“DEPISTAGGI E COMPLICITÀ DI MAGISTRATI E POLIZIOTTI HA IMPEDITO LA VERITÀ SULL’UCCISIONE DI MIO PADRE”, PARLA LA FIGLIA DI BORSELLINO

20.2.2021 “DEPISTAGGI E COMPLICITÀ DI MAGISTRATI E POLIZIOTTI HA IMPEDITO LA VERITÀ SULL’UCCISIONE DI MIO PADRE”, PARLA LA FIGLIA DI BORSELLINO “Il Palamaragate ha stoppato le indagini della Procura generale della Cassazione sul più colossale dei depistaggi: quello relativo alla morte di mio padre!”. Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia a Palermo il 19 luglio del 1992 a soli cinquantuno anni, parla secco, senza diplomazie. A novembre del 2019 si è concluso in appello a Caltanissetta il quarto processo per la strage di via D’Amelio. La Corte ha confermato la sentenza di primo grado, condannando all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage, e a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato al falso pentito Vincenzo Scarantino. L’uccisione di Borsellino non fu dovuta alla trattativa tra Stato e mafia, come avevano scritto i giudici di Palermo nel 2018, trattandosi invece di un “mosaico pieno di ombre, dove erano coinvolti altri gruppi di potere”. In particolare, le dichiarazioni di Scarantino, poste a fondamento dei precedenti processi sulla strage e di svariate condanne all’ergastolo, sono false in quanto frutto “di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, realizzato da “soggetti inseriti negli apparati dello Stato”. Nelle settimane scorse il gip di Messina ha archiviato le posizioni di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, i due pm di Caltanissetta che avevano indagato sull’attentato, e poi erano stati accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. I due magistrati, secondo l’iniziale accusa, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo, avrebbero depistato le indagini sulla strage, suggerendo a falsi pentiti, fra cui appunto Scarantino, di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. La falsa verità, alla quale per anni i giudici hanno creduto, costò la condanna all’ergastolo a sette persone. Le false accuse dei pentiti vennero poi smontate dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.

Fiammetta Borsellino, perché il Palamaragate ha bloccato gli accertamenti della Procura generale della Cassazione? Quando nel 2017 venne pronunciata la sentenza del Borsellino Quater che svelò il depistaggio del falso pentito Scarantino, indicando “le anomalie nelle condotte” dei magistrati che si erano occupati di lui, iniziai subito a chiedere che si facesse luce su come era stata gestita l’indagine sulla morte di mio Padre.

Cosa aveva evidenziato? Imprecisioni e irregolarità processuali e investigative a non finire. Ad iniziare dalla mancata verbalizzazione del sopralluogo nel garage dove era stata tenuta la Fiat 126 che venne poi imbottita di tritolo per l’attentato. Senza contare l’uso scellerato dei colloqui investigativi.

Denunciò l’accaduto? Chiesi che il Consiglio superiore della magistratura si occupasse di queste anomalie rinvenute dai giudici nisseni nell’operato dei magistrati che avevano svolto le indagini sulla strage di in cui morì mio padre.

Risposta? Nessuna.

E allora? Mi sono più volte rivolta anche al capo dello Stato Sergio Mattarella nella sua qualità di presidente del Csm.

Una precisazione: in che anno siamo? 2018 inizio 2019.

Questo Csm? Si.

Ha chiamato l’attuale vice presidente David Ermini? Certo.

Cosa le disse? Mi riferì che senza un’azione della Procura generale della Cassazione la Sezione disciplinare non avrebbe potuto fare alcunché.

All’epoca il procuratore generale della Cassazione era Riccardo Fuzio. Esatto. Fuzio mi convocò, insieme a mia sorella Lucia, a Roma per rendere dichiarazioni.

Come andò l’interrogatorio? Mi sono subito resa conto che Fuzio non sapeva nulla della vicenda e degli sviluppi processuali e così ho parlato per oltre un’ora di tutto quello che riguardava le anomalie nell’inchiesta, che fu condotta a ridosso della strage e di come nessuno si fosse accorto di un pentito che era palesemente falso.

Una ricostruzione dettagliata? Si. Ho riferito fatti che i magistrati dovevano sapere e invece li chiedevano a me. Veda un po’ lei.

Poi? Vorrei ricordare che la dottoressa Ilda Boccassini, all’epoca dei fatti in servizio in Sicilia, scrisse una lettera che mise in un cassetto, chiedendo di lasciare la Procura perché era convinta che Scarantino fosse un bluff. Purtroppo nessuno dei magistrati allora nel pool con lei le volle dare retta.

Se avesse consegnato quella lettera, forse, le indagini avrebbero preso una piega diversa… Ovvio: sono passati 25 anni per poter avere una sentenza che scrive quello che qualcuno già aveva rilevato nel 1992.

Torniamo a Fuzio, soprannominato “baffetto” da Luca Palamara, il magistrato che nel 2017 “soffiò” il posto a Giovanni Salvi, come si legge nel libro dell’ex zar delle nomine al Csm.
Fuzio disse che avrebbe inviato la mia deposizione al procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone (in pensione dallo scorso settembre, ndr).

Sa se è arrivato il verbale? Non so se quel verbale arrivò mai sul tavolo del procuratore Bertone e né se Bertone lo abbia mai letto.

A parte questo? Fuzio mi garantì anche che una delegazione della Procura generale della Cassazione sarebbe andata nella Procura nissena per questa ragione.

E anche su questa circostanza non sa dirmi nulla? No.

Si sente presa in giro? Mi sembra il minimo. Insieme a mia sorella avevo solo chiesto che il Csm facesse il suo dovere di indagare quei magistrati che una sentenza del 2017 aveva stabilito avessero agito in modo irregolare. Peggio ancora se pensiamo che la Corte d’Assise d’Appello ha confermato interamente quello che scrissero i giudici di primo grado.

Veniamo al Palamaragate, nato da una fuga di notizie da parte di tre quotidiani sull’indagine di Perugia. Fuzio, finito nelle intercettazioni di Palamara e ora indagato per rivelazione del segreto d’ufficio insieme a Palamara venne costretto a luglio del 2019 alle dimissioni. Cosa successe? Mi scrisse una mail pietosa con cui si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto fare nulla. Il punto però è che era proprio lui a dover fare qualcosa, almeno come ci disse Ermini. E non fece nulla. Ancora conservo quella mail e ricordo bene la rabbia che quel tentativo di ispirare il mio pietismo mi diede.

Però, signora Fiammetta, la Procura generale della Cassazione non è il calzolaio che se il titolare va in pensione il negozio chiude… Certo. Spero che chi c’è ora (Giovanni Salvi, ndr) trovi il tempo per farmi sapere che fine hanno fatto le mie deposizioni. IL RIFORMISTA