Processo “Infinito”
- Tribunale Milano – Ufficio GUP – 20 novembre 2011 parte 1 (8198,6 kB)
- Tribunale Milano – Ufficio GUP – 20 novembre 2011 parte 2 (8507,1 kB)
- Tribunale Milano – Ufficio GUP – 20 novembre 2011 parte 3 (7436,1 kB)
- Tribunale Milano – VIII sezione penale – 6 dicembre 2012 parte 1 (6771,5 kB)
- Tribunale Milano – VIII sezione penale – 6 dicembre 2012 parte 2 (7468,1 kB)
- Tribunale Milano – VIII sezione penale – 6 dicembre 2012 parte 3 (7003,6 kB)
- Tribunale Milano – VIII sezione penale – 6 dicembre 2012 parte 4 (7021,1 kB)
- Tribunale Milano – VIII sezione penale – 6 dicembre 2012 parte 5 (4815,3 kB)
Le operazioni (ed i relativi processi) che vanno sotto il nome di “Crimine” e “Infinito” sono due maxi-operazioni condotte in coordinamento dalle Direzioni distrettuali antimafia di Milano (infinito) e di Reggio Calabria (Crimine) contro la ‘ndrangheta calabrese e le ramificazioni della stessa, soprattutto, nel nord Italia. Le indagini hanno riguardato di più di duecento persone, ed i reati contestati vanno dall’ omicidio, al traffico di sostanze stupefacenti, dal riciclaggio di denaro proveniente dalle attività illecite quali corruzione, estorsione ed usura all’ ostacolo al libero esercizio del diritto di voto.
Nel processo cd. “Infinito” il GUP di Milano, con sentenza emessa il 20 novembre 2011 ha condannato in primo grado con rito abbreviato 119 persone La sentenza è stata in parte annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione in data 10 gennaio 2013.
La sentenza di primo grado, giunta il 6 dicembre 2012, al termine del rito ordinario, celebrato nell’aula bunker vicina al carcere di San Vittore, ha portato a quarantuno condanne, con pene dai tre ai vent’anni di reclusione, ed alla richiesta di risarcimenti per molti milioni euro a favore delle istituzioni coinvolte e costituitesi parti civili.
Il processo “Crimine”, si è aperto a Reggio Calabria, il 13 giugno 2011.
La sentenza pronunciata l’8 marzo 2012 dal Gup di Reggio Calabria ha visto la condanna di 93 persone giudicate con rito abbreviato. Nella sentenza viene riconosciuta l’unitarietà dell’organizzazione e, per la prima volta in un provvedimento giudiziario, l’esistenza di una struttura di vertice dell’organizzazione: la cd.“Provincia”.
La Corte di cassazione il 18 giugno 2016, ha confermato (pur pronunciandosi con diverse riduzioni di pena ) la sentenza emessa dai giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria ed in particolar modo ha riconosciuto il carattere unitario e verticistico della mafia di origine calabrese CSM
L’operazione Crimine-Infinito maxi-operazione contro la ‘Ndrangheta e le collegate cosche milanesi, portata a termine dalle Direzioni Distrettuali Antimafia (DDA) dei tribunali di Reggio Calabria e Milano a partire dal 2003, i cui sviluppi sono ancora in corso.
Le indagini sono culminate con l’arresto, e successiva condanna, di più di duecento persone, colpevoli di reati quali omicidio, traffico di sostanze stupefacenti, ostacolo del libero esercizio del voto, riciclaggio di denaro proveniente dalle attività illecite quali corruzione, estorsione ed usura: tutti reati resi possibili in forza dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, accusa comune a tutti gli imputati, e su cui si è concentrata l’azione investigativa. Essendo il coordinamento tra le due DDA il punto di forza principale per il successo dell’operazione, è opportuno parlare di operazione Crimine–Infinito come unione dei due filoni d’indagine “Crimine” a Reggio Calabria e “Infinito” a Milano.
Risalenti fino al 2003, si compongono in gran parte di intercettazioni e filmati da parte di Polizia e Carabinieri: importantissimo quello ripreso al Santuario della Madonna di Polsi il 2 settembre 2009[1][2] ed al summit del 31 ottobre 2009 presso il circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano.[3][4]
Nel filone milanese l’indagine è stata condotta essenzialmente dall’Arma dei Carabinieri, coordinata dal colonnello Roberto Fabiani del Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Monza[5], con alcuni apporti investigativi di altri servizi di Polizia Giudiziaria.[6] Sono state messe a disposizione degli inquirenti 25.000 ore di registrazioni telefoniche (con un costo stimato di 3.673.000 euro, largamente coperto dai sequestri, tramutabili in confische, ai beni degli imputati[7]) e 20.000 ore di intercettazioni ambientali: le indagini sono state ripartite tra i vari nuclei investigativi, con un’attenta selezione di personale in grado di comprendere il dialetto calabrese.[8]
Ai Carabinieri di Desio è stato affidato il filone della locale di Desio e quella di Seregno. Le indagini effettuate sulle locali di Erba e Canzo sono state portate avanti dai ROS di Torino, mentre gli uomini del ROS di Milano si sono concentrati sulle dinamiche che hanno coinvolto la Perego Strade. La Direzione Investigativa Antimafia di Milano si è occupata principalmente del locale di Pavia.[9]
Mentre il processo milanese è stato coordinato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini con la collaborazione dei pubblici ministeri Alessandra Cecchelli, Alessandra Dolci, Paolo Storari (sostituti procuratori presso il tribunale di Milano) e Salvatore Bellomo (sostituto procuratore di Monza), nella procura reggina la direzione è stata affidata al procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria Nicola Gratteri, al procuratore capo Giuseppe Pignatone e al procuratore aggiunto Michele Prestipino.[6] Gli stessi hanno anche sostenuto gli impianti accusatori nei successivi processi presso i tribunali di Milano e Reggio Calabria.
Vi sono piste di indagine anche nell’ambito delle inchieste “Tenacia” (Procura di Milano), “Patriarca” (Procura e Squadra Mobile di Reggio Calabria), “Reale” (ROS sezione anticrimine di Reggio Calabria)[10], “Solare” (ROS di Roma),[9] “Circolo formato” della DDA di Reggio e “Minotauro” della procura di Torino.[11]
Comune alle due procure è stata l’indagine indirizzata alla cosiddetta zona grigia, quell’area intermedia tra legale ed illegale che alimenta la mimetizzazione dell’economia mafiosa.[12]
Le indagini sono state messe in pericolo da talpe all’interno delle istituzioni: intercettazioni ambientali hanno permesso agli investigatori di scoprire che Giovanni Zumbo, commercialista in rapporti con amministrazioni pubbliche e forze dell’ordine, rivelò parecchi dettagli dell’operazione agli indagati Pelle e Ficara, imputati nel filone milanese; essi sono stati quindi posti in stato di fermo mesi prima del termine delle indagini, come misura cautelare per la salvaguardia dell’esito delle successive operazioni.[13][14]
- Diffusione della ‘ndrangheta sul territorio lombardo: in Lombardia almeno 16 locali di ‘ndrangheta operativi, con 500 affiliati.[15]
- Caratteri tradizionali dell’organizzazione[16]
- Conformazione: entità unita e strutturata a più livelli collegati gerarchicamente tra loro, con un forte carattere verticistico (in contrasto col rischio di visione frammentaria e localistica della stessa)[17][18]
- struttura locale denominata appunto “locale”
- struttura intermedia denominata “Lombardia”, rappresentabile come una “colonizzazione” al di fuori del territorio della casa madre
- struttura di vertice calabrese denominata “Provincia“, da cui provengono, o vengono ratificati, tutti gli ordini (“cordone ombelicale”).[19][20]
Importanza del “capitale sociale” dei clan sotto forma di contatti nelle forze dell’ordine e nella pubblica amministrazione.[8][22][23] Dall’indagine sono emerse anche “una serie di iniziative di carattere elettorale” da parte dei boss dell’ndrangheta per entrare nel mondo politico “sia a livello locale che a livello regionale”.[24]
Arresti
Il 5 luglio 2010 il Giudice per le indagini preliminari di Milano Andrea Ghinetti ha emesso un’ordinanza di arresto per 154 persone, con accuse che variano dall’associazione di stampo mafioso al traffico di armi, all’estorsione nonché intimidazione per l’aggiudicazione di appalti o preferenze elettorali.[4] In parallelo, con le stesse motivazioni, è stata emessa dalla DDA di Reggio Calabria un’ordinanza di arresto per altre 156 persone residenti nella regione Calabria.[25] A queste fanno seguito i blitz del 13 luglio 2010, in cui sono stati impiegati circa 2.000 uomini delle forze dell’ordine.[19][26]
Processo “Infinito”
Il processo, presieduto dal Giudice dell’udienza preliminare di Milano Roberto Arnaldi e vietato alle telecamere, è cominciato l’11 maggio 2011 nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi a Milano.[27]
Si sono costituite parti civili: la Regione Calabria (prima volta che l’ente è ammessa parte civile al di fuori del proprio territorio regionale), la Regione Lombardia (solo dal 14 giugno), la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa, il Commissario straordinario antiracket, la Provincia di Monza e della Brianza, i Comuni di Bollate, Desio, Pavia, Seregno, Paderno Dugnano (dal 17 giugno), la Federazione Nazionale Associazioni Antiracket di Tano Grasso, i curatori fallimentari della Perego Strade, l’imprenditore Agostino Augusto (imputato nel processo Bad Boys a Busto Arsizio ed in seguito collaboratore di giustizia).[6][28][29][30]
Una delle linee della difesa è l’accusa di incompetenza territoriale del tribunale di Milano, in quanto sede del vincolo associativo sarebbe la Calabria (“madrepatria” in contrapposizione ai “locali”). Eccezione però respinta dal tribunale in quanto accertato che la struttura denominata “Lombardia”, pur mantenendo costanti rapporti e collegamenti con il vertice calabrese, è da considerarsi autonoma[15] e perciò sede del vincolo associativo trattato nel 416bis: è perciò legittima la competenza del tribunale milanese nell’esprimersi su questo reato. Sono state inoltre documentate una quarantina di summit, sempre all’interno della regione Lombardia, di cui alcuni a Legnano e Pioltello, di competenza quindi del tribunale di Milano.[15][31]
Un’altra linea di difesa volge all’impossibilità di dimostrare l’esistenza di una struttura criminale autonoma e coesa. Nell’ordinanza del 5 luglio si fa però continuamente riferimento alla conferma dell’esistenza della struttura denominata “Lombardia”, di cui fanno parte calabresi ormai trapiantati stabilmente in Lombardia da decenni.
Di rilevante importanza è la collaborazione con la giustizia di Antonino Belnome, condannato il 14 settembre 2011 dal giudice Claudio Castelli ad 11 anni e 6 mesi di reclusione, essendo stato l’esecutore materiale dell’omicidio di Carmelo Novella (capo della struttura “Lombardia” ed accusato dal “Vertice” calabrese di volersi scindere dalla madrepatria).Tale condanna tiene conto dello sconto di pena dovuto al rito abbreviato e della concessione dell’attenuante speciale della collaborazione con la giustizia.[32]
Nella sentenza del 20 novembre 2011 il GUP di Milano Roberto Arnaldi ha condannato in primo grado con rito abbreviato 119 persone, 8 assolti ed 1 deceduto (39 imputati ancora a giudizio con rito ordinario, verranno giudicati dal tribunale presieduto da Luisa Balzarotti).[33]
Nelle motivazioni della sentenza, depositate il 4 giugno 2012,[34] vengono confermate le tesi accusatorie dei pm Boccassini, Dolci e Storari: la sostanziale autonomia e radicamento della ‘ndrangheta al nord, nonostante gli stretti rapporti con la Calabria, derivante dalla presenza sul territorio da almeno due generazioni, e i rapporti con i personaggi politici che compongono il cosiddetto “capitale sociale” dei clan.
Le udienze facenti parte del rito ordinario si sono svolte ogni martedì, giovedì e venerdì nell’aula bunker di Piazza Filangieri, di fronte al carcere di San Vittore. Cruciale la figura di Antonino Belnome, esecutore materiale dell’omicidio di Carmelo Novella ed ora collaboratore di giustizia in videoconferenza da una località segreta.
Il 10 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, in parte la sentenza del GUP Arnaldi poiché questi ha depositato la motivazione in due momenti, prima incompleta e poi con l’integrazione della parte mancante ma la Cassazione ha annullato l’integrazione su ricorso dei legali di alcuni imputati[35].
La sentenza di primo grado, giunta il 6 dicembre 2012[36] al termine del rito ordinario, ha portato a quarantuno condanne, con pene dai tre ai vent’anni di reclusione, a tre assoluzioni[37] ed al risarcimenti di 6 milioni 600mila euro per le istituzioni coinvolte e costituitesi parti civili[38].
Processo “Crimine”
Gli avvisi di garanzia sono stati confermati dalla DDA di Reggio Calabria a 161 indagati il 24 marzo 2011,[39] mentre il processo, presieduto dal GUP Giuseppe Minutoli, si è aperto a Reggio Calabria il 13 giugno 2011. Si sono costituite parti civili la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, la regione Calabria, la provincia di Reggio Calabria, l’ANAS, le associazioni “Sos Impresa” e “Federazione Antiracket Italiana”.[11]
La requisitoria è stata aperta dal PM Michele Prestipino il 27 settembre[20] e chiusa dal PM Nicola Gratteri il 24 ottobre 2011[40], insieme con i colleghi sostituti procuratori Antonio De Bernardo, Giovanni Musarò e Maria Luisa Miranda: richieste di condanna per 118 su 120 imputati con rito abbreviato (2 richieste di assoluzione per non aver commesso il fatto).[41][42] Altri 40 imputati hanno scelto il rito ordinario, che si celebra al cospetto del tribunale di Locri.
L’8 marzo 2012 il gup di reggio Calabria Giuseppe Minutoli ha condannato 93 persone con rito abbreviato e ne ha assolte altre 34.[43][44]
È stata identificata l’unitarietà dell’organizzazione e l’esistenza di una struttura di vertice detta “Provincia”,[45][46] la quale non era mai stata riconosciuta con sentenza;[47][48] pur essendo accolta l’accusa di associazione mafiosa, non è però stata riconosciuta ad essa l’aggravante della transnazionalità.[49]
Il procuratore generale della Corte di appello di Ancona Vincenzo Macrì (procuratore alla Direzione Nazionale Antimafia dal 2003 al 2010) ha fortemente criticato il sovrastimare la sentenza (definita “epocale” da alcuni giornali[50]), sostenendo che si è indagato sul reato associativo di tipo mafioso di cui art.416bis, puntando sulle gerarchie locali dei clan e sulle frequentazioni, ma non si è indagato su traffici di stupefacenti ed appalti, veri punti di forza della ‘ndrangheta moderna su cui dovrebbe concentrarsi un’indagine che non segua il filone tradizionale che si è visto in Crimine.[51] Le sue dichiarazioni, associate a quelle di altri colleghi calabresi, estranei al pool, sono state smentite dalle sentenze emesse in ordine dal Gup Giuseppe Minutoli, dal Tribunale di Locri presieduto da Alfredo Sicuro, dalle Corti d’Appello presiedute dai giudici Gaeta e Costa ed in ultimo dalla Corte di Cassazione con la sentenza definitiva emessa nel giugno scorso. In buona sostanza quanto sostenuto dai pm De Bernardo, Musarò e Miranda, ha trovato pieno riscontro in ogni grado di giudizio e in ogni tipo di processo, dall’abbreviato all’ordinario. L’opera di delegittimazione avvenuta, all’esito del blitz del luglio 2010, del pool messo in piedi dai Procuratori Pignatone, e dagli aggiunti Prestipino e Gratteri, ha toccato altissimi picchi di compiacenza e disinformazione. Per mesi alcuni organi di stampa hanno tentato di sminuire la portata epocale del processo, ma alla fine la Suprema Corte ha dato ragione alla Dda reggina. Decine e decine le condanne confermate, poche le assoluzioni e una quindicina gli annullamenti con rinvio, che insieme ai cinque ricorsi della Procura Gernale accolti dai giudici capitolini, a breve verranno celebrati nel processo che ripartirà presso un’altra sezione della Corte d’Appello reggina.
Il 18 giugno 2016 infatti, la corte di cassazione riconosce per la prima volta la ‘ndrangheta come organizzazione criminale unitaria con una struttura su più livelli e con un vertice collegiale chiamato Provincia o Crimine composto dai rappresentanti dei locali e con poteri su di essi ovunque essi vengano creati[52][53]. La sentenza ha portato a 11 nuove assoluzioni e alcune riduzioni di pena senza rinvio e una decina di annullamenti.
Sviluppi successivi
Sempre derivante dall’indagine “Infinito”, questa volta affiancata dall’operazione “Bagliore”, è il processo, in corso alla Corte d’assise di via Freguglia a Milano, per gli omicidi di carmelo Novella, Rocco Stagno e Antonio Tedesco. Il collegio, presieduto da Anna Introini, collega i tre delitti al filone comune della colonizzazione del territorio da parte della criminalità organizzata calabrese.[54]
Ancora derivanti dalle indagini “Infinito” sono stati gli arresti del giudice del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti[55], del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria Giuseppe Vincenzo Giglio, del consigliere regionale Franco Morelli, del maresciallo capo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli.[56]
Il 26 maggio 2017 continua un nuovo ramo dell’operazione infinito: vengono arrestate 24 persone, tra cui presunti affiliati al Locale di Limbiate, un imprenditore, un impiegato della Procura della Repubblica di Monza difeso dall’avvocato Fabrizio Gallo del foro di Roma che riuscì ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ed i il sindaco di Seregno[57][58] anche egli rimesso in libertà dal Tribunale del riesame.
il processo sta procedendo per il rito ordinario presso il Tribunale di Monza mentre per uno solo degli indagati si è proceduto con rito abbreviato con intervenuta sentenza di condanna.
- Il 19 maggio 2018 va in onda il documentario di M. Minissi su Rai 3 “Infinito Crimine – Indagine sulla ‘Ndrangheta”
Note
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- ^ corrieredellacalabria: Arrestati il magistrato Giglio e il consigliere regionale Morelli, su , 30 novembre 2011. URL consultato il 7 maggio 2012.
- ^ Ndrangheta, favori a imprenditore legato a cosche: arrestato sindaco di Seregno. “Mantovani politico di riferimento”, in , 26 settembre 2017. URL consultato il 26 settembre 2017.
- ^ ‘Ndrangheta, 24 arresti: il sindaco di Seregno ai domiciliari, Mantovani indagato per corruzione, in , 26 settembre 2017. URL consultato il 26 settembre 2017.
Intervista ad Alessandra Dolci a 10 anni dall’operazione Crimine Infinito: «Così l’evasione fiscale alimenta la ’ndrangheta» – VIDEO 9.7.2020 Dieci anni fa gli oltre 300 arresti dell’operazione Crimine Infinito, che colpì pesantemente la ’ndrangheta tra la Brianza e la Calabria. Come è cambiata la criminalità organizzata calabrese che opera in provincia di Monza? Ne parla Alessandra Dolci, ex pm della Procura monzese e ora responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Monza le è rimasta nel cuore. In piazza Garibaldi, in Procura, d’altra parte, ha trascorso dieci anni della sua carriera. Ora, Alessandra Dolci è coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano, dove ha raccolto il testimone da Ilda Boccassini. Con lei dieci anni fa è stata protagonista dell’inchiesta Crimine Infinito, la madre di tutte le indagini più recenti sulla ’ndrangheta in Lombardia e in Brianza. Proprio in occasione di questo anniversario – tra il 5 luglio con la prima ondata di arresti e il 13 luglio 2010 col blitz degli elicotteri su Desio – “il Cittadino” ha voluto incontrarla. Alessandra Dolci è entrata in magistratura nel 1986. Prima di approdare alla Procura della Repubblica di Milano, ha prestato servizio alla Procura di Monza, dove, sotto la guida dell’allora capo dell’ufficio giudiziario Antonino Cusumano e insieme al collega sostituto procuratore Walter Mapelli, è stata protagonista dell’inchiesta Mani pulite di Monza, scattata nel giugno del 1992.
ARCHIVIO ’Ndrangheta in Brianza: leggi le notizie (VAI)
L’operazione Crimine Infinito compie dieci anni. E da allora la Dda ha condotto diverse indagini sulla ’ndrangheta in Brianza. Cosa è cambiato?
Infinito Crimine è già, più che storia, preistoria. La ’ndrangheta ha avuto un’ ulteriore evoluzione, si è accentuato ancora di più il carattere imprenditoriale dei calabresi presenti sul nostro territorio. A latere delle attività imprenditoriali, sempre gestite con il metodo mafioso, c’è sempre un fiorente traffico di sostanze stupefacenti, questo ci porta a pensare che le attività di impresa siano finanziate in parte con i proventi del traffico di stupefacenti. È di due settimane fa il sequestro nell’intercapedine di un appartamento che fa capo a un grosso trafficante di droga, che traffica anche con i calabresi, di 17 milioni di euro in contanti, custoditi in 28 scatoloni (VIDEO). Quindi abbiamo da un lato ancora la droga e dall’altro soprattutto perniciose alleanze con una parte del mondo imprenditoriale, già aduso ad evadere le imposte e a inserirsi nel settore delle commesse pubbliche attraverso l’elargizione di mazzette, quella imprenditoria border line che non si fa scrupolo di fare affari con la ’ndrangheta. Cosa è cambiato? È cambiato che i nostri indagati si sono fatti più accorti. In Crimine Infinito avevamo moltissimi sensori, moltissime autovetture che erano ambientalizzate, adesso nessuno dei mie indagati parla in macchina, le comunicazioni avvengono camminando sui marciapiedi o in mezzo alla strada. Dobbiamo ancora di più affinare la nostra capacità investigativa. Infinito Crimine si fondava esclusivamente su investigazioni di carattere tecnico quindi devo dire che i nostri investigatori, in particolare i carabinieri di Monza, sono stati abilissimi. Lì non ci sono dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Sono arrivati dopo e in questi dieci anni a parte Panajia e Belnome dell’immediato post Infinito Crimine non ne abbiamo più avuti se non da ultimo un esponente del locale di Legnano-Lonate Pozzolo.
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Nell’operazione di dieci anni fa sono state arrestate 300 persone. Poi più o meno ogni anno ci sono state altre inchieste. Quanti sono gli ’ndranghetisti sul territorio?
Ricordo che in un’intercettazione ambientale uno degli indagati diceva al suo compagno di merende: qui in Lombardia stiamo 500 uomini. Noi ne abbiamo identificati poco più di un centinaio, ce ne sono molti altri da scoprire. Altra considerazione: molti dei condannati di infinito hanno scontato la pena. Per il cittadino comune è difficile da comprendere che per qualcuno ogni anno di reclusione comminato in sede di condanna equivale a nove mesi: quelli che avevano avuto lo sconto di pena per il rito abbreviato sono stati scarcerati. Un dato che potrebbe scoraggiarci? L’importante è combattere una buona battaglia. Io faccio il mio dovere, sono un soldato, l’importante è dare continuità alla azione di contrasto, a maggiore ragione ora che sono responsabile della Dda di Milano.
Seregno, Desio, Giussano: perchè la Brianza è spesso al centro delle inchieste di ’ndrangheta?
I primi insediamenti delle famiglie calabresi risalgono agli anni 50, nel territorio comasco, territorio limitrofo. Da Fino Mornasco c’è stata un’espansione che è arrivata a coprire anche le parti più vicine al territorio monzese. In un di libro di Dalla Chiesa ho letto dichiarazioni del sindaco di Giussano, Barzaghi, alla fine degli anni ottanta. Diceva: “C’è il rischio che il peggio del sud si sposi con il peggio del nord’”, con imprenditori evasori fiscali e abituati alle pratiche corruttive. Purtroppo credo che questo matrimonio si sia consumato perchè sempre più spesso ci troviamo di fronte a imprenditori che vanno alla ricerca dell’ esponente della criminalità organizzata e non viceversa. Otto volte su dieci l’imprenditore non è una vittima: ricerca i servizi che sono forniti dalla ’ndrangheta. Quello che mi allarma è la crescita del consenso. Gli ’ndranghetisti si presentano come una sorte di agenzia di servizi: si occupano di recupero crediti della risoluzione di qualunque tipo di controversia Abbiamo assistito a conversazioni di persone della ’ndrangheta per dirimere questioni tra coniugi separandi, si va affermando quella che è una sorta di giurisdizione parallela. Un altro aspetto che caratterizza la versione 2.0 della ’ndrangheta è il coinvolgimento in attività economiche prodromiche all’evasione fiscale. Ciò che mi fa riflettere è che nei processi della Dda di Milano quasi sempre le contestazioni riguardano reati societari e fiscali, bancarotte e frode fiscali, indebite compensazioni Iva, annotazioni di fatture per operazioni inesistenti, tutto quello che crea denaro cash. C’è una marea di nero che circola in questo paese che in parte proviene dal traffico di sostanze stupefacenti, ma in buona parte viene dall’evasione fiscale. Denaro che a sua volta serve per corrompere. E si corrompe non soltanto il funzionario ma anche il privato. Ricordo una vicenda che ha riguardato una catena di supermercati, la Lidl. Lì i soggetti coinvolti avevano a libro paga un dipendente che garantiva loro credo le commesse per i servizi di logistica o di sicurezza all’interno dei supermercati.
Come avviene il contatto della ’ndrangheta con gli imprenditori. E quali sono i settori in cui la criminalità organizzata è più presente?
I settori sono quello storico dell’edilizia, quello della logistica, delle cooperative di servizi, la ristorazione. Da un paio d’anni a questa parte è forte l’interesse della criminalità organizzata, soprattutto quella calabrese, alla gestione e trasformazione illecita dei rifiuti. Il reato è punito con una pena modesta, da uno a sei anni, comporta consistenti guadagni anche nel breve periodo e consente di rinsaldare legami con il mondo imprenditoriale. Cercano di stringere alleanze con gli imprenditori di quel settore: vediamo spesso soci occulti in società che gestiscono i rifiuti. Detto questo, non voglio criminalizzare le società che operano in quel settore. .
Recentemente la Prefettura di Monza ha emesso provvedimenti interdittivi per alcune società all’ingrosso che sarebbero riferibili a Cosa Nostra. C’è solo la ’ndrangheta in Brianza o ci sono anche le altre mafie?
La ’ndrangheta ha il monopolio nel contesto territoriale: ha riproposto lo stesso schema organizzativo della Calabria, significa la creazioni di locali di ’ndrangheta che hanno le stesse cratteristiche della casa madre calabrese. Cosa Nostra è presente con singole persone che rappresentano interessi in relazione a un determinato affare. È una struttura di carattere verticistico, esercitare controllo gerarchico nei confronti di gemmazioni della stessa struttura in un territorio lontano mille chilometri è difficile. La ’ndrangheta invece è una struttura di carattere federativo: ciascuna locale è autonoma sul proprio territorio e non deve rispondere a nessuno. Questo spiega perchè ci sono locali di ’ndrangheta in Svizzera, in Canada, in Australia, in Germania.
Uno dei temi su cui insiste spesso è quello dell’omertà e della inesistenza della collaborazione degli imprenditori che hanno contatti con la ’ndrangheta.
Ci sono imprenditori, vittime di estorsione, che sono stati accusati di falsa testimonianza, assolti in appello secondo un principio discutibile per cui hanno reso falsa testimonianza ma si trovavano nello stato di necessità e timore di ritorsioni. Ma così ciascun testimone può mentire nei processi di ’ndrangheta: basta che dica di avere paura. In quel caso si è creata una situazione paradossale: tre degli estorsori diventati collaboratori di giustizia dicevano “abbiamo fatto una bella estorsione, ci pagavano a rate”, mentre le vittime negavano di essere state nel mirino. A memoria mia le denunce sono rarissime.
Libera ha chiesto a istituzioni e associazioni in Brianza di fare rete per non lasciare che di ’ndrangheta si occupi solo la magistratura.
La visione dell’attività di contrasto come mero intervento repressivo è estremamente miope. Credo nella sinergia istituzionale. Ritengo che sia fondamentale il ruolo delle prefetture: talvolta è più efficace l’intervento con l’interdittiva antimafia perché determina la cessazione dell’attività. Se intervieniamo noi dobbiamo nominare l’amministratore giudiziario dobbiamo risolvere una serie di problematiche. Ricordo una misura di prevenzione nei confronti di un’azienda che faceva capo a una famiglia campana Nuvoletta quando intervenimmo con sequestro e amministratore giudiziario nel breve volgere di pochi mesi perdemmo quasi tutta la clientela perché i prezzi che erano praticati finchè c’erano i Nuvoletta erano straconcorrenziali perché i dipendenti non erano in regola. Con l’amministratore che deve mettere in regola tutti i dipendenti, fatturare tutto, i costi erano ovviamente aumentati e quindi abbiamo perso tutta la clientela. Se penso al connubio tra un certo mondo imprenditoriale e le famiglie calabresi l’esempio che faccio sempre è quello dell’edilizia, del movimento terra. Gran parte degli imprenditori che io ho sentito alla mia domanda sul perché avessero dato le commesse sul movimento terra ai padroncini calabresi notoriamente appartenenti o vicini alla ’ndrangheta tutti mi hanno risposto: ’ma cosa vuole da me questi il lavoro lo fanno nei termini stabiliti, nel cantiere non rubano neanche un chiodo, e i prezzi che fanno sono la metà rispetto ai prezzi che vengono praticati dalle ditte lombarde, io devo pensare al profitto della mia azienda’. Se l’etica imprenditoriale, deve essere questa è non è che abbiamo un roseo futuro davanti
Cosa può fare la società civile?
Ciascuno di noi può fare scelte eticamente orientate. Scelgo di andare a mangiare la pizza nel locale confiscato alla mafia. Non sarà la pizza migliore del mondo ma ha un significato la mia presenza lì. Sono queste le scelte che ciascuno di noi come cittadini siamo chiamati a fare. Quanti beni confiscati abbiamo sul territorio? Sono tanti. Cosa facciamo per ottimizzarne la gestione? Una parte di questi beni sono stati assegnati o sono stati assegnati e non vengono fruiti. È importante avere una progettualità, hanno significato simbolico importantissimo. Se confisco un bene e lo lascio lì a perdere i pezzi che immagine dò dell’intervento dello Stato? Se invece il comune chiede e ottiene questo bene e ha un progetto lo rende fruibile questo ha un valore importantissimo. Paolo Rossetti IL CITTADINO
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco