«CON LA MAFIA NON SI CONVIVE: PIÙ CE N’È E MENO SI CRESCE»


di Nicola Borzi
 
Alla base della mancata crescita di intere regioni italiane c’è il cancro della criminalità organizzata, che divora la società e l’economia dei territori.
Quella che sinora era una ipotesi, per quanto diffusa nell’opinione pubblica, è ora un’evidenza che scaturisce da uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia, La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica, realizzato da Sauro Mocetti e Lucia Rizzica. Mocetti e Rizzica hanno realizzato un nuovo indicatore “sintetico” di presenza mafiosa e si sono concentrati sul Centro-Nord, esaminando la correlazione con la crescita economica locale dagli anni ’70 e l’aumento del livello di infiltrazione della criminalità organizzata negli ultimi 50 anni.
L’analisi dal 1971 al 2011 dei tassi di crescita dell’occupazione, del valore aggiunto e della produttività dimostra che le province con un maggiore livello di penetrazione mafiosa hanno avuto un tasso di crescita dell’occupazione più basso del 9% e una crescita del valore aggiunto inferiore del 15%, pari a quasi un quinto della media del periodo, rispetto a quelle con una presenza mafiosa inferiore.
Lo shock dovuto all’insediamento della Sacra Corona Unita in Puglia e Basilicata nei primi anni Settanta ha causato alle due regioni, in trent’anni, una perdita di Pil pro capite del 16% circa, stimava nel 2015 Paolo Pinotti.
Ora lo studio di Mocetti e Rizzica conferma quel dato: il differenziale di crescita annuale tra province molto o poco mafiose è nell’ordine dello 0,2% annuo.
L’azzeramento della presenza mafiosa nel Mezzogiorno consentirebbe, secondo gli studiosi della Banca d’Italia, un aumento del tasso di crescita annuo del Pil dello 0,5%, il doppio rispetto al Centro Nord.
Il fatto è che “la presenza della criminalità organizzata in un territorio ne condiziona in misura profonda il contesto socioeconomico e ne deprime il potenziale di crescita”, scrivono i due ricercatori, “inquinando il capitale sociale e ambientale”. Da un lato, “deprime l’accumulazione di capitale, sia pubblico sia privato.
Ingenti risorse vengono destinate alla prevenzione e al contrasto dell’attività criminale, sottraendole a investimenti produttivi e infrastrutturali”.
Dall’altro, “l’ingerenza delle organizzazioni criminali nell’attività economica disincentiva l’investimento privato, riducendone i rendimenti attesi” e “incide sulla qualità della forza lavoro e sull’accumulazione di capitale umano.
Un mercato del lavoro depresso dalla presenza delle mafie e la possibilità di perseguire carriere criminali possono scoraggiare l’investimento in istruzione e incentivare i giovani più capaci a emigrare”.
Senza dimenticare che la presenza mafiosa “genera distorsioni nella spesa e nell’azione pubblica.
I legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la spesa pubblica che viene riorientata verso finalità particolaristiche, a discapito dell’interesse generale.
Questo si associa a un più contenuto sviluppo economico”.
L’analisi è stata realizzata tramite un nuovo indice sintetico che utilizza il database dei reati e vi aggiunge informazioni ulteriori, ottenute da indagini condotte tra le imprese.
L’indice della presenza mafiosa raggruppa statistiche (“pesate” in rapporto al totale del campione) sugli omicidi di stampo mafioso e il numero di reati di associazione mafiosa, il numero di Comuni sciolti per mafia, quello delle imprese confiscate, aggiungendo reati “spia”, come quelli per il controllo del territorio e per le attività illecite.
Il primo gruppo include attentati, omicidi, danneggiamenti, incendi ed estorsioni. Il secondo sfruttamento della prostituzione, produzione e distribuzione di stupefacenti, contrabbando e riciclaggio.
Infine sono inseriti nel database provinciale anche indicatori soggettivi sull’intensità del fenomeno mafioso percepita o sperimentata dagli operatori economici (estorsioni, intimidazioni e minacce, concussione).
L’indice elaborato da Mocetti e Rizzica consente non solo di fotografare in profondità le province con una presenza mafiosa “di lungo periodo” – dalla Calabria (in particolare Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia) alla Campania (Caserta e Napoli), dalla Puglia (principalmente il Foggiano) alla Sicilia (in particolare quelle occidentali dell’isola) – ma di trovarne nuove tracce significative anche in alcune aree del Centro Nord, con valori più elevati a Roma, Genova e Imperia.
Lo studio si collega alle stime sui volumi di affari legati alle attività illegali, attraverso le quali la criminalità organizzata si finanzia e arricchisce, calcolati da Istat e Transcrime in oltre il 2% del Pil.
A queste attività vanno poi aggiunti i proventi che le mafie ottengono dall’infiltrazione nell’economia legale.
Ma la ricerca analizza anche le variabili preesistenti su altri territori, che hanno influenzato l’espansione della criminalità organizzata al di fuori dei suoi confini tradizionali.
I risultati mostrano che le mafie si sono indirizzate prevalentemente non solo, come è facile intuire, verso le province “ricche” in termini di Pil pro capite più elevato, ma anche verso quelle con una maggiore dipendenza dell’economia locale dalla spesa pubblica e dalla corruzione e, quindi, verso territori con maggiori opportunità di investimento, profitto ed estrazione di rendite.
Mocetti e Rizzica dimostrano poi che il livello di infiltrazione mafiosa nell’economia può essere influenzato anche da fattori congiunturali, come la pandemia.
Negli ultimi due anni, la percezione delle imprese del livello di infiltrazione delle organizzazioni criminali è significativamente aumentata soprattutto in quei settori (come l’hotellerie, la ristorazione o l’industria tessile) più colpiti dal Covid.
L’infiltrazione mafiosa è avvenuta principalmente tramite il finanziamento o l’acquisizione della proprietà delle imprese – sfruttandone la vulnerabilità – e meno attraverso intimidazioni o estorsioni.
“La linea della palma”, per dirla con le parole di Sciascia, da tempo ha però varcato le Alpi: lo sfruttamento della pandemia da parte delle mafie non è limitato solo all’Italia.
L’ultimo rapporto di Europol sulla minaccia della criminalità organizzata nell’Unione europea (Socta), aggiornato il 7 dicembre, spiega che “le conseguenze a lungo termine della pandemia possono manifestarsi in modo particolarmente grave nel settore della criminalità finanziaria”, specie sul fronte del riciclaggio. 
La crisi e le sue potenziali ricadute economiche e sociali minacciano di creare le condizioni ideali per la diffusione della criminalità organizzata nella Ue”, spiega Europol.
Due esempi emergono dal rapporto europeo: l’infiltrazione della criminalità organizzata nello smaltimento illecito di rifiuti sanitari, scoperta in Spagna, e nel commercio di prodotti sanitari anti-Covid contraffatti e illegali, che ha coinvolto anche l’Italia.
Dallo scoppio della pandemia, Europol ha individuato la potenziale crescita del trattamento e dello smaltimento illecito dei rifiuti sanitari, il loro stoccaggio, scarico e spedizione come un nuovo business per le mafie europee.
Il 25 settembre 2020, una maxioperazione sovranazionale ha scoperto e rimosso dal web 123 account di social media e 36 siti che vendono prodotti contraffatti, sequestrando merci illegali e contraffatte per quasi 28 milioni, con 10 persone arrestate in Grecia e altre 37 denunciate in Grecia, Italia e Portogallo.
L’indagine ha portato al sequestro, tra l’altro, di apparecchiature mediche contraffatte e non conformi, tra cui 27 milioni di mascherine scoperte in Italia dalla Guardia di Finanza. Ma i codici di molti Paesi Ue non contemplano ancora gli specifici reati di associazione mafiosa: oltre a un coordinamento delle polizie europee serve una nuova cultura penale. Perché dopo l’Italia, le mafie possono aggredire e impoverire anche il resto d’Europa.
(da “Il Fatto Quotidiano” del 27 dicembre 2021)