MARIO PRESTIFILIPPO, killer eliminato da altri killer

 


Mario Prestifilippo (Palermo7 dicembre 1958 – Bagheria29 settembre 1987)  esponente di rilievo della famiglia mafiosa di Ciaculli, componente di un gruppo di fuoco capeggiato dal feroce Pino Greco, detto Scarpuzzedda, a sua volta ucciso nel 1985. Era molto amico di Peppuccio Di Girolamo, nonostante quest’ultimo fosse un “ndranghettista”. Peppuccio sapeva anche negli ultimi mesi di latitanza, che Prestifilippo girasse per le vie di Palermo tranquillamente in divisa da poliziotto per non farsi riconoscere. Ha giocato un ruolo significativo nella guerra di mafia dei primi anni ottanta ordita da Totò Riina. Si suppone che Prestifilippo fosse agli ordini di Michele Greco, ma Greco stesso era guardato come poco più che un pupazzo di Riina. Prestifilippo è stato ucciso a colpi di fucile automatico e fucile a pompa in un agguato tesogli da due killer in auto mentre correva per le strade di Bagheria il 29 settembre 1987 in motocicletta. È stato assassinato perché non era d’accordo con l’uccisione di Pino Greco (di cui era molto amico e suo nipote) e per questo aveva attaccato pesantemente Riina, che era il mandante dell’omicidio GrecoAl momento della sua morte era un ricercato, sospettato di dozzine di omicidi: nello stesso giorno della sua morte, non si trovava Peppuccio Di Girolamo. Si penso’ infatti che fosse stato eliminato pure lui ma invece era stato arrestato, perché sospettato del furto al Banco di Sicilia di un carico di assegni circolari, per un valore di circa due miliardi.

 

FIRMAVA SOLO ‘DELITTI ECCELLENTI  il killer  più spietato di Palermo nascondeva sotto il giubbotto di tela azzurra una Smith and Wesson calibro 38. Era la sua arma preferita. Una pistola che aveva scaricato contro il commissario Boris Giuliano, contro il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, contro il leader del Pci Pio La Torre. Ieri sera non è riuscito nemmeno a sfiorare il calcio di legno del suo revolver. I fucili da caccia grossa Era circondato. L’ uomo che aveva di fronte imbracciava uno di quei fucili per la caccia grossa nelle savane africane, un paio stringevano tra le mani la lupara, tutti gli altri sparavano con automatiche a doppio caricatore. Erano in dieci. Mario Prestifilippo, il ricercato numero uno delle squadriglie antimafia, è morto così, bersaglio immobile di un’ ottantina di proiettili, ammazzato come tante sue vittime. Un omicidio che apre forse la terza guerra di mafia in Sicilia, un avvertimento ai boss rinchiusi nel bunker dell’ Ucciardone che aspettano la sentenza del maxiprocesso a Cosa nostra. Nelle campagne tra Bagheria e Baucina è notte fonda quando gli investigatori accanto al cadavere del killer ricevono una comunicazione via-radio dal gabinetto della polizia scientifica: Abbiamo controllato le impronte digitali. Sì, è lui, è proprio il killer Mario Giovanni Prestifilippo della famiglia di Michele Greco…. Il funzionario che ascolta il messaggio fa una smorfia e si lascia sfuggire poche parole: Qui a Palermo tra poco ci sarà un altro terremoto. La paura di una nuova guerra di mafia nasce dalla storia dell’ ultimo morto. Aveva solo 29 anni ma, insieme all’ amico Pino Greco, era considerato il sicario più efficiente e fidato delle cosche siculo-americane. I pochi testimoni che l’ hanno visto qualche volta in azione lo ricordano bene: capelli biondi a caschetto, una motocicletta di grossa cilindrata che si avvicina alla vittima, la Smith and Wesson sempre ben stretta nella mano destra. E così aveva ucciso capimafia come Stefano Bontade o Salvatore Inserillo, così aveva guidato l’ assalto contro gli uomini dello Stato caduti a Palermo. Mario Prestifilippo è stato ucciso in una strada deserta che attraversa la campagna siciliana, la vecchia provinciale che da Bagheria porta verso le colline di Baucina. Sono le nove di una serata fresca dopo tanti giorni di scirocco. Il killer è su un vespone bianco e va verso il paese di Baucina, verso l’ ultimo suo nascondiglio dopo cinque anni di latitanza. Un paio di jeans, un casco che nasconde gli occhiali Lozza, una pesante collana d’ oro al collo. Ha appena imboccato la provinciale e superato la grande centrale dell’ Enel quando, ad un bivio, incrocia due o tre automobili cariche di uomini e anche un paio di motociclisti. Mario Prestifilippo è un killer e capisce subito cosa sta per accadere. Ma non ha il tempo di muoversi. Forse riconosce i suoi assassini, forse sono gli stessi che per tanti anni hanno seminato accanto a lui il terrore. E’ un tiro al bersaglio. Pallottole ad espansione lo colpiscono al viso e al torace, i pallini di una lupara gli tranciano via le dita della mano destra, le 38 special lasciano inconfondibili squarci sulle sue gambe, sulla schiena, sulle braccia. Ma i suoi assassini vogliono firmare il delitto. Uno di loro si avvicina al cadavere, punta un fucile a canne mozze alla gola di Mario Prestifilippo, preme il grilletto. I primi carabinieri che arrivano nelle campagne di Bagheria non riconoscono quel ragazzo sfigurato dai proiettili. Un ufficiale fruga nelle tasche del giubbotto e tira fuori la Smith and Wesson e una patente insanguinata. E’ un documento intestato a Giovanni Gammauta, un piccolo pregiudicato che abita alla periferia della città. Un blitz nella sua casa ed ecco il giallo sull’ identità del morto: Giovanni Gammauta è vivo e qualche mese fa aveva denunciato il furto della sua patente. Sulla provinciale per Baucina qualcuno intanto riconosce Mario Prestifilippo ma non si sbilancia e aspetta gli esperti della scientifica. La certezza che è il cadavere del superkiller arriva con l’ esame delle impronte digitali. Ora che cosa succederà? L’ uccisione di Mario Prestifilippo scatena subito i mafiologi palermitani. Cosa succederà nelle cosche? Perché è caduto il sicario più feroce di Cosa nostra? Mille sono le ipotesi, ma due quelle che sembrano più credibili. La prima: Mario Prestifilippo è stato ucciso dai killer della sua stessa cosca, perché era diventato troppo potente, perché sapeva troppo, perché ormai non serviva più all’ organizzazione. Se tutto questo è vero, spiega un investigatore, allora non ci dovrebbero essere reazioni. Un solo morto per chiudere la partita…. La seconda ipotesi: è stato ucciso dai killer di una cosca che ha deciso di eliminare tutti quelli che fino a pochi mesi fa erano considerati i vincenti della mafia palermitana. Tutte valutazioni a caldo che si intrecciano esplorando un pianeta mafioso che oggi, qui a Palermo, nessuno sa bene decifrare. Una cosa però è certa, dice ancora un poliziotto esperto, i suoi amici non l’ avrebbero ucciso così platealmente ma lo avrebbero fatto sparire silenziosamente, magari con il sistema della lupara bianca. E invece…. Sulla morte del killer, tanto per cambiare, poliziotti e carabinieri offrono interpretazioni diverse. I primi sostengono che è molto debole l’ ipotesi di un nuovo scontro tra i clan, i secondi sembrano privilegiare soltanto questa pista. Indiscrezioni che nessuno naturalmente conferma a livello ufficiale parlano di una insanabile frattura, avvenuta qualche mese fa, tra i due luogotenenti di Luciano Liggio. Da una parte Bernardo Provenzano, dall’ altra Salvatore Riina. Sullo sfondo di tutti questi nuovi misteri mafiosi c’ è il bunker di Palermo con i 450 boss rinchiusi nelle gabbie in attesa di un verdetto. Tra pochi giorni i giudici togati e popolari entreranno in camera di consiglio per decidere le sorti del maxiprocesso. La sentenza è attesa per metà novembre. Cosa succederà poi? Ci saranno assoluzioni dice un altro investigatore ci saranno condanne, c’ è chi rimarrà per sempre all’ Ucciardone e chi uscirà. E chi tornerà libero creerà grossi problemi di equilibrio. Come si inserirà nel nuovo tessuto mafioso? Ci sono già manovre in corso? Il killer ucciso era legato ad un sottogruppo che stava forse pilotando qualche operazione? La morte di Mario Giovanni Prestifilippo, Mariuzzu per gli amici, rappresenta in ogni caso una svolta nelle vicende mafiose siciliane. Era l’ unico del suo clan rimasto in libertà. Una gola profonda aveva permesso infatti ai carabinieri di arrestare alcuni mesi fa il padre e i fratelli. Il preziosissimo informatore è stato poi misteriosamente bruciato e naturalmente ucciso. Ma Mariuzzu era riuscito a nascondersi per cinque anni nei paesi intorno a Bagheria: gli investigatori non sono riusciti a trovarlo (qualcuno credeva che fosse fuggito in America Latina), per i killer non è stato un grosso problema. Mario Prestifilippo non era comunque solo un sicario, un picciotto che sapeva sparare bene e che uccideva con freddezza tutti i condannati a morte della cupola mafiosa. Era un boss, giovanissimo, ma già in posizione di comando. Raccontano i pentiti nell’ aula bunker: Quando i capifamiglia Zanca, Tinnirello, Vernengo, lo vedevano sulla strada della Marina gli andavano incontro e gli baciavano le mani con rispetto…. Una carriera iniziata nel covo di Corso dei Mille verso la metà degli anni Settanta. Mario Prestifilippo era un rapinatore: assaltava le banche uccidendo un metronotte. Il primo a intuire la sua pericolosità è stato il capo della Squadra mobile Boris Giuliano. Il commissario lo arrestò insieme a Pino Greco ma pochi mesi dopo i due tornarono in libertà. E cominciarono ad uccidere. Il medico legale Paolo Giaccone, l’ agente della sezione investigativa Calogero Zucchetto, i capi della vecchia mafia. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici era convinto che Mario Prestifilippo fosse anche il sicario del presidente della Regione Piersanti Mattarella. Un sospetto confermato poi dalle rivelazioni dei pentiti. Un paio di giorni prima dell’ uccisione di Pio La Torre un testimone vide sotto il palazzo del leader comunista un giovane accanto ad una motocicletta di grossa cilindrata. Lo riconobbe anni dopo per quei capelli biondi a caschetto. di ATTILIO BOLZONI LA REPUBBLICA  1.10.87

 

LUCCHESE IN TESTA ALLA ”HIT PARADE” DEI KILLER  Da Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie,  Emanuela Setti Carraro  commissari Montana e Cassara’. E poi ancora, l’eliminazione degli altri due superkiller Pino Greco e Mario Prestifilippo, quella del capo dei ”perdenti”, Salvatore Inzerillo, e decine e decine di altri omicidi. A guidare il ”gruppo di fuoco” piu’ temuto di Cosa Nostra c’era sempre lui: Giuseppe Lucchese, detto ”lucchiseddu”, il killer piu’ fidato di Toto’ Riina. Il suo nome figura al primo posto nella tragica ”hit parade” dei killer di Cosa Nostra. 34 anni, di Palermo, nato e cresciuto in una strada dal nome significativo- via dei picciotti- Lucchese, arrestato due anni fa, e’ attualmente indicato dai pentiti come capo della famiglia di Ciaculli e componente della Commissione provinciale. Per questa sua carica, nonostante fosse gia’ detenuto, e’ accusato di essere uno dei mandanti dell’uccisione di Salvo Lima. Uno stile di vita completamente diverso da quello dei ”paesani” di Corleone o di San Giuseppe Jato, attaccati alla proprieta’ e alla terra, il ”cittadino” Lucchese amava girare per la penisola alloggiando nei migliori alberghi. Capace di spendere anche piu’ di un milione a notte, ma sempre pronto a correre a Palermo per eseguire le ”sentenze di morte” emanate dai capimandamento. I pentiti lo accusano di essere direttamente responsabile di oltre 50 omicidi. Piu’ o meno quanto quelli commessi dagli altri due ”superkiller” Pino Greco e Mario Prestifilippo, da lui stesso eliminati. Molto distanziati in questa macabra classifica, arrivano, sempre stando ai pentiti, altri ”boia” di Cosa Nostra. Da Nino Madonia, figlio di ”don Ciccio”, a Giuseppe Giacomo Gambino, ad Agostino Marino Mannoia, a Giovanbattista Pullara’, agli stessi pentiti Giovanni Drago e Pino Marchese. Segue, piu’ distanziato, Pietro Aglieri, detto ”u signurinu”, l’unico ancora latitante. 10 mar 1993 (Adnkronos) –

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco