BRUNO CONTRADA: la Cassazione annulla la sentenza di risarcimento per ingiusta detenzione

 

 

La Cassazione annulla con rinvio il risarcimento per ingiusta detenzione di Bruno Contrada La Corte di Appello di Palermo dovrà pronunciarsi nuovamente sul risarcimento che era stato quantificato in 667mila euro

Bruno Contrada, ex funzionarioagente segreto  è stato dirigente generale della Polizia di Stato, numero tre del Sisde, capo della Mobile di Palermo, e capo della sezione siciliana della CriminalpolIl suo nome è associato ai presunti rapporti tra servizi segreti italiani e criminalità, culminati nella strage di via d’Amelio dove morì in un attentato il giudice Paolo Borsellino che in quel periodo indagava sui collegamenti tra mafia e Stato, e alla cosiddetta “zona grigia” tra legalità e illegalità. Contrada si è dichiarato collaboratore e amico di Borsellino, ma i familiari del magistrato assassinato hanno smentito fermamente.  Anche Giovanni Falconepareva non si fidasse di lui da tempo.  In gioventù fu amico e collaboratore di Boris Giuliano, la cui moglie ha espresso invece perplessità sulla colpevolezza di Contrada. Arrestato il 24 dicembre 1992, Contrada, che si è dichiarato estraneo al reato, è stato condannato in via definitiva nel 2007 a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2011-12 venne respinta la richiesta di revisione del processo e sempre nel 2012 finì di scontare la pena.  L’11 febbraio 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato lo Stato italiano poiché ha ritenuto che la ripetuta mancata concessione degli arresti domiciliari a Contrada, sino al luglio 2008, pur se gravemente malato e malgrado la palese incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario, fosse una violazione dell’art. 3 Cedu (divieto di trattamenti inumani o degradanti). Il 13 aprile 2015 la stessa Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano stabilendo un risarcimento per danni morali da parte dello Stato italiano perché non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dato che, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non era ancora previsto dall’ordinamento giuridico italiano (principio di nulla poena sine lege), e nella sentenza viene affermato che «l’accusa di concorso esterno non era sufficientemente chiara».  In seguito a ciò, nel giugno 2015 è iniziata la revisione del processo di Contrada, poi respinta il 18 novembre. Gli avvocati di Contrada hanno presentato istanza di revoca della condanna, respinta dalla corte d’appello di Palermo, e infine accolta nel 2017 dalla corte di Cassazione, che ha dichiarato “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna”.

INGIUSTA DETENZIONE DI CONTRADA, LA CASSAZIONE ANNULLA LA SENTENZA DI RISARCIMENTO Il risarcimento per ingiusta detenzione era stato disposto dalla Corte d’appello di Palermo alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva riconosciuto la ineseguibilità della sua condanna a 10 anni  La quarta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo che aveva riconosciuto a Bruno Contrada la riparazione per ingiusta detenzione, quantificandola in 667mila euro. La decisione della Corte è giunta oggi dopo una camera di consiglio svolta ieri, in cui sono stati esaminati i ricorsi della procura generale di Palermo e dell’Avvocatura dello Stato (per conto del ministero dell’Economia) contro la pronuncia dei giudici palermitani depositata lo scorso aprile. La Corte d’appello di Palermo, dopo che saranno depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione, dovrà quindi riesaminare la questione.

Il risarcimento per ingiusta detenzione era stato disposto dalla Corte d’appello di Palermo a Contrada alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva riconosciuto la ineseguibilita’ della sua condanna a 10 anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che all’epoca dei fatti non era sufficientemente definito con chiarezza dalla giurisprudenza. “Aspettiamo di leggere le motivazioni per un esame più approfondito, ma è evidente fin d’ora che la corte di legittimità non ha dato esecuzione alla sentenza di Strasburgo, secondo cui il dottor Contrada non andava nè processato, nè condannato. Ora la palla passa nuovamente alla Corte d’Appello palermitana. Ma comunque andrà a finire la vicenda, è probabile che il mio assistito non vedrà mai un centesimo di quanto gli spetta, considerate la sua età e le sue condizioni di salute e la lunghezza dei tempi processuali”, afferma il legale di Bruno Contrada, l’avvocato Stefano Giordano. I giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso firmato dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e dai sostituti Carlo Marzella e Umberto De Giglio, che avevano sostenuto come a Contrada, ex dirigente del Sisde, non spettasse il risarcimento perchè il carcere non sarebbe stato “ingiusto”. L’ex poliziotto, oggi quasi novantenne, era stato condannato e aveva scontato 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva però riconosciuto la ineseguibilità della condanna perchè il reato, quando lui lo aveva commesso, non era sufficientemente definito. La Cassazione prima e la Corte d’Appello di Palermo dopo avevano recepito il principio, dichiarando la condanna appunto non eseguibile, anche se già era stata scontata. Per tale ragione un’altra sezione della Corte d’Appello aveva disposto il risarcimento, poi impugnato dal Pg di Palermo, che aveva sostenuto come la pena fosse stata espiata in base a una sentenza in quel momento pienamente legittima.LA REPUBBLICA 21.1.2021


Lo smacco per Contrada: non avrà un risarcimento Lui: “Sono senza parole  La corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della corte d’Appello di Palermo  Accogliendo i ricorsi effettuati dalla procura generale di Palermo e dall’avvocatura dello Stato, la quarta sezione penale della corte di Cassazione ha deciso di annullare con rinvio l’ordinanza tramite la quale la corte d’Appello di Palermo aveva riconosciuto a Bruno Contrada la riparazione per ingiusta detenzione.

I giudici palermitani avevano determinato lo scorso 6 aprile il riconoscimento di un risarcimento di 667mila euro da elargire all’ex numero due del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) dopo che quest’ultimo aveva inoltrato tale richiesta tramite i suoi legali. Tale risarcimento, causa ingiusta detenzione, per l’ex capo della squadra mobile di Palermo, è stato disposto sulla base della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva riconosciuto la non eseguibilità della sua condanna a 10 anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Corte europea che nel 2015 si pronunciò a favore di Contrada a causa dell’inadeguatezza della giurisprudenza italiana al momento dei fatti contestatigli. Il concorso esterno in associaazione mafiosa, infatti, venne tipizzato e definito con precisione solo a partire dal 1994, mentre i reati ascritti all’ex funzionario del Sisde risalivano ad anni precedenti (1979-1988).

Prendendo spunto da tale determinazione della corte di Strasburgo, quindi, i legali di Contrada avevano presentato una richiesta di risarcimento, riconosciuta dalla corte d’Appello di Palermo ed ora invece annullata con rinvio dalla corte di Cassazione. “Aspettiamo di leggere le motivazioni per un esame più approfondito, ma è evidente fin d’ora che la Corte di legittimità non ha dato esecuzione alla sentenza di Strasburgo, secondo cui Contrada non andava né processato, né condannato”, ha spiegato con disappunto l’avvocato di Contrada Stefano Giordano, come riportato da Agi. “Ora la palla passa nuovamente alla Corte d’Appello palermitana“, ha proseguito il legale. “Ma, comunque andrà a finire la vicenda, è probabile che il Contrada non vedrà mai un centesimo di quanto gli spetta, considerate la sua età e le sue condizioni di salute e la lunghezza dei tempi processuali”.

Lo stesso Bruno Contrada, oggi 89enne, ha espresso ad Agi tutta la delusione per la sentenza. “Ho sempre avuto grande rispetto dell’opinione della stampa e ho sempre risposto ai giornalisti. Ma oggi non ho nulla da dire. Non è per malanimo o per altre ragioni ma”, ha concluso l’ex funzionario del Sisde, “mi creda su questo non ho niente da dire”.   Federico Garau –  21/01/2021 IL GIORNALE

 

Quella di Bruno Contrada è una storia emblematica. Soprattutto dello stato comatoso in cui si trova la Giustizia in Italia.  Per processarlo e condannarlo sono occorsi 15 anni. Innocente o colpevole che sia quello che gli è stato riservato è un trattamento indegno di un Paese che si vuole civile. Anche perché la sua lunga vicenda giudiziaria è stata contrassegnata da un’ambiguità di fondo: la straordinaria credibilità attribuita allo stuolo di “pentiti” che lo accusava, moltissimi dei quali già ritenuti inattendibili in altre sentenze. E poi l’assoluta mancanza di riscontri oggettivi. Un processo, quello a Contrada, che riporta alla mente un altro processo, del tutto diverso, quello che ha condannato Sofri, Pietrostefani e Bompressi per l’omicidio del commissario Calabresi: i “pentiti” usati come oracoli. I fatti? Di nessun rilievo.

Ma la storia di Bruno Contrada è una storia diversa. E’ la storia di un “servitore dello Stato” seppellito dall’accusa infamante di essere un uomo contiguo alle cosche mafiose. Con un’anomalia che deve far riflettere. E solo un caso che Contrada fosse tra i pochi poliziotti fuori dai giochi politici di quelli che Leonardo Sciascia chiamava i “professionisti dell’antimafia”?
Bruno Contrada viene arrestato il giorno dell’antivigilia di Natale del 1992, l’anno delle stragi in cui hanno perso la vita, con le loro scorte, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ad accusarlo diversi “pentiti” di mafia. Lo fanno quasi sempre de relato, cioè avendo appreso l’oggetto alla base delle accuse da qualcun altro. Il fatto che abbiano quasi tutti lo stesso legale dovrebbe impensierire investigatore e magistrati. E invece nulla accade.

L’incredibile vicenda giudiziaria di Bruno Contrada, l’uomo dei servizi segreti che favoriva Cosa Nostra All’interno di questa rubrica abbiamo più volte fatto riferimento alla figura di Bruno Contrada, l’ex numero tre del SISDE (servizio segreto per le informazioni e la sicurezza democratica). E’ arrivato il momento di analizzare, in maniera chiara, la complessa vicenda giudiziaria di cui è stato protagonista, che rappresenta un vero e proprio unicum nella storia italiana. Arrestato il 24 Dicembre 1992, Bruno Contrada venne condannato dal Tribunale di Palermo a 10 anni di reclusione e a 3 di libertà vigilata per concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’Appello di Palermo, nel 2001, ribaltò il verdetto dei giudici di primo grado e assolse l’imputato. Un anno dopo, la Cassazione decise di annullare la sentenza di assoluzione e dunque di riaprire il caso: venne disposto un nuovo giudizio (il processo d’appello-bis) davanti alla Corte d’Assise di Palermo che, come sarà poi confermato in Cassazione, infliggerà una condanna a 10 anni di reclusione a Contrada per concorso esterno. Ma in cosa consiste la forma del concorso esterno in associazione mafiosa? Stando al dettato della sentenza n. 16 della Cassazione del 5 ottobre 1994, “è configurabile il concorso esterno nel reato di associazione mafiosa per quei soggetti che, sebbene non facciano parte del sodalizio criminoso, forniscano – sia pure mediante un solo intervento – un contributo all’ente delittuoso tale da consentire all’associazione di mantenersi in vita, anche limitatamente ad un determinato settore, onde poter perseguire i propri scopi”. Secondo gli organi di giustizia italiana, Contrada fu responsabile di una serie di specifici favori a importanti boss, con molti dei quali intratteneva rapporti privilegiati, e di gravi fatti di costante supporto a Cosa Nostra, avendo tra l’altro fornito ai suoi membri una serie di informazioni riservate riguardo ad indagini ed operazioni di polizia in cui essi stessi erano implicati. Un caso chiuso, si direbbe. E invece no. Nel 2015, con una (discutibilissima) sentenza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato Italiano a risarcire Bruno Contrada per i danni morali e le spese processuali da lui sostenute poiché, secondo i giudici europei, egli non poteva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dal momento che, all’epoca dei fatti, il reato non era “codificato”: essendo infatti nella interpretazione della Corte il concorso esterno un reato di creazione giurisprudenziale, anziché, come inteso dal giudice italiano, il frutto del combinato disposto degli artt. 10 e 416 bis cp, all’epoca dei fatti esso non sarebbe ancora stato contemplato dall’ordinamento giuridico (questa pronuncia porterà la Cassazione italiana a dichiarare “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna”). Eppure, come abbiamo ricordato in precedenza e come anche confermano illustri giuristi come Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte ne La verità sul processo Andreotti, “Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa altro non è che il risultato della previsione congiunta degli articoli 110 e 416 bis del codice penale. Quindi non un reato inventato dalla giurisprudenza (cosa che sarebbe affatto impossibile per l’ordinamento italiano), ma un reato come tutti gli altri, scritto nel codice penale. Peccato che questa chiarezza sia mancata alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel trattare la vicenda Contrada”. Secondo i due giudici, infatti, “Il formalismo astratto produce giustizia da laboratorio, avulsa dal mondo concreto della mafia. Una corazzata contro cui non si può essere costretti a lottare con una misera fionda. A meno che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non voglia richiamarsi al don Ferrante manzoniano: che negava la peste mentre ne stava morendo…”.  Occorre però ribadire un elemento di estrema importanza: la pronuncia della CEDU non ha in alcun modo intaccato l’accertamento dei fatti gravissimi che avevano portato Contrada alla condanna in via definitiva, tra i quali la concessione della patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco, l’avere agevolato la latitanza di Totò Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo o la rivelazione di segreti di indagine ai mafiosi in cambio di regali e favori. Stiamo parlando dello stesso Bruno Contrada dei cui legami con Cosa Nostra si stava occupando lo stesso Paolo Borsellino, che ne era stato informato dal pentito Gaspare Mutolo nel corso di un interrogatorio, nei giorni subito precedenti alla sua morte; stiamo parlando dello stesso Bruno Contrada che, dopo che la Procura di Caltanissetta non trovò il tempo di ascoltare Paolo Borsellino nei 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, si vide chiedere dal Procuratore Giovanni Tinebra di collaborare alle indagini sulla morte del giudice che proprio su di lui stava indagando.  I legami tra Bruno Contrada e gli uomini di Cosa Nostra sono stati oggetto delle dichiarazioni di moltissimi pentiti di mafia (oltre a Mutolo ricordiamo, in particolare, Tommaso BuscettaSalvatore Cancemi e Vito Galatolo) nonché delle rivelazioni di Luigi Ilardo, il confidente del ROS ucciso dalla mafia a seguito di una “soffiata istituzionale” pochi giorni prima di entrare ufficialmente nel programma di protezione: di fronte al Colonnello Michele Riccio, il quale stava raccogliendo le sue rivelazioni, Ilardo definì infatti Bruno Contrada «l’anello di congiunzione tra mafia e istituzioni, l’uomo dei misteri».  Il 6 Aprile 2020, a titolo di riparazione per la “ingiusta detenzione” patita da Contrada nel procedimento penale, la Corte d’Appello di Palermo ha liquidato in suo favore la somma di 667 mila euro. È lecito, perlomeno, storcere il naso di fronte a tutto questo?    Stefano Baudino 07 Dicembre 2020 ANTIMAFIA DUEMILA

 

Mafia, il giornalista Saverio Lodato accusa Bruno Contrada: “Falcone mi fece il suo nome” L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada   Bagarre in diretta a La7, dove il cronista rivela particolari inediti sulle “menti raffinatissime” coinvolte nel fallito attentato dell’Addaura (1989) contro il giudice, ucciso tre anni dopo nella Strage di Capaci  Bagarre in diretta ieri sera su La7 nel corso del programma Atlantide condotto da Andrea Purgatori, dedicato alla Strage di Capaci (23 maggio 1992) della quale sabato ricorre l’anniversario. Purgatori dapprima intervista Alfredo Morvillo, magistrato e cognato di Giovanni Falcone, sul fallito attentato all’Addaura avvenuto il 21 giugno 1989 nei pressi della villa che il giudice aveva affittato per il periodo estivo.”Falcone mi parlò esplicitamente di menti raffinatissime – spiega Morvillo -. Un attentato organizzato da qualche uomo delle istituzioni che ha tradito. Nessuno poteva sapere che sarebbe andato a fare il bagno sugli scogli. Qualcuno ha tradito Giovanni”.

Ma il colpo di scena avviene quando a parlare è il giornalista Saverio Lodato, un passato nel quotidiano L’Ora e oltre 30 anni a L’Unità come corrispondente da Palermo. Lodato, infatti, rivela un particolare inedito e punta il dito contro Bruno Contrada, ex dirigente del Sisde (accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e condannato in Cassazione a 10 anni di carcere), indicato come il sospetto “traditore” tra le forze dello Stato: “Chiesi a Falcone chi fossero le ‘menti raffinatissime’ che avevano guidato la mafia e a cui lui aveva fatto riferimento dopo il fallito attentato dell’Addaura – raconta il cronista -. Fui molto insistente. Il nome era quello del dottor Bruno Contrada. Ma mi diffidò dallo scriverlo pena più nessun rapporto”.

Mafia, il giornalista Saverio Lodato: ”Giovanni Falcone mi fece il nome di Bruno Contrada” Le accuse di Lodato scatenano le proteste dell’avvocato di Contrada Stefano Giordano, che telefona in diretta e pretende scuse formali: “Il mio cliente è incensurato, si deve chiedere scusa al mio assistito”. Giordano, sostenendo l’innocenza del suo assistito, ricorda anche il provvedimento della Corte Europea. Nel 2015 infatti la Corte europea dei Diritti dell’uomo aveva emesso una sentenza secondo cui Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Con ordinanza depositata il 6 aprile 2020, la Corte d’Appello di Palermo ha liquidato a favore dell’ex 007 Bruno Contrada la somma di 667mila euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nel procedimento penale.  DI SALVO PALAZZOLO Lodato, in chiusura di puntata, replica al legale ribadendo che “quando Giovanni Falcone mi disse quelle cose era il 1989. Bruno Contrada non era neanche sotto inchiesta per mafia. Non era arrivata a sentenza definitiva di Cassazione la sentenza di sua colpevolezza. Non c’era neanche la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che recepisce le indicazione della Corte Europea. Io prendo atto di quello che dice l’avvocato Giordano. Afferma che il suo cliente è innocente, ma devo dirgli che il giudizio di Giovanni Falcone nei confronti di Bruno Contrada non era lusinghiero. Tutt’altro. Questo mi ricorreva l’obbligo di dire e confermare”. 


L’incredibile vicenda giudiziaria di Bruno Contrada, l’uomo dei servizi segreti che favoriva Cosa Nostra All’interno di questa rubrica abbiamo più volte fatto riferimento alla figura di Bruno Contrada, l’ex numero tre del SISDE (servizio segreto per le informazioni e la sicurezza democratica). E’ arrivato il momento di analizzare, in maniera chiara, la complessa vicenda giudiziaria di cui è stato protagonista, che rappresenta un vero e proprio unicum nella storia italiana.

Arrestato il 24 Dicembre 1992, Bruno Contrada venne condannato dal Tribunale di Palermo a 10 anni di reclusione e a 3 di libertà vigilata per concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’Appello di Palermo, nel 2001, ribaltò il verdetto dei giudici di primo grado e assolse l’imputato. Un anno dopo, la Cassazione decise di annullare la sentenza di assoluzione e dunque di riaprire il caso: venne disposto un nuovo giudizio (il processo d’appello-bis) davanti alla Corte d’Assise di Palermo che, come sarà poi confermato in Cassazione, infliggerà una condanna a 10 anni di reclusione a Contrada per concorso esterno.

Ma in cosa consiste la forma del concorso esterno in associazione mafiosa? Stando al dettato della sentenza n. 16 della Cassazione del 5 ottobre 1994, “è configurabile il concorso esterno nel reato di associazione mafiosa per quei soggetti che, sebbene non facciano parte del sodalizio criminoso, forniscano – sia pure mediante un solo intervento – un contributo all’ente delittuoso tale da consentire all’associazione di mantenersi in vita, anche limitatamente ad un determinato settore, onde poter perseguire i propri scopi”. 

Secondo gli organi di giustizia italiana, Contrada fu responsabile di una serie di specifici favori a importanti boss, con molti dei quali intratteneva rapporti privilegiati, e di gravi fatti di costante supporto a Cosa Nostra, avendo tra l’altro fornito ai suoi membri una serie di informazioni riservate riguardo ad indagini ed operazioni di polizia in cui essi stessi erano implicati.

Un caso chiuso, si direbbe. E invece no. Nel 2015, con una (discutibilissima) sentenza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato Italiano a risarcire Bruno Contrada per i danni morali e le spese processuali da lui sostenute poiché, secondo i giudici europei, egli non poteva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dal momento che, all’epoca dei fatti, il reato non era “codificato”: essendo infatti nella interpretazione della Corte il concorso esterno un reato di creazione giurisprudenziale, anziché, come inteso dal giudice italiano, il frutto del combinato disposto degli artt. 10 e 416 bis cp, all’epoca dei fatti esso non sarebbe ancora stato contemplato dall’ordinamento giuridico (questa pronuncia porterà la Cassazione italiana a dichiarare “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna”).

Eppure, come abbiamo ricordato in precedenza e come anche confermano illustri giuristi come Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte ne La verità sul processo Andreotti, “Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa altro non è che il risultato della previsione congiunta degli articoli 110 e 416 bis del codice penale. Quindi non un reato inventato dalla giurisprudenza (cosa che sarebbe affatto impossibile per l’ordinamento italiano), ma un reato come tutti gli altri, scritto nel codice penale. Peccato che questa chiarezza sia mancata alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel trattare la vicenda Contrada”. Secondo i due giudici, infatti, “Il formalismo astratto produce giustizia da laboratorio, avulsa dal mondo concreto della mafia. Una corazzata contro cui non si può essere costretti a lottare con una misera fionda. A meno che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non voglia richiamarsi al don Ferrante manzoniano: che negava la peste mentre ne stava morendo…”.

Occorre però ribadire un elemento di estrema importanza: la pronuncia della CEDU non ha in alcun modo intaccato l’accertamento dei fatti gravissimi che avevano portato Contrada alla condanna in via definitiva, tra i quali la concessione della patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco, l’avere agevolato la latitanza di Totò Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo o la rivelazione di segreti di indagine ai mafiosi in cambio di regali e favori. Stiamo parlando dello stesso Bruno Contrada dei cui legami con Cosa Nostra si stava occupando lo stesso Paolo Borsellino, che ne era stato informato dal pentito Gaspare Mutolo nel corso di un interrogatorio, nei giorni subito precedenti alla sua morte; stiamo parlando dello stesso Bruno Contrada che, dopo che la Procura di Caltanissetta non trovò il tempo di ascoltare Paolo Borsellino nei 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, si vide chiedere dal Procuratore Giovanni Tinebra di collaborare alle indagini sulla morte del giudice che proprio su di lui stava indagando.

I legami tra Bruno Contrada e gli uomini di Cosa Nostra sono stati oggetto delle dichiarazioni di moltissimi pentiti di mafia (oltre a Mutolo ricordiamo, in particolare, Tommaso BuscettaSalvatore Cancemi e Vito Galatolo) nonché delle rivelazioni di Luigi Ilardo, il confidente del ROS ucciso dalla mafia a seguito di una “soffiata istituzionale” pochi giorni prima di entrare ufficialmente nel programma di protezione: di fronte al Colonnello Michele Riccio, il quale stava raccogliendo le sue rivelazioni, Ilardo definì infatti Bruno Contrada «l’anello di congiunzione tra mafia e istituzioni, l’uomo dei misteri».

Il 6 Aprile 2020, a titolo di riparazione per la “ingiusta detenzione” patita da Contrada nel procedimento penale, la Corte d’Appello di Palermo ha liquidato in suo favore la somma di 667 mila euro. È lecito, perlomeno, storcere il naso di fronte a tutto questo. Stefano Baudino 07 Dicembre 2020 Antimafia Duemila