FIAMMETTA BORSELLINO – Rassegna Stampa – Febbraio 2021

TRA BIBBIE E MARZIANI QUANTO RANCORE CONTRO FIAMMETTA BORSELLINO…

26.02.2021  Fiammetta Borsellino: ci hanno preso in giro  FIAMMETTA BORSELLINO: “MIO PADRE LONTANO DA PREGIUDIZI RISPETTOSO DELLE GARANZIE”  «Mio padre si è sempre battuto, senza doppi fini, per il riscatto dei palermitani e di tutti i siciliani», afferma Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso a Palermo il 19 luglio del 1992. Fiammetta Borsellino da anni si batte per conoscere la verità sulla morte di suo padre. Ci sono voluti ben quattro processi per arrivare a stabilire che le iniziali indagini furono condizionate dal più grande depistaggio che la storia giudiziaria italiana ricordi. In particolare, le dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, poste a fondamento dei processi sulla strage e di svariate condanne all’ergastolo, erano totalmente false. Sulla base delle dichiarazioni di Scarantino, alle quali per anni i giudici hanno creduto, vennero infatti condannate all’ergastolo sette persone. Le false accuse sono state poi smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Fiammetta ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura e alla Procura generale della Cassazione di svolgere accertamenti su chi diede credito a Scarantino. Il pg della Cassazione Riccardo Fuzio aveva raccolto la testimonianza di Fiammetta e della sorella. Coinvolto nel Palamaragate e costretto alle dimissioni nell’estate del 2019, l’attività istruttoria è rimasta incompiuta. Fiammetta Borsellino, che tipo di magistrato era suo padre?  Un magistrato apolitico, indipendente, rispettoso delle garanzie del cittadino, e soprattutto serio. Ha sempre agito tenendosi lontano da pregiudizi ideologici o visioni politiche della società. Oggi molti magistrati sono sempre in televisione…  Mio padre non ha mai parlato delle sue indagini o scritto libri sulle sue indagini.

Per molti colleghi il suo stile è stato di esempio?  Penso di si. Parlava spesso con i colleghi più giovani raccontandogli le difficoltà che si incontravano nell’interrogare il pentito di mafia, della complessità delle vicende narrate dal mafioso, delle loro strategie processuali, e soprattutto degli scenari squarciati dai pentiti con le loro dichiarazioni.

Può dirci come viveva il suo impegno antimafia?  Il contrasto alla criminalità organizzata per mio padre non era solo un impegno straordinario ed eccezionale di un momento della vita o della carriera ma era una scelta di vita.

Suo padre aveva un alto senso dello Stato.  Sì. Era la scelta della legalità ed era anche la consapevolezza di stare dalla parte della legge, delle Istituzioni, del cittadino.

Una scelta di democrazia.  Di quella vera però, di quella che consente al cittadino di determinarsi davvero liberamente, senza il condizionamento dell’intimidazione, del bisogno e della minaccia. Una scelta di civiltà il cui fine era quello di una società migliore.

Rispettando, comunque, sempre i diritti e le garanzie di tutti.  Esatto. Mio padre aveva la consapevolezza di dovere applicare sempre legge anche contrastando feroci organizzazioni criminali, tenendo bene a mente che il giudice “non lotta” contro nessuno.

E come uomo?  Era ironico. Mai banale. E dotato di grande umanità.

Per cosa andrebbe ricordato suo padre?  Mio padre va ricordato soprattutto per l’eredità morale e professionale che ha lasciato, per l’impegno profuso nell’istruzione del cosiddetto maxi processo di Palermo, per ciò che lo univa a Giovanni Falcone e per ciò che da lui lo distingueva.

Suo padre e Falcone hanno cambiato il modo di fare le indagini.  E sempre cercando riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il maxi processo veniva ritenuta opera gigantesca, elefantiaca che mai sarebbe giunta neppure alla soglia del dibattimento. Ed invece mio padre e Giovanni Falcone, assieme ad altri validissimi colleghi, non soltanto portarono il “loro” maxi processo a dibattimento dinanzi alla Corte di Assise di Palermo ma videro il loro impegno definitivamente consacrato nella sentenza della Cassazione del 1992.

Cosa è stato, allora, il maxi processo di Palermo?  Ha costituito per il nostro Paese una svolta epocale sia sul piano giudiziario, avendo contribuito all’affermazione di una linea nuova e finalmente efficace nell’attività di contrasto alla criminalità mafiosa, sia sul piano politico avendo dato la prova e la misura dello sforzo della magistratura e delle Istituzioni nel contrasto alla criminalità organizzata senza incertezze o ambiguità.

Parliamo di pentiti.  Il maxiprocesso di Palermo si basò in gran parte sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Da questo punto di vista rappresentò una scommessa vinta, nel senso che nessuno, tranne i magistrati che si spesero su questo fronte con mio padre e Giovanni Falcone in testa, credeva che all’interno di Cosa nostra potesse svilupparsi il fenomeno del pentitismo e che mafiosi di rango, “uomini d’onore” di primo livello, potessero collaborare con i giudici.

Fa riflettere che suo padre e Falcone furono attaccati in maniera violentissima da coloro che successivamente si proclamarono loro eredi.
Nessuno può dimenticare gli attacchi a Falcone quando venne chiamato dal ministro Claudio Martelli a collaborare con lui al Ministero della Giustizia e si propose di creare la Direzione nazionale antimafia, per la cui guida era il candidato più accreditato. E non si possono dimenticare le polemiche che investirono mio padre poco tempo dopo la sua nomina a procuratore di Marsala.

Suo padre era iscritto a Magistratura Indipendente, la corrente di destra delle toghe. Cosa è stato l’associazionismo giudiziario?  Mio padre ha vissuto l’associazionismo senza alcuna finalità carrieristica e non chiese mai di essere candidato al Csm. Se avesse accettato la candidatura sarebbe stato certamente eletto.

Adesso si fanno carte false per andare al Csm o per avere incarichi.  Mio padre rimase coerente. Quando, dopo la morte di Falcone gli fu proposto di candidarsi per l’incarico di procuratore nazionale antimafia, rifiutò di farlo.

Una persona di altra epoca e con un stile difficilmente conciliabile con il “Sistema” descritto da Luca Palamara e fatto di magistrati chattatori.      IL RIFORMISTA Paolo Comi – 26 Febbraio 2021 


20.2.2021 “Depistaggi e complicità di magistrati e poliziotti ha impedito la verità sull’uccisione di mio padre”, parla la figlia di Borsellino “Il Palamaragate ha stoppato le indagini della Procura generale della Cassazione sul più colossale dei depistaggi: quello relativo alla morte di mio padre!”. Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia a Palermo il 19 luglio del 1992 a soli cinquantuno anni, parla secco, senza diplomazie. A novembre del 2019 si è concluso in appello a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio.

La Corte ha confermato la sentenza di primo grado, condannando all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage, e a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato al falso pentito Vincenzo Scarantino. L’uccisione di Borsellino non fu dovuta alla trattativa tra Stato e mafia, come avevano scritto i giudici di Palermo nel 2018, trattandosi invece di un “mosaico pieno di ombre, dove erano coinvolti altri gruppi di potere”.

In particolare, le dichiarazioni di Scarantino, poste a fondamento dei precedenti processi sulla strage e di svariate condanne all’ergastolo, sono false in quanto frutto “di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, realizzato da “soggetti inseriti negli apparati dello Stato”. Nelle settimane scorse il gip di Messina ha archiviato le posizioni di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due pm di Caltanissetta che avevano indagato sull’attentato, e poi erano stati accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

I due magistrati, secondo l’iniziale accusa, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo, avrebbero depistato le indagini sulla strage, suggerendo a falsi pentiti, fra cui appunto Scarantino, di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, alla quale per anni i giudici hanno creduto, costò la condanna all’ergastolo a sette persone. Le false accuse dei pentiti vennero poi smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.

Fiammetta Borsellino, perché il Palamaragate ha bloccato gli accertamenti della Procura generale della Cassazione? Quando nel 2017 venne pronunciata la sentenza del Borsellino Quater che svelò il depistaggio del falso pentito Scarantino, indicando “le anomalie nelle condotte” dei magistrati che si erano occupati di lui, iniziai subito a chiedere che si facesse luce su come era stata gestita l’indagine sulla morte di mio Padre.

Cosa aveva evidenziato? Imprecisioni e irregolarità processuali e investigative a non finire. Ad iniziare dalla mancata verbalizzazione del sopralluogo nel garage dove era stata tenuta la Fiat 126 che venne poi imbottita di tritolo per l’attentato. Senza contare l’uso scellerato dei colloqui investigativi.

Denunciò l’accaduto? Chiesi che il Consiglio superiore della magistratura si occupasse di queste anomalie rinvenute dai giudici nisseni nell’operato dei magistrati che avevano svolto le indagini sulla strage di in cui morì mio padre.

Risposta? Nessuna.

E allora? Mi sono più volte rivolta anche al capo dello Stato Sergio Mattarella nella sua qualità di presidente del Csm.

Una precisazione: in che anno siamo? 2018 inizio 2019.

Questo Csm? Si.

Ha chiamato l’attuale vice presidente David Ermini? Certo.

Cosa le disse? Mi riferì che senza un’azione della Procura generale della Cassazione la Sezione disciplinare non avrebbe potuto fare alcunché.

All’epoca il procuratore generale della Cassazione era Riccardo Fuzio. Esatto. Fuzio mi convocò, insieme a mia sorella Lucia, a Roma per rendere dichiarazioni.

Come andò l’interrogatorio? Mi sono subito resa conto che Fuzio non sapeva nulla della vicenda e degli sviluppi processuali e così ho parlato per oltre un’ora di tutto quello che riguardava le anomalie nell’inchiesta, che fu condotta a ridosso della strage e di come nessuno si fosse accorto di un pentito che era palesemente falso.

Una ricostruzione dettagliata? Si. Ho riferito fatti che i magistrati dovevano sapere e invece li chiedevano a me. Veda un po’ lei.

Poi? Vorrei ricordare che la dottoressa Ilda Boccassini, all’epoca dei fatti in servizio in Sicilia, scrisse una lettera che mise in un cassetto, chiedendo di lasciare la Procura perché era convinta che Scarantino fosse un bluff. Purtroppo nessuno dei magistrati allora nel pool con lei le volle dare retta.

Se avesse consegnato quella lettera, forse, le indagini avrebbero preso una piega diversa… Ovvio: sono passati 25 anni per poter avere una sentenza che scrive quello che qualcuno già aveva rilevato nel 1992.

Torniamo a Fuzio, soprannominato “baffetto” da Luca Palamara, il magistrato che nel 2017 “soffiò” il posto a Giovanni Salvi, come si legge nel libro dell’ex zar delle nomine al Csm.
Fuzio disse che avrebbe inviato la mia deposizione al procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (in pensione dallo scorso settembre, ndr).

Sa se è arrivato il verbale? Non so se quel verbale arrivò mai sul tavolo del procuratore Bertone e né se Bertone lo abbia mai letto.

A parte questo? Fuzio mi garantì anche che una delegazione della Procura generale della Cassazione sarebbe andata nella Procura nissena per questa ragione.

E anche su questa circostanza non sa dirmi nulla? No.

Si sente presa in giro? Mi sembra il minimo. Insieme a mia sorella avevo solo chiesto che il Csm facesse il suo dovere di indagare quei magistrati che una sentenza del 2017 aveva stabilito avessero agito in modo irregolare. Peggio ancora se pensiamo che la Corte d’Assise d’Appello ha confermato interamente quello che scrissero i giudici di primo grado.

Veniamo al Palamaragate, nato da una fuga di notizie da parte di tre quotidiani sull’indagine di Perugia. Fuzio, finito nelle intercettazioni di Palamara e ora indagato per rivelazione del segreto d’ufficio insieme a Palamara venne costretto a luglio del 2019 alle dimissioni. Cosa successe? Mi scrisse una mail pietosa con cui si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto fare nulla. Il punto però è che era proprio lui a dover fare qualcosa, almeno come ci disse Ermini. E non fece nulla. Ancora conservo quella mail e ricordo bene la rabbia che quel tentativo di ispirare il mio pietismo mi diede.

Però, signora Fiammetta, la Procura generale della Cassazione non è il calzolaio che se il titolare va in pensione il negozio chiude… Certo. Spero che chi c’è ora (Giovanni Salvi, ndr) trovi il tempo per farmi sapere che fine hanno fatto le mie deposizioni. IL RIFORMISTA


20.2.2021 FIAMMETTA BORSELLINO: “COSÌ MAGISTRATI E POLIZIOTTI HANNO IMPEDITO DI SAPERE PERCHÉ HANNO UCCISO MIO PADRE” La figlia del magistrato massacrato da Cosa Nostra racconta dei depistaggi, delle complicità, e delle mancate risposte da parte del Csm (e anche del Presidente Mattarella). Ora, dice, spero in Salvi” “l Palamaragate ha stoppato le indagini della Procura generale della Cassazione sul più colossale dei depistaggi: quello relativo alla morte di mio padre!”. Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafi a a Palermo il 19 luglio del 1992 a soli cinquantuno anni, parla secco, senza diplomazie.

A novembre del 2019 si è concluso in appello a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio. La Corte ha confermato la sentenza di primo grado, condannando all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage, e a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato al falso pentito Vincenzo Scarantino. L’uccisione di Borsellino non fu dovuta alla trattativa tra Stato e mafi a, come avevano scritto i giudici di Palermo nel 2018, trattandosi invece di un “mosaico pieno di ombre, dove erano coinvolti altri gruppi di potere”. In particolare, le dichiarazioni di Scarantino, poste a fondamento dei precedenti processi sulla strage e di svariate condanne all’ergastolo, sono false in quanto frutto “di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, realizzato da “soggetti inseriti negli apparati dello Stato”. Nelle settimane scorse il gip di Messina ha archiviato le posizioni di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due pm di Caltanissetta che avevano indagato sull’attentato, e poi erano stati accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. I due magistrati, secondo l’iniziale accusa, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo, avrebbero depistato le indagini sulla strage, suggerendo a falsi pentiti, fra cui appunto Scarantino, di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, alla quale per anni i giudici hanno creduto, costò la condanna all’ergastolo a sette persone. Le false accuse dei pentiti ven nero poi smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. 

Fiammetta Borsellino, perché il Palamaragate ha bloccato gli accertamenti della Procura generale della Cassazione?Quando nel 2017 venne pronunciata la sentenza del Borsellino Quater che svelò il depistaggio del falso pentito Scarantino, indicando “le anomalie nelle condotte” dei magistrati che si erano occupati di lui, iniziai subito a chiedere che si facesse luce su come era stata gestita l’indagine sulla morte di mio Padre. 

Cosa aveva evidenziato?  Imprecisioni e irregolarità processuali e investigative a non fi nire. Ad iniziare dalla mancata verbalizzazione del sopralluogo nel garage dove era stata tenuta la Fiat 126 che venne poi imbottita di tritolo per l’attentato. Senza contare l’uso scellerato dei colloqui investigativi.

Denunciò l’accaduto? Chiesi che il Consiglio superiore della magistratura si occupasse di queste anomalie rinvenute dai giudici nisseni nell’operato dei magistrati che avevano svolto le indagini sulla strage di in cui morì mio padre. 

Risposta?  Nessuna. 

E allora? Mi sono più volte rivolta anche al capo dello Stato Sergio Mattarella nella sua qualità di presidente del Csm. 

Una precisazione: in che anno siamo? 2018 inizio 2019

Questo Csm?  Si. 

Ha chiamato l’attuale vice presidente David Ermini?  Certo. 

Cosa le disse?  Mi riferì che senza un’azione della Procura generale della Cassazione la Sezione disciplinare non avrebbe potuto fare alcunché. 

All’epoca il procuratore generale della Cassazione era Riccardo Fuzio.  Esatto. Fuzio mi convocò, insieme a mia sorella Lucia, a Roma per rendere dichiarazioni. 

Come andò l’interrogatorio? Mi sono subito resa conto che Fuzio non sapeva nulla della vicenda e degli sviluppi processuali e così ho parlato per oltre un’ora di tutto quello che riguardava le anomalie nell’inchiesta, che fu condotta a ridosso della strage e di come nessuno si fosse accorto di un pentito che era palesemente falso. 

Una ricostruzione dettagliata? Si. Ho riferito fatti che i magistrati dovevano sapere e invece li chiedevano a me. Veda un po’ lei. 

Poi? Vorrei ricordare che la dottoressa Ilda Boccassini, all’epoca dei fatti in servizio in Sicilia, scrisse una lettera che mise in un cassetto, chiedendo di lasciare la Procura perché era convinta che Scarantino fosse un bluff. Purtroppo nessuno dei magistrati allora nel pool con lei le volle dare retta. 

Se avesse consegnato quella lettera, forse, le indagini avrebbero preso una piega diversa… Ovvio: sono passati 25 anni per poter avere una sentenza che scrive quello che qualcuno già aveva rilevato nel 1992. 

 Torniamo a Fuzio, soprannominato “baffetto” da Luca Palamara, il magistrato che nel 2017 “soffi ò” il posto a Giovanni Salvi, come si legge nel libro dell’ex zar delle nomine al Csm. Fuzio disse che avrebbe inviato la mia deposizione al procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (in pensione dallo scorso settembre, ndr). 

Sa se è arrivato il verbale?  Non so se quel verbale arrivò mai sul tavolo del procuratore Bertone e né se Bertone lo abbia mai letto. 

A parte questo?  Fuzio mi garantì anche che una delegazione della Procura generale della Cassazione sarebbe andata nella Procura nissena per questa ragione. 

E anche su questa circostanza non sa dirmi nulla?  No. 

Si sente presa in giro? Mi sembra il minimo. Insieme a mia sorella avevo solo chiesto che il Csm facesse il suo dovere di indagare quei magistrati che una sentenza del 2017 aveva stabilito avessero agito in modo irregolare. Peggio ancora se pensiamo che la Corte d’Assise d’Appello ha confermato interamente quello che scrissero i giudici di primo grado. 

Veniamo al Palamaragate, nato da una fuga di notizie da parte di tre quotidiani sull’indagine di Perugia. Fuzio, finito nelle intercettazioni di Palamara e ora indagato per rivelazione del segreto d’ufficio insieme a Palamara venne costretto a luglio del 2019 alle dimissioni. Cosa successe? Mi scrisse una mail pietosa con cui si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto fare nulla. Il punto però è che era proprio lui a dover fare qualcosa, almeno come ci disse Ermini. E non fece nulla. Ancora conservo quella mail e ricordo bene la rabbia che quel tentativo di ispirare il mio pietismo mi diede. 

Però, signora Fiammetta, la Procura generale della Cassazione non è il calzolaio che se il titolare va in pensione il negozio chiude… Certo. Spero che chi c’è ora (Giovanni Salvi, ndr) trovi il tempo per farmi sapere che fine hanno fatto le mie deposizioni. IL RIFORMISTA


24.2.2021 FIAMMETTA BORSELLINO: “COSÌ MAGISTRATI E POLIZIOTTI HANNO IMPEDITO DI SAPERE PERCHÉ HANNO UCCISO MIO PADRE” “La figlia del magistrato massacrato da Cosa Nostra racconta dei depistaggi, delle complicità, e delle mancate risposte da parte del Csm (e anche del Presidente Mattarella). Ora, dice, spero in Salvi” “l Palamaragate ha stoppato le indagini della Procura generale della Cassazione sul più colossale dei depistaggi: quello relativo alla morte di mio padre!”. Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafi a a Palermo il 19 luglio del 1992 a soli cinquantuno anni, parla secco, senza diplomazie.

A novembre del 2019 si è concluso in appello a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio. La Corte ha confermato la sentenza di primo grado, condannando all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage, e a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato al falso pentito Vincenzo Scarantino. L’uccisione di Borsellino non fu dovuta alla trattativa tra Stato e mafi a, come avevano scritto i giudici di Palermo nel 2018, trattandosi invece di un “mosaico pieno di ombre, dove erano coinvolti altri gruppi di potere”. In particolare, le dichiarazioni di Scarantino, poste a fondamento dei precedenti processi sulla strage e di svariate condanne all’ergastolo, sono false in quanto frutto “di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, realizzato da “soggetti inseriti negli apparati dello Stato”. Nelle settimane scorse il gip di Messina ha archiviato le posizioni di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due pm di Caltanissetta che avevano indagato sull’attentato, e poi erano stati accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. I due magistrati, secondo l’iniziale accusa, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo, avrebbero depistato le indagini sulla strage, suggerendo a falsi pentiti, fra cui appunto Scarantino, di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, alla quale per anni i giudici hanno creduto, costò la condanna all’ergastolo a sette persone. Le false accuse dei pentiti vennero poi smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. 

Fiammetta Borsellino, perché il Palamaragate ha bloccato gli accertamenti della Procura generale della Cassazione? Quando nel 2017 venne pronunciata la sentenza del Borsellino Quater che svelò il depistaggio del falso pentito Scarantino, indicando “le anomalie nelle condotte” dei magistrati che si erano occupati di lui, iniziai subito a chiedere che si facesse luce su come era stata gestita l’indagine sulla morte di mio Padre. 

Cosa aveva evidenziato?  Imprecisioni e irregolarità processuali e investigative a non finire. Ad iniziare dalla mancata verbalizzazione del sopralluogo nel garage dove era stata tenuta la Fiat 126 che venne poi imbottita di tritolo per l’attentato. Senza contare l’uso scellerato dei colloqui investigativi.

Denunciò l’accaduto? Chiesi che il Consiglio superiore della magistratura si occupasse di queste anomalie rinvenute dai giudici nisseni nell’operato dei magistrati che avevano svolto le indagini sulla strage di in cui morì mio padre. 

Risposta?  Nessuna. 

E allora? Mi sono più volte rivolta anche al capo dello Stato Sergio Mattarella nella sua qualità di presidente del Csm. 

Una precisazione: in che anno siamo? 2018 inizio 2019

Questo Csm?  Si. 

Ha chiamato l’attuale vice presidente David Ermini?  Certo. 

Cosa le disse?  Mi riferì che senza un’azione della Procura generale della Cassazione la Sezione disciplinare non avrebbe potuto fare alcunché. 

All’epoca il procuratore generale della Cassazione era Riccardo Fuzio.  Esatto. Fuzio mi convocò, insieme a mia sorella Lucia, a Roma per rendere dichiarazioni. 

Come andò l’interrogatorio? Mi sono subito resa conto che Fuzio non sapeva nulla della vicenda e degli sviluppi processuali e così ho parlato per oltre un’ora di tutto quello che riguardava le anomalie nell’inchiesta, che fu condotta a ridosso della strage e di come nessuno si fosse accorto di un pentito che era palesemente falso. 

Una ricostruzione dettagliata? Si. Ho riferito fatti che i magistrati dovevano sapere e invece li chiedevano a me. Veda un po’ lei. 

Poi? Vorrei ricordare che la dottoressa Ilda Boccassini, all’epoca dei fatti in servizio in Sicilia, scrisse una lettera che mise in un cassetto, chiedendo di lasciare la Procura perché era convinta che Scarantino fosse un bluff. Purtroppo nessuno dei magistrati allora nel pool con lei le volle dare retta. 

Se avesse consegnato quella lettera, forse, le indagini avrebbero preso una piega diversa… Ovvio: sono passati 25 anni per poter avere una sentenza che scrive quello che qualcuno già aveva rilevato nel 1992. 

 Torniamo a Fuzio, soprannominato “baffetto” da Luca Palamara, il magistrato che nel 2017 “soffi ò” il posto a Giovanni Salvi, come si legge nel libro dell’ex zar delle nomine al Csm. Fuzio disse che avrebbe inviato la mia deposizione al procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (in pensione dallo scorso settembre, ndr). 

Sa se è arrivato il verbale?  Non so se quel verbale arrivò mai sul tavolo del procuratore Bertone e né se Bertone lo abbia mai letto. 

A parte questo?  Fuzio mi garantì anche che una delegazione della Procura generale della Cassazione sarebbe andata nella Procura nissena per questa ragione. 

E anche su questa circostanza non sa dirmi nulla?  No. 

Si sente presa in giro? Mi sembra il minimo. Insieme a mia sorella avevo solo chiesto che il Csm facesse il suo dovere di indagare quei magistrati che una sentenza del 2017 aveva stabilito avessero agito in modo irregolare. Peggio ancora se pensiamo che la Corte d’Assise d’Appello ha confermato interamente quello che scrissero i giudici di primo grado. 

Veniamo al Palamaragate, nato da una fuga di notizie da parte di tre quotidiani sull’indagine di Perugia. Fuzio, finito nelle intercettazioni di Palamara e ora indagato per rivelazione del segreto d’ufficio insieme a Palamara venne costretto a luglio del 2019 alle dimissioni. Cosa successe? Mi scrisse una mail pietosa con cui si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto fare nulla. Il punto però è che era proprio lui a dover fare qualcosa, almeno come ci disse Ermini. E non fece nulla. Ancora conservo quella mail e ricordo bene la rabbia che quel tentativo di ispirare il mio pietismo mi diede. 

Però, signora Fiammetta, la Procura generale della Cassazione non è il calzolaio che se il titolare va in pensione il negozio chiude… Certo. Spero che chi c’è ora (Giovanni Salvi, ndr) trovi il tempo per farmi sapere che fine hanno fatto le mie deposizioni. 


24.2.2021 – FIAMMETTA BORSELLINO: EREDI DI MIO PADRE? ADESSO BASTA!    Ha ragione la figlia del Giudice Paolo Borsellino nel chiedere conto e ragione del perché venne archiviato il dossier “mafia-appalti”.  E lo fa con uno dei pochi giornali che coraggiosamente pubblica le notizie “scomode” (Il Riformista).

Nel corso dell’intervista rilasciata a Paolo Comi, Fiammetta Borsellino ripercorre la storia dell’inchiesta mafia-appalti, voluta da Giovanni Falcone, e condotta dal Ros di Mario Mori, che nel febbraio del 1991 portò a un’informativa di circa 900 pagine su società riconducibili a “Cosa nostra”.

Un’inchiesta  “rivoluzionaria”, la definisce Fiammetta Borsellino, nella quale suo padre credeva a tal punto da chiedere – dopo la strage di Capaci – che venisse a lui stesso assegnata, tanto da incontrare segretamente, il 25 giugno 1992, Mori e De Donno, ai quali chiese di organizzare un gruppo speciale di carabinieri per riaprire l’inchiesta sotto la sua direzione.

Il fascicolo – afferma Fiammetta Borsellino – “era assegnato a Giuseppe Pignatone, all’epoca pm della Procura del capoluogo siciliano. Di queste quarantaquattro persone, il 10 luglio successivo, su richiesta della Procura di Palermo, ne vennero arrestate sei. Fra loro, Siino, definito il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra ma, più precisamente, dei corleonesi di Totò Riina, poi diventato collaboratore di giustizia, e Giuseppe Li Pera, un geometra, capo area del colosso delle costruzione Rizzani De Eccher. Il fascicolo, a novembre del 1991, venne tolto a Pignatone dal procuratore Pietro Giammanco e assegnato ai pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato”.

Quello che accadde dopo ha dell’inverosimile. Come racconta la figlia del giudice, il 14 luglio 1992 si tenne una riunione fra tutti i pm della Procura di Palermo, e Borsellino, in qualità di neo procuratore aggiunto, affrontò il tema del fascicolo mafia-appalti, rimproverando i colleghi di averlo sottovalutato.

Nessuno informò Borsellino che appena il giorno prima i due magistrati ai quali era stata assegnata l’indagine, avevano firmato la richiesta di archiviazione.

Improvvisamente, la mattina del 19 luglio (lo stesso giorno della strage di Via D’Amelio) alle sette del mattino, Borsellino ricevette una telefonata dall’allora procuratore Giammanco che lo avvisava che sarebbe stato delegato alla conduzione dell’indagine sul fascicolo mafia-appalti, una delega che, senza ragione apparente, fino a quel momento gli era stata negata.

Perché Giammanco gli comunicò la delega alle indagini, soltanto dopo che per le stesse era stata firmata la richiesta di archiviazione?

Non trascorsero tre giorni dall’uccisione di  Borsellino, che la richiesta di archiviazione del fascicolo mafia-appalti venne depositata formalmente, per essere definitivamente archiviata  dal  gip alla vigilia di Ferragosto.

A nessuno venne il dubbio che tra le concause dell’uccisione di Borsellino potesse esserci proprio l’indagine su mafia-appalti?

Pare proprio di no, visto che le indagini seguirono altre piste, come nel caso delle “rivelazioni” del falso pentito Vincenzo Scarantino, per poi attribuire l’accelerazione dell’uccisione del giudice alla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, che vede imputati quei vertici del Ros (Mori e De Donno) che per Giovanni Falcone avevano lavorato al dossier mafia-appalti, e che  per conto di Borsellino sarebbero stati disposti a riprendere quell’indagine.

Non usa mezzi termini Fiammetta Borsellino nell’evidenziare l’incongruenza tra il processo Trattativa Stato-mafia e la sentenza del Borsellino quater, che proprio in mafia-appalti individua il motivo – quantomeno dell’accelerazione – del progetto stragista di “Cosa nostra” che portò all’uccisione del Giudice Borsellino e della sua scorta.

Alla domanda del giornalista se ha fiducia nei giudici, la figlia di Paolo Borsellino risponde che non soltanto non ha fiducia in coloro che si proclamano magistrati antimafia e hanno condotto procedimenti giudiziari che contrastano in maniera così manifesta, ma non ne ha neppure in chi dovrebbe fare chiarezza. Anche sul piano morale.

Sul banco degli imputati delle valutazioni della figlia del giudice, tutti coloro i quali non si sono  accorti degli errori grossolani sul depistaggio della morte del padre, e il Consiglio superiore della magistratura, “inerte nei confronti di coloro, organi inquirenti e giudicanti, che in qualche modo hanno contribuito, avendo parte attiva o passiva, al più grande depistaggio della storia giudiziaria del Paese”.

Tranciante il giudizio su Nino Di Matteo, uno degli autoproclamati eredi di Paolo Borsellino, del quale afferma testualmente:

“A parte la vicenda del processo Trattativa Stato-mafia condotto proprio da Di Matteo, non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso.

Mio padre era una persona di grande sobrietà, faceva solo il proprio dovere: ricercare la verità senza fare teoremi”.

C’è molta amarezza nelle parole di Fiammetta Borsellino. Un’amarezza ancor più comprensibile e condivisibile nel rileggere le dichiarazioni di Di Matteo,  riportate nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, da parte della Procura di Messina,  dove si legge che il 22 aprile del 2009 Nino Di Matteo manifestò la sua contrarietà a che Gaspare Spatuzza (il collaboratore di giustizia che  smentì clamorosamente Scarantino, dimostrando che era un falso pentito) usufruisse del piano provvisorio di protezione. Sia perché avrebbe attribuito alle sue dichiarazioni un’attendibilità che ancora non avevano, sia perché le sue dichiarazioni, sebbene non ancora completamente riscontrate, avrebbero rimesso in discussione le ricostruzioni e le responsabilità consacrate dalle sentenze ormai divenute irrevocabili.

Ovvero le condanne ingiustamente emesse a seguito delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino.

Fu dunque così facile credere a Scarantino, e così difficile accettare l’amara verità che il falso pentito aveva mentito?

Di Matteo temeva (e lo si legge in fondo al documento) il discredito delle Istituzioni dello Stato, poiché l’opinione pubblica avrebbe potuto ritenere che la ricostruzione delle responsabilità di quei fatti fosse stata affidata a falsi collaboratori di giustizia.

Oggi, quelle stesse Istituzioni dello Stato, di quali credito godono da parte dell’opinione pubblica che ha appreso, come dato di certezza, quello che Di Matteo temeva potesse ritenere?

Che dire, inoltre, che si fosse posto in secondo piano che degli innocenti potessero marcire in carcere condannati ingiustamente all’ergastolo, e che il depistaggio potesse ancora proseguire?

Stendiamo un velo…

Caltanissetta è come un fiume in piena che ha rotto gli argini. Troppe verità sono emerse. Verità che per alcuni sarebbe stato molto meglio rimanessero sepolte da tonnellate di menzogne orchestrate per decenni da ignoti, o frutto dell’incapacità di tanti altri.

Tutti eredi di Falcone e Borsellino?  Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 24.2.2021


24.2.2021 L’INTERVISTA AL QUOTIDIANO “IL RIFORMISTA” FIAMMETTA BORSELLINO ALL’ATTACCO: “DI MATTEO DISTANTISSIMO DA MIO PADRE”. TORNA ALL’ATTACCO DI NINO DI MATTEO, IL PM DEL PROCESSO TRATTATIVA STATO-MAFIA.  La figlia di Paolo Borsellino, qualche giorno fa in un’intervista a Repubblica aveva sottolineato “il contrasto fra le tesi espresse dalla sentenza ‘Trattativa’ e quelle emesse a Caltanissetta per la strage di via d’Amelio – ha commentato Fiammetta Borsellino – La prima individua quale elemento acceleratore la trattativa. La corte del Borsellino quater rileva invece che l’accelerazione sarebbe stata determinata dal dossier mafia e appalti, al quale mio padre era molto interessato. La sentenza ‘Trattativa’ arriva a negare questo interesse. Com’è possibile avere queste due opposte valutazioni?”. E oggi, dalle colonne del quotidiano “Il Riformista”, la figlia del giudice ucciso il 19 luglio 1992 in via D’Amelio affonda il colpo sul pm simbolo del processo Trattativa: Nino Di Matteo.  “Non ho fiducia in coloro che si proclamano magistrati antimafia e hanno condotto procedimenti giudiziari che contrastano in maniera così manifesta. E non ho fiducia in chi dovrebbe fare chiarezza. Anche sul piano morale. Ad esempio in chi non si è accorto degli errori grossolani sul depistaggio della morte di mio padre. E nel Consiglio superiore della magistratura”, dice Fiammetta.  A proposito della desecretazione degli atti del Csm: “Un’operazione di facciata senza alcun senso se poi ci ferma e non si accertano le condotte indegne tenute dai magistrati dopo la morte di mio padre. Provo anche amarezza, soprattutto che debbano prendere la parola su mio padre persone distantissime da lui e che hanno indagato su altre piste. Un nome? Nino Di Matteo. Non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso. Mio padre era una persona di grande sobrietà, faceva solo il proprio dovere: ricercare la verità senza fare teoremi”.  Non è la prima volta che la figlia di Paolo Borsellino attacca Di Matteo: nel 2017 intervistata da Fanpage parlò di “Depistaggi avallati dai pm”poi a RaiRadio1 nel 25° anniversario della strage di via D’Amelio; nel 2018 rilancia sulle “le responsabilità di Di Matteo e degli altri pm”; poi lo scontro con lo zio Salvatore Borsellino che ha pubblicamente preso le distanze dalle sue parole; e infine nel 2019 la deposizione a Messina sui pm indagati (e oggi archiviati) in cui attacca Di Matteo, Palma e Petralia che si occuparono del falso pentito Vincenzo Scarantino. di Redazione 24 Febbraio 2021 IL SICILIA


25.2.2021 – FIAMMETTA BORSELLINO, LIVORE E ACCANIMENTO CONTRO NINO DI MATTEO  Da qualche anno a questa parte, su queste pagine in decine e decine di editoriali, ci siamo trovati a commentare ed intervenire rispetto ad alcune affermazioni che Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso in via d’Amelio assieme agli agenti della scorta (Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli), ha più volte rilasciato in svariati interventi pubblici o interviste. Più volte abbiamo scritto e riconosciuto che, al netto di una verità solo parziale sui fatti che riguardano l’attentato del 19 luglio 1992, è lecito provare rabbia ed avere sete di giustizia. Ancor di più di fronte ad una strage che legittimamente può essere definita come una strage di Stato e che ha visto lo sviluppo di un depistaggio che si è originato sin dalla sparizione dell’agenda rossa del giudice. Ancora una volta, leggendo le dichiarazioni di Fiammetta Borsellino, dobbiamo constatare la presenza di un vero e proprio accanimento, con livore, nei confronti di un magistrato in particolare: il pm palermitano ed oggi consigliere togato al Csm Nino Di Matteo. Un accanimento ingiustificato ed ingiusto alla luce, come abbiamo più volte ricordato, del ruolo che lo stesso assunse nei processi sulla strage di via d’Amelio. Da sostituto procuratore si occupò solo marginalmente delle indagini poi scaturite nel “Borsellino bis” (dove entrò a dibattimento già avviato, ndr) mentre istruì dal principio le indagini sul “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, che ha portato alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale e che non è stato investito dal famoso “ciclone Spatuzza”, che mise in discussione la verità raccontata del falso pentito Vincenzo Scarantino riscrivendo un pezzo di storia riguardo l’attentato. In quel processo, infatti, le dichiarazioni del “pupo vestito” neanche furono utilizzate proprio perché vi erano forti limiti rispetto alle sue dichiarazioni. Nell’intervista al Riformista, quotidiano diretto da Pietro Sansonetti, ancora una volta si ripropone la famosa pista del rapporto mafia-appalti come motivo dell’accelerazione che portò poi alla morte, sviando l’attenzione da ogni aspetto che riguardi la trattativa Stato-mafia. E ciò avviene nonostante vi siano sentenze e processi ancora in corso che sono deputati a chiarire questi aspetti. Ed ogni volta che si parla dell’archiviazione di quell’indagine da parte della Procura di Palermo, giusto il 20 luglio 1992, non si ricorda mai che la stessa inchiesta si basava su un’informativa dei carabinieri “incompleta” e privata dei nomi di politici di rilievo che invece comparivano in un’altra informativa depositata in un’altra Procura. Siccome pensiamo che la signora Fiammetta Borsellino è assolutamente cosciente degli argomenti che tratta, ed è intelligente, siamo certi che ha avuto modo di approfondire questi argomenti. Quello che non riusciamo a comprendere sul piano logico, a meno che non si tratti di sentimenti di odio (ci auguriamo non sia così), è proprio la natura di quell’accanimento nei confronti di Nino Di Matteo. Ciò avviene nonostante quest’ultimo non sia stato mai iscritto nel registro degli indagati per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. Un’inchiesta che vedeva indagati i magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, con l’accusa di calunnia aggravata, che è stata archiviata dal Gip di Messina dopo la richiesta della stessa Procura, in quanto “non si è individuata alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino”. Nonostante lo stesso Di Matteo abbia spiegato più volte (processo sul depistaggio contro i poliziotti, processo Borsellino quater, Commissione parlamentare antimafia e Csm) in maniera minuziosa su come si sono svolti i fatti in quegli anni ogni volta viene ingiustamente tirato in ballo. A questo punto vorremmo porre alcune domande a Fiammetta Borsellino. Crede che tutte le istituzioni che si sono occupate della strage di via d’Amelio, gli organi inquirenti e giudicanti di tutti i processi, siano da sottoporre sotto provvedimento disciplinare, siano incompetenti o peggio ancora corrotti? Tra esse inserisce anche i componenti del Csm, i magistrati ed i giudici della Procura di Messina, prima ancora il Gip di Catania che archiviò l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta Palma e Di Matteo in quanto priva di alcun “comportamento omissivo” rispetto alla vicenda del deposito posticipato al processo “Borsellino bis” dei confronti tra Scarantino ed i collaboratori Totò CancemiGioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo? Ritiene che tutte le sedi Istituzionali che hanno in qualche maniera assolto, archiviato o non indagato il magistrato siano corrotte? La signora Fiammetta Borsellino si assume la responsabilità di mettere in dubbio ed accusare di complicità correntista il Csm, quando lo stesso Di Matteo non appartiene ad alcuna corrente? Sulla vicenda del rapporto mafia-appalti è cosciente dell’intera spinosa vicenda o si ferma solo alla ricostruzione monca che certe parti interessate vogliono far emergere? Fa specie notare che quella pista per la morte di Borsellino, sia la “favorita” della difesa Mori-Subranni-De Donno al processo Stato-mafia. Così come fa specie, in un mondo alla rovescia dove vero e falso si mescolano continuamente, vedere come alcuni familiari vittime di mafia accolgano, totalmente o in parte che sia, suggerimenti e considerazioni da parte di chi certe verità non vuole che siano mostrate. E chi trae giovamento da tutto questo è proprio quel gruppo di uomini-cerniera che hanno obbedito agli ordini di uno Stato-mafia che ha letteralmente armato il braccio di Cosa Nostra per seminare bombe e distruzione nel biennio ’92/’93 e non solo. Ed è un dato di fatto che la verità della trattativa Stato-mafia è scomoda a molti. Fiammetta Borsellino, lo ha ribadito più volte con le sue dichiarazioni, sposa in toto considerazioni come quelle dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che difende alcuni degli ergastolani ingiustamente condannati in base alle dichiarazioni di Scarantino. Per concludere nell’intervista al Riformista Fiammetta Borsellino afferma, riferendosi chiaramente a Di Matteo, che “non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone“. Chi sarebbero dunque vicini alle idee e all’etica del padre? Quegli avvocati degli stragisti che hanno assassinato Paolo Borsellino? Lo ripetiamo ancora una volta, senza nulla togliere al diritto alla difesa e alla legittimità professionale degli avvocati nell’esercizio della loro professione, resta un fatto noto che l’avvocato Di Gregorio non è solo il difensore di una delle vittime delle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino (Gaetano Muranandr) ma è già stata legale del boss corleonese Bernardo Provenzano ed anche del boss di Santa Maria del Gesù, Pietro Aglieri, entrambi membri della Cupola di Cosa nostra e condannati a vari ergastoli in via definitiva, anche per la strage di via d’Amelio. Di Gregorio che, durante un’udienza del “Borsellino ter”, il collaboratore di giustizia Totò Cancemi affermò essere in qualche maniera vicina agli ambienti dei servizi segreti. Nello specifico disse che mentre si trovava in tribunale a Palermo, l’avvocato Rosalba Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante in contatto con i servizi segreti. Cancemi spiegò che il latitante a cui si faceva riferimento era Bernardo Provenzano. Diamo atto che la stessa Di Gregorio ha sempre smentito l’accaduto ma se si ritiene che Cancemi abbia detto il vero su Scarantino perché dovrebbe aver mentito sul legale?E cosa ne pensa Fiammetta Borsellino dei magistrati di Caltanissetta che hanno indagato sul progetto di attentato nei confronti dello stesso Nino Di Matteo, con una condanna a morte perpetrata dal Capo dei capi Totò Riina e dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Un progetto di attentato il cui ordine di colpire Di Matteo, lo scrivono gli stessi magistrati nisseni nel decreto di archiviazione, “resta operativo”? Sono vicini alle idee del padre? Su tutte queste domande sarebbe bello, prima o poi, avere una risposta. Ma abbiamo il timore e l’amarezza che la signora Fiammetta Borsellino abbia dimenticato chi veramente, nell’informazione e nella magistratura, ha dedicato la propria vita, con disinteresse, a cercare la verità sull’assassinio del proprio padre. di Giorgio Bongiovanni ANTIMAFIA DUEMILA 25.2.2021


25.2.2021 – FIAMMETTA BORSELLINO, RAGIONE E SENTIMENTO.  Era inevitabile. Prima o poi sarebbe dovuto accadere. L’evento scatenante che, questa volta, è l’intervista rilasciata da Fiammetta Borsellino a “Il Riformista”.  E così, come mi fu suggerito un po’ di tempo fa da un “amico”, la profezia si è avverata: a Palermo si muore spesso più per fuoco amico che non per fuoco nemico.  Una volta si sarebbe detto “si alzano a destra e a manca voci di dissenso” mentre nella giornata di ieri abbiamo assistito all’esatto contrario, ossia “da destra e da manca” arrivava l’assordante rumore del silenzio. Nessun rilancio, nessuna citazione. Anche i “leoni da tastiera” hanno taciuto pubblicamente sui social, anche se non lo hanno fatto all’interno delle loro segretissime chat su Whatsapp o su equivalenti servizi di messaggistica istantanea. Si è alzato il velo silenzioso dello scandalo per le affermazioni della figlia del giudice Paolo Borsellino contenute nell’intervista rilasciata all’ottimo Paolo Comi che ha fatto il suo mestiere di giornalista, senza commentare e, soprattutto, senza anteporre il proprio pensiero personale alla voce di Fiammetta. Ma ciò non toglie che le sue parole siano state mal sopportate e abbiamo creato malumore e critiche ma non è politicamente corretto attaccarla pubblicamente.

Poi, questa mattina, qualche voce si è sentita. Forse la notte ha portato (s)consiglio ed è partita la prima raffica di dissenso, un dissenso calibro 38 Special. Questa volta il fuoco amico nei confronti di Fiammetta Borsellino arriva dalla stampa, quella che da sempre è schierata in prima fila con i diversi movimenti antimafia.

Ma cosa è successo? Ragione e sentimento, questo è successo. Fiammetta Borsellino ha commesso il reato di lesa maestà. Si è permessa, ancora una volta, di lanciare il suo monito e di puntare il dito nei confronti della magistratura, delle sue indagini e, in modo particolare, nei confronti del dottor Nino Di Matteo dichiarando: «A parte la vicenda del processo “Trattativa Stato-mafia” condotto proprio da Di Matteo, non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso».

Di recente, la sentenza del “Borsellino Quater” ha stabilito che ad accelerare l’uccisione di Borsellino furono diversi motivi, come il probabile esito sfavorevole del maxiprocesso e la pericolosità, per Cosa nostra, delle indagini che il magistrato era intenzionato a portare avanti, in particolare in materia di mafia e appalti. «Non mi capacito del fatto che nessuno abbia mai voluto fare luce fino in fondo sul perché venne archiviato il dossier “mafia-appalti” a cui mio padre teneva moltissimo. E ciò̀ per me è come un tarlo che si insinua nella mente, giorno e notte», ha dichiarato Fiammetta Borsellino sulle colonne de “Il Riformista”. Ma se questo è veramente stato il possibile accelerante, come sostiene Fiammetta ma anche la sentenza del “Borsellino Quater”, della strage di via d’Amelio per eliminare il dottor Paolo Borsellino, perché non si è indagato? Semplice, molto semplice. Non si è indagato perché il dossier “mafia-appalti” è stato archiviato.

Ma facciamo ordine.  Parliamo del dossier “mafia-appalti”, quel dossier investigativo realizzato dal Ros e voluto da Giovanni Falcone. Quel dossier investigativo che, nonostante il costante tentativo di sminuirne l’importanza e, addirittura, considerarlo una semplice indagine locale, conteneva un’approfondita analisi delle connessioni tra le famiglie mafiose siciliane, i loro interessi e quelli di grandi aziende coinvolte in appalti locali. Documento esplosivo? Se ripensiamo con lucidità ai contenuti del dossier in oggetto, possiamo pensare che fosse più confermativo che esplosivo. Molte delle grandi aziende citate nel dossier del Ros sono le stesse che comparivano nelle inchieste giornalistiche condotte negli anni ’70 da Mario Francese, quel cronista di razza che il 26 gennaio 1979 pagò con la vita la sua perspicacia e la sua capacità di analisi. Quelle grandi aziende che avevano interessi nella costruzione della diga Garcia, oggetto delle inchieste giornalistiche di Mario Francese.

Rimettiamo in ordine eventi e date.  Il 16 febbraio 1991, i carabinieri del Ros depositarono alla procura di Palermo l’«informativa mafia e appalti» relativa alla prima parte delle indagini. Il dossier passò per le mani prima dell’allora capo della procura di Palermo, Pietro Giammanco, e poi dei sostituti Guido Lo ForteGiuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato. Il 9 luglio 1991 la procura chiese cinque provvedimenti di custodia cautelare e, ai legali dei cinque arrestati, fu stranamente consegnata l’intera informativa del Ros, anziché gli stralci relativi alle posizioni dei diretti interessati, con il risultato che tutti i contenuti dell’indagine vennero resi pubblici, vanificando il lavoro degli investigatori. La vicenda provocò una frattura insanabile tra il Ros e la procura di Palermo e diverse polemiche sui giornali, che parlarono addirittura di “insabbiamento” della parte d’indagine che chiamava in causa esponenti politici.

Dopo la strage di Capaci il dottor Borsellino, che all’epoca della consegna del rapporto era procuratore capo a Marsala ma che dal marzo 1992 era di nuovo alla procura di Palermo come procuratore aggiunto, decise di riprendere l’inchiesta riguardante il coinvolgimento di Cosa nostra nel settore degli appalti e fornirle un nuovo slancio, considerandola di grande importanza. Ciò è confermato non solo da un incontro che il dottor Borsellino volle tenere il 25 giugno 1992, presso la Caserma dei Carabinieri Carini di Palermo, con Mori e De Donno, ai quali chiese di sviluppare le indagini in materia di mafia e appalti riferendo esclusivamente a lui, ma anche dalle conversazioni avute dallo stesso Borsellino con Antonio Di Pietro, che allora stava conducendo le indagini sugli appalti al centro di “Mani Pulite”.

Elemento cardine è la riunione che il 14 luglio 1992, cinque giorni prima dell’uccisione di Borsellino, il procuratore Giammanco convocò in procura per salutare i colleghi prima delle ferie estive e per trattare “problematiche di interesse generale” attinenti ad alcune indagini: “mafia e appalti, ricerca latitanti e racket delle estorsioni”. Nella riunione, alla quale partecipò anche Borsellino, Lo Forte fu chiamato a relazionare sull’indagine, ma dalle testimonianze dei presenti risulta che la parola “archiviazione” non venne mai pronunciata e da ciò si evince che il dottor Borsellino non fu informato che il giorno prima, il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via d’Amelio, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, con il visto del Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, archiviazione che verrà presentata il 22 luglio 1992, due giorni dopo la strage di via d’Amelio, e posta in essere, con la restituzione degli atti, il 14 agosto 1992.  Ragione e sentimento. Omissioni, pezzi mancanti, discordanze. Dossier archiviati, vuoti di memoria ma, soprattutto, vergogna, tanta vergogna.  (Ro.G.). STATIGENERALI 25.2.2021


25.2.2021 – PER QUANTO TEMPO ANCORA? LETTERA DELLA FIGLIA DEL PM PETRALIA IN RISPOSTA ALLE ACCUSE DI FIAMMETTA BORSELLINO Mi domando per quanto tempo ancora, i magistrati che hanno lavorato sulla strage di via D’Amelio, dovranno essere accusati dalla sig.ra Fiammetta Borsellino. Mi domando quali altre prove servano, oltre le approfondite indagini preliminari svolte egregiamente dai pm di Messina che, ricordo, hanno disposto ed espletato anche laboriosi accertamenti tecnici irripetibili. Per quanto ancora gli ex pm Palma e Petralia, nonostante un’ordinanza di archiviazione chiara nel definire che non è stata individuata nessuna condotta “penalmente rilevante da parte dei magistrati” dovranno essere messi sopra la bilancia di un dubbio che verte sempre un po’ di più dalla parte della colpevolezza.
Per quanto tempo ancora dovranno subire insidiose accuse pubbliche? Per quanto ancora Nino Di Matteo, dovrà subire anche lui le pubbliche accuse della sig.ra Fiammetta Borsellino? Per quanto ancora il nostro silenzio verrà usato per offenderci ancora, ancora e ancora una volta?
Non è certo la gogna mediatica che temo, ma le accuse cieche che odorano di pregiudizi, quelle si.
Una strada percorsa sulla suggestione dei pregiudizi non conduce mai alla verità. Nino Di Matteo tirato in causa con la stessa forza con cui, in questi anni, è stato tirato dentro a questo fango mio padre, mi fa pensare che ci sia qualcosa di orchestrato di cui, chi si fa portavoce della malagiustizia, non è al corrente, qualcosa che, lungi dall’avvicinare alla verità, spinge ad allontanarsene. Circoscrivere un dramma nazionale (la stagione delle stragi) a singole e mai dimostrate responsabilità di alcuni magistrati serve, infatti, a negarne la riconducibilità al perverso rapporto intercorso per anni tra lo Stato e un apparato criminale sanguinario ed eversivo come cosa nostra. Oggi penso che dietro le accuse della sig.ra Fiammetta Borsellino ci sia qualcuno che, abilmente, cerca di usare il dolore di una figlia per allontanare, ancor di più, questa verità. Flavia Petralia 25 Febbraio 2021 ANTIMAFIA DUEMILA


26.2.2021 – TRA BIBBIE E MARZIANI QUANTO RANCORE CONTRO FIAMMETTA BORSELLINO… È sufficiente leggere l’articolo comparso su un giornale antimafia, uno di quelli antimafiosi per davvero (non a caso Ingroia lo definì “organo ufficioso della procura di Palermo” – cit. Mauro Mellini – definizione che già si per sé avrebbe fatto vergognare qualsiasi giornalista) per rendersi conto di come le recenti dichiarazioni di Fiammetta Borsellino, figlia del Giudice Paolo Borsellino, abbiano generato un certo nervosismo. Ma cosa ha detto di così eclatante la figlia del giudice? Nulla che non sia più che lecito e giustificato per chi ha visto morire in maniera tanto barbara il proprio padre; nulla che sia frutto di invenzioni; nulla che in molti non pensino, ma che solo in pochi hanno il coraggio di dire. Nel corso dell’intervista rilasciata al Riformista, la figlia di Paolo Borsellino ha espresso amarezza perché a distanza di quasi trent’anni non è ancora stata fatta piena luce sui motivi che portarono alla strage di Via D’Amelio, muovendo inoltre delle critiche al Csm e ai pubblici ministeri per i tanti grossolani errori commessi nella gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino. Ma forse a scatenare l’ira del giornale antimafioso, il fatto che abbia parlato dell’interesse del padre verso il dossier mafia-appalti, e mosso critiche a Nino Di Matteo. “A parte la vicenda del processo Trattativa Stato-mafia condotto proprio da Di Matteo – aveva detto Fiammetta Borsellino al giornalista – non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso”. Apriti cielo… e il cielo si aprì veramente. Forse grazie ai contatti soprannaturali dell’autore dell’articolo, che per Madonne, Cristi, stimmate ed extraterrestri, pare sia il più quotato interlocutore terreno.  L’intervista di Fiammetta Borsellino ha dato la stura a un processo mediatico per lesa maestà.  Basta poco a far dimenticare che Scarantino era un ragazzo di scarso livello intellettuale, spacciatore di borgata e ladro d’auto, che venne indicato come un uomo d’onore che prendeva parte alle riunioni dei vertici di “Cosa nostra”.  Tant’è, il ladruncolo, il picciotto di sgarro, dopo l’attentato di Via D’Amelio venne promosso a ladro di copertoni, ma nessuno degli inquirenti si accorse di aver preso una solenne cantonata.  Non se ne accorse neppure l’autore dell’ignominioso articolo volto a denigrare una persona che ha già tanto sofferto, nonostante Madonne, Cristi, stimmate ed extraterrestri, ai quali avrebbe potuto chiedere pronta consulenza.   E neppure se ne accorse Nino Di Matteo, il quale – a prescindere da altri meriti – in quella circostanza rimase evidentemente anche lui folgorato da uno scarantinismo che avrebbe portato fuori pista per decenni gli investigatori.  Tanto che quando lo Scarantino tra urla e piagnistei si decise a ritrattare le dichiarazioni rese, proclamandosi innocente e scagionando quanti aveva ingiustamente mandato in galera, disse che le ritrattazioni del falso pentito erano tecniche di “Cosa nostra” che ben conosceva e che le suddette ritrattazioni non facevano altro che avvalorare ancor di più le dichiarazioni rese in precedenza.  Si arrivò così al 2008, quando con l’arresto di Gaspare Spatuzza e il suo pentimento si arriverà alla verità: Scarantino è un falso pentito e le persone in carcere, condannate all’ergastolo, sono innocenti!  Una verità che avrebbe gettato discredito sulle Istituzioni dello Stato – come affermò lo stesso Nino Di Matteo che anche per questa ragione il 22 aprile del 2009 manifestò la sua contrarietà a che Spatuzza usufruisse del piano provvisorio di protezione.  Tra coloro che si erano accorti fin da subito dell’inattendibilità di Scarantino, l’avvocato Rosalba Di Gregorio che aveva definito le propalazioni dello pseudo pentito “insulti all’intelligenza”.  La Di Gregorio, avvocato di grandi boss, in quanto tale – colpevole oltretutto di essere un’ottima professionista – non poteva essere creduta, e l’insulto all’intelligenza proseguì per decenni, con innocenti in carcere e colpevoli in libertà.  Cosa accomuna la Di Gregorio a Fiammetta Borsellino? Fiammetta Borsellino ha commesso l’errore di chiedere conto e ragione sul perché venne archiviata l’inchiesta mafia-appalti Un tema molto caldo e forse anche pericoloso, visto che sulla strage di Via D’Amelio, o quantomeno sulla sua accelerazione, si sono sviluppate due ipotesi. Quella palermitana della trattativa Stato-mafia, e quella emersa dai processi e cristallizzata con la sentenza del Borsellino quater, proprio su mafia-appalti. Qualsiasi attento osservatore non può non accorgersi come Caltanissetta, (nonostante si siano tenuti lì i più importanti processi, e nonostante la meritoria attività dei magistrati nisseni abbia portato a scoprire depistaggi e anomalie) sia tenuta in una sorta di Limbo dal quale mediaticamente non deve emergere. Ecco dunque che le dichiarazioni della figlia di Paolo Borsellino devono essere adombrate paragonando le sue affermazioni a quelle della difesa di Mori e De Donno, imputati a Palermo per la cosiddetta “Trattativa”. Perché dunque non approfittarne per accusare Fiammetta Borsellino, per indicarla come tramite tra mafia e Stato? E se non lo fa l’autore dell’articolo (al quale forse Madonne, Cristi e marziani hanno detto che sarebbe passibile di querela) ecco che qualche utente di Facebook accusa la figlia del giudice che sarebbe “tramite ‘inconsapevole’ tra lo stato e la mafia”. Un inconsapevole virgolettato prospettato come l’esatto opposto. Se poi, dulcis in fundo, le dichiarazioni della Borsellino coincidono talvolta con quelle dell’avvocato Di Gregorio, il gioco è fatto. Chi ha le stimmate può permettersi di far notare come la Di Gregorio abbia difeso alcuni degli ergastolani ingiustamente condannati in base alle dichiarazioni di Scarantino, ponendo l’insulsa domanda a Fiammetta Borsellino se coloro i quali sarebbero più vicini alle idee e all’etica del padre, siano “gli avvocati degli stragisti che hanno assassinato Paolo Borsellino”. Accuse e illazioni che ancor più che offendere Fiammetta Borsellino – quasi indicata come una marionetta – e Rosalba Di Gregorio, “pupara” del teatrino che l’autore propone ai suoi lettori, risultano offensive per chiunque abbia un minimo di intelligenza, onestà intellettuale, educazione e rispetto verso gli altri. Ma vi è di più. Oltre all’accostamento tra un difensore e i suoi assistiti – resi quasi colpevoli degli stessi reati – il voler adombrare la figura dell’avvocato collegandola agli onnipresenti servizi segreti, in Italia simbolo di devianze e trattative. “Di Gregorio – così parlò l’uomo dalle stimmate – che, durante un’udienza del ‘Borsellino ter’, il collaboratore di giustizia Totò Cancemi affermò essere in qualche maniera vicina agli ambienti dei servizi segreti. Nello specifico disse che mentre si trovava in tribunale a Palermo, l’avvocato Rosalba Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante in contatto con i servizi segreti. Cancemi spiegò che il latitante a cui si faceva riferimento era Bernardo Provenzano. Diamo atto che la stessa Di Gregorio ha sempre smentito l’accaduto ma se si ritiene che Cancemi abbia detto il vero su Scarantino perché dovrebbe aver mentito sul legale?” Una caso se i trattativisti, dinanzi la possibilità che si indaghi sulla genesi delle stragi (includendo mafia-appalti) senza remora alcuna né posizioni precostituite, diano forti segnali di nervosismo? Un caso se non si esita ad attaccare duramente la figlia del giudice ucciso dalla mafia e una brava professionista il cui torto tal volta è quello di saper svolgere la propria attività forse meglio di chi si trova di fronte? Un caso se non si esita a indicare alcuni familiari vittime di mafia come appartenenti a  un mondo alla rovescia dove vero e falso si mescolano continuamente, che accoglierebbero totalmente o in parte che sia, suggerimenti e considerazioni da parte di chi certe verità non vuole che siano mostrate? Signor Giorgio Bongiovanni (autore dell’articolo sul giornale antimafia più antimafioso d’Italia) Lei che è in contatto Madonne, Cristi ed extraterrestri, e che ne porta anche i segni (stimmate), previa consultazione con i Suoi Consiglieri, vorrebbe spiegarci perché tanto livore contro chi chiede soltanto la Verità? Il dubbio che ci assale, è quello che sulla Vostra prestigiosa testata possano trovare spazio soltanto i trattativisti e chi ha creduto agli insulti all’intelligenza e all’adulazione di falsi pentiti, ma non chi non ha la benchè minima voglia di doversi vergognare diventando così rosso da far impallidire l’agenda rossa che fu del Giudice Borsellino… Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 26.2.2021


27.2.2021 – BASTA ATTACCHI A FIAMMETTA BORSELLINO.  In merito alle sterili e calunniose offese a Fiammetta Borsellino potrei e vorrei scrivere una valanga di cose. Ma non lo faccio. Non lo faccio perché quando le accuse provengono dal basso, non meritano replica. Vorrebbe dire dar valore alla melma maladorante e farla assomigliare alla cioccolata. Ma la melma resta melma e la cioccolata rimane cioccolata.

Faccio solo un appunto veloce e sintetico:  Voi che vi permette il lusso di offendere la figlia del Giudice Borsellino, e spero che ogni volta che continuate a menzionarlo vi caschi un dente, non siete degni nemmeno di pronunciare quel cognome, né per quanto riguarda la figlia, né per quanto riguarda il padre! Ma non provate vergogna? Ma chi siete? Santoni esaltati, gente di ogni livello culturale (quasi sempre molto basso) che agita un agenda pensando di avere in tasca la verità, sedicenti paladini dell’antimafia.

Gente con provenienze molto discutibili e con un passato e una famiglia sicuramente lontana anni luce da quella dei Borsellino che si permette di dare giudizi e fare lezioni di legalità! Ma su che cosa, voi, potete dare giudizi? Ricordatevi da dove venite, ricordatevi il vostro passato, ma soprattutto dimostrate di non essere contigui al vostro passato.

Ma non vi sentite ridicoli quando cercate, in modo goffo di criticare le parole della figlia del Dr Borsellino, che a differenza vostra, conosce ogni atto e ogni carta dei processi come l’Ave Maria? E voi? Voi cosa conoscete se non l’essere come tante pecore che vanno dietro ad un pastore ubriaco? Non vi siete posti la domanda, che se magari la figlia del Giudice parla in un determinato modo ne sa più di voi? O volete arrogarvi la convinzione di saperne più di lei?

Dovreste solo provare vergogna e mettere la testa sotto terra come gli struzzi per quello che avete scritto e detto. Non siete degni di pronunciare il cognome Borsellino.

Voi che fate tanto i paladini dell’antimafia e siete come i muli che vedete solo ciò che volete vedere, non sapete dialogare e bloccate su Facebook chi non la pensa come voi. Sembra tanto il metodo Riina o sei con me o sei contro di me.

E adesso che avete letto tutto l’articolo, se non vi piace quello che ho scritto, potete anche lasciare il mio profilo. Me ne farò una ragione.  27.2.2021. di Linda Micò MAGAZINE SICUREZZA


28.2.2021 – CLAUDIO FAVA – Presidente Commissione Antimafi Regione Sicilia (…) E invece vedo il modo in cui viene pubblicamente derisa Fiammetta Borsellino quando denuncia, con nomi e cognomi, talune superficialità dei colleghi del padre nelle indagini sulla strage di via D’Amelio. Come a dire: ma come ti permetti? Io invece voglio permettermi, voglio ragionare sull’umana fallibilità di ciascuno di noi. E ho riconosciuto invece lo stesso tono spocchioso nell’anatema con cui alcuni docenti dell’Università hanno accolto le nostre inchieste: ‘ma come ti permetti?’”. LIVE SICILIA


28.2.2021 CHI È GIORGIO BONGIOVANNI, LO SCOMUNICATO FONDATORE DI “ANTIMAFIA DUEMILA” CHE ATTACCA FIAMMETTA BORSELLINO  Con un suo recente articolo pubblicato sul sito “Antimafia Duemila”, del quale è capo redattore Aaron (il cui nome significa “Illuminato) Pettinari, non pochi lettori si sono chiesti chi fosse questo Giorgio Bongiovanni che attaccava così violentemente la figlia del Giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992. Una domanda che forse avrebbero dovuto porsi anche magistrati e rappresentanti di associazioni molto vicini a questo poliedrico personaggio. La storia di Bongiovanni è una storia complessa e meritevole di essere narrata. Ancora ragazzino incontra Eugenio Siragusa, che diventerà il suo Padre Spirituale. Un contattista che, a suo dire, avrebbe rapporti con extraterrestri dai quali riceverebbe dei messaggi, così come  li riceverebbe anche dalla Madonna, da Gesù Cristo, da personaggi mitologici e storici, dei quali si professa la reincarnazione.  Nel 1989, la Madonna appare al seguace di Siragusa, per invitarlo a recarsi a Coimbra a parlare con suor Lucia (1908-2005), la veggente delle apparizioni a Fatima.  L’anno successivo, dopo aver incontrato suor Lucia, la quale non gli avrebbe detto nulla, afferma di avere ricevuto le stigmate, e con le stesse l’ordine di divulgare il terzo segreto di Fatima. Nel 1991 le stigmate compaiono anche ai piedi, l’anno dopo al costato, e l’anno successivo ancora compare la croce sanguinante al centro della sua fronte, mentre tra un sanguinamento e un’apparizione mariana, si moltiplicano i contatti con gli extraterrestri e il numero dei suoi seguaci in Europa, Africa, Stati Uniti, Russia e America Latina. A causa di divergenze, Siragusa prende le distanze da Bongiovanni, il quale all’interno del movimento che si era creato propone una “nuova teologia” ispirata a Giordano Bruno, lasciando a una rivista specializzata i temi ufologici. Nel 1999, la folgorazione: la criminalità, rappresenta il Male in perenne lotta con il Bene! Diciamo che nonostante l’aiuto della Vergine Maria e degli extraterrestri, ci volle del tempo prima che Bongiovanni si accorgesse che la mafia era un male. Nel frattempo erano stati uccisi magistrati come Gaetano Costa, Gian Giacomo Ciaccio-Montalto, Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Rosario Angelo Livatino, Antonio Scopelliti, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino – padre di Fiammetta Borsellino, da lui pesantemente attaccata nell’articolo pubblicato da Antimafia Duemila – e altri, senza contare appartenenti alle forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori e tanti altri innocenti massacrati da quei mafiosi dei quali il guru Bongiovanni non aveva compreso il Male che gli stessi rappresentavano sul nostro pianeta. Bongiovanni, al quale la Vergine Maria avrebbe dato l’incarico di smascherare il volto dell’Anticristo, nel 2000, spinto dai suoi contatti extraterrestri, fonda Antimafia Duemila, rivista pubblicata in sostituzione di Terzo Millennio, un calderone nel quale si mescolavano i messaggi di Siragusa, Bongiovanni, New Age e altri pensieri “illuminanti e illuminati”, in un tutt’uno indistinto di fede cristiana, magia e fantascienza. Forse il suo pensiero rivolto ad altre galassie, a un mondo utraterreno, fino a quel momento non gli aveva permesso di concentrarsi sul fenomeno mafioso, quello stesso fenomeno che – quantomeno prima del ’92 – molte persone ritenevano procurasse lavoro. Chi non ha mai sentito dire “la mafia perlomeno fa lavorare”? Al buon Bongiovanni, nonostante l’aiutino ultraterreno, sarebbero occorsi altri otto anni prima di accorgersi della mafia. Nel frattempo il comune sentire era cambiato, e molti di coloro i quali sostenevano che la mafia dava lavoro, avevano nel frattempo scoperto che una certa antimafia, anche quella, offriva prospettive di guadagno. Nascevano le associazioni, i paladini dell’antimafia nel mondo dell’imprenditoria (anche quelli falsi), i “pentiti” (a volte falsi), folgorati non più sulla strada di Damasco ma su quella di un’antimafia che così tanto aveva da offrire. Tutti nomi che per anni hanno riempito le pagine di Antimafia Duemila che non ha disdegnato di fare da passerella mediatica a soggetti assai discutibili e discussi. E mentre la Chiesa Cattolica guardava con sospetto quel Bongiovanni la cui guida sarebbe l’extraterreno Ashtar Sheran (Ashtar che alcuni identificano con Astaroth, braccio destro di Satana che comanda 40 legioni di demoni), magistrati e autorevoli rappresentanti, di altrettante autorevoli associazioni, facevano a gara per poter sedere alla destra di cotanto Padre. La conclusione più logica, quantomeno da parte della Chiesa, fu la scomunica di quel tramite tra Madonne, Cristi ed extraterrestri, di Bongiovanni. Cosa che puntualmente avvenne nell’anno 2000. Su Antimafia Duemila, che tanto spazio ha dedicato alla scomunica dei mafiosi da parte del Papa, quanti articoli avete letto sulla scomunica del fondatore della rivista? Di Paolo Borsellino si dice fosse un credente, cattolico praticante, non sappiamo come persone – ormai divenute personaggi – che del Giudice ucciso dalla mafia hanno fatto il vessillo del loro pensiero, possano unire tutto questo alla storia di Bongiovanni, alla sua psico-fede che lo ha portato alla scomunica da parte della Chiesa, e alla sua voce giornalistica. Questo rimarrà un mistero. Chissà se i Consulenti ultraterreni di Bongiovanni oltre a mettere in guardia lui dal non fare illazioni nei riguardi dei figli del Giudice Borsellino, lo abbiano fatto anche con i suoi adepti. A giudicare da molti commenti sui socialnetwork sembrerebbe di no. Un errore imperdonabile, visto che commenti diffamatori e offensivi potrebbero già essere all’attenzione dei legali delle persone offese e quindi costare cari a chi, confidando di riflesso nella tutela ultraterrena, si trovasse a doverne rispondere dinanzi un giudice.  Ma a tutto c’è rimedio, sarà sufficiente chiedere l’intervento di Ashtar Sheran scrivendogli presso l’indirizzo di Bongiovanni, o meglio ancora presso la sede italiana (ce ne sono anche all’estero) di Studio3TV, una ditta di produzioni video e multimediali, riconducibile al poliedrico Giorgio Bongiovanni. Anche l’antimafia rende… Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 28.2.2021


3.2.2021 – BORSELLINO, LA RABBIA DI FIAMMETTA. “VERITÀ TACIUTA DAI PM” «Delusa e amareggiata perchè vedo che c’è una enorme difficoltà a fare emergere la verità». Lo ha detto Fiammetta Borsellino, parlando con i giornalisti e commentando la deposizione del consigliere del Csm Nino Di Matteo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. A Messina sono indagati Annamaria Palma e Carmelo Petralia che con Di Matteo erano tra i pm di Caltanissetta che si occuparono della strage di via D’Amelio. «Non ho constatato da parte di nessuno – ha proseguito – la volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe a capire che cosa è successo. Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre». «Ci si riempie molto la bocca con la parola pool – è lo sfogo di Fiammetta Borsellino – ma io di pool non ne ho visto neanche l’ombra, perchè tutte le volte che a tutti i magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi o sulle mancata audizione dell’ex procuratore Giammanco, cadono dalle nuvole». La figlia del giudice, presente per tutta l’udienza, incalza: «Io capisco che si possa arrivare dopo rispetto alle indagini che sono già state fatte ma – ha spiegato – questo non significa non potersi informare su quello che è stato fatto prima o fare integrazioni di indagini. Invece quello che sento dire sempre è di essere arrivati in un momento successivo e sembra che tutto quello che riguarda Scarantino, il depistaggio e le stragi sia avvenuto per virtù dello spirito santo». GIORNALE DI SICILIA


02.02.2021 – Fiammetta Borsellino: “Quando incontrai gli assassini di mio padre”