LEONARDO MESSINA, grazie a lui l’Operazione Leopardo condotta da Paolo Borsellino

 LEONARDO MESSINA, NARDUZZO

Leonardo Messina nato San Cataldo il 22 settembre 195  mafioso e collaboratore di giustiziaha contribuito all’arresto di 200 mafiosi collaborando con il giudice Paolo BorsellinoSoprannominato “Narduzzo”, già a 23 anni fu condannato a 4 anni per furto. Diventato uomo d’onore, fu uomo di fiducia di Giuseppe Madonia, e venne spesso incarcerato per vari reati. Rimase comunque a lavorare in una miniera fino al 1984 quando venne accusato di essere il mandante di un omicidio, accusa dalla quale venne assolto nel 1991. Tornato a svolgere la routine mafiosa (tra traffico di droga e agguati ad altri uomini d’onore) fu arrestato nel 1992 e iniziò a collaborare con la giustizia: grazie al suo contributo Paolo Borsellino mise in atto l’Operazione Leopardo che mise in carcere 200 mafiosi. L’operazione Leopardo fu coordinata da Giovanni Tinebra, Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, operazione fatta nel mese di novembre del 1992, 4 mesi dopo la morte di Paolo Borsellino. Fu il primo a nominare mafioso l’onorevole Giulio Andreotti e la Stidda, concorrente di Cosa Nostra nella Sicilia meridionale. Era inserito sin dallaprile del 1982 nella qualità di uomo donore” nella famiglia” mafiosa di S. Cataldo di COSA NOSTRA, nella quale prima di lui avevano militato da varie generazioni i suoi ascendenti per linea paterna e materna, ad eccezione del padre. Aveva raggiunto nellambito di tale famiglia” la carica di capodecina e poi di vice rappresentante ed aveva avuto stretti rapporti personali con i più autorevoli esponenti di COSA NOSTRA delle provincie di Caltanissetta, Agrigento ed Enna, anche se le persone cui era maggiormente legato si erano trovate in contrasto con la linea di MADONIA Giuseppe, rappresentante della provincia di Caltanissetta.  Sottoposto a fermo a Como nellaprile del 1992 per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di armi, nel giugno dello stesso anno iniziò a collaborare con lA.G., facendo luce su varie vicende criminali che avevano interessato COSA NOSTRA sia allinterno della provincia nissena che in ambito territoriale più vasto.

Sulla base degli elementi disponibili appare ragionevole ritenere che la scelta collaborativa del MESSINA non sia stata determinata in misura prevalente dallintento di avvalersi dei benefici premiali, atteso che egli non era indagato per reati della gravità di quelli di cui si è spontaneamente accusato, tra i quali alcuni omicidi. Piuttosto può sostenersi che abbiano influito notevolmente sul collaborante le vicende interne al suo sodalizio mafioso, che gli avevano fatto sperimentare in modo assai pesante, con la perdita di amici a cui era assai legato e con le stesse critiche che gli erano state mosse dallinterno, le conseguenze della fitta trama di congiure e complotti che si nasconde sotto il velo ufficiale della solidarietà del gruppo mafioso. La stessa uccisione di MICCICHE’ Liborio, esponente di spicco di COSA NOSTRA nellEnnese, avvenuta a Pietraperzia tredici giorni prima dellarresto del MESSINA per opera dello stesso sodalizio mafioso anziché di rivali esterni, doveva aver accentuato la crisi di questultimo ed averlo indotto a ritenere che non fosse il caso di sacrificare la propria libertà personale, dopo lesperienza già fatta nel 1984/85, sullaltare di una solidarietà criminale che probabilmente non avrebbe sottratto neanche lui al concreto pericolo di vita.

Si è sostenuto da parte di taluni difensori che il MESSINA non potesse essere a conoscenze delle vicende interne al sodalizio denominato COSA NOSTRA perché in realtà inserito nel gruppo rivale degli stiddari”, costituito da fuoriusciti della prima organizzazione. In realtà, tale tesi fa leva sulla vicinanza del MESSINA a persone che non erano allineate con la corrente dominante allinterno della provincia mafiosa nissena e gravitante intorno al MADONIA ma propone dei fatti una lettura non condivisibile alla stregua delle complessive emergenze processuali. E, invero, nellambito delle province in cui operava COSA NOSTRA non esistevano solo i gruppi che alla medesima si contrapponevano, spesso costituiti da ex affiliati a questultima associazione, bensì anche fazioni che dallinterno di essa cercavano in modo più o meno occulto di opporsi allegemonia della corrente filocorleonese, che nelle varie province aveva assunto non senza contrasti il controllo delle famiglie” mafiose, forte dellappoggio della provincia di Palermo, in cui i corleonesi avevano lassoluto predominio. Gli omicidi di taluni esponenti di spicco delle provincia di Agrigento, come ad esempio quello di COLLETTI Carmelo, del quale hanno riferito nel presente processo vari collaboratori in modo uniforme, riconducendolo ad elementi interni a COSA NOSTRA di quella provincia, puniti per tale iniziativa adottata senza lintervento dellorganismo interprovinciale, o quello dello stesso MICCICHE’ Liborio della provincia ennese, costituiscono solo alcuni degli esempi dei contrasti esistenti allinterno di COSA NOSTRA nelle varie province. Da tali contrasti non era certamente immune la provincia di Caltanissetta, dove storicamente aveva ricoperto un ruolo di preminenza DI CRISTINA Giuseppe, legato alle correnti palermitane anticorleonesi dei BONTATE e degli INZERILLO e strenuo oppositore del ruolo egemonico che stava assumendo il RIINA allinterno di COSA NOSTRA dietro il paravento di GRECO Michele, formalmente capo della commissione provinciale di Palermo, nonché di quella regionale dopo CALDERONE Giuseppe, ma in realtà succube del RIINA. Questultimo anche allinterno dello stesso mandamento di Ciaculli, in cui il GRECO era inserito, aveva potuto contare per lungo tempo sullappoggio determinante di uno spietato esecutore dei più orrendi misfatti decisi dal RIINA quale GRECO Giuseppe, inteso Pino scarpuzzedda” o scarpa”. Il DI CRISTINA aveva finito per pagare con la vita questa sua contrapposizione allegemonia corleonese, essendo stato ucciso a Palermo il 30 maggio 1978, ma allinterno della sua provincia erano molti i personaggi anche di spicco che gli erano rimasti legati e che non avevano gradito lavvento al potere del filocorleonese MADONIA Giuseppe, figlio del boss mafioso di Vallelunga MADONIA Francesco, ucciso per iniziativa del DI CRISTINA l8 aprile 1978, dopo che questultimo era scampato ad un primo attentato ai suoi danni nel quale avevano perso la vita il 21 novembre 1977 DI FEDE Giuseppe e NAPOLITANO Carlo, compagni di lavoro del DI CRISTINA. Non tutti coloro che erano vicini al DI CRISTINA avevano scelto, come il RIGGIO, la strada delluscita da COSA NOSTRA e della formazione di gruppi contrapposti, riconducibili alla denominazione degli stiddari”, in quanto altri avevano preferito rimanere allinterno delle famiglie” di appartenenza, come i CALI’ (legati al MESSINA da vincoli di parentela) di San Cataldo, paese questo in cui la base degli uomini donore” che costituivano quella famiglia” non era affatto devota al Madonia e, infatti, aveva preferito eleggere come capodecina il MESSINA per meglio controllare il rappresentante della famiglia”, più vicino invece al MADONIA. Né era casuale il fatto che dopo lomicidio di TERMINIO Nicolò, avvenuto poco prima dellaffiliazione del MESSINA a COSA NOSTRA, il mandamento, che prima era retto dalla famiglia” di San Cataldo, fosse stato assegnato a quella di Mussomeli, ritenuta più controllabile dal MADONIA e che in epoca ancora successiva la famiglia” di San Cataldo ebbe a transitare nel mandamento retto dalla famiglia” di Vallelunga. A differenza dei CALI’ il MESSINA aveva però saputo evitare aperti contrasti col MADONIA, che aveva quindi preferito tenerlo vicino per non esasperare il conflitto con gli uomini donore” di San Cataldo.
Il MESSINA era, quindi, certamente in condizione di conoscere nel dettaglio le vicende interne di COSA NOSTRA della provincia di Caltanissetta e di quelle limitrofe e le sue circostanziate dichiarazioni in tal senso hanno già superato positivamente il vaglio del giudizio di primo e secondo grado nel processo Leopardo”, nei confronti di affiliati alle famiglie” di quella provincia, almeno nei casi in cui è stato possibile acquisire dei riscontri esterni, in mancanza dei quali le sole dichiarazioni del chiamante in correità, pur se intrinsecamente attendibili, non possono supportare unaffermazione di responsabilità, secondo i criteri di valutazione della prova già sopra evidenziati. Nel presente processo sono state anche acquisite le dichiarazioni rese dal MESSINA alludienza del 24.2.1996 nel giudizio di primo grado per la strage di Capaci ed il suo contributo deve ritenersi rilevante per quanto concerne la conoscenza dellorganigramma mafioso della provincia nissena ed i rapporti tra questa provincia e le altre in cui operava COSA NOSTRA – intrattenuti anche mediante quellorganismo di raccordo costituito dalla commissione regionale – hanno trovato la conferma di altre convergenti dichiarazioni. Per quanto poi riguarda le dichiarazioni del MESSINA sulla riunione tenutasi in provincia di Enna nel febbraio del 1992, si rinvia alla trattazione svolta nella sede specifica.

 


Corte assise Caltanissetta 26 settembre 1997 –  MESSINA Leonardo  Era inserito sin dall’aprile del 1982 nella qualità di “uomo d’onore” nella “famiglia” mafiosa di S. Cataldo di COSA NOSTRA, nella quale prima di lui avevano militato da varie generazioni i suoi ascendenti per linea paterna e materna, ad eccezione dei genitori. Aveva raggiunto nell’ambito di tale “famiglia” la carica di capodecina e di vice rappresentante ed aveva avuto stretti rapporti personali con i più autorevoli esponenti di COSA NOSTRA delle provincie di Caltanissetta, Agrigento ed Enna, anche se le persone cui era maggiormente legato si erano trovate in contrasto con la linea di MADONIA Giuseppe, rappresentante della provincia di Caltanissetta. Sottoposto a fermo a Como nell’aprile del 1992 per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di armi, nel giugno dello stesso anno ha iniziato a collaborare con l’A.G., facendo luce su varie vicende criminali che avevano interessato COSA NOSTRA sia all’interno della provincia nissena che in ambito territoriale più vasto. Sulla base degli elementi disponibili appare ragionevole ritenere che la scelta collaborativa del MESSINA non sia stata determinata in misura prevalente dall’intento di avvalersi dei benefici premiali, atteso che egli non era indagato per gravi reati e si è, invece, autoaccusato di omicidi ed altri gravi delitti. Piuttosto può sostenersi che abbiano influito notevolmente sul collaborante le vicende interne al suo sodalizio mafioso, che gli avevano fatto sperimentare in modo assai pesante, con la perdita di amici a cui era assai legato e con le stesse critiche che gli erano state mosse dall’interno, le conseguenze della fitta trama di congiure e complotti che si nasconde sotto il velo ufficiale della solidarietà del gruppo mafioso. La stessa uccisione di MICCICHE’ Liborio, esponente di spicco di COSA NOSTRA nell’Ennese, avvenuta a Pietraperzia tredici giorni prima dell’arresto del MESSINA per opera dello stesso sodalizio mafioso anziché di rivali esterni, doveva aver accentuato la crisi di quest’ultimo ed averlo indotto a ritenere che non fosse il caso di sacrificare la propria libertà personale, dopo l’esperienza già fatta nel 1984/85, sull’altare di una solidarietà criminale che probabilmente non avrebbe sottratto neanche lui al concreto pericolo di vita. Si è sostenuto da parte di taluni difensori che il MESSINA non potesse essere a conoscenze di vicende interne al sodalizio denominato COSA NOSTRA perché in realtà inserito nel gruppo rivale degli “stiddari”, costituito da fuoriusciti della prima organizzazione. In realtà, tale tesi fa leva sulla vicinanza del MESSINA a persone che non erano allineate con la corrente dominante all’interno della provincia mafiosa nissena e gravitante intorno al MADONIA ma propone dei fatti una lettura non condivisibile alla stregua delle complessive emergenze processuali. E, invero, nell’ambito delle province in cui operava COSA NOSTRA non esistevano solo i gruppi che alla medesima si contrapponevano, spesso costituiti da ex affiliati a quest’ultima associazione, bensì anche fazioni che dall’interno di essa cercavano in modo più o meno occulto di opporsi all’egemonia della corrente filocorleonese, che nelle varie province aveva assunto non senza contrasti il controllo delle “famiglie” mafiose, forti dell’appoggio della provincia di Palermo, in cui i corleonesi avevano l’assoluto predominio. Gli omicidi di taluni esponenti di spicco delle provincia di Agrigento, come ad esempio quello di COLLETTI Carmelo, del quale hanno riferito nel presente processo vari collaboratori in modo uniforme, riconducendolo ad elementi interni a COSA NOSTRA di quella provincia, puniti per tale iniziativa adottata senza l’intervento dell’organismo interprovinciale, o quello dello stesso MICCICHE’ Liborio della provincia ennese, costituiscono solo alcuni degli esempi dei contrasti esistenti all’interno di COSA NOSTRA nelle varie province. Da tali contrasti non era certamente immune la provincia di Caltanissetta, dove storicamente aveva ricoperto un ruolo di preminenza DI CRISTINA Giuseppe, legato alle correnti palermitane anticorleonesi dei BONTATE e degli INZERILLO e strenuo oppositore del ruolo egemonico che stava assumendo il RIINA all’interno di COSA NOSTRA dietro il paravento di GRECO Michele, formalmente capo della Commissione Provinciale di Palermo e di quella Regionale, ma in realtà succube del RIINA, che anche all’interno dello stesso mandamento di Ciaculli, in cui il GRECO era inserito, aveva potuto contare per lungo tempo sull’appoggio determinante di uno spietato esecutore dei più orrendi misfatti decisi dal RIINA quale GRECO Giuseppe, inteso “Pino scarpuzzedda” o “scarpa”. Il DI CRISTINA aveva finito per pagare con la vita questa sua contrapposizione all’egemonia corleonese, essendo stato ucciso a Palermo il 30 maggio 1978, ma all’interno della sua provincia erano molti i personaggi anche di spicco che gli erano rimasti legati e che non avevano gradito l’avvento al potere del filocorleonese MADONIA Giuseppe, figlio del boss mafioso di Vallelunga MADONIA Francesco, ucciso per iniziativa del DI CRISTINA l’8 aprile 1978, dopo che quest’ultimo era scampato ad un primo attentato ai suoi danni nel quale avevano perso la vita il 21.11.1977 tali DI FEDE e NAPOLITANO, a lui vicini. Non tutti questi personaggi vicini al DI CRISTINA avevano scelto la strada dell’uscita da COSA NOSTRA e della formazione di gruppi contrapposti, riconducibili alla denominazione degli “stiddari”, in quanto altri avevano preferito ed erano riusciti a rimanere all’interno delle “famiglie” di appartenenza, come i CALI’ (legati al MESSINA da vincoli di parentela) di San Cataldo, paese questo in cui la base degli “uomini d’onore” che costituivano quella “famiglia” non era di stretta osservanza filo – Madonia e, infatti, aveva preferito eleggere come capodecina il MESSINA per meglio controllare il rappresentante della “famiglia”, più vicino al MADONIA. Né era casuale il fatto che dopo l’omicidio di TERMINIO Nicolò, avvenuto poco prima dell’affiliazione del MESSINA a COSA NOSTRA, il mandamento, che prima era retto dalla “famiglia” di San Cataldo, fosse stato assegnato a quella di Mussomeli, ritenuta più controllabile dal MADONIA e che in epoca ancora successiva la “famiglia” di San Cataldo ebbe a transitare nel mandamento retto dalla “famiglia” di Vallelunga. Il MESSINA era, pertanto, in condizione di conoscere nel dettaglio le vicende interne di COSA NOSTRA della provincia di Caltanissetta e di quelle limitrofe e le sue circostanziate dichiarazioni in tal senso hanno già superato positivamente il vaglio del giudizio di primo grado nel processo “Leopardo”, nei confronti di affiliati alle “famiglie” di quella provincia, laddove ovviamente hanno trovato il conforto di riscontri esterni, in mancanza dei quali le sole dichiarazioni del chiamante in correità, pur se intrinsecamente attendibili, non possono supportare un’affermazione di responsabilità, secondo i criteri di valutazione della prova già sopra evidenziati. Nel presente processo le dichiarazioni del MESSINA in ordine al funzionamento degli organi di vertice di COSA NOSTRA a livello regionale hanno trovato la conferma di altre convergenti dichiarazioni, mentre quelle concernenti la riunione tenutasi in provincia di Enna nel febbraio del 1992 saranno specificamente esaminate più avanti nella sede propria.

 

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