Di Francesco Pira
Quando intervistai Borsellino e sentii quella sua speranza per una bellissima Sicilia
Quelle parole di Paolo Borsellino che non devono essere dimenticate: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Ormai è quasi diventato un rito. Alla vigilia dell’anniversario della strage di via D’Amelio vado a riprendere quell’intervista che ho fatto al Giudice Paolo Borsellino per il Giornale di Sicilia. Parlavamo di un rapimento avvenuto a Palermo. Nei giorni scorsi tanti brividi dopo che la Commissione parlamentare antimafia ha desecretato alcune audizioni del magistrato ucciso dalla mafia insieme alla sua scorta. Dopo che il Corriere della Sera ha pubblicato i video in cui l’8 maggio 1984 rileva le tante difficoltà del pool antimafia. Erano i mesi caldi prima del maxi-processo a Cosa Nostra.
Il giudice, seppure agitato, parla con la solita flemma:
“Desidero affrontare la gravità dei problemi, soprattutto di natura pratica, che noi dobbiamo continuare ad affrontare ogni giorno. Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera”.
Parole durissime e che lasciano il segno. Che ci fanno rivivere le ore della strage quando il giudice che insieme a Giovanni Falcone è il simbolo della lotta a Cosa Nostra, è morto il 19 luglio del 1992 insieme alla scorta composta da: Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina. Il giudice Borsellino aveva 52 anni e 57 giorni prima a Capaci avevano ucciso il suo amico e collega Giovanni Falcone con la moglie e la scorta. Un pomeriggio pieno di sole a Palermo in cui un’autobomba è esplosa tra le strade deserte.
Il giudice era andato in Via D’Amelio a Palermo a prendere la sua mamma per accompagnarla dal medico. Alle 16,58 una fortissima esplosione uccide persone, abbatte case, fa saltare in aria auto. Ripeteva a se stesso e agli altri: “E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.
Più volte ho ricordato, anche durante interventi in convegni o conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Oggi, come spesso mi è capitato da quando non c’è più e sento parlare di lui, risento la sua voce. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità.
E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tante volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuasse la sua battaglia contro il male. Un’intervista tra quelle che non dimenticherò mai nella mia esistenza. Incancellabile. Piena di vita, anche se annunciava la morte.
Le sue parole non possono e non devono essere dimenticate: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.
Vivere e lottare sapendo che il destino era segnato. Ventisette anni dopo ancora ci sono misteri che non sono risolti, legati alla morte di Paolo Borsellino e che mai si risolveranno.
C’è un’altra intervista che mi porto dentro. Quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Mi piacevano tantissimo i messaggi che era capace di lanciare ai giovani:
“Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
Ma sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate:
“Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.
E del resto il giudice Paolo Borsellino aveva idee molto chiare sulla Sicilia:“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Le parole pronunciate dal Giudice Borsellino che sono state rese note nelle ultime ore confermano un sospetto che avevamo avuto parlando con lui: un senso profondo di solitudine. Lui che sognava una Sicilia bellissima. Era quasi certo che un giorno poteva diventare bellissima. Quella stessa terra che ha amato e voleva cambiare ma che l’ha tradito ed ucciso. La Voce di New York