i FRATELLI SCOTTO

 

 

Audio deposizioni ai processi


‘ ERA LUI A SPIARE BORSELLINO…’ Il procuratore Paolo Borsellino era spiato dai primi giorni di luglio. Da almeno due settimane i mafiosi conoscevano i suoi movimenti. E ascoltavano tutte le sue conversazioni telefoniche con la madre Maria. La penultima volta che il procuratore parlò con la donna fu fatale. Era la sera di sabato 18 luglio, Paolo Borsellino era nella sua casa estiva a Marina Longa, a due passi da Capaci. Telefonò in via Mariano D’ Amelio. Una comunicazione breve: “Mamma, stasera non posso passare, verrò a trovarti sicuramente domani pomeriggio”. Così i mafiosi ebbero il tempo di piazzare con calma l’ autobomba. Dieci mesi di difficilissime investigazioni hanno scoperto il volto e il nome di un “tecnico” di Cosa Nostra, l’ uomo che aveva messo sotto controllo i telefoni della madre del giudice Borsellino. Si chiama Pietro Scotto, ha 43 anni, è il fratello di Gaetano, un uomo d’ onore che viene indicato come il nuovo capo “famiglia” della borgata palermitana dell’ Arenella. L’ inchiesta sulla morte di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta forse sta davvero entrando nella fase finale. Scotto è accusato di concorso in strage dai magistrati della procura della Repubblica di Caltanissetta, la sua cattura è avvenuta l’ altro ieri, a sorpresa, dopo un lungo interrogatorio. Dall’ arresto di Pietro Scotto (è il secondo imputato di strage per via D’ Amelio: il primo è Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna che commissionò il furto dell’ auto poi imbottita di esplosivo) è probabile che l’ indagine molto presto arrivi all’ individuazione dei boia, gli assassini che hanno premuto il telecomando. “E non è la prima volta che questo uomo viene utilizzato per controllare telefonate”, spiega il procuratore capo Giovanni Tinebra ricostruendo la storia del mafioso dell’ Arenella. E’ uno specialista del ramo, è impiegato all’ Elte, una società palermitana che ha in appalto i lavori della Sip. Scotto è un esperto in telefonia, uno che ha sempre messo le mani nelle “centraline” esterne, uno che è stato in grado di eseguire intercettazioni senza destare troppi sospetti. E così avrebbe fatto anche all’ inizio della scorsa estate, ai primi di luglio del 1992. Via D’ Amelio è a poche decine di metri dalla sua abitazione, territorio dell’ Arenella una volta controllato da Gaetano Fidanzati e dai suoi fratelli. Fra via D’ Amelio e la larga strada che porta alla borgata, proprio all’ angolo c’ è una “centralina” della Sip. Il “tecnico” l’ avrebbe aperta, avrebbe usato sofisticate apparecchiature per collegare l’ utenza di Maria Borsellino con l’ esterno, poi avrebbe utilizzato anche un “rubacorrente” per far funzionare il sistema di intercettazione. Tutti i particolari sulla manomissione della cabina Sip sono contenuti in un rapporto. E’ un dossier presentato alcune settimane fa ai magistrati di Caltanissetta dagli esperti della polizia che, subito dopo la strage, avevano già scoperto “anomalie” nella cabina Sip all’ angolo di via D’ Amelio. Nel rapporto c’ è anche la testimonianza della signora Maria Borsellino sugli “strani clic” e sui “frequenti cali di tensione” che si registravano sulla sua utenza. Ma la cattura di Pietro Scotto è arrivata soprattutto dopo una meticolosa indagine di polizia. “Un’ investigazione pura e ad altissimo livello”, precisa il procuratore aggiunto Paolo Giordano. Un’ indagine seguita fin dalle prime ore dal questore Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo. Per 10 mesi La Barbera ha lavorato circondato da uno staff di funzionari, sempre gli stessi, tutti poliziotti della sua squadra mobile che lavorano a tempo pieno sui massacri dell’ estate del 1992. “Ma è stato determinante anche l’ apporto dei carabinieri del Ros per l’ arresto di Pietro Scotto”, raccontano Ilda Boccassini e Fausto Cardella, i due sostituti procuratori distaccati a Caltanissetta per indagare sulla morte di Falcone e di Borsellino, “determinante perchè hanno riversato numerose informazioni preziosissime che si sono rivelate decisive”. Naturalmente tutto è assolutamente top secret. Le ultime conferme agli indizi e alle prove raccolte in questi 10 mesi su Scotto – ma anche su altri personaggi ancora oggetto di investigazioni – sono arrivate con le confessioni di due pentiti palermitani. I magistrati di Caltanissetta non hanno voluto fare i loro nomi (“Chiamiamoli Alfa e Beta per ora”) ma è probabile che siano collaboratori di giustizia già ampiamente utilizzati in altri processi. Uno dei due pentiti ha raccontato ai sostituti Ilda Boccassini e Fausto Cardella molti particolari sulle principali “attività” di Pietro Scotto: traffico di stupefacenti e intercettazioni telefoniche per conto degli “amici”. Fino all’ altro ieri l’ impiegato della Elte era incensurato nonostante la “pesante” vicinanza con il fratello Gaetano. Una vita apparentemente tranquilla, 4 figli, un matrimonio fallito. Pietro Scotto era sposato con una ragazza della zona, una delle sorelle di Marco Favaloro, il titolare di una concessionaria di automobili che qualche mese fa ha deciso di collaborare – ma senza troppa convinzione – coi giudici di Palermo. Sul conto di questo “tecnico” di Cosa Nostra investigatori e magistrati almeno per ora non vogliono dire di più. La sua cattura potrebbe portare agli autori materiali della strage, a chi ha riempito di esplosivo la Fiat 126 parcheggiata sotto l’ abitazione di Maria Borsellino, a chi ha premuto il comando a distanza. E naturalmente ai mafiosi che – grazie alla linea telefonica intercettata da Pietro Scotto – quel sabato sera si trovavano in una “postazione di ascolto”. E con quattordici, quindici ore di anticipo sapevano cosa avrebbe fatto l’ indomani il procuratore aggiunto Paolo Borsellino. Hanno avuto tutto il tempo per ritirare l’ auto che avevano “preparato” nei giorni precedenti. Probabilmente era stata nascosta in un garage dalle parti di via D’ Amelio. Un autista l’ ha poi portata sotto il palazzo di Maria Borsellino. Forse hanno ascoltato anche l’ ultima conversazione fra il magistrato e la madre, la telefonata del pomeriggio di domenica 19 luglio che annunciava il suo arrivo. Ma, oramai, per gli assassini quello era solo un dettaglio.   ATTILIO BOLZONI28 maggio 1993 sez.LA REPUBBLICA


Morte Borsellino, arrestato  boss latitante in Liguria  Finita la latitanza del boss mafioso Gaetano Scotto, ricercato da otto anni, condannato all’ergastolo con l’accusa di aver partecipato alla preparazione dell’attentato di via D’Amelio, in cui morì il procuratore Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Ritenuto il capofamiglia dell’Acquasanta, Scotto è stato arrestato stamane dai carabinieri di Chiavari, in Liguria: nell’appartamento in cui si nascondeva il boss latitante, gli investigatori sono arrivati seguendo la pista offerta da una intercettazione telefonica. A carico di Scotto c’è anche un’altra condanna, a 16 anni, per traffico di droga. Soddisfazione per l’arresto, eseguito in collaborazione con i carabinieri del comando provinciale di Palermo, è stata espressa dal procuratore del capoluogo siciliano Piero Grasso.
Nel processo per l’attentato a Borsellino, celebrato a Caltanissetta, è stato coinvolto anche un fratello del boss, Pietro, tecnico di una società di telefonia, accusato di aver captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio. Pietro Scotto, condannato in primo grado, è stato assolto in Appello. Non così Gaetano Scotto, condannato all’ergastolo per il ruolo che avrebbe svolto nella preparazione della strage. 
(7 agosto 2001 LA REPUBBLICA)


Mafia, preso (con altri sette) il boss dei misteri Gaetano Scotto (ft e vd)


Arrestato Gaetano Scotto, il “padrino” misterioso: “Dopo la scarcerazione era tornato al comando” Nell’operazione portata a termine dalla Dia sono finite in manette otto persone, tra cui i tre fratelli Scotto. Uno di loro, Gaetano, era tra le persone accusate e poi scagionate per la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita sei persone, tra cui il magistrato Borsellino Blitz all’alba per la Dia di Palermo, che ha arrestato otto presunti affiliati alla famiglia mafiosa dell’Arenella. Tra questi figurano anche tre nomi di particolare spessore all’interno di Cosa Nostra, i tre fratelli GaetanoPietro e Francesco Scotto.

Mafia, 8 arresti all’Arenella (Palermo): c’è anche Gaetano Scotto

In particolare Gaetano Scotto è infatti una delle dieci persone accusate ingiustamente della strage di via D’Amelio e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che si celebra a Caltanissetta. Un’inchiesta, quella sull’uccisione del giudice Borsellino, che coinvolse anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, accusato di aver intercettato la telefonata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio il 19 luglio 1992.

Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello. Gaetano Scotto è indagato inoltre per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. Omicidio avvenuto a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989 e sul quale non è mai stata fatta piena luce.

Mafia, 8 arresti nell’operazione White Shark

L’operazione è stata chiamata White Shark, letteralmente “squalo bianco”. Gaetano Scotto era libero da qualche anno. E dal giorno in cui aveva riacquistato la libertà tornando a passeggiare nella sua borgata, a Vincenzo Agostino – il padre dell’agente assassinato nel 1989 – avevano assegnato la scorta. Secondo gli inquirenti, dopo la scarcerazione sarebbe tornato a guidare la famiglia mafiosa dell’Arenella.

Mafia, Scotto e la strage di via d’Amelio

Considerato uno dei più misteriosi padrini delle zone Arenella-Acquasanta, su Gaetano Scotto la procura di Caltanissetta aveva a lungo puntato i riflettori. Era stato arrestato per la prima volta dai carabinieri a Chiavari, in Liguria, nell’estate del 2001. Le forze dell’ordine lo cercavano da 9 anni. Scotto è sempre stato ritenuto l’uomo dei misteri del processo per la strage di via D’Amelio.

Nella sua deposizione il funzionario di polizia Gioacchino Genchi l’aveva infatti indicato come un possibile uomo di raccordo della mafia con i servizi segreti deviati. Dal suo cellulare – aveva rivelato in aula Genchi – nel febbraio del ’92 partì una telefonata diretta ad un’utenza del Cerisdi, al Castello Utveggio, una scuola per manager che sorge sul monte Pellegrino che sarebbe stata utilizzata in quel periodo come base di una cellula del Sisde. E proprio dal monte Pellegrino gli eventuali killer appostati avrebbero avuto una perfetta visuale di via D’Amelio senza correre il rischio di restare coinvolti nella devastante esplosione. TRAPANI TODAY 18 febbraio 2020