Via d’Amelio, Lucia Borsellino: “Mio padre attese invano una chiamata dai giudici”

 

Ha rotto il silenzio ed è tornata a parlare in un’aula di Tribunale Lucia Borsellino, l’ex assessore alla Salute della Regione Sicilia e figlia del Giudice ucciso assieme agli agenti della sua scorta nell’attentato di Via d’Amelio.

La Borsellino ha deposto nei giorni scorsi a Caltanissetta al processo per il depistaggio della strage di via d’Amelio che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

Borsellino che già in passato era stata chiamata a testimoniare, ha parlato dell’agenda rossa del padre, dello scontro che ha avuto con Arnaldo La Barbera,  proprio in merito alla scomparsa di quell’agenda, ma ha anche ricordato anche altri episodi come l’intrusione subita nel villino di Carini, solo qualche mese dopo l’attentato, in cui è stato messo sottosopra l’ufficio del padre e poi il ricordo di quei 57 giorni tra Capaci e Via d’Amelio in cui il padre attese invano una chiamata, da parte dei giudici, che non arrivò mai. 

Quella chiamata attesa invano – Nei 57 giorni che passarono tra Capaci e via d’Amelio, Paolo Borsellino che attendeva di essere chiamato dai giudici si espose anche mediaticamente ma non accadde nulla: “Papà era molto turbato di non essere mai stato chiamato a Caltanissetta a deporre nell’ambito delle indagini sulla morte di Falcone. Il 26 giugno 1992 aveva rilasciato le dichiarazioni durante l’incontro alla biblioteca comunale ed aveva detto chiaramente di essere testimone e destinatario di confidenze di Falcone. E non vedeva l’ora di raccontare quelle cose a suo dire utili per lo sviluppo delle indagini. Lui sapeva che in quella maniera si stava esponendo in una sede non propria. Ma poi sono passati altri 25 giorni e nessuno ha mai alzato il telefono degnandosi di chiamarlo”.

L’intrusione rimasta nel mistero – Questo il racconto fatto della Borsellino relativamente a quell’episodio dell’intrusione avvenuta nella casa di Carini: “Entrammo nello studio di mio nonno che era quello dove mio padre si appoggiava per lavorare e lo trovammo tutto divelto, c’erano tutte le carte per terra. Era l’unica stanza che era stata messa a soqquadro”. All’epoca di quell’intrusione venne presentata una denuncia ma in seguito emerse che non sarebbe stata trasmessa a Caltanissetta e ancora ora non si capisce se per un’omissione o perché ritenuta di poco contro da chi allora stava svolgendo le indagini

Lo scontro con La Barbera – Altro punto su cui si è soffermata Lucia Borsellino rispondendo alle domande del Procuratore Bertone dell’aggiunto Gabriele Paci,  è quello che riguarda la famosa Agenda Rossa e l’incontro avuto con l’ex Capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera che la Borsellino incontrò in occasione della riconsegna della borsa del padre. Cosi descrive l’incontro con La Barbera: “Mi recai direttamente in via d’Amelio quel luogo è stato letteralmente vandalizzato, non c’erano transenne o qualcosa per impedire che si avvicinassero ai corpi. In quel momento tutto potevo immaginare tranne che ci potesse essere qualcuno che si infilasse nella macchina ancora fumante e prendesse quello che lui aveva lasciato. La borsa ci fu restituita verso la fine dello stesso anno. Chiesi ad Arnaldo La Barbera, che ci riconsegnò la borsa di mio padre, come mai non fosse presente l’agenda rossa e mi fu risposto in maniera quasi trasecolata, come se io stessi parlando di un oggetto che non era presente perché non c’era, non perché qualcuno lo avesse sottratto. Io chiedevo spiegazioni e la sua era una risposta tranciante e tendeva implicitamente al fatto che l’oggetto non ci fosse e che si trattava di una mia invenzione. Me ne andai sbattendo con violenza la porta”.

L’agenda era nella borsa – La figlia di Borsellino ne è certa che in quel 19 luglio il padre aveva messo nella sua borsa anche l’agenda rossa: “Papà era particolarmente preciso e quella mattina l’avevo vista sulla scrivania assieme alle altre agende che aveva, quella marrone in cui annotava dei numeri, e quella grigia dove appuntava le spese di famiglia e qualche appunto con gli incontri che teneva. Quando mio padre è uscito sono sicura che la scrivania fosse pulita”.

Secondo l’accusa l’ex questore La Barbera è sicuramente tra gli autori del depistaggio ed in particolare nella costruzione del pentito Scarantino, che aveva il compito di sviare l’attenzione sulla strage, dando le indicazioni su false piste.

Nel corso della deposizione Lucia Borsellino ha parlato anche dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada. In particolare ha riferito un episodio in cui fu chiesto al padre cosa ne pensasse di quella persona. Ecco il racconto della Borsellino: “Il mio fidanzato di allora era un poliziotto della polizia scientifica ed una volta chiese a mio padre cosa pensasse di Contrada. E lui rispose che quella era una persona della quale era meglio non parlare. Dalla sua espressione in viso pensai che non era una persona di cui papà pensava in maniera positiva. Altrimenti qualcosa in più l’avrebbe detta. Il periodo? Siamo tra la strage di Falcone e la sua”.

Altro capitolo riguarda il racconto, con le confidenze ricevute della madre, sulle reazioni del padre rispetto la notizia dell’arrivo del tritolo a Palermo per l’attentato contro di lui e quella dichiarazione fatta dalla madre su Antonio Subranni. “So che mamma fu molto precisa dicendo che papà gli avrebbe detto che il generale Subranni fosse in qualche modo ‘punciutu’, che si era lasciato cooptare da richieste che non si sarebbero dovute soddisfare. Papà disse anche che non era solo la mafia che lo avrebbe ucciso e che altri lo avrebbero consentito. Posso immaginare che mio padre avendo saputo quelle cose soprattutto nell’ultimo periodo di vita abbia avuto la sensazione di toccare la morte con le mani”. TP24 3.12.2018


Lucia Borsellino: “Lo studio usato da mio padre messo a soqquadro da ignoti”

la figlia del giudice ucciso dalla mafia racconta particolari inediti

Ignoti sarebbero entrati nel villino della famiglia Borsellino a Villagrazia di Carini e avrebbero messo a soqquadro lo studio utilizzato dal giudice Paolo Borsellino. La circostanza è emersa oggi al processo per i depistaggi sulla strage di via D’Amelio e sarebbe avvenuta pochi mesi dopo l’eccidio del 19 luglio 1992. A raccontarla, Lucia Borsellino, figlia del magistrato assassinato, che oggi ha deposto al tribunale di Caltanissetta in cui si svolge il dibattimento: “Entrammo nello studio di mio nonno che era quello dove mio padre si appoggiava per lavorare e lo trovammo tutto divelto, c’erano tutte le carte per terra. Era l’unica stanza che era stata messa a soqquadro”.

Non è, però, l’unico mistero raccontato da Lucia Borsellino, che, rispondendo alle domande del capo della procura nissena Amedeo Bertone e dell’aggiunto Gabriele Paci, ha svelato anche alcuni particolari sull’agenda rossa appartenuta al padre e misteriosamente scomparsa: “Mi recai direttamente in via D’Amelio. quel luogo è stato letteralmente vandalizzato. in quel momento tutto potevo immaginare tranne che ci potesse essere qualcuno che si infilasse nella macchina ancora fumante e prendesse quello che lui aveva lasciato. Chiesi ad Arnaldo La Barbera, quando mi riconsegnò la borsa di mio padre, come mai non fosse presente l’agenda rossa e mi fu risposto in maniera quasi trasecolata, come se io stessi parlando di un oggetto che non era presente perchè non c’era, non perchè qualcuno lo avesse sottratto”. 

Lo stesso La Barbera, secondo chi indaga, sarebbe uno degli autori del depistaggio, e avrebbe gestito il finto pentito Scarantino, che sarebbe servito a spostare l’attenzione sulla strage, indicando false piste. Il Sicilia 3.12.2021