SUICIDIO SIGNORINO, SGOMENTO NEL ‘PALAZZO

ROMA, 3 DIC. 1992 -(ADNKRONOS)- IL ‘PALAZZO’ REAGISCE CON SGOMENTO E STUPORE ALLA NOTIZIA DEL SUICIDIO DEL GIUDICE DOMENICO SIGNORINO. E SUBITO SI ACCENDE IL CONFRONTO SULL’USO E LA CREDIBILITA’ DEI PENTITI NELLA LOTTA ALLA MAFIA. A META’ MATTINATA, LE AGENZIE BATTONO I PRIMI FLASHES E IL PRIMO AD ARRIVARE IN SALA STAMPA E’ GIUSEPPE AYALA, CHE CON SIGNORINO E’ STATO PUBBLICO MINISTERO AL MAXIPROCESSO DI PALERMO CONTRO LA CUPOLA. IL PENSIERO DEL DEPUTATO REPUBBLICANO CORRE A POCHI GIORNI FA, QUANDO IL MAGISTRATO SICILIANO LO AVEVA CHIAMATO PER ‘RASSICURARLO’ DOPO LE ACCUSE CHE GLI ERANO PIOVUITE CONTRO DAL PENTITO MUTOLO.
”PRIMA NON MI AVEVA TROVATO -DICE AYALA- POI, DUE GIORNI FA, GLI HO PARLATO ED ERAVAMO D’ACCORDO CHE CI SAREMMO VISTO A PALERMO. RICORDO CHE MI AVEVA PROPRIO DETTO ‘STAI TRANQUILLO, NON C’ENTRO CON QUESTA STORIA’. ERA SICURO DI POTER SMONTARE L’ACCUSA, MI SPIEGAVA CHE ERANO ‘TUTTE STUPIDAGGINI’ QUELLE USATE CONTRO DI LUI. ORA SONO PROPRIO SCONVOLTO…”. AYALA NON AGGIUNGE DI PIU’, PER ORA PREFERISCE NON FARE DICHIARAZIONI. MA IN TRANSATLANTICO INCONTRA VITO RIGGIO, DEPUTATO DC DI PALERMO. ”DOMANI -DICE RIGGIO AL COLLEGA DEL PRI- NON ANDRO’ A MESSINA PER L’AUDIZIONE DELL’ANTIMAFIA, NON MI PARE CHE CI SIANO LE CONDIZIONI PER SENTIRE I PENTITI”.
E POI AGGIUNGE: ”BUSCETTA CI HA DATO UNA LEZIONE, RIFIUTANDOSI DI FARE I NOMI DEI POLITICI ALLA COMMISSIONE E DICENDO CHE LI AVREBBE FATTI SOLO AI MAGISTRATI”. AYALA ANNUISCE: ”TI RICORDI CHE IO, E POCHI ALTRI TRA I QUALI IMPOSIMATO, CI SIAMO OPPOSTI A QUESTE AUDIZIONI?”, FA OSSERVARE A RIGGIO. MA POI RILEVA CHE NEL CASO DEL MAGISTRATO PALERMITANO ”NON C’E’ STATA UNA COMUNICAZIONE GIUDIZIARIA MA UNA FUGA DI NOTIZIE. SIGNORINO HA SAPUTO LE ACCUSE DAI GIORNALI… TE LO IMMAGINI? APPRENDERE DAI GIORNALI CHE SEI ACCUSATO…”. (SEGUE)

(PNZ/PE/ADNKRONOS)

GIUDICI A SERVIZIO DI COSA NOSTRA

 I mafiosi facevano “aggiustare” i maxi processi che avevano faticosamente istruito nei primi anni anni Ottanta Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I mafiosi erano tranquilli nelle loro celle dell’ Ucciardone perché almeno cinque alti magistrati di Palermo erano parlati, cioè erano stati avvicinati, consigliati, alcuni di loro forse anche pagati. L’ accusa per cinque giudici siciliani è quella di associazione a delinquere di stampo mafioso. Due pentiti hanno fatto cinque nomi: il procuratore capo di Termini Imerese Giuseppe Prinzivalli; i presidenti delle corti di Assise di Appello Pasquale Barreca, Francesco D’ Antoni e Domenico Mollica; il consigliere della prima sezione penale della Cassazione Carlo Aiello. Un’ indagine della Dia ha scoperto come si demolivano gli impianti accusatori del pool antimafia, ha scoperto come veniva minata la credibilità dei pentiti Buscetta e Contorno, ha scoperto quale era la strategia di Cosa Nostra. Aggiustare, aggiustare, aggiustare i pezzi dell’ organizzazione disarticolati dai magistati dell’ ufficio istruzione guidati da Falcone e Borsellino. Una strategia che partiva dal primo grado di giudizio per arrivare attraverso certi Corti di Appello fino in Cassazione. Solo in un caso l’ “aggiustamento” era arrivato prima. Un caso, un altro nome: Domenico Signorino, il pubblico ministero del maxi processo suicidatosi un anno fa con un colpo di pistola alla tempia. C’ era anche lui nella lista terribile compilata dai pentiti Gaspare Mutolo e Giovanni Drago. Ci sarebbe stato molto probabilmente anche lui, oggi, se fosse ancora vivo, tra i destinatari degli avvisi di garanzia con su scritto 416 bis, l’ associazione mafiosa. Provvedimenti firmati dal procuratore della repubblica di Caltanissetta Giovanni Tinebra e dal suo aggiunto Paolo Giordano. Un laconico comunicato dei due magistrati informa “che sono ancora in corso indagini e riscontri”. Ma indiscrezioni molto precise e circostanziate riportano i racconti dei pentiti: sentenze comprate e vendute, prove schiaccianti sorprendentemente cancellate, rapinatori assassini rimandati in libertà e “pali” di rapine condannati al carcere a vita. Un inferno di storie e due pentiti che svelano lo stesso particolare: un giudice che si sarebbe addirittura incontrato con il Corto, un giudice che avrebbe parlato con il superlatitante Totò Riina. Sono parole di Gaspare Mutolo mentre ricorda “la richiesta di interessamento per fatti di mafia a Pasquale Barreca”. Aggiunge subito dopo Mutolo: “Ho saputo da Mario Martello (un uomo d’ onore n.d.r.) che colui che era in grado di parlare direttamente con quel giudice (Barreca n.d.r.) era personalmente Totò Riina”. E ancora Mutolo sul presidente della Corte di Assise di Appello Pasquale Barreca: “Pochi giorni prima che si celebrasse l’ appello (il pentito sta parlando del processo per il sequestro del possidente Madonia di Monreale) Martello mi disse che i tre componenti della Corte, i giudici Barreca, Mollica e D’ Antoni era tutti e tre bravi. Nel senso che erano persone alle quali in qualche modo si poteva far parlare da qualcuno”. Ma poi precisa che in quel processo “era essenziale la presenza di Barreca” e aggiunge che “se il giudice non ci fosse stato avrebbero fatto in modo di far saltare il processo”. I due pentiti parlano poi del presidente Carlo Aiello, magistrato di Cassazione (nella stessa sezione di Carnevale, altro giudice indagato per mafia) e prima presidente di Corte di Assise a Palermo. “…Il presidente Aiello, essendo bagherese, era stato avvicinato tramite Antonino Mineo (il vecchio boss di Bagheria n.d.r.) e da Carlo Castronovo (altro mafioso n.d.r), entrambi bagheresi e suoi conoscenti…mediante i quali gli si era chiesto di assolvere gli imputati (si sta parlando del processo a Madonia, Bonanno e Puccio, i tre assassini del capitano Emanuele Basile n.d.r) finendo col minacciarlo di morte nel caso non avesse aderito a questa richiesta….Quindi il dottor Aiello trovò il modo di rinviare a nuovo ruolo la trattazione del processo…capimmo che era una scusa per liberarsene”. Gaspare Mutolo fa anche il nome di un altro magistrato che ha ricoperto altissime cariche nel Palazzo di Giustizia di Palermo. Un magistrato che non è ancora indagato. Ricorda il pentito: “Il boss Gaetano Badalamenti diceva che era molto amico del giudice….e che lo andava a trovare spesso in un villino che era nella disponibilità del magistrato nella zona tra Cinisi e Terrasini…”. Sono questi i primi frammenti di una verità che in tanti sospettavano intorno e dentro il Palazzo di Giustizia di Palermo. I primi frammenti, i primi particolari di come venivano cancellati anni e anni di investigazioni. I mafiosi si muovevano individuando i giudici che ricoprivano le “cariche” più delicate. Giuseppe Prinzivalli è stato presidente della Corte di Assise del maxi ter e Francesco D’ Antoni il presidente della Corte di Assise di Appello dello stesso processo. Pasquale Barreca ha presieduto il maxi bis di Appello. E presidente di sezione di Corte di Appello era anche Domemico Mollica. Ruoli chiave per processi di mafia, ruoli chiave per ribaltare le tesi dell’ accusa e, come spesso è avvenuto, delegittimare i pentiti. L’ inchiesta giudiziaria che ha portato la procura di Caltanissetta a firmare i cinque avvisi di garanzia contro i magistrati di Palermo è nata a cavallo tra le due stragi del 1992. Giovanni Falcone era stato ucciso, Mutolo e Drago chiesero di parlare con Paolo Borsellino. Il procuratore aggiunto ebbe solo in tempo di riempire le prime pagine di verbale, poi fecero saltare in aria anche lui. Le investigazioni della Dia sono entrate nel mistero del Palazzo di Giustizia palermitano per quattordici mesi, turbate soltanto da una clamorosa e sospetta fuga di notizie. Nel dicembre scorso finì sui giornali il nome di Domenico Signorino. “E’ coinvolto nell’ inchiesta…”. Il giudice si uccise. Poi le indagini sono andate avanti fino ieri pomeriggio alle 14 quando sono cominciate le perquisizioni nelle abitazioni di Domenico Mollica, di Carlo Aiello e di Pasquale Barreca. In serata sono stati perquisiti anche gli uffici di Giuseppe Prinzivalli e di Francesco D’ Antoni. Con agenti della Dia che sono entrati “in nome della legge” dentro la procura della repubblica di Termini Imerese e nelle silenziose stanze della Corte di Appello di Palermo.


Audizione Gaspare Mutolo Commissione Parlamentare Antimafia