RINASCITA-SCOTT, il maxiprocesso alla ‘ndrangheta

 

 

NEWS sul processo

 

Il maxi processo Rinascita-Scott al via. Ed è già battaglia: Gratteri “Un nuovo collaboratore, Gaetano Cannatà, ci ha raccontato delle riunioni organizzate per pianificare le strategie per dilatare i tempi del procedimento”


22.2.2021   – RINASCITA-SCOTT, LE TRAME TRA COSA NOSTRA E ’NDRANGHETA RACCONTATE DAL PENTITO SPATUZZA L’ex soldato dei fratelli Graviano depone al maxiprocesso come testimone del pool di Nicola Gratteri. Prima il controesame di Nino Fiume Il più importante collaboratore di giustizia italiano attualmente in vita appare di spalle, giacca blu e berretto grigio, sui ventiquattro monitor che scendono dal soffitto dell’aula bunker di Lamezia Terme. Collegato in videoconferenza dalla località riservata, l’uomo che svelò le trame più crudeli e perverse dello stragismo di Cosa nostra, dagli attentati di Capaci e via D’Amelio al supplizio del piccolo Giuseppe Di Matteo, depone al maxiprocesso Rinascita Scott.Qui non c’è la mafia siciliana, è il processo ad una ’ndrangheta d’élite che – anche secondo i pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – coi siciliani ebbe un dialogo costante e profondo in una delle fasi più delicate del Paese, tra la Prima e la Seconda Repubblica. Ed uno degli interlocutori principali sarebbe stato lui, Luigi Mancuso, il Supremo, principale imputato di Rinascita Scott, contrario allo stragismo – hanno riferito nelle precedenti udienze altri collaboratori di giustizia – ma padrone di casa, quando i capi delle grandi famiglie calabresi ricevettero, nel Vibonese, gli emissari di Totò Riina.

La mattanza, il pentimento  Spatuzza, ‘u Tignusu, l’uomo che rubò la Fiat 126 carica di tritolo che uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, l’assassino di don Pino Puglisi, il rapitore di un altro innocente poi condotto al massacro, appunto il figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, il carnefice di circa quaranta mafiosi per conto dei Graviano di Brancaccio, è flemmatico ma sicuro nel suo eloquio dalla caratteristica cadenza palermitana. Finito in arresto nel 1997, quando Cosa nostra si calò come un giunco davanti alla piena dello Stato, iniziò a collaborare sin dal 2008 e fu un movimento tellurico: la verità su via D’Amelio, dopo anni di menzogne ed ignobili depistaggi. Poi sulle bombe del ’93 nel Continente: Milano, Firenze, Roma. I legami tra mafia, imprenditori, politici. I rapporti, presunti, tra i Graviano e Dell’Utri e Berlusconi. Oggi, dopo i processi su attentati e massacri di inizio anni ’90, sulla trattativa Stato-mafia, sul patto stragista tra siciliani e calabresi, depone a Rinascita Scott.

Il prequel con Fiume Spatuzza depone subito dopo il controesame, burrascoso e confusionario, del pentito reggino Nino Fiume, che – sollecitato dalle difese – prova chiarire alcuni aspetti emersi in sede di esame sulla storia del clan De Stefano e sulla carica di Crimine passata, dopo l’omicidio di Paolo De Stefano (1985), prima a Domenico Tegano (deceduto nel 1991), poi a Pasquale Condello, fino alla pace benedetta da Antonio Nirta e Mico Alvaro. In seguito il Crimine fu conferito, nel 2001, a Peppe De Stefano, figlio dello stesso don Paolo. Quindi domande e risposte, quasi incomprensibili da parte dello stesso Fiume, sul conferimento della dote della Santa e sul «chiamarsi il posto» degli ‘ndranghetisti in carcere. «C’erano regole di vita una volta nella ‘ndrangheta – ha detto Fiume – che col tempo, però, sono state enfatizzate fino a diventare qualcosa di folcloristico».

Il superpentito  Ben più lineare, anche se relativamente breve, il narrato di Gaspare Spatuzza. Preliminarmente, rispondendo al pm Anna Maria Frustaci, spiega cosa significa essere stati «combinati». «Sono stato combinato, quindi fatto uomo d’onore, giurando fedeltà alla famiglia di appartenenza – racconta – quando fui nominato capo mandamento, tra l’ottobre e il novembre 1995, dopo che fu arrestato Antonino Mangano. Prima non ero stato combinato, ma facevo parte comunque della famiglia ed avevo dei ruoli fondamentali».  Dopo l’arresto, nel ‘97, il 26 luglio del 2008, iniziò a collaborare con la giustizia, avendo incassato condanne definitive per le stragi di Roma e Firenze e per l’omicidio di don Puglisi. «Il mio è stato un percorso morale e spirituale – continua – Già nel 2001, senza collaborare né dissociarmi formalmente, presi comunque le distanze della famiglia. Iniziai ad affrontare il carcere in solitudine. Intrapresi in seguito la collaborazione con la giustizia, ma non ero stato mai indagato per Capaci e via D’Amelio. E mi autoaccusai perché era giusto così, perché fino ad allora erano stati condannati erroneamente all’ergastolo degli innocenti. Poi ci sono stati i processi e ho riportato condanne definitive per queste stragi. Alla fine hanno prevalso la verità e la giustizia. C’erano anche dei passaggi rimasti nell’ombra per gli attentati di Milano e Firenze e io ho reso dichiarazioni anche su questo, malgrado fossi già stato condannato per queste stragi».

L’asse Sicilia-Calabria Quindi il nocciolo: i rapporti Cosa Nostra-‘ndrangheta. «Negli anni ’80 i Graviano ospitarono i fratelli Notargiacomo al villaggio Euromare che era di proprietà dei Graviano e di Tullio Cannella, oggi collaboratore di giustizia  – spiega –. I Notargiacomo erano amici di Antonino Marchese, cognato di Leoluca Bagarella. Ricordo che uno di questi fratelli era stato ferito, perché coinvolti in una faida in Calabria». E ancora: «Durante la detenzione a Tolmezzo, con noi c’era Mommo Molé, persona stimatissima da Mariano Agate e dai fratelli Graviano. Eravamo, noi siciliani, coinvolti nel processo Golden Market. Mi dissero di ricusare il presidente della Corte d’Assise di Palermo all’ultima udienza – continua Spatuzza – Io sono stato stralciato. Molti così furono condannati, ma io fui successivamente assolto per gli omicidi. Quando arrivammo in Cassazione, ci arrivammo con due processi, io assolto e altri invece condannati».

Gli “amici calabresi” In relazione allo sviluppo del processo Golden Market, Spatuzza aggiunge: «Il giorno successivo al nostro arrivo a Tolmezzo, Giuseppe Graviano ci disse che aveva dato due botte di 500 milioni di vecchie lire a Mariano Agate per aggiustare un processo grazie agli “amici calabresi” ed il riferimento era la cosca Piromalli-Molé, con la quale c’era un rispetto profondo». Sugli altri rapporti tra siciliani e calabresi, invece: «Ho avuto un traffico di hashish e armi con i Nirta, per conto della famiglia mafiosa di Brancaccio. Poi ho conosciuto nel carcere di Ascoli Piceno Pasquale TeganoNicola Arena e Franco Coco Trovato. Mariano Agate aveva ottimi rapporti anche con Tegano e Coco Trovato».

E ancora: «A Tolmezzo contestai a Filippo Graviano che napoletani e calabresi si lamentavano che se c’era il 41 bis la colpa era dei palermitani. Graviano mi rispose “Questi che si lamentano dovrebbero prima parlare con i loro padri”. A gennaio del ’94, quando eravamo a Roma per l’attentato all’Olimpico, mentre si aspettava l’input di Giuseppe Graviano, al bar Doney lui mi disse che i calabresi si erano mossi, alludendo all’attentato fatto in Calabria contro i carabinieri, e quindi si poteva fare la strage allo stadio che poi è fallita. L’esigenza di fare presto a Roma, ci fece accantonare l’idea di ammazzare Contorno, che noi sapevamo dove fosse. Dovevamo fare un attentato pure a Napoli. Da quello che mi disse Graviano, compresi che c’era sinergia tra siciliani e calabresi nelle stragi, per questo mi disse che napoletani e calabresi dovevano parlare con i loro padri prima di lamentarsi, perché pure loro erano coinvolti nelle stragi». 22.2.2021 LA CNEWS24


22.2.2021 – IL PENTITO SPATUZZA: “NELLE STRAGI DI MAFIA I CALABRESI E I NAPOLETANI ERANO COINVOLTI CON LE MANI, CON LA TESTA E CON I PIEDI” Collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Lamezia Terme, stamattina il collaboratore di giustizia siciliano ha confermato che il particolare gli era stato riferito da Filippo Graviano, boss di Brancaccio che, assieme al fratello Giuseppe, all’inizio degli anni Novanta è stato il protagonista della strategia stragista di Cosa Nostra Secondo me, sia i calabresi che i napoletani erano coinvolti con le mani, con la testa e con i piedi nelle stragi”. Il pentito siciliano Gaspare Spatuzza si è convinto di questo dopo aver ascoltato la risposta di Filippo Graviano a cui lui, intorno al 1998, aveva riportato le lamentele di chi, all’interno del sistema carcerario, addossava ai palermitani la colpa del 41 bis (carcere duro, ndr). “Filippo Graviano mi disse che queste persone farebbero bene a parlare coi loro padri prima di aprire bocca”. Collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Lamezia Terme, stamattina il collaboratore di giustizia siciliano la ripete due volte la frase del boss di Brancaccio che, assieme al fratello Giuseppe, all’inizio degli anni Novanta è stato il protagonista della strategia stragista di Cosa Nostra: “Filippo Graviano mi disse: ‘È bene che questi signori parlassero con i loro padri, che gli daranno tutte le spiegazioni dovute’”. Anche al maxi-processo “Rinascita-Scott” contro la cosca Mancuso, in sostanza, Spatuzza ha confermato quanto aveva dichiarato prima nel verbale del 3 ottobre 2013 e poi nel processo “‘Ndrangheta stragista” che si è concluso nei mesi scorsi con la condanna all’ergastolo del boss Giuseppe Graviano per l’omicidio dei due carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria all’altezza dello svincolo di Scilla.

“Tutti i mali di questo Paese iniziano per la volontà della famiglia Graviano. È questo che non ha capito ancora il signor Giuseppe Graviano”. Rispondendo alle domande del sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, il collaboratore Spatuzza ha ricordato i suoi primi passi in Cosa Nostra: “Sono nato e cresciuto a Brancaccio e quindi orbitando in quell’ambiente criminale, sin dagli anni ’80 ho fatto parte della famiglia Graviano. Da lì ho iniziato il mio percorso criminale fino ad arrivare a fare omicidi e stragi”. Il riferimento è all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino (“Mi è stato dato il ruolo di rubare la macchina, la 126, – sono le sue parole – da utilizzare per la via D’Amelio in cui ho avuto un ruolo di primissimo livello”). Ma anche alle cosiddette “stragi continentali”: “Sono stato coinvolto nelle stragi in continente, a Roma, Firenze e Milano. Purtroppo sono stato uno dei partecipanti”. Spatuzza ricorda in aula quando con Antonio Scarano si trovava a Roma nei giorni che precedettero la fallita strage dell’Olimpico: “Aspettavamo l’imput definitivo di Graviano. Assieme a Scarano siamo andati a prenderlo al bar Doney. Lui mi mette al corrente di alcuni fatti: che ci hanno messo il paese nelle mani. Mi disse che ci dobbiamo muovere a fare l’attentato perché i calabresi si erano mossi: erano stati uccisi dei carabinieri in Calabria. Effettivamente, quando sono andato a constatare, ho scoperto che erano stati uccisi due carabinieri in Calabria. Quindi ci dà l’input definitivo di fare la strage lì a Roma, all’Olimpico. Fortunatamente è fallito”.

“L’obiettivo erano i carabinieri – ribadisce Spatuzza – Quando noi siamo andati su (a Roma, ndr), Graviano mi fa delle confidenze. Dice che avevano chiuso tutto e che avevamo ottenuto quello che volevamo. Mi fa capire che c’era una sinergia stragista tra noi siciliani, di Cosa Nostra, e la ‘Ndrangheta. Le parole che mi sono state fatte all’interno del bar Doney è che c’eravamo presi il Paese nelle mani grazie a Berlusconi e Dell’Utri. Del partito, in quella sede e in quell’istante, non se ne è parlato”. A proposito dei rapporti tra calabresi e siciliani, inoltre, il pentito ha ricordato che negli anni ’80 i due fratelli Notargiacomo vennero ospitati all’interno del villaggio turistico Euromare di proprietà dei Graviano. Dei due fratelli, Spatuzza ricorda che “uno era ferito a causa di una guerra all’interno delle famiglie calabresi. I Notargiacomo erano amici di Antonio Marchese, cognato di Leoluca Bagarella. Sono stati presi sotto la custodia della famiglia di Brancaccio”. Il collaboratore parla anche dei legami dei Graviano con le cosche Molè e Piromalli di Gioia Tauro. “I rapporti li aveva più Mariano Agate che veniva paragonato allo stesso livello di Totò Riina. – aggiunte Spatuzza – Quando siamo arrivati nel carcere di Tolmezzo nel 1999 o nel 1998, abbiamo saputo che era stato assegnato allo stresso istituto Mariano Agate. Giuseppe Graviano dice ‘proprio a lui cercavo perché gli ho dato un sacco di soldi per sistemare un processo, circa 500 milioni di lire. Due trance di 500 milioni l’una erano state messe a disposizioni di alcuni amici calabresi che avrebbero aggiustato un processo che io dedussi essere stato ‘Golden Market’. Io queste cose le ho apprese da Giuseppe Graviano”. IL FATTO QUOTIDIANO 23.2.2021

 

Processo Rinascita-Scott: ammessi tutti i testi richiesti dall’accusa e dalla difesa . Oltre duemila i testimoni che dovranno essere ascoltati dal Tribunale di Vibo. La Dda rinuncia a cinque collaboratori di giustizia ma chiede che Mantella venga sentito prima degli imputati I pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo ed Annamaria Frustaci, hanno chiesto l’esame in aula di quasi 900 testi, con l’esclusione di alcuni testimoni e collaboratori di giustizia precedentemente citati. Si tratta del collaboratore di Potenza, Antonio Cossidente – in queste settimane balzato agli onori delle cronache dopo che la nostra testata ha pubblicato le rivelazioni in ordine alla scomparsa di Maria Chindamo – di Vincenzo Calcara di Castelvetrano, del collaboratore di Lamezia Terme Massimo Di Stefano, di Luciano Piccolo di Sant’Ilario dello Jonio, di Calogero Marcenò di San Cataldo. Accanto a tali collaboratori, la Dda ha chiesto anche l’esclusione della testimone di giustizia Agnese Merli di Roma, già compagna del defunto Cesare Muggeri, ovvero quello che gli inquirenti ritenevano fosse negli anni ’80 il presunto boss di Zambrone.


26.1.2021 Rinascita-Scott: il Tribunale di Vibo rigetta tutte le questioni preliminari sollevate dalle difese Il processo va avanti avendo i giudici respinto le eccezioni avanzate da diversi avvocati nell’interesse, fra gli altri, di Giancarlo Pittelli, Giuseppe Accorinti, Filippo Nesci, Danilo Tripodi, Pasquale Bonavota e Mario De Rito Restano da decidere due sole eccezioni preliminari presentate dalle difese degli imputati, ma tutte le altre sono state oggi respinte dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Brigida Cavasino presidente, a latere i giudici Gilda Romano e Claudia Caputo) nel maxi-processo con rito ordinario nato dall’operazione antimafia Rinascita-Scott. Diverse le motivazioni alla base del rigetto poiché differenti erano le eccezioni sollevate dai difensori degli imputati, finalizzate in gran parte ad ottenere l’incompetenza funzionale o per territorio del Collegio. Intento non riuscito perché il Tribunale ha deciso di rigettare ed andare avanti. Rigetto, dunque, in ordine all’eccezione sulla durata massima delle indagini (alcune difese lamentavano lo sforamento del limite massimo temporale previsto dalla legge) poiché nell’inchiesta Rinascita-Scott siamo in presenza di reati a carattere permanente. Rigetto sull’eccezione relativa alla lamentata tardiva iscrizione sul registro degli indagati dell’imputato Giancarlo Pittelli (avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia) da non considerarsi illegittima in quanto rientrante nella discrezionalità dell’ufficio di Procura. Rigettate poi le richieste di abbreviati avanzate da diversi imputati, fra cui l’avvocato Francesco Stilo, e per quest’ultimo anche il rigetto in ordine alla regolarità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che ha fatto registrare da parte di Stilo la nomina e la successiva revoca di diversi difensori.  Nessuna connessione del processo Rinascita-Scott con il troncone pendente dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro chiamata a giudicare su cinque fatti di sangue e due sequestri di persona. Per il Tribunale collegiale di Vibo non ricorre in questo caso l’ipotesi di connessione anche in ragione della natura permanente del delitto di omicidio ed anche alla luce della disamina dei capi di imputazione. Per quanto attiene poi il trasferimento del processo al Tribunale di Salerno – eccezione sollevata dall’avvocato Francesco Sabatino nell’interesse dell’imputato Danilo Tripodi (assistente giudiziario del Tribunale di Vibo) – per i giudici non vi è alcuna connessione tra Rinascita-Scott ed un’inchiesta aperta dalla Procura di Salerno che vede indagato Tripodi in concorso con l’ex presidente del Tribunale di Vibo, Alberto Nicola Filardo. In questo caso, il Tribunale di Vibo non ha ravvisato alcuna connessione sia con riferimento al titolo di reato, sia al tempo di commissione del reato stesso. Dunque, nel caso di specie, nessuna connessione soggettiva ed oggettiva. Rigettata poi l’eccezione di incompetenza territoriale per Giuseppe Navarra, Marco Scrugli e Salvatore Valenzise in quanto per il Tribunale si tratta nei loro confronti di reati connessi alla contestazione associativa. Rigetto anche per l’omesso interrogatorio del boss di Zungri, Giuseppe Accorinti, perché il diritto di ascolto delle intercettazioni non corrisponde al diritto ad accedere al server. L’interrogatorio di Accorinti si è inoltre svolto il 3 luglio scorso e quindi non poteva essere accolta la successiva richiesta. Per quanto attiene alla paventata nullità dell’interrogatorio dell’imputato Mario De Rito di Vena Superiore, i giudici si sono pronunciati per il rigetto sia con riferimento al termine di trenta giorni, sia con riferimento al legittimo impedimento per motivi di salute.  Anche per la questione del luogo nel quale svolgere il processo (aula bunker nell’area industriale di Lamezia Terme piuttosto che una struttura in provincia di Vibo) si è registrato un rigetto. Sull’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia, Filippo Nesci, l’esclusione dell’aggravante mafiosa nel reato di corruzione e la sua valutazione in sede cautelare per i giudici non influiscono sul processo. Per quanto attiene la posizione di Pasquale Bonavota di Sant’Onofrio (attualmente latitante), per il Tribunale di Vibo l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni captate con il suo avvocato Tiziana Barillaro non comporta la nullità dei decreti autorizzativi successivi. Rigettate, infine, anche le eccezioni in ordine all’indeterminatezza dei capi di imputazione sollevate da alcuni imputati, così come è stata respinta l’eccezione relativa alla paventata mancata notifica dell’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dell’imputato Giuseppe Mangone di Mileto. il Vibonese 26.1.2021


Processo Rinascita-Scott, tre giudici si astengono. Spettera’ ora al presidente del Tribunale di Vibo Di Matteo individuare dei nuovi giudici compatibili con la trattazione del processo  La presidente del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, Tiziana Macri’, dinnanzi al quale si e’ aperto stamane il processo Rinascita-Scott, si e’ astenuta dalla prosecuzione del procedimento prendendo atto della ricusazione decisa nei giorni scorsi nei suoi confronti dalla Corte d’Appello di Catanzaro in accoglimento di una richiesta della Dda. Astensione anche per i due giudici a latere del processo, Brigida Cavasina e Gilda Romano che, nell’ottobre scorso, per ragioni diverse, hanno emesso una sentenza nei confronti del clan Soriano di Filandari, in cui erano confluiti anche alcuni atti dell’inchiesta Rinascita. Spettera’ ora al presidente del Tribunale di Vibo, Antonino Di Matteo, individuare dei nuovi giudici compatibili con la trattazione del processo. La ricusazione del presidente Macri’ e’ stata presentata dalla Dda in quanto, come Gip distrettuale, il magistrato aveva autorizzato intercettazioni nei confronti di uno degli indagati.  AGI 13.1.2021


Ndrangheta, nell’aula bunker di Lamezia Terme comincia il maxi processo Rinascita Scott. Trecentoventicinque imputati, 400 capi di imputazione. Il procuratore capo Gratteri: “La gente deve capire che si può fidare di noi”


13.1.2021 – Rinascita Scott, oggi parte il processo: giudice è pronto ad astenersi dopo la ricusazione  Pesa la ricusazione della Dda di Catanzaro nel troncone del giudizio immediato che però avrà affetto pure sull’ordinario con 325 imputati. Il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra in aula

Si aprirà oggi dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia il processo con rito ordinario nato dall’operazione antimafia Rinascita-Scott scattata il 19 dicembre 2019. Sono 325 gli imputatipiù altri quattro sotto processo con giudizio immediato (gli avvocati Giancarlo Pittelli e Giulio Calabretta, l’imprenditore vibonese Mario Lo Riggio e l’ex sindaco di Nicotera Salvatore Rizzo) in un troncone che dovrebbe essere riunito al principale.  Dovrebbe, perché per tale ultimo procedimento la Corte d’Appello di Catanzaro ha accolto la ricusazione per incompatibilità del giudice Tiziana Macrì in quanto da gip distrettuale ha autorizzato un’intercettazione nei confronti di uno degli attuale imputati che è però a giudizio con il rito ordinario. Ciò rende quindi il giudice incompatibile funzionalmente. Lo “scenario” che si apre, quindi, è un’astensione dello stesso giudice anche nel troncone ordinario con 325 imputati, naturalmente dopo la costituzione delle parti. Al momento non sono state ammesse le riprese audio-video del dibattimento. L’udienza – così come tutte le prossime a seguire – si terrà nella nuova aula bunker della fondazione Terina nell’area industriale di Lamezia Terme. Sono in viaggio sull’autostrada Roma-Napoli per raggiungere l’aula bunker di Lamezia ove si svolgerà la prima udienza del processo Rinascita Scott. Lo si deve alla Calabria, agli uomini dello Stato che tutte le mattine a quest’ora stanno già lavorando per bonificare questa terra meravigliosa, ma sofferente per le troppe ingiustizie ancora non sanate». Così Nicola Morra presidente della Commissione Antimafia. «Oggi è una giornata importante – coclude Morra – esattamente come quando si decise di procedere lo stesso all’operazione pur in presenza di una fuga di notizie che mise in pericolo l’esito della stessa il 20 dicembre 2019».  Alla sbarra i clan Mancuso di Limbadi e Nicotera, Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia, Pugliese di Vibo, Pardea-Camillò-Macrì di Vibo Valentia, Accorinti di Zungri, Bonavota di Sant’Onofrio, Cracolici di Maierato e Filogaso, Mazzotta di Pizzo Calabro, Barbieri di Cessaniti, Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, La Rosa di Tropea. LACNEWS24




GRATTERI:Questa indagine è una pietra angolare nella conoscenza della ‘ndrangheta e di questa nuova frontiera” del crimine di matrice calabrese che si serve dei “colletti bianchi” per gestire il potere. Lo ha detto il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, questa mattina arrivando nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, dove si tiene la prima udienza preliminare dell’inchiesta “Rinascita-Scott”, con 456 imputati, fra i principali esponenti dei clan di Vibo Valentia e di altre ‘locali’ della Calabria. Il calendario delle udienze prevede almeno 10 appuntamenti nell’aula bunker del penitenziario romano in attesa che venga ultimata una struttura simile a Lamezia Terme, nell’area ex Sir. Il procuratore capo di Catanzaro – parlando con il Tg1 e il Tg3 – ha sottolineato come “in questo processo c’è un’altissima percentuale di colletti bianchi e di quella che si definisce ‘zona grigia’, fatta di molti professionisti e uomini dello Stato infedeli che hanno consentito a questa mafia di pastori, caproni e gente rozza, con la forza della violenza e dei soldi della droga, di entrare mani e piedi nella pubblica amministrazione e nella gestione della cosa pubblica”. Per numeri e imputati, e per la sua valenza, l’indagine, Rinascita-Scott è stata associata al primo maxi-processo della storia delle inchieste di mafia, celebrato all’Ucciardone di Palermo: “Non mi accosto a quei grandi uomini che sono stati i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – ha affermato Gratteri – ma questo è uno step di un disegno nato il 16 maggio del 2016, quando mi sono insediato alla procura di Catanzaro. Da quel giorno, insieme ai miei collaboratori, abbiamo pensato di costruire questa tipologia di indagine, non con pochi indagati, ma che abbia l’intento di spiegare il disegno unitario di questa ‘ndrangheta asfissiante, che davvero toglie il respiro e il battito cardiaco alla gente”. Gratteri – parlando con Tg1 e Tg3 – ha anche fatto riferimento all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Salerno nei confronti dell’ex presidente della Corte di assise di Catanzaro, Marco Petrini, magistrato sott’inchiesta per corruzione in atti giudiziari, (avrebbe aderito ad una loggia massonica e avrebbe rivelato informazioni riservate): “Ho visto quello che fa la procura di Salerno: è un segnale che si innesta col processo di oggi e con gli altri già celebrati”, ha sottolineato Gratteri, visto che Rinascita-Scott è il processo di ‘ndrangheta con “la più alta percentuale di colletti bianchi e uomini dello Stato infedeli”. Il procuratore di Catanzaro ha anche rigettato le accuse di ‘manettaro’ che qualcuno gli ha fatto: “E’ perfettamente chiara questa campagna di delegittimazione nei confronti della procura di Catanzaro, perché hanno capito perfettamente che io sono solo la punta avanzata di una grande squadra che ha spalle larghe e nervi d’acciaio e che sicuramente non farà falli di reazione”, ha concluso. IL LAMENTINO 11.9.2020


Rinascita-Scott, la Corte d’Appello accoglie istanza Dda su ricusazione giudice  La Corte d’Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta della Dda di Catanzaro di ricusazione del giudice Tiziana Macrì, presidente di sezione nel Tribunale di Vibo Valentia, ritenuta incompatibile a giudicare nel maxi-processo “Rinascita-Scott” che vede imputate oltre 400 persone ed il cui inizio é fissato per il 13 gennaio.  Secondo quanto sottolineato dalla Dda, Tiziana Macri, nell’ambito del procedimento penale “Rinascità-Scott”, aveva emesso “in qualità di Gip del Tribunale di Catanzaro, il decreto di convalida dell’intercettazione disposta dal pubblico ministero”. Il giudice – secondo la Dda – ha l’obbligo di astenersi se si trova in alcuna delle situazioni di incompatibilità funzionali stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario”. Sempre secondo la Dda, la presidente Macrì non può tornare a giudicare “avendo emesso, quale Gip nell’ambito del medesimo procedimento, provvedimenti di intercettazione a contenuto decisorio con apprezzamento nel merito in relazione all’imputazione associativa e alle articolazioni ad essa strettamente connesse nel cui ambito di operatività devono essere inquadrate le posizioni degli imputati”. 8 Gennaio 2021 SECONDOPIANO NEWS


Rinascita-Scott, Corte d’Appello ricusa presidente del Tribunale  È stata ricusata la giudice Tiziana Macrì, presidente di sezione nel Tribunale di Vibo Valentia. La Corte d’Appello di Catanzaro ha infatti accolto la richiesta della Dda di Catanzaro, perché la giudice è ritenuta incompatibile per giudicare nel maxi-processo “Rinascita-Scott” che vede alla sbarra oltre 400 persone. Secondo quanto sottolineato dalla Dda, Tiziana Macri, nell’ambito del procedimento penale “Rinascità-Scott”, aveva emesso “in qualità di Gip del Tribunale di Catanzaro, il decreto di convalida dell’intercettazione disposta dal pubblico ministero. Sempre per la Dda il giudice ha l’obbligo di astenersi se si trova in alcuna delle situazioni di incompatibilità funzionali stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario“. Sempre per la Dda, la presidente Macrì non può tornare a giudicare “avendo emesso, quale Gip nell’ambito del medesimo procedimento, provvedimenti di intercettazione a contenuto decisorio con apprezzamento nel merito in relazione all’imputazione associativa e alle articolazioni ad essa strettamente connesse nel cui ambito di operatività devono essere inquadrate le posizioni degli imputati“. Cn24tv 8.1.2021


Processo Rinascita-Scott: ecco i 58 collaboratori di giustizia chiamati a deporre  Con loro anche cinque testimoni di giustizia, fra cui le compagne di Ambrogio Accorinti e Domenico Mancuso. I testi della pubblica accusa sono 913 per un dibattimento destinato a passare alla storia giudiziaria italiana  Sono in totale 913 i testi citati dalla pubblica accusa (Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Graatteri con i pm Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci che hanno stilato la lista testi) nel processo con rito ordinario dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, nato dall’operazione antimafia Rinascita-Scott, che si aprirà mercoledì prossimo nell’aula bunker allestita in una struttura della Fondazione Terina di Lamezia Terme. Oltre 300 gli imputati. Oltre agli investigatori che hanno seguito da vicino le indagini e redatto numerose informative – carabinieri (soprattutto Ros di Catanzaro, Nucleo Investigativo di Vibo e Ros di Roma), polizia e finanza – a periti e consulenti della pubblica accusa, sono stati chiamati a deporre anche cinque testimoni di giustizia e ben 58 collaboratori di giustizia e fra loro anche il giudice Marco Petrini. Quindi collaboratori di primo piano della ‘ndrangheta vibonese e calabrese, pentiti di Cosa Nostra, della camorra, della Sacra Corona Unita ed anche del clan dei Basilischi (la mafia lucana). Pentiti “storici” come Pino Scriva di Rosarno (l’ex “re” delle evasioni e primo pentito della ‘ndrangheta negli anni ’80), l’ex boss di Messina Gaetano Costa (legato ai Piromalli di Gioia Tauro), l’ex boss di Cosenza Franco Pino, l’ex boss dell’omonimo clan di Siderno Giuseppe CostaMichele Iannello di San Giovanni di Mileto (condannato per l’omicidio del piccolo Nicolas Green),Gaspare Spatuzza  di Palermo (affiliato alla famiglia di Brancaccio guidata dai boss Graviano e che si è accusato dell’omicidio di don Pino Puglisi e di aver rubato l’auto che il 19 luglio 1992 venne impiegata come autobomba nella strage di via d’Amelio), Tommaso Mazza (già al vertice del clan dei Gaglianesi di Catanzaro), Vincenzo Grimaldi (il cui padre è stato ucciso e per metà decapitato in quella passata alle cronache come la “Strage del venerdì nero di Taurianova”). [Continua dopo la pubblicità]

Questo l’intero elenco dei collaboratori di giustizia chiamati a deporre:

Gaetano Albanese di Candidoni, Bartolomeo Arena di Vibo Valentia, Umile Arturi di Cosenza, Luigi Bonaventura di CrotoneVincenzo Calcara di CastelvetranoMichele Camillò di Vibo Valentia, Gaetano Cannatà di Vibo Valentia, Antonio Cicciù di Cariati, Giuseppe Comito di Vibo Marina, Angelo Cortese di Cutro, Antonio Cossidente di Potenza, Gaetano Costa di Messina, Giuseppe Costa di Siderno, Francesco Costantino di Maierato, Massimo D’Amico di Mesagne (Br), Pasqualino D’Elia di San Costantino Calabro, Giuseppe Di Giacomo di Acicatena (Ct), Massimo Di Stefano di Lamezia Terme, Luigi Farris di Vibo Valentia, Nicola Figliuzzi di Sant’Angelo di Gerocarne, Antonino Fiume di Reggio Calabria, Domenico Giampà di Lamezia Terme, Giuseppe Giampà di Lamezia Terme, Vincenzo Grimaldi di Taurianova, Michele Iannello di San Giovanni di Mileto, Paolo Iannò di Reggio Calabria, Emanuele Mancuso di Nicotera, Andrea Mantella di Vibo Valentia, Calogero Marcenò di San Cataldo, Vincenzo Marino di Crotone, Tommaso Mazza di Catanzaro, Agnese Merli di Roma, Francesco Michienzi di Acconia di Curinga, Santo Mirarchi di Catanzaro, Giuseppe Morano di Laureana di Borrello, Raffaele Moscato di Vibo Marina, Francesco Oliverio di Belvedere Spinello, Francesco Onorato di Palermo, Roberto Pagano di Cosenza, Marco Petrini (già presidente della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro), Luciano Piccolo di Sant’Ilario dello Jonio, Franco Pino di Cosenza, Eugenio William Polito di Ionadi, Gennaro Pulice di Lamezia Terme, Antonio Recchia di Castrovillari, Emilio Santoro (medico di Cariati), Francesco Saraco (avvocato) di Santa Caterina dello Jonio, Antonio Schettini di Portici (Na), Salvatore Schiavone di Nicotera, Giuseppe Scriva di Rosarno, Angiolino Servello di Ionadi, Antonio Sestito di Isola Capo Rizzuto, Gaspare Spatuzza di Palermo, Pasquale Tripodoro di Rossano, Carlo Vavalà di Cessaniti, Cosimo Virgilio di Rosarno, Giuseppe Vrenna di Crotone, Diego Zappia di Oppido Mamertina.
La Dda di Catanzaro ha poi chiesto l’acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali rilasciati da collaboratori deceduti come: Gerardo D’Urzo di Sant’Onofrio, Domenico Cricelli di Tropea, Rosario Michienzi di Sant’Onofrio, Francesco Fonti di Bovalino (passato alla storia come il pentito delle “Navi dei veleni”).

Questi, invece, i testimoni di giustizia chiamati a deporre dalla pubblica accusaNunzio Buttafuoco di Maierato, Alfonso Carano di Nicotera, i coniugi Giuseppe Grasso e Francesca Franzè di Briatico (in relazione alle dichiarazioni rese sull’imprenditore ed imputato Mario Lo Riggio), Elisabetta Melana di Zungri (moglie di Ambrogio Accorinti), Ewelyna Pytlarz (polacca ex moglie di Domenico Mancuso, fratello dei boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, e Giuseppe Mancuso, detto Bandera). Di  Giuseppe Baglivo  9 Gennaio 2021 IL VIBONESE


UN PENTITO PER TUTTE LE STGIONI – Vincenzo Calcara. Ci fu la stagione dei pentiti (in verità mai finita a giudicare da quanto accade con i nuovi Buscetta e chi miracolosamente riacquista la memoria dopo quasi trent’anni) che se per molti versi diede un notevole contributo nella lotta alla mafia, per altri, servì a sviare indagini facendo accusare innocenti e mettendo al riparo i veri autori dei crimini. Come nel caso del falso pentito Vincenzo Scarantino.

Ma tra i tanti “pentiti incredibili” se si vuol trovare un autentico supercampione delle testimonianze, non ci si può sbagliare, è Vincenzo Calcara!

Calcara per decenni è stato considerato un superpentito. “Uomo d’onore riservato” di Francesco Messina Denaro, super killer di Cosa nostra al quale sarebbe stato affidato l’omicidio di Paolo Borsellino, testimone del trasporto di dieci miliardi di lire all’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, conoscitore dei retroscena dell’attentato a Papa Wojtyla ad opera di Alì Agca, trafficante di droga, rapinatore e, infine, estortore di ristoratori filmando un topo.

Nel 2014 si era pure proposto invano al Papa per importanti rivelazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

La credibilità di Calcara è stata a lungo oggetto di valutazioni non proprio lusinghiere. A partire dalla sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta nel processo per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, i cui giudici valutarono come del tutto inattendibile il Calcara. Una valutazione non diversa da quella che fecero i giudici che lo esaminarono all’udienza dell’11 gennaio 2012 in merito all’omicidio di Mauro Rostagno.

Lapidaria la testimonianza del giudice Massimo Russo che sia al Borsellino Quater che in Commissione Parlamentare Antimafia, ha ricordato di averlo imputato di autocalunnia aggravata dall’articolo 7, avere agevolato la mafia (processo finito in prescrizione)  “perché lui dice di essere un uomo d’onore ed è certo che non è mai stato uomo d’onore, né ha avuto a che fare con i mafiosi, ma questo ce lo dicono venti o trenta collaboratori di giustizia, era un personaggio che ha detto delle cose che andavano oltre la sua cognizione e non sappiamo se siano farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina.”

E il dubbio – se non la certezza – che Calcara abbia detto delle cose che non siano farina del suo sacco ma di qualche altro sacco che non è di farina, deve averlo avuto anche la Procura Generale di Catania che ha ritenuto di dover chiedere l’accoglimento della revisione di un processo, parlando delle falsità delle accuse del Calcara e facendo riferimento ad un depistaggio.

Di recente, dopo aver sempre taciuto su Matteo Messina Denaro e sul vero ruolo di Francesco Messina Denaro in Cosa nostra, aveva insistito per essere chiamato a testimoniare a Caltanissetta nel corso del processo che vedeva imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92.

Una richiesta più volte respinta dal pm Gabriele Paci, che nella sua requisitoria ha motivato il mancato accoglimento della richiesta avanzata definendo  l’ex pentito “uno di quelli che inquinava i pozzi” e come un collaboratore di giustizia eterodiretto.

Questo ha fatto sì che Calcara intervenisse pesantemente tentando di condizionare il processo, arrivando a querelare sia il magistrato che l’avvocato dei figli del giudice Paolo Borsellino che lo aveva diffidato dal formulare le più ignobili accuse nei confronti di un magistrato impegnato in importanti processi, compreso questo su Matteo Messina Denaro che ha portato alla condanna all’ergastolo.

È di ieri la notizia che l’ex pentito Vincenzo Calcara sarà tra i 913 testi citati dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri nel processo nato dall’operazione antimafia Rinascita-Scott, che vede oltre 300 imputati.  

Non è la prima volta che Calcara è chiamato a testimoniare in un processo in Calabria. Il suo nome compare nella sentenza emessa il 29 gennaio 1999, dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, alla quale si era arrivati partendo da un’ipotesi investigativa in merito ai sequestri di persona commessi nella provincia di Reggio Calabria dalla cosiddetta “Anonima Sequestri”.

Tra i testi del processo “Aspromonte”,  l’ex pentito Vincenzo Calcara che già in primo grado aveva narrato di contatti tra le famiglie calabresi e quelle siciliane, di traffici di droga e di armi, ai quali lui stesso, a suo dire, aveva preso parte.

Nel corso di quel processo Calcara fu in grado di riconoscere soggetti mai visti prima e descrivere in maniera molto dettagliata il percorso, le località e i paesaggi incontrati lungo il viaggio, compreso un monumento che era stato spostato 5 anni prima dalla piazza nella quale l’ex pentito lo aveva visto nella prima e unica volta che si era recato a S. Luca.

Anche in quel caso, i giudici che si trovarono a dover assolvere gli imputati dalle accuse di Calcara, non furono affatto teneri nei suoi confronti, ritenendo, tra le altre cose, che il riferimento alla statua dipendesse “non già da una conoscenza personale e diretta (così come tutte le altre indicazioni troppo precise e puntuali per non destare perplessità), bensì da riferimenti consigliati o appresi”.

Siamo certi che la Dda di Catanzaro e il procuratore Nicola Gratteri avranno riscontrato elementi tali da ritenere utile la testimonianza di Calcara al processo Rinascita-Scott, nonostante la sua macilenta credibilità.

C’è però da sperare che almeno questa volta l’ex pentito si attenga a fatti realmente di sua conoscenza – se ne sa – e non voglia propinare teorie in merito alle sue “cinque entità” costituite da Cosa Nostra, Massoneria deviata, Vaticano dato, Servizi segreti deviati e ‘ndrangheta, utili soltanto ad alzare un’altra cortina fumogena utile ad allontanare gli inquirenti sulla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio, cavalcando l’onda di processi in corso.

Che non sia, insomma, un pentito per tutte le stagioni, visto che in molte circostanze – l’ultima in ordine di tempo quella del processo a Matteo Messina Denaro – gli è stato impedito di indirizzare il corso della giustizia in una direzione diversa da quella che ha preso e che ormai trova conforto nei numerosi riscontri emersi in sede giudiziaria.   Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 10.1.21


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a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF