 febbraio 1983: Duplice omicidio di Giuseppe Romano e Giuseppe Tramontana.
  • 15 febbraio 1983: Omicidio di Francesco Lo Nigro, cognato di Nunzio La Mattina.
  • 22 febbraio 1983: Omicidio di Giuseppe Marchese, fratello di Pietro.
  • 16 marzo 1983: Omicidio di Calogero Bellini.
  • 16 marzo 1983: Omicidio di Giovanni Amodeo.
  • 17 marzo 1983: Omicidio di Vincenzo Pesco.
  • 12 aprile 1983: Duplice omicidio di Antonino e Carlo Sorci. Gli omicidi di Antonino e Carlo traggono la motivazione in fatti risalenti a tempi ormai lontani e dimostrando il grado di corrività e l’inesauribile sete di vendetta dei corleonesi, in una con lo stato di soggezione e di supina acquiescenza di tutta la commissione ai voleri di questi ultimi. Nino Sorci era stato socio di una società finanziaria (Isep, poi denominata Cofisi) insieme con Angelo Di Carlo, inteso il “capitano”, originario di Corleone; Luciano Leggio, sostenendo che il Di Carlo era uno sbirro, pretendeva dal medesimo il pagamento della “tangente”, fin quando il Di Carlo, stanco delle angherie del Leggio, ne informava il socio Nino Sorci, il quale otteneva l’intervento del capo della commissione di allora, Greco Salvatore detto “cicchitteddu”; questo ultimo ingiungeva al Leggio né molestare il Di Carlo e, sia pure a malincuore, doveva obbedire. Questo è l’unico motivo, secondo il Buscetta, che poteva indurre i corleonesi ad eliminare i Sorci, che si erano mantenuti rigorosamente neutrali nello scontro in questione. Comunque, è certo che l’uccisione dei suddetti Sorci – uno dei quali era rappresentante della famiglia di Villagrazia e l’altro capo mandamento – non poteva che essere decisa da tutta la commissione.
  • 28 maggio 1983: Omicidio di Angelo Capizzi. Il delitto avvenne a Riesi.
  • 2 giugno 1983: Omicidio di Silvio Badalamenti, nipote di Gaetano (1923 – 2004). L’agguato a Silvio Badalamenti scattò il 2 giugno del 1983 in pieno centro a Marsala, in via Mazzini. La vittima, che era appena uscita di casa per andare al lavoro, aveva 38 anni. L’assassino utilizzò una pistola. Undici mesi prima di essere ammazzato, Silvio Badalamenti era stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta su un traffico internazionale di stupefacenti seguita da Giovanni Falcone. Successivamente era stato scarcerato per mancanza di indizi. Falcone gli aveva anche detto: «Si allontani dalla Sicilia». Ma Silvio Badalamenti, lontano dalle vicende di Cosa nostra, si sentiva tranquillo. «Fino a due giorni prima – racconta la moglie Gabriella – aveva accompagnato le figlie a scuola come ogni mattina». Gabriella Badalamenti ha pubblicato per Sellerio un libro (“Come l’oleandro”) in cui rievoca in un passaggio anche la storia del marito.
  • 5 giugno 1983: Omicidio di Francesco Sorci.
  • 13 giugno 1983: Triplice omicidio di Mario D’Aleo (Roma, 16 febbraio 1954 – Palermo, 13 giugno 1983) ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, insieme ai suoi colleghi Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. Assassinato da cosa nostra, è stato insignito della Medaglia d’oro al valor civile alla memoria.
  • 12 novembre 1983: Omicidio di Salvatore Zarcone.
  • 21 novembre 1983: Omicidio di Natale Badalamenti, un fedelissimo di Gaetano Badalamenti. Venne ucciso nell’ospedale di Carini dove era ricoverato.
  • 27 dicembre 1983: Omicidio di Paolo Amodeo.

1984

  • 5 gennaio 1984: Omicidio di Giuseppe Fava detto Pippo (Palazzolo Acreide, 15 settembre 1925 – Catania, 5 gennaio 1984) è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, saggista e sceneggiatore italiano, ucciso da cosa nostra. Nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato “Orsa Maggiore 3” dove per l’omicidio di Giuseppe Fava sono stati condannati all’ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola. Nel 2001 le condanne all’ergastolo sono state confermate dalla Corte d’appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell’omicidio, mentre sono stati assolti Marcello D’Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come esecutori dell’omicidio. L’ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all’ergastolo e Avola a sette anni patteggiati.
  • febbraio 1984: Omicidio di Agostino Badalamenti, figlio di Natale.
  • 18 ottobre 1984: Strage di Piazza Scaffa, a Palermo. Otto persone sono rinchiuse in una stalla – cortile macello, dentro Piazza Scaffa – messe al muro e fucilate da una decina di killer. L’obiettivo sono i fratelli Cosimo e Francesco Quattrocchi, commercianti di carne equina, proprietari di alcune macellerie in città. Con loro muoiono il cugino Cosimo Quattrocchi, il cognato Marcello Angelini, il socio Salvatore Schimmenti e poi Paolo Canale, Giovanni Catalanotti e Antonino Federico che stavano semplicemente dando una mano a sistemare alcuni arrivati appena arrivati dalla Puglia. La strage è un duplice segnale di Totò Riina. Ai magistrati del pool antimafia, e all’affronto del blitz di San Michele, ma anche – rivelano i pentiti – per dare un segnale interno all’organizzazione mafiosa e ad alcuni personaggi che stanno prendendo troppo piede, come ad esempio Pino Greco Scarpuzzedda, che infatti verrà fatto ammazzare un anno dopo.
  • 1984: Omicidio di Vincenzo Anselmo, il padre di Isabella Anselmo (sorella del killer Francesco Paolo e moglie di Calogero Ganci, entrambi killer della fazione corleonese), era un mafioso di Danisinni. Fu vittima della lupara bianca. Venne ucciso dal genero Calogero Ganci (1960).
  • 14 novembre 1984: Omicidio di Mario Coniglio, 55 anni, di professione macellaio. Era fratello di Salvatore, uno dei mafiosi che da mesi collabora con la giustizia e che ha avuto un ruolo determinante nel processo contro gli assassini di Pietro Marchese. Coniglio è stato ucciso con tre colpi alla testa davanti a decine di persone in via Eugenio l’Emiro, nel rione Quattro Camere alla Zisa. È stata un’azione fulminea: i killer sono arrivati a bordo di un vespone, erano in due e hanno sparato cinque colpi di pistola calibro 7,65 mirando alla testa. Mario Coniglio è caduto proprio davanti alla sua bancarella, privo di vita. La sentenza ha riconosciuto la colpevolezza del padre di Raffaele Ganci, boss del quartiere della Noce, e di Domenico Guglielmini, entrambi condannati a 30 anni di reclusione; confermata anche la condanna a 10 anni per il pentito Antonio Galliano, che aveva sempre negato il proprio coinvolgimento. Testimone uno dei figli che si trovava accanto a lui mentre veniva ucciso.

Gli ultimi omicidi avvennero rispettivamente il 2 dicembre 1984 con l’uccisione di Leonardo Vitale ed il 7 dicembre 1984 con l’eliminazione di Pietro Busetta (marito di Serafina Buscetta), 62 anni, inerme ed onesto cittadino reo soltanto di avere sposato una sorella di Tommaso Buscetta.

 

NOTE

  1. ^ Interrogatorio del collaboratore di giustizia Antonino Calderone
  2. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (II parte) (PDF).
  3. ^ Il contesto mafioso e don Tano Badalamenti – Documenti del Senato della Repubblica XIII LEGISLATURA (III parte) (PDF).
  4. ^ Il Viandante – Sicilia 1978
  5. ^ a b E LEGGIO SPACCO’ IN DUE COSA NOSTRA – la Repubblica.it
  6. ^ Inzerillo Accusato Dell’Omicidio Costa – La Repubblica.It
  7. ^ Articolo da vittimemafia.it
  8. ^ Roberto Leone, Trent’anni fa l’assassinio di Bontade così iniziò la guerra di mafia, su palermo.repubblica.it, 23 aprile 2011.
  9. ^ Il Viandante – Sicilia 1981
  10. ^ Sentenza di primo grado per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre (PDF).
  11. ^ ‘Ecco i nomi degli scappati’ Naimo parla dei boss americani – Repubblica.it
  12. ^ Il New Jersey e quel cadavere nell’auto – archiviostorico.corriere.it
  13. ^ Mafia, il massacro degli Inzerillo Naimo e Casamento a giudizio – Live Sicilia
  14. ^ ” pocket coffee ” di piombo per la mattanza – archiviostorico.corriere.it
  15. ^ il giovane Pino Marchese, primo a tradire i segreti dei Corleonesi – archiviostorico.corriere.it
  16. ^ È morto Salvatore Montalto, mammasantissima di Villabate – Live Sicilia
  17. ^ La mafia torna a colpire: due morti
  18. ^ Corso dei Mille, il più feroce dei clan- Repubblica.it
  19. ^ a b Il Viandante – Sicilia 1982
  20. ^ Buscetta Superteste In Aula Lo Ha Deciso La Corte D’Assise – La Repubblica.It
  21. ^ Ordinanza contro Michele Greco+18 per gli omicidi Reina-Mattarella-La Torre (PDF).
  22. ^ Un Impero Basato Sulla Cocaina Che Gestiva Come Un Manager – La Repubblica.It
  23. ^ uccisi a tavola i nemici. i corpi sciolti nell’acido – archiviostorico.corriere.it
  24. ^ lacndb.com::Italian Mafia
  25. ^ Angelo Vecchio, Quel triangolo della morte dove ha regnato il terrore, su livesicilia.it, 26 febbraio 2013.