- PARLA BETTINO CRAXI
- L’OMBRA OSCURA DELLA P2
- LOGGIA P2 E SISTEMA POLITICO ITALIANO
- L’INFILTRAZIONE
- LA STORIA DELLA P2
- ENZO BIAGI: C’ERA UNA VOLTA LICIO GELLI
- DEPOSIZIONE DI SILVIO BERLUSCONI
- DEPOSIZIONE DI MAURIZIO COSTANZO
- DEPOSIZIONE DI BETTINO CRAXI
- PROCESSO LICIO GELLI
- ATTI COMMISSIONE PARLAMENTARE SULLA LOGGIA P2
Licio Gelli (Pistoia, 21 aprile 1919 – Arezzo, 15 dicembre 2015) principalmente noto come «Maestro venerabile» della loggia massonica P2[2][3]. È stato condannato per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano e per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980;[3] secondo le indagini della procura di Bologna conclusesi nel 2020, è ritenuto uno dei mandanti della strage stessa.[4] Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, ha vissuto ad Arezzo, a Villa Wanda.
Le origini e l’adesione al fascismo Ultimo di quattro fratelli[5], Licio Gelli nacque a Pistoia il 21 aprile 1919[6] da Ettore, mugnaio montalese, e Maria Gori, vivendo con la famiglia in via Gorizia nº 7[7]. A diciott’anni Gelli partì volontario nel 735mo battaglione Camicie Nere per partecipare alla Guerra civile spagnola[6] in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio nei combattimenti di Malaga morì il fratello maggiore Raffaello.
Nel 1939 tornò a Pistoia e narrò a puntate la sua esperienza di guerra sul Ferruccio, il settimanale della locale federazione fascista. Puntate che poi raccolse in un volume (dodici lire il prezzo di copertina, cinquecento copie in tutto) dal titolo Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna[6]. Diventò quindi impiegato del GUF, ma all’università non approdò mai[6] (all’età di 16 anni fu espulso dalle scuole del Regno d’Italia dopo aver preso a schiaffi un professore)[6].
Nel luglio 1942, in qualità di ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli fu affidato l’incarico di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Iugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto, 60 tonnellate di lingotti d’oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Iugoslavia, mancavano 20 tonnellate di lingotti: è stata fatta l’ipotesi, sempre smentita da Gelli, che lui li avesse trasferiti al tempo in Argentina e che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda[8].
Dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli diede il via alla seconda fase della sua vita[5] e cominciò a collaborare con i partigiani[6] e fare il doppio-gioco[5][9], grazie ai contatti e le conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti. Trafugò e distribuì di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornì ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini.
Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata, della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi che furono gli artefici dell’azione)[6]. Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia il 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959)[10].
Il secondo dopoguerra e l’aderenza alla massoneria Gelli, dopo aver gestito senza fortuna una libreria[6], diventò nel 1956 direttore commerciale della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici, ministri, vescovi e generali[11]. Dal 1948 al 1958, Gelli fu autista-segretario del deputato democristiano Romolo Diecidue[6], eletto nel collegio di Firenze–Pistoia. Iniziato in massoneria in Italia nel 1963, in breve tempo ne scalò i gradi principali, fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2); tra il 1970 e il 1981 riuscì a iniziare alla P2 un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, i nomi di alcuni dei quali sarebbero stati noti soltanto a («all’orecchio di») Gelli. Benché per molti si trattasse soltanto di un’ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta la P2 si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il Piano di rinascita democratica redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli. Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell’ambito del fallito Golpe Borghese: Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Si è ipotizzato che Gelli avesse avuto un ruolo preminente nell’organizzazione Gladio, una struttura segreta di tipo Stay-behind, promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l’influenza comunista in Italia, così come negli altri Stati europei. L’affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2. Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l’Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell’ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica. Gelli fu creato conte sul cognome [12] dall’ex re Umberto II d’Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980[13][14]. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: «Trinciato, alla catena d’oro sulla partizione; di rosso all’elmo piumato d’oro; d’azzurro alla croce latina d’oro, accompagnato da tre stelle d’argento a quattro raggi, male ordinate» con il motto «Virtute progredior»[15].
Lo scandalo della P2 Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito di un’inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo e la fabbrica di sua proprietà (la «Giole», a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2[17]. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie agli organi d’informazione, includeva anche l’intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta. In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato, il 13 settembre 1982, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma, il 10 agosto 1983, riuscì ad evadere dalla prigione[18]. Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi in Svizzera nel 1987[18]. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica italiana erano occupate da affiliati all’organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d’Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l’espulsione del Gelli dall’Ordine massonico. Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (DC), che chiuse i lavori nel 1984[18].
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge: «L’esame degli avvenimenti ed i collegamenti che tra essi è possibile instaurare sulla scorta delle conoscenze in nostro possesso portano infatti a due conclusioni che la Commissione ritiene di poter sottoporre all’esame del Parlamento. La prima è in ordine all’ampiezza ed alla gravità del fenomeno che coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualificati della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, quella Sindona e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante. […] La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in se stesso intrinsecamente valore politico – ed altrimenti non potrebbe essere, per il livello al quale si pone – ma risponde, nella sua genesi come nelle sue finalità ultime, a criteri obiettivamente politici. Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se non esista sproporzione tra l’operazione complessiva ed il personaggio che di essa appare interprete principale. È questa una sorta di quadratura del cerchio tra l’uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività, che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fenomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel riportarlo ad un solo individuo, nell’interpretare il disegno che ad esso è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente. Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli stabilisce con uomini ed istituzioni con i quali entra in contatto, perché strumentale al massimo è la filosofia di fondo che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto. Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile significato, quest’altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento. Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento.»
L’8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare la Anselmi per organizzare un incontro al fine di «discutere in modo civile della loggia massonica P2» dopo quasi trent’anni, ma l’incontro non si rese possibile per le condizioni di salute dell’ex parlamentare dello Scudo Crociato[19].
Il coinvolgimento nella strage di Bologna Con Stefano Delle Chiaie ed altri imputati è stato coinvolto nel processo per la strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Imputato di associazione sovversiva e calunnia con finalità di depistaggio, fu condannato con sentenza definitiva dalla Cassazione il 23 novembre 1995 per calunnia aggravata a 10 anni di carcere, insieme al faccendiere Francesco Pazienza (anch’egli condannato a 10 anni), al generale Pietro Musumeci e al colonnello Giuseppe Belmonte (rispettivamente condannati a 8 anni e 5 mesi, e a 7 anni e 11 mesi)[20], mentre fu assolto dall’accusa di associazione sovversiva già nel processo di primo grado[18]. L’11 febbraio 2020 la procura generale di Bologna lo ha indicato come uno dei 4 organizzatori e finanziatori della strage di Bologna insieme a Mario Tedeschi, Umberto Ortolani, e Federico Umberto D’Amato.[21]
Lo scandalo del Banco Ambrosiano Licio Gelli (al centro) con Giulio Andreotti (a destra) all’inaugurazione dello stabilimento Permaflex di Frosinone. Uno degli affiliati della P2 era il finanziere Michele Sindona, il quale nel 1972 aveva acquistato il controllo della Franklin National Bank di Long Island. Nel 1977, in seguito alla bancarotta delle sue banche, Sindona si rivolse a Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana, la principale del gruppo Sindona; Gelli stesso interessò Giulio Andreotti, il quale gli riferì che «la cosa andava positivamente» e incaricò informalmente il senatore Gaetano Stammati (anch’egli affiliato alla loggia P2) e Franco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio della Banca Privata Italiana, il quale venne però rifiutato da Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca d’Italia[22].
Nel 1979 Sindona attuò un tentativo estremo di salvataggio e si nascose in Sicilia, aiutato da esponenti massoni e mafiosi, simulando un rapimento: durante questo periodo mandò almeno due volte ad Arezzo il suo medico di fiducia Joseph Miceli Crimi (anch’egli affiliato alla P2) per convincere Gelli a continuare a fare pressioni ai suoi precedenti alleati politici, tra cui Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro sporco investito per conto dei boss mafiosi: in cambio Sindona avrebbe offerto a Gelli la cosiddetta «lista dei cinquecento», l’elenco di notabili che avevano esportato capitali illegalmente. Tuttavia tutti i tentativi di salvataggio fallirono[23][24]. Nel 1986 morì due giorni dopo una sentenza di condanna a vita, in circostanze non del tutto chiare, anche se l’ipotesi del suicidio è quella più plausibile[25][26]. Qualche anno dopo molti sospetti si sono concentrati su Gelli in relazione al fallimento finanziario del Banco Ambrosiano e al suo eventuale coinvolgimento nell’omicidio del banchiere milanese Roberto Calvi (affiliato pure alla P2), che era stato in carcere proprio per il crack dell’Ambrosiano e, dopo essere tornato in libertà, venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra: infatti Gelli e Calvi avevano investito denaro sporco nello IOR e nel Banco Ambrosiano per conto del boss mafioso Giuseppe Calò, che curava gli interessi finanziari del clan dei Corleonesi[27][28]. In ogni caso, Licio Gelli fu condannato nel 1994 a 12 anni di carcere, dopo essere stato riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982 (vi era stato trovato un buco di 1,3 miliardi di dollari) che era collegato alla banca del Vaticano, lo IOR. Affrontò inoltre una sentenza di tre anni relativa alla P2. Scomparve mentre era in libertà sulla parola, per essere infine arrestato sulla riviera francese a Villefranche sur Mer. La polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d’oro[29][30]. È indiscutibile che la P2 abbia avuto un certo potere in Italia, dato il «peso» pubblico dei suoi affiliati, e molti osservatori ritengono che ancora oggi esso sia forte. Numerosi personaggi ancora oggi famosi in Italia erano iscritti alla P2: tra questi, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Vittorio Emanuele di Savoia, l’editore Angelo Rizzoli, il segretario del PSDI Pietro Longo ed altri esponenti della politica, della magistratura e della finanza.
Il 19 luglio 2005, Gelli è stato formalmente indiziato dai magistrati romani per la morte di Calvi[3]. Gelli, nel suo discorso di fronte ai giudici, incolpò personaggi connessi con i finanziamenti di Roberto Calvi al movimento polacco Solidarność, presumibilmente per conto del Vaticano. Nel 2014 il GIP Simonetta D’Alessandro dispone l’archiviazione del procedimento per mancanza di prove[31], ma stabilisce che l’ipotesi storica dell’assassinio è difficilmente sormontabile[32].
I rapporti con la dittatura argentina Licio Gelli aveva coltivato buoni rapporti con il generale e Presidente argentino Roberto Eduardo Viola e l’ammiraglio Emilio Massera, durante il periodo della dittatura. Durante questo periodo che va dal 1976 al 1983 ci furono 2.300 omicidi politici e tra le 10.000 e le 30.000 persone vennero uccise o «scomparvero» (desaparecidos) e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate. Gelli riceverà pure un passaporto diplomatico dell’Argentina[33]. Massera[34] pochi giorni dopo il golpe, il 28 marzo 1976, scrisse a Gelli per esprimere «la sua sincera allegria per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti» e augurargli «un governo forte e fermo sulle sue posizioni e nei suoi propositi che sappia soffocare l’insurrezione dei dilaganti movimenti di ispirazione marxista»[35]. I rapporti con i militari continueranno dopo il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983. Nel 1987 la tomba di Juan Perón fu profanata e furono asportate le mani dal corpo. Una ricerca giornalistica ha sostenuto che la P2 di Licio Gelli è stata coinvolta nella dissacrazione del corpo di Perón[36]. Alcuni esponenti politici argentini sostennero che gli autori del gesto intendessero in tal modo prendere le impronte digitali di Perón, al fine di recuperare i valori depositati presso alcuni istituti bancari di Ginevra che il leader argentino avrebbe ottenuto dai militari nazisti in cambio di passaporti e visti[37]. Lo stesso Gelli fu accusato di aver rubato venti tonnellate d’oro nel 1942, durante l’occupazione fascista della Jugoslavia, e che Gelli avrebbe più tardi trasferito in Argentina[38].
Gli ultimi anni e la morte Dal 2001 fino alla morte, Licio Gelli è stato in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, ubicata sulla collina di Santa Maria delle Grazie a ridosso del centro storico, dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta fraudolenta dell’Ambrosiano[40]. Di sé stesso nel 2003 disse: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa[41].» In Arezzo il 2 agosto 2006 sposa in seconde nozze Gabriela Vasile, nata a Lupsa, in Romania, il 17 settembre 1958[10]. Sempre nel 2006 la sua residenza Villa Wanda viene sequestrata e messa all’asta dallo Stato per il pagamento delle spese processuali del fallimento del Banco Ambrosiano (ammontanti a circa 1,5 milioni di euro); dopo vari tentativi d’asta andati deserti, l’immobile viene riacquistato dallo stesso Gelli ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello di partenza[42][43].
Nel 2008 ha partecipato al programma Venerabile Italia su Odeon TV intervistato dalla giornalista esperta di massoneria Lucia Leonessi[3].
Nel febbraio 2011 ai giornalisti Raffaella Fanelli e Mauro Consilvio a Villa Wanda rivela di essere stato vicino a mettere in atto un golpe pacifico per eliminare il pericolo comunista a un anno dalla strage di Bologna aggiungendo: “Io avevo la P2, Francesco Cossiga aveva Gladio e Giulio Andreotti l’Anello … si chiamava così perché gli iscritti portavano un anello”. Un anello a simboleggiare la sua funzione di collegamento fra i servizi segreti usati in funzione anticomunista e la società civile. Quella di un superservizio segreto alle dipendenze informali della presidenza del Consiglio, che avrebbe agito dal dopoguerra alla metà degli anni Ottanta. Andreotti, interpellato, non replicherà alle rivelazioni di Gelli. Quella fu l’unica conferma dell’esistenza di un’organizzazione segreta parallela a Gladio e P2 e formata da ex ufficiali badogliani, ex repubblichini, imprenditori, faccendieri, giornalisti in grado di reclutare uomini della malavita e della criminalità organizzata. Gelli sminuisce poi la strage di Bologna: «Fu un incidente… In quegli anni l’esplosivo si trovava ovunque, arrivava dalla Cecoslovacchia, lo si trovava anche nei supermercati. Chi lo trasportava si fermò a Bologna, da lì doveva sicuramente prendere un altro treno. Era avvolto nella carta … poi qualcuno ha lanciato un mozzicone … Io lo facevo sempre quando fumavo.» Ciò naturalmente constrasta con gli evidenti e numerosi depistaggi in relazione alle indagini sulla strage verificatisi negli anni successivi. Gelli nega inoltre che ci possa essere stato un progetto di sequestro ai suoi danni nell’inverno del 1978 come invece rivelato da Paolo Aleandri dieci anni più tardi durante il processo a 149 terroristi neri: «Impossibile … sono l’uomo più protetto d’Italia. Perché ci sono ancora voci su documenti particolari e scottanti che avrei nascosto da qualche parte e, fino a che non affronterò il mio viaggio senza ritorno, loro sono quasi costretti a proteggermi.[44]»
Il 10 ottobre 2013 viene sequestrata Villa Wanda poiché Gelli è indagato dalla procura di Arezzo insieme ad alcuni familiari per reati fiscali per 17 milioni di euro[45].
Licio Gelli muore nella sua residenza all’età di 96 anni il 15 dicembre 2015[46]. Secondo quanto dichiarato dalla moglie poco dopo la sua scomparsa, le condizioni di salute sarebbero state precarie già da tempo. Il decesso è avvenuto dopo un netto peggioramento delle sue condizioni di salute registrate il 13 dicembre[47], data in cui la famiglia ha scelto di trasferirlo dall’ospedale San Donato di Arezzo a Villa Wanda, per fargli trascorrere gli ultimi momenti di vita circondato dai suoi cari e familiari.
Le vicende giudiziarie Licio Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati:
- Procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato[3].
- Calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Gherardo Colombo, Giuliano Turone e Guido Viola (reato prescritto in Cassazione)[48].
- Calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna, vicenda per cui è stato condannato a 10 anni.
- Bancarotta fraudolenta (Banco Ambrosiano).
Nel 1992 fu condannato per diffamazione nei confronti di Indro Montanelli: in un’intervista al periodico Gazzettino dell’Hinterland dichiarò di aver finanziato il quotidiano il Giornale con un finanziamento di 300 milioni, completamente gratuito, ma il direttore dimostrò, documenti bancari alla mano, che il finanziamento non fu gratuito (pagò il 22% di interessi) e avvenne senza la mediazione di Gelli, che fu condannato dal Tribunale di Monza a pagare 2 milioni di multa, 30 di risarcimento danni e 15 di riparazione pecuniaria[49]. Per i giudici Gelli aveva «offeso dolosamente nella dignità professionale e nella reputazione» il giornalista[49].
Nel 1993 venne indagato per offesa all’onore dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per un articolo pubblicato sul mensile trevigiano Il Piave[50], e nel 1994 è stato condannato a 8 mesi[51]: nell’articolo erano state fatte considerazioni sul passato di Scalfaro ed erano stati criticati alcuni suoi atteggimenti di cattolico[51].
Le assoluzioni La Procura di Roma iniziò un procedimento contro Licio Gelli e una ventina di altre persone, accusate di cospirazione politica, associazione per delinquere ed altri reati. Dopo un’inchiesta durata quasi dieci anni, nell’ottobre1991, il giudice istruttore presso il Tribunale penale di Roma chiese il rinvio a giudizio. Il processo durò un anno e mezzo e con sentenza in data 16 aprile 1994, depositata il successivo 26 luglio, la Corte pronunciò una sententa d’assoluzione di tutti gli imputati dal reato di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché il fatto non sussiste. L’appello, proposto, fu rigettato, e il 27 marzo 1996 la Corte d’appello confermò la sentenza assolutoria[52][53].
P2 (acronimo di Propaganda due, fondata nel 1877 con il nome di Propaganda massonica),[1] fu un’associazione a delinquere e loggia della massoneria italiana aderente al Grande Oriente d’Italia (GOI).
Fondata nella seconda metà del XIX secolo, venne sciolta durante il ventennio fascista e poi ricostituita alla fine della seconda guerra mondiale; nel periodo della sua conduzione da parte dell’imprenditore Licio Gelli assunse forme deviate rispetto agli statuti della massoneria ed eversive nei confronti dell’ordinamento giuridico italiano. Fu sospesa dal GOI il 26 luglio 1976[2]; successivamente, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 sotto la presidenza del ministro Tina Anselmi concluse il caso P2 denunciando la loggia come una vera e propria «organizzazione criminale»[3] ed «eversiva», venendo sciolta definitivamente nel 1982.[4]
Storia L’unità d’Italia, la loggia Propaganda e lo scioglimentoCon la proclamazione del Regno d’Italia unitario, sorse l’esigenza, da parte del Grande Oriente d’Italia, cioè la più importante e numerosa comunione massonica d’Italia, di salvaguardare l’identità degli affiliati più in vista, anche all’interno dell’organizzazione. Per tale motivo, l’adesione di questi ultimi non figurava in nessun elenco ufficiale, ma era nota al solo Gran maestro, risultandogli come iniziazione «all’orecchio». Fu solo nel 1877 che Giuseppe Mazzoni, iniziò a stilarne un elenco denominato Propaganda massonica, costituendo ufficialmente la loggia in questione, diventandone il primo “gran maestro“.[1] Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895), fu iniziato alla loggia Propaganda già nel 1877, e contribuì a darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma. Tra gli iniziati o affiliati più famosi della fine del XIX secolo si ebbero Agostino Bertani (1883)[5], Giosuè Carducci (1886)[6], Luigi Castellazzo (1888)[7], Giuseppe Ceneri (1885)[8], Giuseppe Aurelio Costanzo (1889)[9], Francesco Crispi (1880)[10], Nicola Fabrizi[11], Camillo Finocchiaro Aprile[12], Menotti Garibaldi (1888)[13], Pietro Lacava[14], Ernesto Nathan (1893)[15], Aurelio Saffi (1885)[16], Gaetano Tacconi (1885)[17] e Giuseppe Zanardelli (1889)[18].
Anche dopo la Gran maestranza di Lemmi, la loggia continuò a rappresentare un riferimento importante nell’organizzazione del Grande Oriente massonico. Tra gli affiliati dell’inizio del XX secolo si ebbero Giovanni Ameglio (1920)[19], Mario Cevolotto[20], Eugenio Chiesa (1913)[21], Alessandro Fortis (1909)[22], Gabriele Galantara (1907)[23], Arturo Labriola (1914)[24] e Giorgio Pitacco (1909)[25].
Sin dalla fondazione, la caratteristica principale della loggia fu quella di garantire un’adeguata copertura e segretezza agli iniziati di maggior importanza, sia all’interno che al di fuori dell’organizzazione massonica[1]. L’originale loggia operò fino alla promulgazione della legge 26 novembre 1925, n. 2029 che ebbe come conseguenza lo sciolgimento di tutte le associazioni caratterizzate da vincoli di segretezza, costringendo il Gran maestro Domizio Torrigiani, a firmare il decreto di scioglimento di tutte le logge[26]. La massoneria italiana, peraltro, si ricostituì in esilio, a Parigi, il 12 gennaio 1930.[27]
Il secondo dopoguerra, la ricostituzione e la figura di Licio Gelli Dopo la caduta del regime fascista, alla fine della seconda guerra mondiale, con il rientro in Italia del Grande Oriente, la loggia venne ricostituita con il nome di «Propaganda 2» per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte da necessità organizzative e ripresero le attività delle logge[28] che tornò ad essere alle dipendenze dirette del Gran maestro dell’Ordine sino all’avvento di Licio Gelli. Quest’ultimo venne prima delegato dal Gran maestro Lino Salvini a rappresentarlo in tutte le funzioni all’interno della loggia (1970)[29], poi ne fu nominato Maestro Venerabile, cioè capo a tutti gli effetti (1975)[30] Sulla base ad alcuni appunti del SISMI e del SISDE scoperti dal magistrato Vincenzo Calia nella sua inchiesta sulla morte di Enrico Mattei, la Loggia P2 sarebbe stata fondata da Eugenio Cefis, che l’avrebbe diretta sino a quando fu presidente della Montedison: poi, dopo lo scandalo petroli, sarebbe subentrato il duo Licio Gelli–Umberto Ortolani.[31] Secondo altre testimonianze il capo occulto della Loggia P2 sarebbe stato l’ex democristiano Giulio Andreotti[32][33]. Nel secondo dopoguerra Licio Gelli, un imprenditore toscano che in precedenza aveva aderito al fascismo (combattendo come volontario nella guerra civile spagnola ed essendo poi agente di collegamento con i nazisti durante l’occupazione della Jugoslavia), sia con l’antifascismo (organizzando la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione con il partigiano Silvano Fedi)[34], fu iniziato alla massoneria il 6 novembre 1963, presso la loggia da Gian Domenico Romagnosi di Roma[28]. Gelli aveva ottenuto anche aderenze presso la «corte» del generale argentino Juan Domingo Perón (una fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al Presidente e a Giulio Andreotti): fu successivamente affiliato alla loggia Hod dal Maestro venerabile Alberto Ascarelli, e promosso al grado di «Maestro». Successivamente nella loggia “Garibaldi – Pisacane di Ponza – Hod” Gelli cominciò a inserire numerosi personaggi di spicco, destando l’apprezzamento del suo Maestro venerabile, che lo presentò a Giordano Gamberini, Gran maestro dell’Ordine. Gelli convinse Gamberini a iniziare «sulla spada» (cioè al di fuori dello specifico rituale massonico) i nuovi aderenti, e a inserirli nell’elenco dei «fratelli coperti» della loggia P2[35].
Gli anni 1970 e l’influenza nella società italiana Il 15 giugno 1970, Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran maestro del Grande Oriente d’Italia)[34], delegò a Gelli la gestione della loggia P2, conferendogli la facoltà di iniziare nuovi iscritti[29], anche «all’orecchio» – funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa esclusiva del Gran maestro – e nominandolo altresì «segretario organizzativo» (19 giugno 1971). Da allora in poi, il solo Licio Gelli sarebbe stato a conoscenza dell’elenco dei nominativi degli affiliati alla loggia P2. Una volta preso il potere al vertice della loggia, Gelli la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.
Nel dicembre 1970 secondo un dossier del SID Licio Gelli e la P2 avrebbero dovuto prendere parte al golpe Borghese, tale documentazione frutto degli interrogatori del colonnello Sandro Romagnoli nei confronti di Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti, entrambi esponenti del Fronte Nazionale verrà inviata nel 1974 da Giulio Andreotti alla magistratura inquirente. Sempre nel 1974 il generale di brigata Giovanni Allavena, allontanato dal SIFAR il 12 giugno 1966 e affiliato alla P2, aveva fatto pervenire a Gelli i fascicoli riservati del SIFAR di cui era stata disposta la distruzione da parte del Ministero della Difesa. Tra essi i fascicoli relativi all’ex Ministro della Difesa Roberto Tremelloni, al più volte Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, a Giorgio La Pira, al futuro segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Francesco Malfatti di Montetretto e al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat[36]. L’utilizzo fattone da Gelli non è stato del tutto chiarito.
Nella notte del 4 agosto 1974, a San Benedetto Val di Sambro,avvenne la strage dell’Italicus: morirono 12 persone e ne furono ferite 48. Pur concludendosi con l’assoluzione generale di tutti gli imputati, stante l’impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e degli esecutori materiali, venne riconosciuto il contesto in cui l’attentato era maturato. La sentenza di assoluzione di primo grado attribuì la strage all’ambiente di Ordine Nero e alla P2[37] definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, che nel frattempo erano state richiamate dalla Relazione della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2[38][39]. La sentenza di appello condannò come esecutori materiali Mario Tuti e Luciano Franci, appartenenti alla sigla terroristica Fronte Nazionale Rivoluzionario, inquadrando la strage in un disegno di colpo di Stato che doveva avvenire nell’agosto del 1974. La Cassazione annullò la condanna, sentenziando che comunque la matrice neofascista era stata correttamente individuata. Nel frattempo erano emersi numerosi elementi di collegamento tra la P2 e i terroristi toscani, provenienti da diverse fonti: le dichiarazioni del principale teste d’accusa, Aurelio Fianchini, che già nel 1976 parlava di massoneria dietro i terroristi neri; le ammissioni di Franci nel confronto con Batani il 13 agosto 1976, di fronte al giudice Pier Luigi Vigna; la testimonianza dell’estremista lucchese Marco Affatigato; il materiale ritrovato a Stefano Delle Chiaie in particolare l’appunto intitolato Italicus: Cauchi e massoni; le testimonianze che collegano l’estremista Augusto Cauchi direttamente con Licio Gelli fra cui anche quella del maresciallo di polizia Sergio Baldini; la testimonianza del collaboratore di giustizia Andrea Brogi, che asserì di essere stato testimone del pagamento di somme di denaro da parte di Gelli ad Augusto Cauchi: «A Gelli e penso anche a Birindelli fu detto chiaramente che eravamo un gruppo che si armava e che era pronto alla lotta armata nel caso di una vittoria delle sinistre al referendum. Su insistenza del G.I. escludo che a Gelli sia stato fatto un discorso con riferimento specifico o ad attentati individuati oppure al procacciamento di queste armi o di questo esplosivo. Gelli sapeva che eravamo pronti per la lotta armata e che gli chiedevamo finanziamenti ma non gli fu detto nulla né di singoli attentati né di singoli armamenti»[40]. «Per quanto ne so tutto il denaro ricevuto dal Gelli è stato speso per l’acquisto di armi ed esplosivo»[41]. Ben presto sorsero contrasti tra Gelli e Lino Salvini. Nel dicembre 1974, a Napoli la Gran Loggia dei Maestri venerabili del GOI, su proposta del Gran maestro, decretò lo scioglimento della secolare loggia P2, offrendo agli iniziati, in alternativa alle dimissioni, la possibilità di entrare in una loggia regolare o di affidarsi «all’orecchio» del Gran maestro[42]. La reazione di Gelli ebbe effetti devastanti per la carriera del Gran maestro Salvini. Nel 1973, si erano riunificate le due famiglie massoniche di Palazzo Giustiniani e quella di Piazza del Gesù (quest’ultima nata da una scissione negli anni sessanta avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d’Italia), guidata da Francesco Bellantonio, ex funzionario dell’Eni e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo due anni) la loggia Giustizia e Libertà – loggia coperta del gruppo massonico di Piazza del Gesù, che contava tra i suoi iscritti il direttore generale di Mediobanca Enrico Cuccia)[43], il procuratore generale della Procura di Roma Carmelo Spagnuolo e l’avvocato Martino Giuffrida di Messina – aveva visto molti iscritti passare «all’orecchio» del Gran maestro del GOI. Approfittando del malcontento di questi ultimi, Gelli prese immediatamente contatto con Bellantonio e il suo gruppo, con l’obiettivo di cambiare i vertici del Grande Oriente d’Italia[44]. In occasione della Gran Loggia tenutasi nel marzo 1975, l’avvocato Giuffrida produsse prove su presunti reati finanziari (finanziamenti illeciti ai partiti, provenienti dalla FIAT e dalla Confindustria, traffici illeciti e contrabbando nel porto di Livorno, tangenti private) compiuti dal Gran maestro[45], suscitando la richiesta a gran voce delle dimissioni di Salvini, da parte dell’assemblea.
Durante una sospensione dei lavori Gelli e Salvini raggiunsero un accordo in base al quale la Gran Loggia avrebbe riconfermato la fiducia al Gran maestro; in contropartita, quest’ultimo ricostituiva nuovamente la Loggia P2, riaffidandola a Licio Gelli (nell’accordo, Gelli conveniva l’espulsione dal GOI di Bellantonio e Giuffrida e degli altri «congiurati»)[46] e nominandolo Maestro venerabile il 12 maggio 1975. L’affiliazione alla loggia sarebbe stata sottoposta a verifica da parte dell’ex Gran maestro Giordano Gamberini, «all’orecchio» del quale dovevano pervenire le iniziazioni coperte. Gelli, tuttavia, convinse Gamberini ad effettuare le eventuali «concelebrazioni» non in un tempio massonico, ma in un appartamento all’Hotel Excelsior di Roma e – soprattutto – a sottoscrivere in bianco almeno quattrocento brevetti di ammissione, cui in seguito avrebbe aggiunto i nominativi degli affiliati[47].
Nell’agosto 1975, subito dopo la vittoria elettorale del PCI alle elezioni regionali, Gelli mise a punto uno «Schema R», che trasmise al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, senza ottenere riscontri. Nel documento il massone aretino propugnava l’instaurazione della Repubblica presidenziale, la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione delle loro immunità. Propose anche l’abolizione del servizio militare di leva e la sua sostituzione con un esercito di professione[48].Poco meno di un anno dopo, alcune indagini della magistratura condussero all’arresto nel nuovo segretario organizzativo della loggia P2, l’avvocato Gian Antonio Minghelli, con l’accusa di legami con il clan del gangster marsigliese Albert Bergamelli, quali i sequestri di persona e il riciclaggio di denaro sporco[47]. Il 26 luglio 1976 Gelli ne approfittò per chiedere a Salvini la sospensione ufficiale di tutte le attività della P2, circostanza che gli permise di evitare il passaggio elettorale per la regolare conferma della sua maestranza venerabile e di continuare a dirigere la loggia in regime di prorogatio, a tempo indeterminato[47]. In pratica, la P2 continuò ad esistere come gruppo gestito direttamente da Gelli, il quale manteneva personalmente i rapporti con Salvini e Gamberini (che, dopo il 1976, nella sua veste di garante, continuò a concelebrare molte iniziazioni per conto della Loggia P2) e gli altri vertici della massoneria[49]. Il 15 aprile 1977, pur essendo ufficialmente sospese le attività della P2, il Gran maestro Salvini conferì a Gelli una sorta di «delega in bianco» autorizzandolo a promuovere tutte le attività che avesse reputato di interesse e di utilità per la massoneria, rispondendo unicamente al Gran maestro per le azioni intraprese a tale scopo[50].
Nel 1978, il Gran maestro Lino Salvini rassegnò le dimissioni dalla guida del GOI in anticipo sulla scadenza del mandato. La Gran Loggia dei Maestri venerabili elesse al suo posto l’ex generale dell’aeronautica Ennio Battelli, il quale confermò la delega e la posizione speciale di Gelli nell’ambito della massoneria, imponendo peraltro la sua presenza o quella dell’ex Gran maestro Gamberini, durante le cerimonie di affiliazione dei nuovi aderenti ed escludendo pertanto ogni iniziazione «all’orecchio» da parte del Gelli[51]. Di conseguenza tutte le iniziazioni, a partire da tale data, ancorché effettuate in una sede irrituale quale l’Hotel Excelsior di Roma, furono celebrate alla presenza del Gran maestro in carica o di Giordano Gamberini.
Nella seconda metà degli anni 1970 la P2 ebbe la massima espansione ed influenza e cominciò ad operare anche all’estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, Paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche).[52]: in particolare realizzò ramificazioni estese e importanti in Uruguay, aiutato da uomini d’affari come Umberto Ortolani e Francesco Pazienza[34] Per una gestione efficace, Gelli dispone il decentramento degli affiliati in circoscrizioni regionali: ogni gruppo regionale dovrà far riferimento a un coordinatore con il grado di «Maestro», responsabile della presentazione al Maestro venerabile dei nuovi adepti. Intanto già intorno al 1978 risalirebbe un il primo rapporto riservato dei servizi segreti italiani in merito all’esistenza della loggia massonica P2, realizzato dal SISMI di Santovito.[53]
Gli anni 1980, la scoperta e la fineIl 5 ottobre 1980 Gelli rilasciò un’intervista a Maurizio Costanzo (anch’esso affiliato con tessera n. 1819 della P2) per il Corriere della Sera, all’epoca diretto da Franco Di Bella, tessera P2 1887 (che la pubblicò), nella quale si sintetizzavano gli obiettivi già descritti nello «Schema R», e che saranno rinvenuti nel Piano di rinascita democratica.[54] Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito di un’inchiesta sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari siciliano Michele Sindona[55], fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, villa Wanda, e la fabbrica di sua proprietà (la Giole a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di Lebole – e la Socam)[34]: l’operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Vincenzo Bianchi della Guardia di Finanza, scoprì fra gli archivi della Giole una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, tra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832).
Il coinvolgimento della P2. Dopo il ritrovamento della lista, che suscitò grande scalpore nell’opinione pubblica italiana, sette mesi dopo, il 31 ottobre 1981, la corte centrale del Grande Oriente d’Italia espulse Licio Gelli dal consesso massonico: Gelli, in quel momento latitante all’estero, aveva già presentato richiesta di «assonnamento» in data 1º ottobre 1981[56]. Pur tuttavia il Grande Oriente ritenne di non poter procedere allo scioglimento della Loggia Propaganda 2, essendo la sua attività all’interno del GOI ufficialmente sospesa sin dal 1976; così in tale contesto la loggia a affermò che tutte le attività gestite dal Gelli dal 1976 sino a quel momento, eccedenti la normale amministrazione della loggia da lui diretta in regime transitorio, erano state adottate autonomamente e non dovevano essere ricondotte alla responsabilità dell’ordine massonico, ma nulla si disponeva nei confronti degli altri 961 iscritti alla loggia che – di conseguenza – restavano a far parte della massoneria italiana. Poco dopo dopo una perquisizione, la polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d’oro.[57][58] Ai sensi della legge 23 settembre 1981, n. 527, nel dicembre dello stesso anno venne costituita una apposita commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi, e successivamente con l’emanazione della legge 25 gennaio 1982, n. 17 la loggia venne definitivamente sciolta e venne sancità l’illegalità della costituzione di associazioni segrete con analoghe finalità.
Lo scandalo e le conseguenze Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti. Nel giugno 1981, al posto del dimissionario Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, che divenne così il primo Presidente del Consiglio non appartenente alla Democrazia Cristiana della Storia repubblicana[34], mentre il Presidente della Repubblica Sandro Pertini dichiarò: «Nessuno può negare che la P2 sia un’associazione a delinquere».[59][60] Dalle sinistre si era prontamente levata un’intensa campagna d’accusa, che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento di esponenti dei partiti di governo e del PSI, antica «concorrente» a sinistra del partito di Enrico Berlinguer. Soprattutto i comunisti avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo e ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento a interessi di potenze straniere. Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, attaccarono invece l’operato della magistratura, accusandola di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava «notori farabutti» (di cui però non faceva i nomi) a «galantuomini» e di aver causato, con le indagini e l’arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa, che nel luglio 1981 dovette chiudere per una settimana per eccesso di ribasso. Mentre, intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano ogni coinvolgimento (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione del telegiornale Contatto del network PIN, facente capo al gruppo Rizzoli), altri, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della Rai, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste. Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.
La scoperta della lista degli appartenenti Dopo la scoperta della lista, il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani attese il 21 maggio 1981, prima di rendere pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (il socialista Enrico Manca, e il democristiano Franco Foschi) e 5 sottosegretari (Costantino Belluscio del PSDI, Pasquale Bandiera del PRI, Franco Fossa del PSI, Rolando Picchioni della DC e Anselmo Martoni del PSDI, quest’ultimo peraltro citato come «in sonno», cioè dimissionario).
Tra le 962 persone che figuravano tra gli iscritti alla loggia massonica, vi erano politici, imprenditori, avvocati, dirigenti di imprese ma soprattutto membri delle forze armate italiane e dei servizi segreti italiani.Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori. Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e trasmise la lista agli organi competenti. Fra i generali, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto dalla Chiesa, sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un’adesione attiva[61].
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra i quali Vito Miceli[34] a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Tra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei fascicoli SIFAR), il colonnello Giovanni Minerva (gestore dell’intricato caso dell’aereo militare Argo 16 e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell’intero Servizio militare del dopoguerra) e il generale Gianadelio Maletti[34], che con il capitano Antonio Labruna (anch’egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
Fu avanzata l’ipotesi che la lista trovata nella villa di Gelli non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della commissione parlamentare, ai 962 della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l’anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, come evidenziato anche dalla Commissione Anselmi, in un’intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti.
Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000, mentre il 29 maggio 1977 il settimanale L’Espresso scrisse: «Loggia P2… È il nucleo più compatto e poderoso della massoneria di Palazzo Giustiniani: ha 2400 iscritti, la crema della finanza, della burocrazia, delle Forze Armate, dei boiardi di Stato, schedati in un archivio in codice… Gelli, interlocutore abituale delle più alte cariche dello Stato (si vede spesso con Andreotti ed è ricevuto al Quirinale), è ascoltato consigliere dei vertici delle Forze Armate, con amici fidati e devoti nella magistratura»[62].
Lo stesso Gelli, commentando la presenza di numerosi iscritti alla P2 nei comitati di esperti che si occuparono del rapimento di Aldo Moro (marzo-maggio 1978), ha affermato che la presenza di un elevato numero di affiliati alla loggia in questi era dovuto al fatto che al tempo molte personalità di primo piano erano iscritte, quindi era naturale che in questi se ne trovassero diverse. Gelli affermò che normalmente gli aderenti non erano a conoscenza dell’identità degli altri iscritti, ma che l’esistenza della Loggia P2 era comunque nota, avendone parlato anche in diverse interviste ben prima della scoperta della lista[63].
Si fecero delle ipotesi su chi potesse essere il vertice occulto dell’organizzazione, la vedova di Roberto Calvi dichiarò che Giulio Andreotti fosse il vero capo della loggia, mentre l’incarico di vice sarebbe stato ricoperto da Francesco Cosentino (il quale risultava iscritto tra le liste della P2 con la tessera n. 1618): di tale affermazione però non sono mai stati raccolti riscontri attendibili[64][65][66]. Anche Nara Lazzerini, per molti anni segretaria e amante di Licio Gelli, affermò nel 1981 e nel 1995 davanti ai magistrati che nell’ambiente della loggia si diceva che il vero capo fosse Giulio Andreotti[59]: «Gelli mi disse che fra i suoi iscritti nella sua Loggia massonica P2 vi era l’onorevole Andreotti […]. Ricordo che nell’ambiente P2 si diceva che il vero capo era Andreotti e non Gelli. Rammento, in particolare, che nel corso di un pranzo a Firenze, William Rosati e Ezio Giunchiglia mi dissero che il vero manovratore era Andreotti e che loro facevano tutto con Andreotti […].»
Rosati e Giunchiglia erano due leader regionali della Loggia P2: il primo gestore di una clinica privata e capogruppo della P2 per la Liguria con simpatie per l’estrema destra (tessera n. 1906 e morto nel 1984);[59][67][68][69] il secondo funzionario del Ministero della Difesa (tessera n. 1508) delle provincie Pisa e Livorno[59]. Giunchiglia durante il processo Gelli più 622 venne definito dalla PM Elisabetta Cesqui come un personaggio che si collocava «nella zona di maggiore ombra della P2 tra la sponda dei contatti con ambienti militari e informativi USA e quella che riconduce al commercio di armi».[70] Durante il processo per la strage di Bologna Lia Bronzi Donati, Gran maestra della Loggia tradizionale femminile (e figura femminile all’epoca più importante dell’universo massonico, e forse l’unica), dichiarò ai magistrati che la interrogavano come testimone che la lista degli affiliati alla P2 era composta da almeno 6000 nomi e che Andreotti era «la presenza al di sopra della Loggia P2»: notizia confidatale da William Rosati «divenuto il riferimento morale della P2 dopo il sequestro delle liste»[32][33]. Andreotti da parte sua aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires. Licio Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell’art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare), si rifugiò temporaneamente in Uruguay.
La commissione parlamentare Dopo la scoperta delle liste, Arnaldo Forlani nominò un comitato di tre saggi (Vezio Crisafulli, Lionello Levi Sandri e Aldo Mazzini Sandulli) per fornire elementi conoscitivi e critici sull’attività della P2.[55] Alla fine del 1981, per volontà della Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d’inchiesta, guidata dalla deputata democristiana Tina Anselmi[55], ex partigiana «bianca» e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di Stato. La commissione – che concluse i lavori nel 1984, produsse sei relazioni. La P2 fu oggetto d’indagine anche della commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante. Gli appartenenti alla P2 e Gelli furono assolti con formula piena dalle accuse di «complotto ai danni dello Stato» con le sentenze della Corte d’assise e della Corte d’assise d’appello di Roma tra il 1994 e il 1996[71].
Le conseguenze e le inchieste giudiziarie «La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, finanziarie e criminali […] Quanto al dottor Berlusconi, il suo interventismo attuale è sintomo della reazione di una parte del vecchio regime che, avendo accumulato ricchezza e potere negli anni Ottanta, pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni Novanta»
La Procura di Roma iniziò un procedimento contro Licio Gelli e una ventina di altre persone, accusate di cospirazione politica, associazione per delinquere ed altri reati. Dopo un’inchiesta durata quasi dieci anni, nell’ottobre 1991, il giudice istruttore presso il Tribunale penale di Roma chiese il rinvio a giudizio. Il processo durò un anno e mezzo e con sentenza in data 16 aprile 1994, depositata il successivo 26 luglio, la Corte proncunciò una sentenza d’assoluzione di tutti gli imputati dal reato di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché il fatto non sussiste. L’appello, proposto, fu rigettato, e il 27 marzo 1996 la Corte d’appello confermò la sentenza[73]. Nonostante le successive inchieste giudiziarie abbiano (non senza ricevere critiche da più parti) in parte rinnegato le conclusioni della commissione d’inchiesta, tendendo a ridimensionare l’influenza della loggia[71][74], la scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l’esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un’azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno – d’ordinario – desta scandalo: per l’Italia il fenomeno, almeno in questa forma subdola, illegale e sovversiva e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l’associazione fosse segreta ha immediatamente evocato allarmanti spettri, che le conclusioni dell’inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato. Il caso P2 ha certamente sensibilizzato la società italiana sui meccanismi attraverso i quali le scelte ed il potere politico possono venir influenzati dagli interessi di gruppi di potere non eletti, e quindi non pienamente legittimati a prender parte al dialogo politico.
Nel 1987 Licio Gelli fu condannato a 8 anni di carcere dalla Corte d’assise di Firenze per aver finanziato esponenti dell’estrema destra toscana, coinvolti negli attentati sulla linea ferroviaria Firenze-Bologna[55]. Due anni dopo, in appello, i giudici dichiararono di non dover procedere contro l’imputato perché, al momento della sua estradizione dalla Svizzera, erano stati esclusi i reati di tipo politico[55]. La Cassazione ordinò un nuovo processo, affermando che Gelli avrebbe dovuto essere assolto con formula piena[55] e il 9 ottobre 1991 la Corte d’assise d’appello di Firenze lo assolse con formula ampia[55].
Il 23 novembre 1995 Gelli venne condannato in via definitiva per depistaggio nel processo per la strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite[75]. Il depistaggio fu messo in atto, in concorso con il generale del SISMI Pietro Musumeci, aderente alla P2, il colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza[75], sistemando una valigia carica di armi, esplosivi, munizioni, biglietti aerei e documenti falsi sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981[76]. Licio Gelli è stato anche riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano collegato alla banca del Vaticano, lo IOR (vi si trovò un buco di 1,3 miliardi di dollari).
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri sono tornati nell’anonimato. Ad alcuni è stato revocato lo stigma sociale (Silvio Berlusconi è sceso in politica con successo, conseguendo quattro volte la Presidenza del Consiglio nel corso di quindici anni; Fabrizio Cicchitto rientrò in politica; Maurizio Costanzo pronunciò un autodafé e mantenne la sua carriera giornalistica). Proprio Berlusconi dichiarò ad Iceberg (programma di approfondimento politico in onda su Telelombardia): «Io non ho mai fatto parte della P2. E comunque, stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica, essere piduista non è un titolo di demerito. […] Ho letto dopo, di questi progetti. Una montatura: la P2 è stata uno scoop che ha fatto la fortuna di Repubblica e dell’Espresso, è stata una strumentalizzazione che purtroppo ha distrutto molti protagonisti della vita politica, culturale e giornalistica del nostro Paese»[77]. Massimo D’Alema, all’epoca Presidente del Consiglio, replicò: «Essere stato piduista vuol dire aver partecipato a un’organizzazione, a una setta segreta che tramava contro lo Stato, e questo è stato sancito dal Parlamento. Opinione che io condivido»[78].
Tra i personaggi politici menzionati nel famoso «programma di rinascita» elaborato per la P2 da Francesco Cosentino, Bettino Craxi confermò la previsione per cui avrebbe assunto il «predominio» nel suo partito e nel governo del Paese (anche grazie all’appoggio degli Stati Uniti d’America, che finanziarono il suo partito in chiave anti-PCI, come scriverà poco prima di morire nel suo memoriale consegnato al cognato Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano). Ad Antonio Bisaglia, invece, la morte improvvisa non consentì di soddisfare le previsioni su di lui espresse nel medesimo testo.
Dal 2007 Licio Gelli fu posto in detenzione domiciliare nella sua villa Wanda di Arezzo, per scontare la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In un’intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il governo Berlusconi II, ha raccontato: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa in 53 punti»[79].
Il Piano di rinascita democratica Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell’esistenza di un’organizzazione che mirava a prendere il possesso degli organi del potere in Italia: il Piano di rinascita democratica, un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l’avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un bilancio preventivo dei costi per l’acquisizione delle funzioni vitali del potere: «La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo».
Si indicavano come obiettivi primari il riordino dello Stato all’insegna dell’autoritarismo, accompagnato da un’impostazione selettiva e classista dei percorsi sociali. Tra i punti principali del piano vi era la semplificazione del panorama politico con la presenza di due grandi macropartiti, portare la magistratura italiana sotto il controllo del potere esecutivo, separare le carriere dei magistrati, superare il bicameralismo perfetto e ridurre numero dei parlamentari, abolire le province, rompere l’unità sindacale e riformare il mercato del lavoro, controllo sui mezzi di comunicazione di massa, trasformare le università in Italia in fondazioni di diritto privato, abolizione della validità legale dei titoli di studio e adozione di una politica repressiva contro la piccola delinquenza e avversari politici.
Le persone «da reclutare» nei partiti in cambio avrebbero dovuto ottenere il «predominio» (testuale) sulle proprie organizzazioni (nel piano vengono indicati «per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli»), mentre i giornalisti «reclutati» avrebbero dovuto «simpatizzare» per gli uomini segnalati dalla loggia massonica. Una parte dei politici indicati ebbero poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nell’esecutivo, tali personalità erano però considerate «da reclutare», tuttavia non è mai stato accertato con chiarezza se Gelli si sia messo in contatto con loro per il perseguimento degli scopi della P2.
Il controllo sui mass media La scoperta del Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti avvenuti all’interno dei mass media italiani alla fine degli anni settanta. La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole[34]. Per quest’operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani[34], dal banchiere Roberto Calvi[34], dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione[34]. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli. I Rizzoli, Andrea e il figlio Angelone, acquistarono la proprietà del Corriere di propria iniziativa da Giulia Maria Crespi, Gianni Agnelli e Angelo Moratti, poi si ritrovarono sotto una montagna di debiti[34]. Bruno Tassan Din, direttore amministrativo del giornale, dichiarò: «La Rizzoli fatturava 60 miliardi di lire l’anno ed altrettanti ne fatturava il Corriere: quindi la Rizzoli aveva acquistato un’unità grande come la Rizzoli facendo tra l’altro un debito a breve termine senza avere programmato e pianificato un eventuale ricorso al medio termine»[62]. Angelone Rizzoli spiegò che «per ottenere finanziamenti dei quali il nostro gruppo aveva bisogno l’unica strada praticabile era quella di rivolgerci all’Ortolani», giacché quando «qualche volta tentavamo di ottenere finanziamenti senza passare attraverso l’Ortolani ed il Gelli ci veniva immancabilmente risposto di no»[62]. Successivamente Andrea si ritirò a vita private e rimase a guidare il gruppo il figlio Angelone, il cui braccio destro Bruno Tassan Din gli presentò Gelli e Ortolani[81]. I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis (secondo la ricostruzione di Alberto Mazzuca i Rizzoli non furono sostenuti da Eugenio Cefis)[81], nel 1974 si decisero quindi per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli (Andrea e il figlio Angelone) quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio 1977 si appellarono al capo piduista: a quel punto entrò in scena Roberto Calvi, che aveva rapporti con lo IOR, e che grazie all’intermediazione di Gelli era entrato nell’operazione per rilevare il Corriere della Sera[34]. Si è affermato che il pacchetto azionario, pagato 200 miliardi di lire, ne valesse al massimo 60[34]. La concessione di nuovi fondi, provenienti dallo IOR, rese i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della P2 ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR[82].
Licio Gelli ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone[83]. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un’enorme capacità di manovra:
- Poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l’adesione all’area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica.
- Poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2.
- Poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata da una giunta militare golpista[84].
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 fu fondato un nuovo quotidiano locale: L’Eco di Padova: la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L’Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelone e si ritirò a vita privata. Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine fu fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo[85].
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del Tribunale di Forlì, e collaboratore del Giornale nuovo, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell’ambito di questo progetto, un’agenzia di informazione – alternativa all’ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di coinvolgere il direttore de il Giornale: «Avevo un grande ascendente su Indro Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare»[84].
Nonostante il tentativo non riuscisse (secondo persone vicine a Indro Montanelli, in realtà Buono non aveva alcun ascendente su di lui) almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale nuovo: lo stesso Buono e Michael Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2[86].
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perse dal 1981 al 1983 100.000 copie. Firme come Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia lasciarono via Solferino. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L’Occhio e il Corriere d’Informazione chiusero, mentre Il Piccolo, l’Alto Adige e Il Lavoro furono ceduti. Angelone Rizzoli e il direttore generale della casa editrice, Bruno Tassan Din (entrambi iscritti alla Loggia), ricevettero un mandato d’arresto e il gruppo fu messo in amministrazione controllata (4 febbraio 1983).
Il ruolo nella «strategia della tensione» Nel periodo della maestranza di Gelli, la P2 riuscì a riunire in segreto almeno un migliaio di personalità di primo piano, principalmente della politica e dell’amministrazione dello Stato, a fini di sovversione dell’assetto socio-politico-istituzionale italiano[49] e suscitando uno dei più gravi scandali politici nella storia della Repubblica italiana.
Nel materiale presente negli atti della Commissione parlamentare di inchiesta vi sono gli stessi scritti inviati da Gelli agli aderenti della sua Loggia che, all’inizio degli anni settanta, invitavano ad azioni politiche di emergenza: «Molti hanno chiesto – e non ci è stato possibile dar loro nessuna risposta perché non ne avevamo –, come dovremmo comportarci se un mattino, al risveglio, trovassimo i clerico-comunisti che si fossero impadroniti del potere: se chiuderci dentro una passiva acquiescenza oppure assumere determinate posizioni ed in base a quali piani di emergenza[87].»
Inseriti nella P2 furono molti ufficiali o politici coinvolti nel Golpe Borghese del 1970 (il generale Giovanni Torrisi, l’ammiraglio Gino Birindelli, il generale Vito Miceli) e/o in tentativi di golpe successivi come il generale Giovanbattista Palumbo (coinvolto anche nei depistaggi per l’attentato di Peteano, in cui morirono tre carabinieri) o Edgardo Sogno nel 1974 (e altri militari a lui collegati).
Sempre nel 1974 Gelli avrebbe sovvenzionato estremisti di destra coinvolti in attentati ferroviari. Di sovvenzioni ne hanno parlato diversi ex estremisti (seppur riferendosi a episodi diversi) come Marco Affatigato, Giovanni Gallastroni, Valerio Viccei, Vincenzo Vinciguerra e in particolare Andrea Brogi: «Cauchi già sapeva che alle elezioni del ’72 il Ghinelli aveva finanziato la sua personale campagna elettorale con piccoli e medi imprenditori dell’aretino116. Allora Cauchi pensò di tornare dal Gelli. Ci fu un primo incontro a Villa Wanda e qui Cauchi fu chiaro: il referendum sul divorzio lo avrebbero vinto le sinistre e quindi la destra sarebbe stata emarginata se non addirittura perseguitata e distrutta; perché la destra si mantenesse in piedi e perché la libera iniziativa fosse preservata ci voleva un gruppo che si organizzasse; su queste basi politiche Cauchi asserviva a Gelli che aveva il gruppo; in pratica avremmo fatto i partigiani alla rovescia [….] A Gelli e penso anche a Birindelli fu detto chiaramente che eravamo un gruppo che si armava e che era pronto alla lotta armata nel caso di una vittoria delle sinistre al referendum […][88].»
Sono emersi collegamenti, non sempre colti dall’autorità giudiziaria, fra P2 ed estremisti di destra anche in delitti gravi, come quello al giudice Occorsio del 10 luglio 1976, dove il magistrato stava indagando sulla loggia di Gelli, per primo, mentre fu ucciso da un commando di Ordine Nuovo guidato da Pierluigi Concutelli. L’ex estremista nero Paolo Bianchi raccontò: «Da Concutelli ho sentito parlare di una “grande famiglia” dove lui si recava completamente solo con la massima riservatezza. Non so a chi alludesse il Concutelli quando parlava della “grande famiglia”. Della grande famiglia posso dire però, come mi disse Calore, che peraltro non vi era in contatto, che dovevamo dare dei soldi al Concutelli non so per quale motivo e a quale scopo, certo è che questi soldi, come mi disse il Calore, dovevano servire per acquistare delle armi[88].» A Gelli e alla P2 sono stati attribuiti tutti i misteri d’Italia, dal progetto di golpe del generale Giovanni de Lorenzo del 1964 (piano Solo) fino all’inchiesta del 1993 sui rapporti tra mafia e politica in cui fu coinvolto Giulio Andreotti[34]. In particolare furono attribuiti alla Loggia P2 il presunto coinvolgimento nella strage dell’Italicus, il depistaggio sulla strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, gli omicidi di Mino Pecorelli (a Roma) e di Roberto Calvi (a Londra), i mancati risultati delle indagini durante il rapimento di Aldo Moro[89], velleità golpiste (secondo alcune testimonianze nel 1973 Gelli ipotizzò la formazione di un esecutivo di centro presieduto dal procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo e appoggiato dall’Arma dei Carabinieri)[34] e alcune affiliazioni con lo scandalo di Tangentopoli (conto protezione)[90].
I rapporti internazionali A livello internazionale, la P2 è stata associata alla preparazione del colpo di Stato argentino del 1976 (tramite José López Rega) e il successivo sostegno al regime di Jorge Rafael Videla tramite l’ammiraglio piduista e membro della giunta militare Emilio Eduardo Massera, al furto delle mani della salma di Juan Domingo Perón e di alcuni oggetti della sua tomba (apparentemente a scopo di riscatto, ma forse per usarne le impronte digitali onde accedere ai presunti conti svizzeri di Evita e Juan Perón)[91], e infine all’omicidio del politico svedese Olof Palme secondo una delle piste[92]. Uomini della P2 risultarono collegati alla società Permindex di cui facevano parte elementi della CIA e persone come l’imprenditore Clay Shaw, l’unico indagato per cospirazione nell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, e poi assolto[93].
I giudizi critici sullo scandalo Un giudizio critico estremamente drastico sulle origini, teorie e finalità dell’organizzazione è stato dato da Massimo Teodori, che partecipò come deputato radicale ai lavori della commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, nel suo libro Complotto! Come i politici ci ingannano (2014): «Sono trent’anni che si spaccia la patacca P2 come il grande complotto dietro i tanti misteri dell’Italia repubblicana»[94]: per lui la P2 non era altro che la faccia nascosta della partitocrazia denunciata dai radicali, non una centrale di complotti[95]. Anche il giornalista Indro Montanelli criticò queste teorie, sostenendo che la P2 era una mera e semplice «cricca di affaristi» in stile mafioso, senza volontà né capacità di vero pericolo golpista[96], affermando: «Spadolini propose lo scioglimento della P2 e fu un gesto doveroso. Ma il Giornale assunse subito una posizione controcorrente rispetto a quella ch’era la smisurata leggenda nera imbastita sulla P2. Che non aveva certo come fine l’eversione, la dittatura e le stragi, ma la creazione d’una società di mutuo soccorso per incettare palanche e poltrone. Perché poi Gelli e i suoi compari avrebbero dovuto proporsi il rovesciamento d’un regime che sembrava studiato apposta per i loro comodi? Quel ch’è certo è che se i piduisti approfittarono della congrega per arraffar posti, molti di quelli che ne reclamarono il crucifige lo fecero per occuparli a loro volta, profittando della purga dei titolari. Ci fu chi sostenne che il Giornale minimizzava la portata della P2 perché il suo editore vi era coinvolto. Infatti il nome di Berlusconi risultò nell’elenco. Ma prima di tutto non aveva mai avuto ruoli nella conduzione politica de il Giornale. E poi, come ho già raccontato soltanto il caso m’aveva salvato dal ritrovarmici anch’io. Sapevo quindi perfettamente quale valore dare a quella lista»[97]. In un’intervista dichiarò poi di non aver mai voluto infierire su chi avesse avuto la tessera piduista[98].
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«Più puntualmente nella sentenza assolutoria d’Assise 20.7.1983-19.3.1984 si legge (i numeri tra parentesi indicano le pagine del testo dattiloscritto della sentenza): “(182) A giudizio delle parti civili, gli attuali imputati, membri dell’Ordine Nero, avrebbero eseguito la strage in quanto ispirati, armati e finanziati dalla massoneria, che dell’eversione e del terrorismo di destra si sarebbe avvalsa, nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione” del paese creando anche i presupposti per un eventuale colpo di Stato.
La tesi di cui sopra ha invero trovato nel processo, soprattutto con riferimento alla ben nota Loggia massonica P2, gravi e sconcertanti riscontri, pur dovendosi riconoscere una sostanziale insufficienza degli elementi di prova acquisiti sia in ordine all’addebitalità della strage a Tuti Mario e compagni, sia circa la loro appartenenza ad Ordine Nero e sia quanto alla ricorrenza di un vero e proprio concorso di elementi massonici nel delitto per cui è processato.
(183-184) Peraltro risulta adeguatamente dimostrato: come la Loggia P2, e per essa il suo capo Gelli Licio […], nutrissero evidenti propensioni al golpismo; come tale formazione aiutasse e finanziasse non solo esponenti della destra parlamentare [..], ma anche giovani della destra extraparlamentare, quanto meno di Arezzo (ove risiedeva appunto il Gelli);
come esponenti non identificati della massoneria avessero offerto alla dirigenza di Ordine Nuovo la cospicua cifra di L. 50 milioni al dichiarato scopo di finanziare il giornale del movimento (vedansi sul punto le deposizioni di Marco Affatigato, il quale ha specificato essere stata tale offerta declinata da Clemente Graziani);
come nel periodo ottobre-novembre 1972 un sedicente massone della “Loggia del Gesù” (si ricordi che a Roma, in Piazza del Gesù, aveva sede un’importante “famiglia massonica” poi fusasi con quella di Palazzo Giustiniani), alla guida di un’auto azzurra targata Arezzo, avesse cercato di spingere gli ordinovisti di Lucca a compiere atti di terrorismo, promettendo a Tomei e ad Affatigato armi, esplosivi ed una sovvenzione di L. 500.000″.
“appare quanto meno estremamente probabile” – si legge a pag. 193 – che anche tale “fantomatico massone appartenesse alla Loggia P2». - ^ Tina Anselmi, Relazione di maggioranza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IX Legislatura – Resoconto seduta n. 163, 12 luglio 1984, p. 15749. URL consultato il 23 gennaio 2011 (archiviato il 18 maggio 2015).
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I lavori della commissione P2 La relazione della commissione parlamentare d’inchiesta, redatta ai presidenti della Camera e del Senato il 12 luglio 1984, asseriva che: «le liste sequestrate a Castiglion Fibocchi sono da considerare:
- autentiche: in quanto documento rappresentativo dell’organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo aspetto soggettivo
- attendibili: in quanto sotto il profilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti riscontri relativi ai dati contenuti nel reperto»
Commissione parlamentare d’inchiesta – 12 luglio 1984 La commissione parlamentare Anselmi e i successivi processi portarono a scoprire che alcune delle persone i cui nomi comparivano sulla lista erano tuttavia iscritti alla loggia P2 da prima della gestione Gelli e molte delle persone presenti nella lista negarono la loro partecipazione alla loggia massonica o sostennero di essere stati iscritti da conoscenti a loro insaputa. Inoltre nell’elenco stesso è specificato che 49 affiliati si erano posti “in sonno” (si erano, cioè, dimessi dalla massoneria), e 22 erano passati ad altre logge. L’affiliazione di Publio Fiori è stata esclusa con sentenza del Tribunale di Roma nel 2001. Altre liste, per un totale di 550 nomi (di cui 180 circa ricompaiono nell’elenco dei 962 precedenti), comprensivi degli affiliati che Gelli aveva provveduto a “riconsegnare” al Grande Oriente d’Italia sino al 6 ottobre 1976, furono prodotte in aula dal deputato socialdemocratico Costantino Belluscio, in data 1º luglio 1981[5]. Fu avanzata dalla Commissione Anselmi l’ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse l’elenco completo degli aderenti, e che molti altri importanti personaggi iscritti alla P2 siano riusciti a non restare coinvolti nelle indagini successive alla scoperta della lista. Nella ricostruzione della Commissione d’inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l’anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, in un’intervista del 10 luglio 1976 rilasciata al settimanale L’Espresso[6], aveva parlato circa di duemilaquattrocento iscritti, comprendendo nel conteggio anche gli stranieri. In un libro-intervista pubblicato nel 2006, l’ex “Venerabile” continuò a rimanere nel vago, limitandosi a ribadire che quello sequestrato a Villa Wanda non era che un “brogliaccio”, e che egli stesso aveva provveduto a distruggere gli originali durante la fuga a Caracas[7].
Tra le 963 persone inserite nell’elenco vi erano i nomi di 44 parlamentari, 2 ministri dell’allora governo, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell’esercito italiano, 4 dell’aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, i direttori e molti funzionari dei vari servizi segreti, docenti universitari, diversi giornalisti ed imprenditori. La lista è riportata quindi a scopo documentale, non probatorio, e non entra nel merito delle presunte affiliazioni in considerazione anche del fatto che molti dei personaggi inclusi nell’elenco hanno sempre professato la loro estraneità e hanno negato l’appartenenza alla loggia segreta.[8]
Le personalità Tra le 962 persone figuranti nella lista, vi erano i nomi di 119 alti ufficiali (50 dell’Esercito, 37 della Guardia di Finanza, 32 dei Carabinieri), 22 dirigenti di Polizia, 59 parlamentari, un giudice costituzionale, 8 direttori di giornali, 4 editori, 22 giornalisti, 128 dirigenti di aziende pubbliche, diplomatici e imprenditori[9]. Nell’elenco degli iscritti comparvero i nomi di Silvio Berlusconi, Vittorio Emanuele di Savoia, Giuseppe Aloia, Duilio Fanali, Ugo Ricci, Gino Birindelli, Edgardo Sogno, Sandro Saccucci, Salvatore Drago, Giacomo Micalizio, Giulio Caradonna, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista), Claudio Villa, Paolo Mosca e il personaggio televisivo Fabrizio Trecca (capo gruppo). Altri piduisti furono Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani (allora proprietario della Voxson), Gianantonio Minghelli, legato al clan del marsigliese Albert Bergamelli, Osvaldo Minghelli, generale della Polizia di Stato, il costruttore romano Mario Genghini, il costruttore edile Remo Orlandini, l’imprenditore Gabriele Cetorelli (attivo nel settore della grande distribuzione), Leonardo Di Donna (presidente dell’Eni), Duilio Poggiolini, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori, Vito Miceli, Gianadelio Maletti, Antonio Labruna.
La lista copriva un eterogeneo insieme di persona appartenenti a svariate figure lavorative e professionali.
- Militari e membri delle forze di polizia: 209
- Uomini politici: 67
- Dirigenti ministeriali: 52
- Banche: 49
- Industriali: 47
- Medici: 38
- Docenti universitari: 36
- Commercialisti: 28
- Avvocati: 27
- Giornalisti: 27
- Dirigenti industriali: 23
- Imprenditori: 18
- Magistrati: 18
- Liberi professionisti: 17
- Attività varie: 12
- Società private (presidenti): 12
- Società pubbliche (dirigenti): 12
- Segretari particolari (politici): 11
- Associazioni varie: 10
- Dirigenti RAI: 10
- Enti assistenziali e ospedalieri: 10
- Diplomatici: 9
- Compagnie aeree: 8
- Dirigenti comunali: 8
- Società pubbliche (presidenti): 8
- Architetti: 7
- Funzionari regionali: 7
- Antiquari: 6
- Compagnie di assicurazione: 6
- Dirigenti editoriali: 6
- Alberghi (direttori): 4
- Consulenti finanziari: 4
- Editori: 4
- Notai: 4
- Scrittori: 3
- Provveditori agli studi: 2
- Sindacalisti: 2
- Commercianti: 1
Note
- ^ Le liste dei nomi sono riportate nella “Relazione Anselmi” (relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta), nel libro primo, tomo primo, alle pagine 803-874 e 885-942, e nel libro primo, tomo secondo, alle pagine 213 e seguenti e 1126 e seguenti. Questa relazione fu presentata il 12 luglio 1984 dalla deputata democristiana Tina Anselmi, come conclusione dei lavori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia massonica P2, commissione che la stessa Anselmi aveva presieduto per quasi tre anni
- ^ L’elenco è riportato anche in: Mario Guarino e Fedora Raugeri, Gli anni del disonore: dal 1965 il potere occulto di Licio Gelli e della P2, Edizioni Dedalo, Bari, 2006, ISBN 88-220-5360-5 pag. 359 e succ.ve; in: Camillo Arcuri, Sragione di Stato, Rizzoli, Milano, 2006, ISBN 88-17-01344-7, pag. 155 e succ.ve e in: Avvenimenti, aprile 1984, inserto:Tutto sulla P2
- ^ La lista della P2 sequestrata a Licio Gelli
- ^ Voici la liste des 959 membres de la loge P2 Archiviato il 25 marzo 2015 in Internet Archive.
- ^ Aldo A. Mola, Storia della massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 1992, pagg. 799-802
- ^ Citata nella Relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, relativamente all’analisi dell’attendibilità della lista
- ^ Sandro Neri, Licio Gelli: parola di Venerabile, Aliberti, Reggio Emilia, 2006
- ^ Mario Guarino, Fedora Raugei, Elenco P2 di Castiglion Fibocchi, in Gli anni del disonore: dal 1965 il potere occulto di Licio Gelli e della Loggia P2 tra affari, scandali e stragi, Edizioni Dedalo, 2006, pp. 359-392, ISBN 88-220-5360-5. URL consultato il 21 agosto 2011.
- ^ Errore nelle note: Errore nell’uso del marcatore : non è stato indicato alcun testo per il marcatore MontanelliCervi
- ^ Alla conquista del Psi
- ^ Philip Willan, I burattinai. Stragi e complotti in Italia, Tullio Pironti editore 1993, pag. 56
- ^ Roberto Calvi, archiviata ultima inchiesta. “Ma fu omicidio fra Vaticano, mafia e P2. Rogatorie a Santa Sede, esiti inutili” – Il Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2016. URL consultato il 17 marzo 2018.
- ^ È scomparso il collega Giovanni Marras Archiviato il 6 maggio 2013 in Internet Archive., articolo sul sito web della Federazione Nazionale Stampa Italiana
- ^ Lista e suddivisione per categorie, su . URL consultato il 2 novembre 2008 (archiviato dall’url originale il 13 ottobre 2008).
Trascrizione ufficiale del “Piano di rinascita democratica”della loggia P2, pubblicata dalla relativa commissione parlamentare d’inchiesta Il piano di rinascita democratica (detto anche programma di rinascita nazionale o il Piano)[1] era una parte essenziale del programma della loggia massonica P2.
Venne materialmente redatto da parte di Francesco Cosentino, e consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale che avrebbe avuto al suo centro l’informazione.[2][3]
Venne scoperto e sequestrato il 4 luglio 1981[4] in un doppiofondo di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio Gelli, Maestro venerabile della loggia massonica P2, assieme al memorandum sulla situazione politica in Italia, poco dopo il rinvenimento della lista degli appartenenti alla P2. Fu successivamente pubblicato negli atti della commissione P2 sulla loggia massonica P2.[5]
Licio Gelli nel 2003 ha sostenuto che la coincidenza di talune parti del “Piano” con i programmi dei partiti attuali non sarebbe casuale.[6] In un’intervista dell’ottobre 2008 ha successivamente affermato che, sebbene tutte le forze politiche abbiano preso spunto dal Piano (tanto da indurlo a reclamare ironicamente i diritti d’autore), Silvio Berlusconi era l’unico che poteva attuarlo[7]. Dello stesso avviso furono Mario Guarino e Sergio Flamigni.[8] e Umberto Bossi[9]
Nel 2010 è stato reso disponibile on line dal giornale italiano Il Fatto Quotidiano.[10]
L’analisi della commissione P2 Nella relazione conclusiva dei suoi lavori parlamentari, la commissione Anselmi accertò l’esistenza di una struttura segreta che aveva elaborato un piano articolato di riforma dello Stato e della vita pubblica italiane, da realizzarsi entro un orizzonte temporale non precisato. Il piano fu redatto al di fuori delle sedi istituzionali preposte dalla Costituzione, e in assenza di un qualsiasi coinvolgimento democratico degli elettori e dell’opinione pubblica. Nel testo del piano diffuso dai media al tempo della scoperta, e reperibile su Internet, si delinea principalmente la fotografia di uno stato ideale, che avrebbe dovuto tendere a divenire realtà. Tuttavia, non sono analizzati la situazione esistente e la modalità di attuazione del piano: soggetti e attività, scadenze temporali, costi e modalità di finanziamento, strumenti normativi, politiche di gestione delle eccezioni e dei casi particolari, delle antinomie con normative preesistenti al piano, della gestione di un transitorio graduale dalle situazioni date a quella pianificata. Al termine dei lavori della commissione parlamentare d’inchiesta, non vi furono sostanzialmente ulteriori atti ufficiali del Parlamento a integrazione delle liste dei nominativi o del testo del piano di rinascita democratica, resi necessari dal rinvenimento di nuovi documenti o dal rilascio di nuove dichiarazioni alla stampa da parte di alcuni dei nominativi presenti nelle liste dei tesserati sequestrate dalle forze di polizia italiane.
Obiettivi principali I suoi obiettivi essenziali consistevano in una serie di riforme e modifiche costituzionali al fine di: «… rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori» In particolare andavano programmate azioni di Governo, di comportamento politico ed economico, nonché di atti legislativi, per ottenere ad esempio nel settore dell’istruzione di: «… chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio – posto di lavoro…»
Alcuni punti del piano sono stati completamente attuati mentre altri solo a livello parziale, nel campo istituzionale, di assetto economico nel mondo imprenditoriale e soprattutto nei mass media. Altri sono stati riproposti dalle forze politiche, anche di tendenza opposta. I principali punti furono:
- La nascita di due partiti: “l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI–PSDI–PRI–Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale).”
- Un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media. Il piano prevedeva il controllo – tramite acquisizione di quote e fondazione di nuove testate – di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all’epoca permesse solo a livello regionale); nonché l’abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione. L’abolizione del monopolio RAI era avvenuto prima della scoperta della loggia, con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1974 che liberalizzava le trasmissioni televisive via cavo.
- Superamento del bicameralismo perfetto attraverso una “ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera dei deputati e funzione economica al Senato della Repubblica)”.
- Riforma della magistratura: separazione delle carriere di e magistrato giudicante, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento, da operare mediante leggi costituzionali (punto I, IV e V degli obiettivi a medio e lungo termine – vedi infra).
- Riduzione del numero dei parlamentari[11].
- Abolizione delle Province[11].
- Abolizione della validità legale dei titoli di studio[11].
- Abolizione della figura del Presidente della Repubblica
Obiettivi strumentali
- la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
- la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari).
- la “legge sulla Presidenza del Consiglio e sui Ministeri” (Cost. art. 95) per determinare competenze e numero (ridotto) dei ministri, con eliminazione o quasi dei sottosegretari;
- riforma dell’amministrazione (relativa agli artt. 28, 97 e 98 Cost.) fondata sulla teoria dell’atto pubblico non amministrativo, sulla netta separazione della responsabilità politica da quella amministrativa (che diviene personale, attraverso l’istituzione dei Segretari Generali di Ministero) e sulla sostituzione del principio del silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso;
Provvedimenti economico-sociali[modifica | modifica wikitesto]
- eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti (eccettuato il 2 giugno, il Natale, il Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;
- alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare l’autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto;
- concessione di forti sgravi fiscali ai capitali stranieri per agevolare il ritorno dei capitali dall’estero;
- Riforma del mercato del lavoro;
- Trasformare le università in Italia in fondazioni di diritto privato.
TV e stampa
- immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.
- moltiplicazione delle reti radio e TV in nome della libertà di antenna (art. 21 della Costituzione), e la soppressione della RAI. Queste emittenti e i giornali dovevano essere coordinati da un’agenzia centrale per la stampa.
Sindacati
- ricondurre il sindacato alla sua «naturale funzione» di «interlocutore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assunto di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative» il sindacato non deve fare politica. In quest’ottica occorre «limitare il diritto di sciopero alle causali economiche ed assicurare comunque la libertà di lavoro»
- provvedere alla «restaurazione della libertà individuale nelle fabbriche e aziende in genere per consentire l’elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto»
Il primo obiettivo è collegato al tema della insufficiente delimitazione di chiari confini e della sovrapposizione di poteri, che indeboliscono lo Stato. Come esempio: «lo spostamento dei centri di potere reale del Parlamento ai sindacati e dal Governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria»
I due obiettivi si realizzano con due ipotesi:
- sollecitazione alla rottura di CISL e UIL e successiva unione con i sindacati autonomi;
- controllo delle correnti interne: «acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederali allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti.» Lo Statuto dei lavoratori art. 17 vietava il finanziamento a sindacati di comodo. È lasciato come ultima scelta «un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della libertà di lavoro e della tutela economica dei lavoratori»
Ordinamento giudiziario:
- unità del Pubblico Ministero con gli altri magistrati (nell’ordinamento vigente, invece, il P.M. è distinto dai Giudici, a norma della Costituzione – articoli 107 e 112);
- riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale);
- riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile.
Ordinamento del Governo:
- modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso l’elezione del successore;
Ordinamento del Parlamento:
- nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2º grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati – ex funzionari e imprenditori pubblici – ex militari, ecc.);
- preminenza della Camera dei Deputati nell’approvazione delle leggi; Senato delle Regioni focalizzato sulla legge di bilancio.
Ordinamento di altri organi istituzionali:
- Corte Costituzionale: sancire l’incompatibilità successiva dei giudici a cariche elettive ed in enti pubblici; sancire il divieto di sentenze cosiddette attive (che trasformano la Corte in organo legislativo di fatto);
- Abolire le Province.
- Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare i bilanci deficitari con onere del pubblico erario e abolire il monopolio RAI.
Il ruolo della stampa:
Note«che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Il Giorno, Il Giornale, La Stampa, Il Resto del Carlino, Il Messaggero, Il Tempo, Roma, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: L’Europeo, L’Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV non va dimenticata.»
Il Piano di Rinascita Democratica – La commissione parlamentare d’inchiesta
Relazioni di minoranza
000. relazione Anselmi
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005. relazione Pisano
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Fonte: fonti Italiarepubblicana.it
- ^ Anche definito “programma di rinascita nazionale”, sulla falsariga di quello annunciato da Napoleone Bonaparte nel Proclama al popolo francese del 19 brumaio 1799: per stralci del suo contenuto, cfr. Alberto Mario Banti, Napoleone e il bonapartismo. Lezioni di storia, Laterza, i volti del potere, 7 dicembre 2008.
- ^ Giuseppe Ferrara, L’assassinio di Roberto Calvi, Editore Massari, 2002, p. 19.
- ^ Massimo Teodori, P2: la controstoria, SugarCo Edizioni, 1986.
- ^ Giuliano Turone, Italia occulta, Chiarelettere, 2019, pp. 39-40
- ^ IX Legislatura, Allegati alla relazione serie II: documentazione raccolta dalla Commissione Volume terzo Documenti citati nelle relazioni Tomo VII-bis, Doc. XXIII n. 2-quater/3/VII-bis, pp. 611-625
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- ^ “Berlusconi? Può attuare mio piano” Bufera per frasi di Gelli, il PD insorge Archiviato il 7 marzo 2011 in Internet Archive., La Stampa, 31 ottobre 2008
- ^ AA.VV., Dossier P2, Kaos Edizioni
- ^ Umberto Bossi, Tutta la verità, Sperling & Kupfer 1995, pagg. 31-32. «Berlusconi è la materializzazione di un sogno antico, accarezzato da quel tale Licio Gelli… Andate a rileggervi il Piano di rinascita… Forza Italia è un partito tutt’altro che nuovo, è la riedizione – con lo stile e i mezzi degli anni Novanta – delle “premonizioni” gelliane. Al pari della Loggia P2, il partito berlusconiano è un’invenzione di uomini di potere, una creatura costruita in laboratorio e messa in circolo attraverso il monopolio televisivo privato… La Loggia P2 era nata per tutelare grandi interessi affaristico-massonici attraverso il diretto controllo del potere politico e dei corpi dello Stato; Forza Italia nasce allo scopo di perseverare il potere politico-affaristico del gruppo Fininvest e delle “entità” che lo hanno generato, non più tutelati dall’asse di ferro DC–PSI»
- ^ Testo in formato pdf del Piano di Rinascita Democratica della P2 commentato da Marco Travaglio –
- ^ Salta a:a b c Mario Guarino, Fratello P2 1816
Intervista di Maurizio Costanzo Quando uscì l’intervista – otto settimane dopo la strage alla stazione di Bologna – mancavano ancora cinque mesi alle perquisizioni a Castiglion Fibocchi e a Villa Wanda. Perquisizioni che portarono alla scoperta della lista degli iscritti, da cui si venne a sapere che intervistatore e intervistato erano “fratelli” di tessera Il Corriere della Sera, domenica 5 ottobre 1980
Il fascino discreto del potere nascosto
Parla, per la prima volta, il signor P2 Licio Gelli, capo indiscusso della più segreta e potente loggia massonica, ha accettato di sottoporsi a un’intervista esponendo anche il suo punto di vista. L’organizzazione: «un Centro che accoglie e riunisce solo elementi dotati di intelligenza, cultura, saggezza e generosità per rendere migliore l’umanità». L’album di famiglia: da Giuseppe Balsamo (Cagliostro) a Giuseppe Garibaldi. «Una repubblica presidenziale sull’esempio di De Gaulle». Una frase di Aldo Moro. «Sì, ero all’insediamento di Carter per simpatia». In Italia otto servizi segreti: troppi. I politici: «lavorano nell’interesse del paese oppure solo nell’interesse dei partiti?». L’economia e la moglie di Adenauer. Un consiglio al prossimo presidente del Consiglio: «meno programmi, più fatti». Nella galleria dei personaggi inavvicinabili è tra i più inavvicinabili: si chiama Licio Gelli, ha sessant’anni, è di Arezzo e non so cosa abbia scritto sulla carta d’identità alla voce professione: industriale? Diplomatico? Politico? In realtà il suo nome compare spesso come il capo indiscusso di una segreta e potente loggia massonica, la «P2», e rimbalza di continuo in questioni di non facile identificazione. Nel corso di questa intervista ha espresso, credo per la prima volta, opinioni, pareri, raccontato episodi. Ma non mi illudo: è solo una delle sue facce, le altre sono celate in qualche parte del mondo.
Quattro anni fa io l’avevo invitata a una puntata di «Bontà loro». Declinò l’invito. Per timidezza? Per mantenere mistero intorno alla sua persona? Perché non ravvedevo nella mia persona requisiti tali per essere intervistato alla tv.
Come mai adesso ha accettato questo colloquio? Per premiarla della costanza che ha avuto nell’inseguirmi per quattro anni. Così, dopo questa intervista, spero per altri quattro anni di stare tranquillo.
Cosa c’è di vero in tutto quello che si è detto e si dice su di lei e sul conto della sua Istituzione, cioè la massoneria? Le dirò che sotto un certo aspetto la cosa è umoristica, perché solo grazie a questo tipo di stampa scandalistica ho potuto conoscere fatti ed episodi della mia vita che ignoravo completamente. D’altra parte, mi pare che in questo paese, attualmente, è consentito a chiunque di dire quello che pensa, anche se quello che dice è frutto di pura e accesa fantasia.
Ancora di recente alcuni giornali hanno parlato di questa loggia segretissima della massoneria, la «P2». Lei ne sarebbe il capo incontrastato. Cos’è la «P2»?Siamo veramente stanchi di dover ripetere all’infinito che cosa è questo e cosa è quello. Venga una sera a farci visita e vedrà che quando uscirà si sentirà in spirito massone anche lei. Comunque confermo, per l’ennesima volta, si tratta di un Centro che accoglie e riunisce solo elementi dotati di intelligenza, di alto livello di cultura, di saggezza e soprattutto, di generosità, che hanno un indirizzo mentale e morale che li spinge ad operare unicamente per il bene dell’umanità con lo scopo, che può sembrare utopistico, di migliorarla.
Ma oggi, con tutto quello che si dice e si scrive della «P2», c’è ancora chi vuole entrarci?Mai come oggi abbiamo ricevuto domande di adesione e sono sempre in aumento. Molte di queste adesioni le dobbiamo proprio alla propaganda indiretta e gratuita di certi giornali che con le loro fantasmagoriche rivelazioni ci hanno attirato stima, rispetto e simpatia.
Quanti sono attualmente gli iscritti alla «P2»?Le rispondo che sono molti, ma non vedo la ragione per cui dovrei darle un numero definito. Vede, quando si ha a che fare con una bella donna, non mi sembra di buon gusto chiederle, per pura curiosità, quanti anni ha.
Dato il numero che, a quanto capisco, deve essere elevato, come fa a controllare e ad incontrare gli aderenti? Un amante di classe non rivela mai i suoi metodi per incontrarsi con una donna, così come un generale non svela mai i piani di difesa. Quando abbiamo bisogno di vedere qualcuno o per uno scambio di idee oppure soltanto per prendere il caffè insieme, abbiamo i nostri sistemi per incontrarlo e le assicuro che è un sistema che non hai fallito.
Ho letto su un settimanale che lei sarebbe attualmente in cattivi rapporti con il Gran Maestro Battelli e in alleanza con Salvini e Gamberini. E qual è la sua vera posizione nella massoneria di palazzo Giustiniani?La mia posizione è regolarissima e legittima sotto ogni riguardo. Ne chieda conferma al Gran Maestro. I miei rapporti con lui sono ottimi sotto ogni aspetto, come solo possono esistere tra due persone che si stimano reciprocamente. A proposito dell’alleanza con Salvini e Gamberini, mi rendo conto che lei non conosce affatto la nostra filosofia, altrimenti saprebbe che tra noi, una volta instaurati, è difficilissimo che i rapporti vengano interrotti, dato che la nostra Istituzione bandisce tutti quei termini che vengono anche troppo spesso usati da certi rotocalchi.
Perché, allora, su alcuni giornali un certo ingegner Siniscalchi ha avuto e continua ad avere nei suoi confronti un così palese risentimento?Io non conosco e non tengo a conoscere l’ingegner Siniscalchi e sia ben chiaro, quindi, che quello che ha affermato e continua ad affermare non mi tocca nel modo più assoluto. So che una volta era massone e non so se tuttora lo sia. Io, al contrario, non nutro nessuna avversione per lui, anzi, quella sera che si esibì in tv dando fantasiose, deliranti ed assurde risposte, tutta la mia reazione si ridusse ad una sola frase che rivolsi a un amico: “Vedi, quella è una persona a cui credo si dovrebbe stare più vicini perché probabilmente non sta molto bene e soffre di solitudine”. In quel caso avrei dovuto esprimermi acerbamente, ma nel vedere quella figura così patetica rimasi sopraffatto da un sentimento di tenerezza e di profonda commiserazione.
Sto conducendo una serie di colloqui con i rappresentanti del potere occulto in Italia. Lei ne è a pieno diritto un esponente. È d’accordo? A dire la verità, mi sorprende di essere in questa serie di interviste, ma il piacere di conoscerla è il motivo che mi ha fatto accettare. Io non mai ritenuto di avere un potere occulto come mi viene attribuito. D’altra parte non posso impedire che gli altri lo suppongano.
Mi sembra per altro singolare che ogni qualvolta in Italia capita qualcosa di inconsueto, si faccia subito il suo nome e quello della sua loggia. Sapesse quante volte mi sono posto la domanda, chiedendomi quale partito, organizzazione o personaggio avrebbe potuto trarre vantaggio dall’attribuirmi o attribuirci certi avvenimenti! Sorgono una infinità di interrogativi: non sappiamo se si tratta di strategie intese a depistare qualche inchiesta, oppure di tentativi di screditarci agli occhi dell’opinione pubblica, o di voce messe in circolazione, per puro risentimento, da qualche grosso personaggio respinto dalla nostra Istituzione, oppure, in ultima ipotesi, se la gente crede che davvero siamo dotati di potere soprannaturali. Il che, in fondo in fondo, potrebbe anche essere o, per lo meno, potrebbe stato vero in altri tempi: basti ricordare che abbiamo avuto con noi un “mago” come Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, ed un trascinatore d’uomini della portata di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei Due Mondi.
È a conoscenza di un rapporto inoltrato da Emilio Santillo al Ministro degli Interni? Secondo questo rapporto lei sarebbe al vertice del potere più grosso della Repubblica.È difficile rispondere a questa domanda, ammesso che siano vere le affermazioni pubblicate dai giornali. Io annovero moltissimi amici sia in Italia che all’estero. Ma tra l’avere amici e avere potere, ci corre e molto. Pur tuttavia c’è un fondo di vero in queste affermazioni: avendo sempre agito nell’osservanza di certi principi etici di base, sono riuscito ad accattivarmi la stima e la simpatia di molti, anche se, contemporaneamente e inevitabilmente, ho suscitato antipatie.
Come mai l’Espresso e Panorama sono così accaniti contro di lei?Perché probabilmente hanno saputo che, un giorno ad un amico che sostava nella saletta di attesa, passai, tanto per distrarlo, una copia dell’Espresso e di Panorama ed anche un elenco telefonico, dicendogli che solo in quest’ultimo avrebbe potuto trovare qualche verità. Anzi, se lei conosce i direttori di Panorama e dell’Espresso, mi usi una cortesia: da due mesi ho un nipote che si chiama Licio. Licio Gelli, come me. Quindi il materiale per poter scrivere non mancherà.
Si dice che lei sia stato repubblichino, golpista, che però in seguito non abbia disdegnato frequentazioni di opposta tendenza. Insomma, mistero nel mistero, qual è il suo orientamento politico?Mi è capitato spesso di non ricordarmi nemmeno il mio nome: non pretenda, perciò, che mi ricordi il mio orientamento politico. Me lo chieda un’altra volta. Forse allora potrò darle una risposta meno vaga e per quanto riguarda gli incontri che io non disdegnerei, le dico che io mi incontro con qualsiasi persona senza domandare che tessera ha in tasca.
Sbaglio o in più occasioni lei si è espresso a favore di una repubblica presidenziale?Sì, anche in una relazione che inviai al presidente Leone. La relazione terminava portando ad esempio de Gaulle.
Facciamo un po’ di fantapolitica, se lei fosse nominato presidente della Repubblica, manterrebbe la Costituzione?Ogni uomo deve conoscere i suoi limiti, non mi sento perciò di possedere i requisiti per fare il presidente della Repubblica. Ma quando fossi eletto, il mio primo atto sarebbe una completa revisione della Costituzione. Era un abito perfetto quando fu indossato per la prima volta dalla nuova Repubblica, ma oggi è un abito liso e sfibrato e la Repubblica deve stare molto attenta nei suoi movimenti per non rischiare di romperlo definitivamente. È il parto dell’Assemblea Costituente avvenuto in un momento del tutto particolare nella vita della nostra nazione, ma che oggi, a cose assestate, risulta inefficiente e inadeguato. E, oltre tutto, non è più coerente con lo spirito che l’ha emanata, perché porta tuttora articoli di carattere transitorio.
Ma cos’è per lei la democrazia?Le racconterò di un incontro che ebbi con Moro quando era Ministro degli Esteri. Mi disse: “Lei non deve affrettare i tempi, la democrazia è come una pentola di fagioli: perché siano buoni, devono cuocere piano piano piano”. Lo interruppi dicendo: “Stia attento, signor ministro, che i fagioli non restino senza acqua, perché correrebbe il rischio di bruciarli”.
Siamo di nuovo alla crisi di Governo. Lei darebbe la presidenza ai socialisti?Certamente, ma con la presidenza della Repubblica ad un democristiano e le aggiungo anche che questo, secondo me, dovrebbe avvenire al più presto se vogliamo evitare la caduta del paese nel baratro.
Tra le tante cose che si dicono di lei si sussurra anche sia in grado di di condizionare molti autorevoli banchieri. Ammesso che sia vero questo condizionamento, è in favore di un miglioramento della situazione economica italiana o piuttosto di un tornaconto personale o dei suoi amici? Noi non abbiamo mai condizionato nessuno sia perché non possediamo strumenti di condizionamento sia perché non abbiamo nessun interesse né personale né per conto di nostri amici. Posso dirle che quando ci viene richiesto, e se è possibile, cerchiamo di facilitare l’aiuto richiesto.
Legano il suo nome a quello di Michele Sindona. È un pettegolezzo?No, non è pettegolezzo. Ed io sono andato a fare la nota deposizione negli Stati Uniti a suo favore. Perché quando un amico è in disgrazia per infami reati, dobbiamo essergli più vicini di quando si trova in auge. Comunque il mio nome è legato non solo a quello di Sindona, ma a tanti altri personaggi. Anche a quello del presidente della Liberia, Tobler, che iniziai alla massoneria nel palazzo presidenziale di Monrovia, e che venne ucciso recentemente in un golpe. Grazie a Dio per questo golpe non ci hanno coinvolto.
Se Andreotti e Fanfani le chiedono un favore, a chi lo fa più volentieri o a chi non lo fa per nulla? Purtroppo non le posso rispondere perché fino ad oggi nessuno dei due mi ha mai chiesto un favore.
Voterebbe per Carter o per Reagan? Per Reagan. Secondo certe previsioni credo che sarà lui il presidente degli Stati Uniti.
Mi risulta che lei fu invitato all’insediamento alla Casa Bianca del presidente Carter. Perché? Forse per simpatia.
A proposito di previsioni mi hanno riferito che lei, giorni orsono, aveva pronosticato la caduta del governo Cossiga entro settembre. È anche veggente? È vero che ho fatto questa previsione, mi pare l’8 settembre. Ma non perché sono un veggente, solo perché vivo secondo una certa logica. D’altra parte, sapevo benissimo che, ormai, il Governo Cossiga era clinicamente morto anche se una certa cerchia di politici aveva interesse a tenerlo in vita apparente, almeno fino a tutto dicembre. È chiaro che si tratta di una pia illusione perché, se uno avesse analizzato i contrasti che giornalmente avvenivano tra i componenti della compagine governativa, sarebbe giunto facilmente alle mie conclusioni. E a questo punto, secondo il mio giudizio, si dovrebbe muovere un serio appunto a questi politici i quali, per mire partitiche, non si sono minimamente preoccupati degli interessi del paese, protesi unicamente a ricercare formule di sopravvivenza di un organismo moribondo. Distraendo, così, gran parte delle loro energie alla ricerca di soluzioni valide per i gravi problemi della nazione ai quali avrebbero dovuto dedicarsi completamente. Questo è il nostro dramma: e fino a quando non lo avremo risolto, il paese non potrà mai beneficiare di un benessere veramente solido e non evanescente come quello attuale.
Mi lasci indovinare, da quel che sta via via rispondendo, non credo ami molto il sindacato, vero?La normativa e l’applicazione del cosiddetto Statuto dei Lavoratori non ha bisogno di commenti. Mi sembra che l’Italia sia l’unica nazione in tutto il mondo ad avere una legge di questo tipo, ma i risultati dal 1970 ad oggi sono, purtroppo, più che evidenti. Certe conquiste ci ricordano che anche Pirro vantò la sua vittoria.
Cosa pensa dell’attuale Sommo Pontefice? Lei e la sua Organizzazione avete rapporti anche con lui? Il Sommo Pontefice è sempre il capo della Cristianità ed io, e parlo per me e non per altri, ho sempre avuto per lui il rispetto che gli è dovuto. La mia Organizzazione ha rapporti con tutti. Le posso assicurare che la nostra è l’unica Associazione che ammette soltanto i credenti.
Dimenticavo. sembra che della «P2» facciano parte alti esponenti dei servizi segreti. Lei adesso lo negherà, ma non lo sembra che in Italia i servizi segreti abbiano spesso sofferto di deviazioni ed omissioni?A prescindere dal fatto che non ricordo chi fa parte dell’Istituzione, per quanto riguarda l’efficienza dei servizi segreti non sta a me giudicarla. Posso solo dirle che ogni paese ne ha un paio e noi ne abbiamo otto e nonostante il gran numero, i risultati sono evidenti.
Suppongo che lei non abbia in alta considerazione i nostri politici. Proviamo a elencare i loro difetti? Cosa devo dirle? Credo che i partiti scelgano i migliori elementi che hanno a disposizione per destinarli ai posti guida, ma come avrà notato, nonostante l’alternarsi di questi “geni”, le cose vanno di male in peggio.
Ci sorge quindi spontanea la domanda: questi “geni” lavorano esclusivamente nell’interesse del paese oppure solo nell’interesse del loro partito? Penso che in questa ultima ipotesi non riusciranno mai, nonostante la loro bravura, a riunire in un unico crogiuolo i vari componenti necessari per fondere una lega che dovrebbe proteggere gli interessi del popolo. L’unica alternativa a questo concetto è che poi non sono così bravi come si vorrebbe far credere e quindi nella loro meschina mediocrità non riescono a comprendere le esigenze del popolo o non riescono a sentire le loro responsabilità. In casi come questi, è più che accettabile l’affermazione del ministro Giannini: “Se fossi stato giovane, me ne sarei andato dall’Italia”.
La caduta del Governo Cossiga ha procurato immediati nuovi problemi all’economia italiana. Dato che lei, con grande distacco e con apparente modestia, sembra fornire indicazioni su ogni problema, cosa pensa, appunto, dell’economia italiana?Lo stato della medesima è disastroso, tuttavia potrebbe risolversi, ma solo a patto che qualcuno avesse il coraggio di far presente, in modo esplicito, in quale stato versa la nostra economia e in quali condizioni si verrà a trovare nel prossimo futuro se non si prenderanno energici provvedimenti. È chiaro però che nessun uomo politico avrà la forza morale di prendere provvedimenti del genere che, almeno inizialmente, sarebbero impopolari e gli allontanerebbero, di conseguenza, molti suffragi elettorali. Perciò preferisce fare quello che fa: lo struzzo quando ha paura. Quello che ci dispiace è che questa mancanza di decisione e di controllo si ripercuota su di noi. Mi spiego meglio: se il Ministero dell’Industria e del Commercio, che concede ad occhi chiusi la possibilità di importare forti contingenti di prodotti tipicamente italiani, la cui introduzione sul mercato interno provoca automaticamente disagi economici e stasi o riduzione occupazionale per molte nostre aziende, si rendesse pienamente conto delle deleterie conseguenze delle sue concessioni, dovrebbe indubbiamente prendere provvedimenti adeguati per ovviare a questo stato di cose. Se l’organo preposto stabilisse una statistica dei prodotti finiti che importiamo e li traducesse in tempi lavorativi tenendo conto di quanti lavoratori di ogni specifico settore sono a regime di cassa integrazione o, peggio, disoccupati per mancanza di lavoro, potrebbe fare in modo di ridurre il plafond delle importazioni fino a raggiungere il completo riassorbimento di questo personale inutilizzato.
Mi scusi, non è possibile che tutto vada male e così male. Ad esempio, non potrà negare gli ormai indiscutibili vantaggi dati dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Economica Europea. Allora, la prego di scusarmi lei: ma ho l’impressione che di economia non sia molto aggiornato. Provi a chiederlo a sua moglie. Adenauer, lei lo saprà, gestiva la politica facendosi informare dalla moglie sull’andamento del mercato. Vede, i vantaggi per l’Italia sono quelli di pagare molto di più i prodotti di largo consumo. Perché, se non fossimo legati alla CEE o se la Costituzione dell’Europa Unita fosse meno sfacciatamente favorevole ai paesi più ricchi di prodotti di base, il popolo italiano si troverebbe assai meglio. Così come stanno le cose, i vantaggi della Comunità vanno a senso unico e questo senso non è certo a favore dell’Italia.
Si spieghi meglio, dato che io, come quasi tutti gli italiani non so niente o poco di economia.Bene, mi spiego con un esempio: in Italia la carne costa mediamente tredici dollari al chilo, estrogeni compresi; se invece che dai paesi esportatori della Comunità ci fosse consentito di approvvigionarci dai paesi dell’America Centro-Meridionale avremmo della carne, priva di estrogeni purtroppo, ad un prezzo di circa cinque dollari al chilo. Va da sé che, in questo caso, la nostra popolazione avrebbe ottima carne ad un costo notevolmente inferiore.
Ancora una domanda sull’economia. Qual è la sua opinione sui grandi operatori economici italiani e sulla Confindustria? A proposito degli operatori economici pochi di essi si salvano: la maggior parte non è un granché. Molto probabilmente difettano di idee, di iniziative, di decisioni e non sanno difendere il sistema industriale. Oppure, più semplicemente, non sono stati all’altezza di seguire l’evoluzione dei tempi. Mentre la Confindustria penso che abbia solo un ruolo puramente rappresentativo. Potrebbe far meglio se riuscisse a sganciarsi dai carri politici.
Mi lasci indovinare: è a favore della pena di morte?Se lei facesse un sondaggio nei paesi in cui vige ancora la pena capitale, vedrebbe che non vi accade quello che sta succedendo nei paesi che l’hanno abolita. Non più tardi dello scorso anno un giornale ha pubblicato che nell’Unione Sovietica una persona è stata condannata a morte e giustiziata per aver ferito, ripeto ferito, un agente di polizia. Mi risulta che in quello stato siano rarissimi i furti, le rapine a mano armata, lo spaccio di stupefacenti e che siano del tutto inesistenti i sequestri di persona e gli atti di terrorismo. E dirò di più, nella democraticissima Francia è ancora in vigore la pena di morte.
In questo piano di evidente moralizzazione che lei propone, sarebbe favorevole, invece, alla liberalizzazione delle droghe leggere?Mi meraviglio che mi rivolga questa domanda, perché penso che anche lei abbia dei figli e quindi sa o dovrebbe sapere, che le disgrazie di una nazione e delle famiglie che la costituiscono sono dovute principalmente, anzi esclusivamente alla droga, i cui effetti non si esauriscono nell’individuo, ma riaffiorano anche nelle generazioni future. L’argomento mi disgusta: parliamo d’altro, se ancora mi deve chiedere qualcosa.
Quale consiglio darebbe al prossimo Primo Ministro?Di fare meno programmi e più fatti. O meglio, i programmi enunciati non dovrebbero restare allo stadio di programmi, come è avvenuto fino ad oggi. Perché promettere e non mantenere è la cosa che più infastidisce la popolazione.
Alla domanda: cosa vuoi fare da grande? cosa rispondeva?Il burattinaio.
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco