Fiammetta Borsellino: “Inopportuno l’impegno elettorale a Palermo di Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri”
L’intervento a ‘Che Tempo Che Fa’ su Rai 3: “Riemergono persone che purtroppo hanno scritto delle pagine buie della nostra terra e sono condannati per mafia. Il rischio è che con queste modalità si possano fare passi indietro è veramente altissimo, ma la questione morale sembra essere scomparsa dall’agenda di tantissimi candidati”
“Oggi Palermo, alla fine della ‘era Orlando’, si appresta ad affrontare delle nuove elezioni e purtroppo assistiamo alla riemersione nell’impegno elettorale – seppur nell’ombra – di persone che purtroppo hanno scritto delle pagine buie della nostra terra e sono condannati per mafia: Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Si stanno impegnando per queste elezioni e il problema non è se lo possono fare o meno, perché hanno scontato delle condanne, il problema – e qui torniamo alla questione morale che non si vuole più affrontare – è di dire che questa cosa è politicamente e moralmente inopportuna. Il rischio è che con queste modalità si possano fare passi indietro è veramente altissimo, ma la questione morale sembra essere scomparsa dall’agenda di tantissimi candidati”. Ad affermarlo a ‘Che Tempo Che Fa’ su Rai 3 è Fiammetta Borsellino.
Che sulla giornata del 23 maggio ha aggiunto: “Ricordare vuol dire riappropriarsi delle testimonianze di vita di determinati uomini affinché diventino patrimonio di tutti noi, lo dico sempre ai ragazzi perché costituiscano un faro per il nostro avvenire. Solo così la vita può avere una prevalenza sulla morte. Ricordare non può essere una mera celebrazione, non può essere una santificazione perenne, quando ciò accade diventa retorica, un oppio, e svia dai problemi. La memoria non può essere disgiunta dalla ricerca verità. In questi anni abbiamo assistito a tantissime celebrazioni ma il diritto alla verità su queste terribili vicende, che io definisco una ferita collettiva, non individuale, è stato totalmente calpestato attraverso percorsi voluti e depistaggi”.
La verità disattesa, rileva, “parte innanzitutto in quei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Lì inizia il depistaggio perché a mio padre fu impedito di riferire quello che stava facendo anche in riferimento a delle indagini sulla morte di Falcone. Lui chiese alla Procura di Caltanissetta di essere sentito ma non lo vollero mai ascoltare, tant’è che al famoso discorso alla Biblioteca Comunale di giugno in un atto di disperazione si mise in pericolo dicendo di sapere ma che avrebbe riferito solamente alle autorità giudiziarie. Fu gettato in una solitudine assoluta, che poi è l’origine della maggiore esposizione al pericolo: tutti coloro che sono morti in quegli anni, sono morti sicuramente per mano mafiosa ma principalmente perché lo Stato italiano non è stato in grado di difendere i suoi uomini migliori”.
Il depistaggio continua, aggiunge, “nei minuti successivi alla strage di via D’Amelio, quando non viene attuata nessuna forma di tutela per quel luogo, tanto da permettere alla “mandria di bufali” di cancellare qualsiasi prova, grazie anche al comportamento inadeguato di addetti ai lavori che maneggiarono la borsa senza accertarsi del contenuto e della persona a cui andava consegnata. Dopo di questo abbiamo una serie di indagini e processi condotti violando le norme del codice, in quegli anni duranti i processi non furono fatte verbalizzazioni di sopralluoghi importantissimi da cui si poteva immediatamente evincere l’inattendibilità del falso pentito Scarantino, il “pupo” scelto per auto-accusarsi di questa strage nonostante le evidenze che fosse assolutamente inattendibili”.
“I confronti tra Scarantino e mafiosi “doc” che non lo riconoscevano – sottolinea Fiammetta Borsellino-, non furono mai depositati. E anche quando alcuni magistrati si accorsero che i colleghi non applicavano le norme del Codice come riportato nel caso delle lettere scritte dalla dott.ssa Boccassini al dott. Saieva, che a un certo punto se ne andarono sbattendo la porta. Addirittura, in queste lettere si dice che i colleghi devono verbalizzare tutto, anche i respiri di Scarantino, eppure furono semplicemente protocollate e i magistrati che sono stati sentiti su questo dichiararono di non averne avuto notizia se non dopo tanto tempo. Ecco, una denuncia del genere andava fatta sotto altre forme, come ci ha insegnato mio padre che quando tentarono di smantellare il pool antimafia denunciò la cosa”.
“Mio padre non fu mai avvisato nemmeno dell’arrivo del tritolo dal procuratore capo di allora, Giammanco, che non fu mai sentito dalla procura di Caltanissetta. Procura che fu totalmente inadeguata perché fatta da magistrati alle prime armi, che, come hanno poi dichiarato, prima di allora non si erano mai occupati di mafia”, aggiunge Borsellino. “Nessun uomo dotato di una minima intelligenza – sottolinea Fiammetta Borsellino – crederà che un depistaggio, definito come il più grave della Repubblica Italiana, sia stato compiuto da un manipolo di poliziotti. La sentenza del processo Borsellino-quater, che sancisce quello di via D’Amelio come il depistaggio e l’errore più grave della storia, dice che Scarantino è stato indotto a dire il falso da coloro che lo gestivano. Coloro che lo gestivano sono sicuramente investigatori ma, come sappiamo tutti, sono controllati e coordinati dai magistrati. A questo impianto così grave, queste gravissime anomalie che hanno caratterizzato le indagini e i processi, non ha fatto seguito nessun accertamento di responsabilità nei confronti di coloro che ne sono stati attori, né nei confronti del Csm, né da parte della Procura Generale della Corte di Cassazione”.
Per questo, rileva, “ritengo offensiva la chiamata fattami qualche giorno fa dal procuratore generale della Corte di Cassazione che mi invitava a partecipare a un convegno dei super procuratori generali di Palermo: io dalla Procura Generale mi aspetto delle risposte, da tanto tempo, nonostante io e mia sorella abbiamo dato un grossissimo contributo in termini di audizioni e verbali. Non c’è stata mai alcuna restituzione e credo che questa di via D’Amelio e di tante altre stragi che hanno caratterizzato la storia del Paese sia una storia torbida, e lo Stato ha perso la possibilità di poter fare anche pulizia al proprio interno perché è evidente che la mafia non agisce da sola, e qui torniamo alle “menti raffinatissime” di cui parlava Giovanni Falcone che sicuramente sono rimaste nell’ombra e hanno avuto una convergenza di interessi affinché determinate stragi potessero essere portate a termine”.
Il depistaggio pur nella sua grossolanità, perché è stato proprio definito un depistaggio grossolano, rileva Fiammetta Borsellino, “ha ottenuto il suo principale effetto che è stato il passare del tempo: il passare del tempo allontana la verità per lo sgretolamento delle prove, la morte dei testimoni. Non si può buttare però tutto “sui morti”: in questi anni ci sono stati i processi, potevano essere assunte testimonianze anche incentrate sulla collaborazione e invece io stessa a Caltanissetta, avendo partecipato a quest’ultimo processo, ho assistito a testimonianze di funzionari dello Stato piene di “non ricordo”. Questa è una cosa molto triste perché denota che l’omertà non è soltanto quella mafiosa ma c’è un’omertà istituzionale che è ben più grave”. PALERMO TODAY 23.5.2022