«Dietro via D’Amelio il dossier mafia-appalti», riaperta l’inchiesta depistaggi

 

Redazione LA VALLE DEI TEMPLI 29.7.2022

L’interessante articolo di Damiano Aliprandi per il Dubbio, in merito alla notizia data dall’agenzia Adnkronos a firma di Elvira Terranova, sulle indagini da parte della Procura di Caltanissetta sull’interessamento di Borsellino al dossier mafia-appalti come causa della sua eliminazione.

Tutte le sentenze hanno accertato l’interessamento di Falcone e Borsellino a mafia-appalti

I magistrati che coordinano l’inchiesta, tra cui la pm Claudia Pasciuti – scrive Aliprandiguidati dal Procuratore capo Salvatore De Luca, di recente – come rivela l’Adnkronos – hanno anche fatto i primi interrogatori. Compresi quelli top secret. Tra le persone sentite, spicca in particolare il nome del colonnello Giuseppe De Donno. Cioè, colui che allora giovane capitano, condusse l’inchiesta su mafia-appalti con il suo diretto superiore al Ros, l’allora colonnello Mario Mori. Che l’interessamento dei giudici Falcone e Borsellino riguardante il dossier mafia-appalti sia stata una concausa delle stragi, questo è accertato da tutte le sentenze. Quest’ultime hanno individuato un movente ben preciso. Sono diversi i passaggi cristallizzati nelle motivazioni. C’è quello di Giovanni Brusca che, nelle udienze degli anni passati, disse che, in seno a Cosa nostra, sussisteva la preoccupazione che Falcone, divenendo Procuratore Nazionale Antimafia, potesse imprimere un impulso alle investigazioni nel settore inerente la gestione illecita degli appalti”.

Perché, nonostante tale interessamento fosse stato accertato grazie a documenti e testimonianze, per trent’anni si è fatto di tutto per escluderlo?

Falcone – continua Aliprandi – aveva compreso la rilevanza strategica del settore appalti

C’è quello del pentito Angelo Siino, che sosteneva che le cause della sua eliminazione andavano cercate nelle indagini promosse dal magistrato nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”. Difatti – si legge nelle sentenze – in Cosa nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: «questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare» (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999). Ed è proprio quell’Antonino Buscemi, il colletto bianco mafioso, che era entrato in società con la calcestruzzi della Ferruzzi Gardini a lanciare l’allarme anche per quanto riguarda le esternazioni di Falcone durante un convegno pubblico proprio su criminalità e appalti. Un convegno, marzo 1991, dove evocò chiaramente l’inchiesta mafia-appalti che era ancora in corso. Il dossier fu depositato in procura su volere di Falcone stesso il 20 febbraio 1991. Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali. Siino, con riferimento all’eliminazione di Borsellino, ha inoltre aggiunto che Salvatore Montalto, durante la comune detenzione nel carcere di Termini Imerese, facendo riferimento agli appalti, gli aveva detto: «ma a chistu cu cìu purtava a parlare di determinate cose».

L’articolo di Aliprandi riporta come Borsellino fosse interessato a quell’indagine voluta da Giovanni Falcone, narrando anche delle dichiarazioni di diversi pentiti che “hanno affermato che sia Pino Lipari che Antonino Buscemi avevano un canale aperto con un magistrato della procura di Palermo. Alla sentenza d’appello del 2000 sulla strage di Capaci, tra gli altri, vengono riportate le testimonianze di due pentiti. Una è quella di Siino: «Sul punto, Angelo Siino, il quale, pur non rivestendo il ruolo di uomo d’onore, ha impostato la propria esistenza criminale, all’interno dell’ambiente imprenditoriale-politico-mafioso, ha evidenziato di avere appreso che Pino Lipari aveva contattato l’onorevole Mario D’Acquisto affinché intervenisse nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, al fine di neutralizzare le indagini trasfuse nel rapporto c.d.mafia-appalti” e in quelle che si potevano stimolare in esito a tali risultanze».

Dell’onorevole Mario D’Acquisto e del suo colloquio con l’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Giammanco, nel corso di un’intervista ha parlato anche il giudice Lorenzo Matassa , raccontando dell’attesa “dietro la porta di Falcone mentre il Procuratore era a colloquio privato con Mario D’Acquisto (potente uomo della corrente andreottiana in Sicilia)”.

Particolari che non sfuggirono ad un giovane magistrato da poco arrivato nel “covo di vipere” – così Borsellino definì la Procura di Palermo – ma dei quali, evidentemente, non si accorgevano quelli che Matassa ha definito i “nipotini di Giammanco”.

Sarebbe sufficiente leggere le audizioni dei magistrati sentiti dopo la strage di via D’Amelio, per rendersi conto di come la magistratura di Palermo si dividesse in supporter dell’allora Procuratore, per i quali il “covo di vipere” era un ambiente quasi idilliaco, e chi invece si rendeva conto di un clima avvelenato e di una faida interna alla procura, della quale furono vittime Falcone e Borsellino.

Aliprandi nel suo articolo ricorda come i Buscemi avessero ceduto fittiziamente le imprese al gruppo Ferruzzi e le motivazioni che riportano anche la versione di Brusca: «Quanto ai rapporti tra i fratelli Buscemi, il gruppo Ferruzzi-Gardini e l’ing. Bini, Brusca ha evidenziato di avere appreso da Salvatore Riina che, a seguito della legge Rognoni-La Torre, i Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese (la cava Bigliemi e una Soc. Calcestruzzi) al gruppo Ferruzzi; che Antonino Buscemi era rimasto all’interno della struttura societaria come impiegato; che l’ing. Bini rappresentava il gruppo in Sicilia e la Calcestruzzi S.p.A.; che i fratelli Buscemi si “tenevano in mano…… questo gruppo imprenditoriale in maniera molto forte” e potevano contare sulla disponibilità di un magistrato appartenente alla Procura di Palermo, di cui non ha voluto rivelare il nome; che Salvatore Riina, in epoca precedente all’interesse per l’impresa Reale, si era lamentato del fatto che i Buscemi non mettevano a disposizione dell’intera organizzazione i loro referenti».

Tutte vicende che dal 2018 sono state attenzionate da “Il Dubbio” che “ha condotto una inchiesta giornalistica sulla questione del dossier mafia-appalti.Mandanti occulti bisdei primi anni 2000 a parte, in questi lunghissimi anni non sono mai state riaperte le indagini nonostante siano venuti fuori nuovi elementi come le audizioni al Csm di fine luglio 1992 dove emerge con chiarezza che cinque giorni prima della strage, il giudice Borsellino partecipò a una assemblea straordinaria indetta dall’allora capo procuratore capo Pietro Giammanco. Una assemblea, come dirà il magistrato Vincenza Sabatino, inusuale e mai accaduta prima. Dalle audizioni di alcuni magistrati emerge che Borsellino avrebbe fatto dei rilievi su come i suoi colleghi, titolari dell’indagine, avrebbero condotto il procedimento. Addirittura, come dirà il magistrato Nico Gozzo, si sarebbe respirata aria di tensione”.

Mafia-appalti, un’indagine riconducibile anche agli  omicidi di Salvo Lima e del maresciallo Guazzelli.

Ed è lo stesso Borsellino – si legge nell’articolo di Aliprandi -, come si evince dalle parole dell’allora pm Vittorio Teresi nel verbale di sommarie informazioni del 7 dicembre 1992, a dire che a suo parere sia l’omicidio su ordine di Totò Riina dell’europarlamentare Salvo Lima che quello del maresciallo Guazzelli sono legati alla questione del dossier mafia-appalti perché si sarebbero rifiutati di intervenire per cauterizzare il procedimento mafia appalti. Da tempo sia Fiammetta Borsellino che il legale della famiglia Fabio Trizzino, chiedono di sviscerare cosa sia accaduto nel biennio del 91-92 all’interno del nido di vipere”(definizione di Borsellino riferendosi alla procura di Palermo) e soprattutto quando fu depositata la richiesta di archiviazione del dossier mafia-appalti mentre – come ha detto l’avvocato Trizzino al processo depistaggi – «stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi»”.

Che sia arrivato il momento di chiedersi chi fossero i “nipotini di Giammanco” e  che carriere hanno fatto?

Del perché per anni hanno dichiarato che Borsellino sconoscesse – o che comunque non fosse interessato – l’indagine mafia-appalti?

O ancora, il perché descrivevano il “nido di vipere” come una sorta di Eden all’interno del quale non accadeva nulla?

E se la Procura di Caltanissetta a tutto questo dovesse dare una risposta, non dimentichiamo la responsabilità morale anche di qualche associazione antimafia e un po’ di giornalisti – compreso quelli guidati da alieni e santi – che erano pronti a giurare che il giudice Paolo Borsellino non era interessato a quell’indagine, difendendo a spada tratta anche chi probabilmente commise errori tanto madornali che avrebbero dovuto portare – quantomeno – a sanzionarne pesantemente gli autori.

L’incompetenza, l’incapacità, la smania di protagonismo, in qualsiasi paese civile non rappresenterebbero titoli di merito per promuovere brillanti carriere in magistratura.

Ma l’Italia non è un paese qualsiasi.

È quel paese nel quale chi dovrebbe dignitosamente tacere, fa invece la voce grossa in quei teatrini mediatici che da sempre censurano i figli del giudice Borsellino e il loro difensore legale, l’avvocato Fabio Trizzino, preferendo a chi cercava – e cerca – soltanto verità e giustizia, i supporter di questo o quel magistrato, gli agitatori di foglietti colorati, e strani personaggi, autentici fenomeni da baraccone.

Gian J. Morici