17.9.2022 – 30 anni fa l’omicidio di Ignazio Salvo, l’esattore “intoccabile” di Salemi
Chi era Ignazio Salvo – Nato nel 1932 a Salemi, per capire chi era Ignazio Salvo va ricordato chi era anche Nino Salvo, il cugino, assieme al quale hanno condotto una parallela carriera imprenditoriale, politica e mafiosa. Nel 1955 Nino Salvo sposò la figlia di Luigi Corleo, che era il gestore di una delle piccole società che avevano in appalto la riscossione delle tasse. Insieme a Corleo e al cugino Ignazio, Nino Salvo dette vita ad un cartello che si assicurò la riscossione del 40% delle tasse siciliane. Nel 1958 i cugini Salvo sostennero fortemente l’onorevole Silvio Milazzo, il quale formò un governo regionale con l’alleanza trasversale tra comunisti, missini e democristiani. Nel 1962, con l’aiuto dell’allora sindaco di Palermo Salvo Lima, i cugini Salvo ottennero l’appalto per la riscossione delle tasse a Palermo e negli anni successivi si accaparrarono enormi cifre provenienti da contributi europei stanziati per l’agricoltura siciliana, attraverso le aziende fondate con i ricavi esattoriali stessi. I Salvo costruirono l’Hotel Zagarella, una delle più importanti strutture alberghiere di Palermo di 20mila metri quadrati nella zona di Santa Flavia.
Sequestro Corleo – Nel 1975, Luigi Corleo venne sequestrato e ucciso su ordine di Totò Riina. Il sequestro venne attuato per dare un duro colpo al prestigio dei cugini Salvo e dei loro associati Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, i quali non riusciranno ad ottenere né la liberazione dell’ostaggio né la restituzione del corpo. Dopo l’inizio della seconda guerra di mafia, i cugini Salvo passarono con i Corleonesi di Riina.
La politica – Ignazio e Nino Salvo erano in stretti rapporti con i deputati Giulio Andreotti, Salvo Lima, Mario D’Acquisto, Rosario Nicoletti e Attilio Ruffini ed erano talmente influenti che da fare infatti, in occasione delle nozze della figlia di Nino Salvo, Angela, celebrate il 6 settembre 1976 alla presenza di Salvo Lima e Mario D’Acquisto, Andreotti inviò un vassoio d’argento come regalo agli sposi; nel 1979 Andreotti stesso incontrò i Salvo presso l’Hotel Zagarella durante la campagna elettorale in sostegno di Lima e, durante i suoi spostamenti in Sicilia, utilizzò in più occasioni un’autovettura blindata intestata a Nino Salvo.
I killer e il motivo dell’omicidio Salvo – Ignazio Salvo venne ucciso da un gruppo di killer capitanato da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè. Ad ordinare la sua morte fu Totò Riina ed il motivo dell’assassinio fu lo stesso di Salvo Lima: Salvo aveva dato garanzia che si sarebbe attivato perché in Cassazione la sentenza del maxiprocesso venisse annullata; inoltre, secondo alcuni collaboratori di giustizia, il delitto venne eseguito per dare un avvertimento a Giulio Andreotti.
Il racconto dell’epoca del giornalista Attilio Bolzoni su Repubblica – “L’hanno ucciso intorno alle undici e trenta, undici e quaranta di ieri sera dentro la sua villa di Santa Flavia, la stessa dove fu ospitato il super- boss Tommaso Buscetta durante la sua latitanza. Per quasi mezz’ ora una voce sempre più insistente parlava di “un omicidio importante alle porte di Palermo, subito prima di Bagheria”, a mezzanotte è arrivata la conferma ufficiale: il cadavere è quello di Ignazio Salvo, nato nel 1932, a Salemi, provincia di Trapani. Poi è arrivata anche una telefonata al centralino del “Giornale di Sicilia”: “E’ Morto. E’ morto Ignazio Salvo, l’uomo delle esattorie”, pistole automatiche, dicono che i killer siano arrivati dal mare, su una barca, un motoscafo. Dicono anche che siano entrati nel giardino della villa, che abbiano aspettato il ritorno a casa dell’ex esattore, che abbiano svuotato i caricatori delle loro pistole automatiche. Uno dei sicari impugnava anche un fucile. Questa è la primissima ricostruzione fatta dai carabinieri arrivati sul posto poco prima della mezzanotte. Hanno trovato il cadavere di Ignazio Salvo disteso vicino alla sua Mercedes bianca. A trenta passi il cancello di ferro battuto, ad altri trenta passi quattro scalini che salgono verso la porta della sua sontuosa villa. Era solo, era appena tornato, con lui c’ era una donna. Probabilmente la moglie, Giuseppina Puma. Mentre scriviamo, all’una di notte, la donna sta rispondendo alle domande dei carabinieri. L’unica indiscrezione che filtra sull’ interrogatorio al di qua del cancello in ferro battuto: “E’ sotto choc, non parla, non dice niente…”. E non dice niente neanche il fratello Alberto, l'”agricoltore” della famiglia, il primo che nella notte entra nella villa di Santa Flavia e sfila silenzioso davanti al corpo di Ignazio Salvo. Arrivano curiosi dall’ hotel Zagarella, un albergo della “famiglia” costruito proprio a pochi metri dalla loro villa a due passi dal mare Tirreno. E arriva anche il magistrato, il sostituto di turno, Gioacchino Natoli, oggi alla procura distrettuale antimafia, sei anni fa nel pool di Falcone che rinviò a giudizio Ignazio Salvo insieme ad altri 475 imputati di Cosa Nostra. Il processo si celebrò sei anni fa. E un anno prima Ignazio Salvo subì l’ offesa delle manette. Uno come lui, un imperatore, uno che faceva paura, uno che comandava su truppe di deputati a Palermo e a Roma, uno che viaggiava su auto blindate insieme ai boss della Cupola, uno che non era morto nella grande guerra di mafia solo perché capì all’ultimo momento da quale parte doveva schierarsi la sua “famiglia”. E da allora ha vissuto in silenzio, sott’acqua per sei lunghissimi anni. Silenzio nelle aule di tribunale e silenzio fuori. Mai un’intervista, mai più una comparsa in pubblico. Eppure da qualche tempo girava la voce che la “famiglia” dopo la tempesta era tornata forte e potente. Certo non come un tempo. Ma alle ultime elezioni regionali pare che avesse piazzato più di un suo uomo a Sala d’ Ercole. Voci, sussurri, misteri. Tanti misteri fino ai colpi di pistola e alla o alle fucilate di questa notte nella villa di Santa Flavia”.
Ignazio e Antonino Salvo – Ignazio Salvo (Salemi, 27 maggio 1931 – Santa Flavia, 17 settembre 1992) e il cugino Antonino Salvo, meglio noto come Nino Salvo (Salemi, 14 luglio 1929 – Bellinzona, 19 gennaio 1986), sono stati due mafiosi italiani, legati a Cosa Nostra. I cugini Ignazio e Antonino Salvo furono due imprenditori, esponenti politici aderenti alla Democrazia Cristiana e affiliati alla coscamafiosa di Salemi, in provincia di Trapani: Ignazio Salvo era vicecapo della Famiglia mentre Antonino, per un certo periodo, aveva rivestito la carica di capodecina della stessa coscamafiosa[1]. Della loro vita si parla congiuntamente, tenuto conto che, spesso, vengono ricordati in modo congiunto e chiamati con il nome di “cugini Salvo”.
Nel 1955 Nino Salvo sposò la figlia di Luigi Corleo, che era il gestore di una delle piccole società che avevano in appalto la riscossione delle tasse. Insieme a Corleo e al cugino Ignazio, Nino Salvo dette vita ad un cartello che si assicurò la riscossione del 40% delle tasse siciliane[2]. Nel 1958 i cugini Salvo sostennero fortemente l’onorevole Silvio Milazzo, il quale formò un governo regionale con l’alleanza trasversale tra comunisti, missini e democristiani[3]. Nel 1962, con l’aiuto di Salvo Lima, i cugini Salvo ottennero l’appalto per la riscossione delle tasse a Palermo e negli anni successivi si accaparrarono enormi cifre provenienti da contributi europei stanziati per l’agricoltura siciliana, attraverso le aziende fondate con i ricavi esattoriali stessi[4][5].
Nel 1975 Luigi Corleo venne sequestrato e ucciso su ordine di Totò Riina, reggente della cosca di Corleone in sostituzione del boss Luciano Liggio; il sequestro venne attuato per dare un duro colpo al prestigio dei cugini Salvo e dei loro associati Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, i quali non riusciranno ad ottenere né la liberazione dell’ostaggio né la restituzione del corpo, anche se Riina negò con forza ogni coinvolgimento nel sequestro[6][7]. Dopo l’inizio della seconda guerra di mafia, i cugini Salvo passarono dalla parte dello schieramento dei Corleonesi, che faceva capo proprio a Riina[1]. Inoltre i cugini Salvo erano in stretti rapporti con i deputati Giulio Andreotti, Salvo Lima, Mario D’Acquisto, Rosario Nicoletti e Attilio Ruffini; infatti, in occasione delle nozze della figlia di Nino Salvo, Angela, celebrate il 6 settembre 1976 alla presenza di Salvo Lima e Mario D’Acquisto, Andreotti inviò un vassoio d’argento come regalo agli sposi; nel 1979 Andreotti stesso incontrò i Salvo presso l’Hotel Zagarella durante la campagna elettorale in sostegno di Lima e, durante i suoi spostamenti in Sicilia, utilizzò in più occasioni un’autovettura blindata intestata a Nino Salvo[1].
L’arresto e la morte di Nino Salvo Il 12 novembre 1984 il giudice Giovanni Falcone chiese ed ottenne l’arresto dei cugini Salvo con l’accusa di associazione di tipo mafioso. Nino Salvo morì in Svizzera, in una clinica di Bellinzona, il 19 gennaio 1986 per un tumore, attorniato dai suoi parenti. Non si era ancora concluso il maxiprocesso di Palermo, nel quale era imputato insieme al cugino ed altre centinaia di persone. Alcuni giornalisti sostennero che Salvo aveva inscenato la morte ed era fuggito in Brasile. Qualche tempo dopo la morte, si è scoperto che Nino Salvo era iscritto alla loggia della “Massoneria universale di rito scozzese antico e accettato. Supremo Consiglio d’Italia” di via Roma a Palermo, insieme all’avvocato Vito Guarrasi e ad altri professionisti palermitani[8].
La morte di Ignazio Salvo
Ignazio Salvo fu condannato a sette anni di carcere per associazione mafiosa in primo grado, mentre in appello la condanna venne ridotta a tre anni[9]. Il 17 settembre 1992 Ignazio Salvo venne ucciso mentre stava entrando nel cancello della sua abitazione da un gruppo di killer capitanato da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè[10]. Ad ordinare la sua morte fu Totò Riina ed il motivo dell’assassinio fu lo stesso di Salvo Lima: Salvo aveva dato garanzia che si sarebbe attivato perché in Cassazione la sentenza del maxiprocesso venisse annullata; inoltre, secondo i collaboratori di giustizia, il delitto venne eseguito anche per lanciare un avvertimento a Giulio Andreotti[11].
La targa nella chiesa Dal 2004 all’interno della chiesa Regina Pacis di Palermo è presente una targa alla memoria di Ignazio Salvo. Sulla stessa si legge:«Dono di fede e d’amore, in perpetua benedizione e memoria di Ignazio Salvo» «La vedova di Ignazio Salvo, Giuseppa Puma, è molto attiva in parrocchia, fa parte del gruppo dei Neocatecumenali. Alla chiesa ha fatto tante donazioni. Quando arrivai non sapevo che fosse la moglie dell’ex-esattore. Solo dopo mi fecero notare le vicissitudini dell’uomo. La famiglia – continua il prelato – sostiene che è stato vittima di una persecuzione giudiziaria. Cosa possiamo dire noi? La nostra posizione deve essere sempre equanime e comunque che fastidio può dare quella targhetta, ormai Ignazio Salvo è morto. Comunque, se qualcuno ha espresso disagio, discutiamo insieme su cosa fare.[14]»
Nel 2009 il nuovo parroco, Giovanni Basile, ha deciso di togliere la targa e sostituirla con un crocifisso, spostandola sul retro del confessionale.[15]Posto di fronte a pressioni perché rimuovesse la targa, il prete don Aldo Nuvola (successivamente sospeso a divinis dalla Curia dopo una condanna per pedofilia[12][13]) ha dichiarato:
ANDREOTTI e i CUGINI SALVO Cosa Nostra punisce i ”vecchi amici”: la morte di Salvo Lima e Ignazio Salvo
UCCISO IGNAZIO SALVO, L’INTOCCABILE
E’ morto come il suo grande amico, è morto come Salvo Lima. Ammazzato anche lui nell’ anno 1992, a Palermo, città dove muoiono grandi servitori dello Stato come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma anche uomini d’ onore che per quasi mezzo secolo sono stati considerati degli intoccabili. E così lo chiamavano questo “re” di Salemi, l’ intoccabile Ignazio Salvo, l’ esattore, uno dei terribili cugini che hanno dominato e soffocato la Sicilia fino ai primi anni Ottanta, travolti poi dalle confessioni dei pentiti e dalle grandi indagini giudiziarie. Hanno ucciso un altro della vecchia guardia, un mafioso che rappresentava il potere che fu. L’ hanno ucciso intorno alle undici e trenta, undici e quaranta di ieri sera dentro la sua villa di Santa Flavia, la stessa dove fu ospitato il super- boss Tommaso Buscetta durante la sua latitanza. Per quasi mezz’ ora una voce sempre più insistente parlava di “un omicidio importante alle porte di Palermo, subito prima di Bagheria”, a mezzanotte è arrivata la conferma ufficiale: il cadavere è quello di Ignazio Salvo, nato nel 1932, a Salemi, provincia di Trapani. Poi è arrivata anche una telefonata al centralino del “Giornale di Sicilia”: “E’ Morto. E’ morto Ignazio Salvo, l’ uomo delle esattorie” Pistole automatiche Dicono che i killer siano arrivati dal mare, su una barca, un motoscafo. Dicono anche che siano entrati nel giardino della villa, che abbiano aspettato il ritorno a casa dell’ ex esattore, che abbiano svuotato i caricatori delle loro pistole automatiche. Uno dei sicari impugnava anche un fucile. Questa è la primissima ricostruzione fatta dai carabinieri arrivati sul posto poco prima della mezzanotte. Hanno trovato il cadavere di Ignazio Salvo disteso vicino alla sua Mercedes bianca. A trenta passi il cancello di ferro battuto, ad altri trenta passi quattro scalini che salgono verso la porta della sua sontuosa villa. Era solo, era appena tornato, con lui c’ era una donna. Probabilmente la moglie, Giuseppina Puma. Mentre scriviamo, all’ una di notte, la donna sta rispondendo alle domande dei carabinieri. L’ unica indiscrezione che filtra sull’ interrogatorio al di qua del cancello in ferro battuto: “E’ sotto choc, non parla, non dice niente…”. E non dice niente neanche il fratello Alberto, l’ “agricoltore” della famiglia, il primo che nella notte entra nella villa di Santa Flavia e sfila silenzioso davanti al corpo di Ignazio Salvo. Viso di cera, occhi sbarrati, silenzio cupo. Gli ufficiali del nuclei operativi e dei reparti anticrimine parlottano fra loro, cercano di capire qual’ è stata la dinamica del delitto, con le mani indicano il mare. Ma anche questo è incerto, anche questo non sarà facile ricostruirlo. E’ appena passata l’ una quando a Santa Flavia comincia una processione. Arrivano i camerieri della casa palermitama, la fedele servitù degli ultimi vent’ anni. Arrivano curiosi dall’ hotel Zagarella, un albergo della “famiglia” costruito proprio a pochi metri dalla loro villa a due passi dal mare Tirreno. E arriva anche il magistrato, il sostituto di turno, Gioacchino Natoli, oggi alla procuratore distrettuale antimafia, sei anni fa nel pool di Falcone che rinviò a giudizio Ignazio Salvo insieme ad altri 475 imputati di Cosa Nostra. Il processo si celebrò sei anni fa. E un anno prima Ignazio Salvo subì l’ offesa delle manette. Uno come lui, un imperatore, uno che faceva paura, uno che comandava su truppe di deputati a Palermo e a Roma, uno che viaggiava su auto blindate insieme ai boss della Cupola, uno che non era morto nella grande guerra di mafia solo perchè capì all’ ultimo momento da quale parte dove schierarsi la sua “famiglia”. E da allora ha vissuto in silenzio, sott’ acqua per sei lunghissimi anni. Silenzio nelle aule di tribunale e silenzio fuori. Mai un’ intervista, mai più una comparsa in pubblico. Eppure da qualche tempo girava la voce che la “famiglia” dopo la tempesta era tornata forte e potente. Certo non come un tempo. Ma alle ultime elezioni regionali pare che avesse piazzato più di un suo uomo a Sala d’ Ercole. Voci, sussurri, misteri. Tanti misteri fino ai colpi di pistola e alla o alle fucilate di questa notte nella villa di Santa Flavia. Perchè si uccide un uomo come Ignazio Salvo a Palermo? Perchè la mafia spara su uomini d’ onore del calibro degli ex esattori? Come in ogni delitto di mafia ci sarà, come dicono gli investigatori, “La causa scatenante”, il movente preciso. Ma la “mente” dei Salvo muore sei mesi dopo il “padrone” di Palermo Salvo Lima, suo amico per trent’ anni, suo sponsor politico. Due delitti fotocopia, due assalti al vecchio, al vecchio potere siciliano. E così anche uno come lui, un boss del maxi processo, resta mortalmente impigliato nella tremenda e ferocissima resa dei conti, nello scontro finale di questa stagione terribile. Da una parte l’ attacco allo Stato con l’ uccisione di Giovanni Falcone e di Paolo Emanuele Borsellino, dall’ altra l’ eliminazione di grandi mediatori, di potenti che non sono riusciti a diventare più potenti e a non garantire più l’ organizzazione criminale. Classica la tecnica: guerra, guerra su più fronti. Esterna, interna, uso terroristico delle notizie riservate, uso giudiziario di certe inchieste in corso per colpire i nemici. Infame campagna Hanno un volto i protagonisti di questa infame “campagna” siciliana, hanno il volto dei corleonesi con l’ acqua alla gola, dei corleonesi braccati, processati e condannati, inseguiti dalle polizie e dagli investigatori di mezzo mondo. Anche l’ omicidio di Ignazio Salvo è la loro risposta a chi li ha mollati, li ha scaricati dopo vent’ anni di protezioni. “Ma se questa può essere il contesto”, racconta nella notte uno degli investigatori dell’ antimafia, “sarà un pò più difficile capire perchè hanno ammazzato questo uomo d’ onore proprio adesso, sarà un pò più difficile capire perchè, cosa sta succedendo dentro l’ organizzazione di Cosa Nostra”. C’ è chi dice che potrebbe essere l’ inizio di una nuova guerra di mafia. Se l’ ipotesi da un lato può apparire azzardata, dall’ altro la storia di Cosa Nostra ci spiega che le grandi guerre sono cominciate tutte così. Con grandi delitti a Palermo, con grandi tensioni nell’ intera provincia. A Caltanissetta, a Trapani, ad Agrigento. Le condizioni ideali per schierarsi gli uni contro gli altri armati, le condizioni di oggi. Ecco come può essere morto l’ ultimo “vicere” di Sicilia davanti alla sua Mercedes bianca e dentro la sua villa nascosta da magnolie giganti e cactus. Ecco come può cadere improvvisamente un uomo che faceva tremare solo con lo sguardo. Con quei colpi di pistola e di fucile si chiude un’ altra epoca siciliana. Come si era chiusa in quella mattina di marzo lungo i vialetti deserti di Mondello quando l’ onorevole Salvo Lima usciva da un’ altra villa solo con due amici. Niente auto blindata, niente guardie del corpo, niente protettori armati. Proprio come Ignazio Salvo ieri notte. Solo, solo con la moglie. Forse ancora sicuro di non rischiare nulla, forse ancora convinto della propria potenza per quei legami tra “amici”, forse ancora certo di essere un uomo di rispetto. Uno ancora intoccabile almeno dentro la “Cosa Nostra”, dentro la società segreta che l’ aveva fatto arricchire. Ignazio Salvo non aveva capito che era diventato uno da affrontare così, a mezzanotte, con le pistole in mano. ATTILIO BOLZONI 18 SETTEMBRE 1992 LA REPUBBLICA
LA STORIA DEI SALVO.
L’ EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA GIUSEPPE D’ ANGELO (DC) PARLANDO DI LORO IN ASSEMBLEA, EBBE A DIRE UNA VOLTA CHE ”NEMMENO LA MONTEDISON HA TANTA DISPONIBILITA’ DI CAPITALI”. LORO SONO I CUGINI NINO E IGNAZIO SALVO, GESTORI, FINO ALL’82, DELLA MAGGIOR PARTE DELLE ESATTORIE SICILIANE, FINANZIERI, INDUSTRIALI, AGRICOLTORI, PROPRIETARI DI IMMOBILI E DI ALBERGHI. POCO PIU’ CHE CINQUANTENNI, FISICAMENTE DISSIMILI (NINO E’ CALVO E TARCHIATO, IGNAZIO PIU’ PICCOLO E MAGRO), ORIGINARI DI SALEMI, UN COMUNE AL CENTRO DELLA VALLE DEL BELICE, I CUGINI SALVO SONO FORSE GLI UOMINI PIU’ RICCHI DELLA SICILIA. IL FORSE E’ D’OBBLIGO, PERCHE’ I LORO PATRIMONI PERSONALI SONO INFERIORI, STANDO ALLE DENUNCE DEI REDDITI, A QUELLI DI NUMEROSI MEDICI E NOTAI SICILIANI. MA LE SOCIETA’ CHE I SALVO CONTROLLANO O CONTROLLAVANO, DIRETTAMENTE O ATTRAVERSO PARENTI, AMICI E DIPENDENTI, HANNO TOTALIZZATO, NELL’ARCO DI UNA TRENTINA D’ANNI, ALCUNE MIGLIAIA DI MILIARDI DI FATTURATO. A COMINCIARE APPUNTO DALLE ESATTORIE, CHE GRAZIE AD UNA SERIE DI LEGGI VOTATE QUASI ALL’ UNANIMITA’ DALLA ASSEMBLEA SICILIANA, CHE NEL SETTORE AVEVA COMPETENZA PRIMARIA, AVEVANO UN AGGIO DI QUASI IL DIECI PER CENTO SUI RUOLI, SUPERIORE, IN QUALCHE CASO, DI TRE O QUATTRO VOLTE RISPETTO ALLA MEDIA NAZIONALE. MA LE LEGGI VOTATE DALLA ASSEMBLEA SICILIANA AVEVANO DATO AI SALVO UN ULTERIORE BENEFICIO, OLTRE ALL’AGGIO ELEVATO: QUELLO DI VERSARE, CON TEMPI NOTEVOLMENTE DIFFERITI, LE SOMME INCASSATE. FORSE IL PRESIDENTE D’ ANGELO SI RIFERIVA, QUANDO PARLAVA DI ”DISPONIBILITA’ DI CAPITALI”, ALLA SOMMA DI QUESTE DUE CIRCOSTANZE; IN PRATICA, NELLE CASSE DELLE SOCIETA’ CONTROLLATE DAI CUGINI SALVO C’ ERA COSTANTEMENTE UNA GIACENZA DI DIVERSE CENTINAIA DI MILIARDI CHE AVREBBE POTUTO ESSERE UTILIZZATA PER QUELLE CHE COMUNEMENTE, IN LINGUAGGIO FINANZIARIO, VENGONO DEFINITE ”OPERAZIONI A BREVE”. MA CHI ERANO I CUGINI SALVO, PRIMA DI RIUSCIRE AD AGGIUDICARSI GLI APPALTI DELLE ESATTORIE IN SICILIA? FIGLI DI FRATELLI, ENTRAMBI AGIATI AGRICOLTORI DI SALEMI, NON DISPONEVANO UFFICIALMENTE DI REDDITI DEGNI DI NOTA. E, IN AGGIUNTA, IN NUMEROSI RAPPORTI DEI CARABINIERI DEL TRAPANESE, IL PADRE DI IGNAZIO, LUIGI SALVO, VENIVA DEFINITO ”PERSONAGGIO DI RISPETTO, LEGATO ALLA MAFIA”. VERSO LA META’ DEGLI ANNI ’50 NINO SALVO CONOSCE FRANCA CORLEO, LA MAGGIORE DELLE FIGLIE DELL’ ESATTORE LUIGI CORLEO, TITOLARE DI ALCUNE PICCOLE ESATTORIE NEL TRAPANESE. LA RELAZIONE FRA I DUE GIOVANI NON E’ VISTA DI BUON OCCHIO DAL PADRE DELLA RAGAZZA, CHE HA POCA FIDUCIA NELLE CAPACITA’ DI NINO SALVO DI ASSICURARE UN AVVENIRE ALLA FIGLIA. MA I DUE DECIDONO, CONTRO LA VOLONTA’ DELL’ESATTORE, DI SPOSARSI EGUALMENTE. DA QUEL MOMENTO LE SORTI DI NINO SALVO, GRAZIE AI SUGGERIMENTI E LE RELAZIONI POLITICHE DEL CUGINO IGNAZIO, COMINCIANO A VOLGERE AL MEGLIO. I DUE CUGINI ESTENDONO PROGRESSIVAMENTE IL PICCOLO IMPERO ESATTORIALE DEL SUOCERO DI NINO, FINO A CONTROLLARE QUASI TUTTA LA SICILIA ED ALCUNE ESATTORIE DELL’ ITALIA CENTRALE. NINO E IGNAZIO SALVO E LUIGI CORLEO REINVESTONO I PROFITTI DELLE ESATTORIE IN DIVERSI SETTORI DELL’ ECONOMIA SICILIANA. SONO INTESTATE A PARENTI O PERSONE DI LORO FIDUCIA LE SOCIETA’ ”ASA”, ”ARPA”,”ASAB”,”AURORA” ED”’ENOSICILIA”, CHE POSSEGGONO DIVERSE MIGLIAIA DI ETTARI DI TERRA IN TUTTO IL TERRITORIO DELL’ ISOLA, QUASI TUTTI COLTIVATI A VIGNETO. LE CINQUE SOCIETA’, NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI, HANNO OTTENUTO DALLA REGIONE SICILIANA CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER OLTRE VENTI MILIARDI DI LIRE. A GESTIRLE E’ ALBERTO SALVO, FRATELLO DI NINO, RECENTEMENTE FINITO IN CARCERE PER FRODI NEL SETTORE DELL’ ENOLOGIA. E’ RICERCATO, PER GLI STESSI REATI, ANTONIO PALIZZOLO DI RAMIONE, GENERO DI ALBERTO SALVO. E’ QUESTA LA PRIMA VERA DISAVVENTURA GIUDIZIARIA NELLA QUALE SIA INCORSO UN MEMBRO DELLA FAMIGLIA DEGLI ”ESATTORIALI”. A QUESTA VANNO AD AGGIUNGERSI LE COMUNICAZIONI GIUDIZIARIE, PER ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE, INVIATE DALLA MAGISTRATURA PALERMITANA, VERSO LA META’ DELL’ 83, A NINO ED IGNAZIO SALVO. AL DI LA’ DI QUESTI PROBLEMI, L’ ASCESA FINANZIARIA DEI CUGINI SALVO NON HA MAI CONOSCIUTO BATTUTE D’ ARRESTO. CON L’ ECCEZIONE DI UNA SOCIETA’, LA ”COSITUR” (ALBERGHI E TURISMO), CHE NINO SALVO METTE IN PIEDI CON L’ IMPRENDITORE EDILE PALERMITANO FRANCESCO MANIGLIA. QUEST’ ULTIMO INCAPPA IN DIVERSI PROBLEMI DI CARATTERE TECNICO IN UN APPALTO AUTOSTRADALE IN ARABIA SAUDITA, VA IN CRISI DI LIQUIDITA’, E’ COSTRETTO A MANOVRARE, IN MANIERA POCO ORTODOSSA I SUOI CONTI CORRENTI BANCARI PER OTTENERE ”SUPER COPERTURE” DI ALCUNI MILIARDI. VERRA’ CONDANNATO, INSIEME AI FUNZIONARI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO CHE LO HANNO FAVORITO NELLA MANOVRA. MA DA QUESTA OPERAZIONE, POCO FELICE DAL PUNTO DI VISTA FINANZIARIO, NINO SALVO SI TIRA FUORI BRILLANTEMENTE. QUALCHE ANNO DOPO, ADDIRITTURA, SARA’ UNA DELLE SOCIETA’ DA LUI CONTROLLATE AD ACQUISTARE, ALL’ ASTA GIUDIZIARIA, IL PALAZZO NEL CENTRO DI PALERMO DOVE FRANCESCO MANIGLIA AVEVA INSTALLATO LA SEDE DELLA SUA IMPRESA ORMAI FALLITA. UNA IMPRESA FONDATA NEL DOPOGUERRA DAL PADRE, IN SOCIETA’ CON L’ EX SINDACO DI PALERMO VITO CIANCIMINO. IN CONTRASTO CON LA LORO POSIZIONE DI VERI E PROPRI ”MANAGERS” A CAPO DI GRANDI SOCIETA’, I CUGINI SALVO ED I LORO FAMILIARI PIU’ STRETTI HANNO SEMPRE VISSUTO ALL’ INTERNO DI UN VERO E PROPRIO CLAN”, CON SCARSI CONTATTI ALL’ESTERNO. ED E’ UN DURO COLPO PER LA LORO POTENZA IL RAPIMENTO, COMPIUTO NEL LUGLIO DEL 1975, DI LUIGI CORLEO, IL CAPOFAMIGLIA. E’ UNA OPERAZIONE DI STILE QUASI MILITARE, CHE UN GRUPPO DI BANDITI COMPIE ALLA PERIFERIA DI SALEMI, BLOCCANDO ADDIRITTURA UN PULLMAN DI LINEA CHE ARRIVA MENTRE I SEQUESTRATORI TIRANO FUORI A FORZA DALL’ AUTO IL VECCHIO ESATTORE. DI LUIGI CORLEO, DA QUEL MOMENTO, SI PERDERANNO LE TRACCE:; VI SARANNO ALCUNE TELEFONATE FRA RAPITORI E NINO SALVO, AL QUALE VENGONO CHIESTI PRIMA VENTI MILIARDI, POI 15. MA I FAMILIARI DELL’ ESATTORE CHIEDONO, PRIMA DI PAGARE, CHE I SEQUESTRATORI DIANO UNA PROVA DELL’ ESISTENZA IN VITA DELL’OSTAGGIO. UNA PROVA CHE NON ARRIVERA’ MAI. IL SEQUESTRO CORLEO NON SI CONCLUDE CON LA SCOMPARSA DELLO ESATTORE. UN GRUPPO DI UNA VENTINA FRA MAFIOSI E PREGIUDICATI, INDICATI NEI RAPPORTI INVESTIGATIVI COME AUTORI DEL SEQUESTRO ( ALCUNI DEI ”BOSS” SAREBBERO STATI LEGATI AI ”CORLEONESI” CAPEGGIATI DA LUCIANO LIGGIO), VIENE PROGRESSIVAMENTE STERMINATO DA UNA LUNGA SERIE DI AGGUATI. ALCUNI SCOMPARIRANNO PER ANNI, PER ESSERE RITROVATI, ORMAI QUASI IRRICONOSCIBILI, IN VECCHI CASOLARI ABBANDONATI O IN FONDO AI LAGHI DEL TRAPANESE. CHI DETTE L’ ORDINE DI ELIMINARE GLI AUTORI DEL SEQUESTRO? L’INCHIESTA DIRETTA AL TEMPO DAL DOTT. VINCENZO PAJNO, ATTUALE PROCURATORE DELLA REPUBBLICA A PALERMO, NON RIUSCI’ AD ACCERTARLO. FU ESCLUSO, IN OGNI MODO, CHE POTESSERO ESSERVI COINVOLTI FAMILIARI DELL’ ESATTORE SCOMPARSO: NINO SALVO, IN UN’ INTERVISTA, EBBE INFATTI A DIRE CHE ” IN 25 ANNI NON SONO MAI STATO COINVOLTO IN UN PROCESSO DI MAFIA”. AD IMPLICARLO INVECE IN UN PROCESSO DI MAFIA, INSIEME AL CUGINO IGNAZIO, E’ STATO UN PICCOLO IMPRENDITORE DI SALEMI, L’ ING. IGNAZIO LO PRESTI, MARITO DI MARIELLA CORLEO, PRIMA CUGINA DI FRANCA CORLEO, MOGLIE DI NINO. SONO I CONTATTI DI LO PRESTI CON IL ” BOSS” TOMMASO BUSCETTA, UNA TELEFONATA NELLA QUALE SI FA IL NOME DI UN ” NINO” A FAR NASCERE I SOSPETTI DEL GIUDICE ISTRUTTORE DI PALERMO GIOVANNI FALCONE SU POSSIBILI LEGAMI FRA I FINANZIERI DI SALEMI E L’ AMBIENTE MAFIOSO PALERMITANO. LO PRESTI, INFATTI, E’ SOCIO DI SALVATORE INZERILLO, IL CAPOMAFIA UCCISO A PALERMO NEL MAGGIO DEL 1981, SI TROVA AL CENTRO DI UNA GUERRA FRA OPPOSTE ” FAMIGLIE” CHE AVRA’ FRA LE VITTIME, IL PREFETTO DI PALERMO CARLO ALBERTO DALLA CHIESA. MA LO PRESTI, INCRIMINATO DA FALCONE, NON FARA’ IN TEMPO A DARE AL GIUDICE ULTERIORI INFORMAZIONI; QUALCHE SETTIMANA DOPO AVER OTTENUTO LA LIBERTA’ PROVVISORIA SPARIRA’ NEL NULLA, RAPITO ED UCCISO CON IL METODO DELLA COSIDDETTA ” LUPARA BIANCA”. RIALLACCIARE IL FILO FRA LE SCARSE AMMISSIONI DI LO PRESTI, A NEGAZIONI DEI SALVO E LA LUNGA CATENA DI OMICIDI SARANNO LE CONFESSIONI DI TOMMASO BUSCETTA. NELLA MAPPA DELLA MAFIA, TRACCIATA DALL’ ANZIANO ” BOSS”, TROVERA’ UN LARGO SPAZIO LA STORIA DEL RICICLAGGIO DEL DENARO PROVENIENTE DAL TRAFFICO DEGLI STUPEFACENTI. QUALE RUOLO HANNO AVUTO, IN QUESTA FASE, LE SOCIETA’ IMPRENDITORIALI SICILIANE? E SOLO A LORO ERA AFFIDATO IL COMPITO DI ” RIPULIRE” QUESTA ENORME MASSA FINANZIARIA? BUSCETTA SOSTIENE CHE IL CAMPO D’ AZIONE DELLA MAFIA SI E’ ESTESO IN TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE, CITA L’ ESEMPIO DI UN BARISTA PALERMITANO, GIUSEPPE CALO’, DETTO ” PINO”, CHE SI E’ STABILITO DA ANNI A ROMA, CHE PER CONTO DEI ” CORLEONESI”, SOTTO FALSO NOME AVREBBE COMPIUTO ENORMI INVESTIMENTI IMMOBILIARI. LA MAFIA, ALLORA, E’ GIUNTA FINO A ROMA? UN SOSPETTO IN QUESTA DIREZIONE, PER LA VERITA’, ERA STATO AVANZATO FIN DAI TEMPI DEL SEQUESTRO CORLEO. 5-NOV-84 ANSA
Gebbia: ”Nino Salvo disse che Subranni era un grande amico”.
Nell’audizione di oggi l’ex generale parla dei rapporti tra gli esattori ed Andreotti. Era settembre di quest’anno quando il generale dei carabinieri in pensione Nicolò Gebbia (in foto), tramite una lettera, chiese alla Procura di Palermo di essere sentito. Dopo essere stato interrogato dai magistrati palermitani, stamani, al processo trattativa Stato-mafia, Gebbia ha ripercorso il periodo in cui fu comandante dei carabinieri di Marsala e venne a conoscenza dei rapporti tra i cugini Salvo, potenti esattori siciliani vicini alla mafia, e alcuni ufficiali dei Carabinieri, in particolare l’ex capitano Frasca (che negli anni ’70 fu capitano di Marsala per molti anni, ndr) e l’ufficiale Subranni. A fare il nome di Subranni, secondo la ricostruzione del teste riferita in de relato, sarebbe stato Nino Salvo subito dopo un interrogatorio avuto con lo stesso Gebbia. “Il suo capitano ci pare un galantuomo siamo sicuri che non vestirà i pupi – avrebbe detto Nino Salvo al brigadiere Canale che lo stava accompagnando fuori – noi abbiamo due grandissimi amici situati in due fronti contrapposti, da un lato il colonnello Subranni e dall’altro Tano Badalamenti”. Per andare a fondo alla questione, Gebbia avrebbe quindi chiesto chiarimenti al maresciallo Pietro Noto che “mi spiegò che quando andarono a casa di Nino Salvo per il sequestro del suocero Corleo, videro dei MAB (armi da guerra) appoggiati al muro ed erano presenti anche Subranni e Frasca ma non fecero nulla” a parte “cercare di prendere la matricola senza destare sospetti”. Riguardo Frasca, il teste ha raccontato di aver appreso “dai miei collaboratori che dopo il sequestro dell’esattore Luigi Corleo, era diventato un uomo dei cugini Salvo”.
La telefonata ad Andreotti. Riguardo il sequestro e l’uccisione del suocero di Nino Salvo, il generale dei carabinieri ora in pensione ha riferito anche di aver saputo di una telefonata tra Nino Salvo e l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti avvenuta di fronte a Subranni e Frasca. “Noto mi raccontò che Salvo aveva telefonato ad Andreotti per far ottenere al boss Tano Badalementi (che si trovava al confino nel nord Italia, ndr) un permesso per la provincia di Trapani” affinché potesse aiutarlo a ritrovare il corpo del suocero, ha spiegato il teste. Ma quando “Andreotti gli aveva detto che non si poteva fare Nino Salvo si era arrabbiato chiudendo il telefono in faccia” al presidente del Consiglio. Secondo quanto detto da Gebbia, Noto non essendo presente alla telefonata, sarebbe venuto a conoscenza del fatto grazie a Frasca. Quelle informazioni su Provenzano e Messina Denaro Gebbia ha poi raccontato di quando fu comandante del reparto operativo di Palermo dal 2002 a fine 2003 e si impegnò nella ricerca del latitante Bernardo Provenzano trovando però non pochi impedimenti. “Io venni a Palermo apposta per catturare Provenzano” ma “Sottili mi disse che non si poteva perché Grasso aveva stabilito che la ricerca di Provenzano spettava ad un apposito reparto della squadra mobile ed ai carabinieri del Ros”. Inoltre in quell’occasione “il comandante provinciale Amato mi invitò ad avere un atteggiamento morbido nei confronti della magistratura, della polizia di stato e della guardia di finanza”. Ma il generale dei carabinieri non si sarebbe dato per vinto e avrebbe attivato un suo confidente. E dopo alcune informazioni raccolte da Gebbia tramite il suo confidente riguardo il possibile spostamento del latitante Matteo Messina Denaro, vennero fatte delle intercettazioni “dove fu identificato l’infermiere di Provenzano, Gaetano Lipari, che una volta a settimana andava dove Provenzano si nascondeva per fargli delle iniezioni”. Gebbia ha spiegato oggi in aula che queste e altre informazioni riguardo la cattura dei latitanti le avrebbe trascritte in un appunto, consegnato poi nelle mani del generale Gennaro Niglio poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia. Niglio morì in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004. Poco prima dell’incidente, “nei primi mesi del 2004 – ha detto oggi Gebbia – chiesi a Niglio che fine aveva fatto l’appunto che gli avevo dato e lui mi rispose: ‘la Gestapo ci sta lavorando’, intendendo per Gestapo il Ros”. L’udienza si è poi “accesa” durante il controesame della difesa di Subranni. L’avvocato Milio, nonostante i continui richiami del presidente Montalto, insisteva su domande che si allontanavano dagli argomenti per cui il teste era stato citato dall’accusa. Inoltre il legale ha più volte protestato per la presenza di numerosi “omissis” nei verbali di interrogatorio di Gebbia. A quel punto è nato un botta e risposta piuttosto animato con l’accusa tanto che la Corte ha dovuto sospendere l’udienza per qualche minuto. Il processo è stato infine rinviato a nuovo anno. Il 12 gennaio tornerà in aula il commissario Salvatore Bonferraro. ANTIMAFIA DUEMILA 22 Dicembre 2016 di Francesca Mondin – Processo Trattativa
Note
- ^ a b c Processo di 1º grado al senatore Giulio Andreotti Archiviato il 9 maggio 2013 in Internet Archive.
- ^ Il Viandante – Sicilia 1959
- ^ da don Paolino a Giovanni, saga di una famiglia d’onore
- ^ Il Viandante – Sicilia 1962
- ^ 1970-1982:Banchieri, faccendieri e massoni
- ^
- ^ Il Viandante – Sicilia 1975
- ^ GLI UOMINI DELLA LOGGIA – la Repubblica.it
- ^ In chiesa una targa in memoria dell’esattore boss | Palermo la Repubblica.it
- ^ UCCISO IGNAZIO SALVO, L’INTOCCABILE – la Repubblica.it
- ^ Il Viandante – Sicilia 1992
- ^ Pedofilia, PM chiede 6 anni per padre Nuvola, repubblica.it, 12 maggio 2014. URL consultato il 23 maggio 2015.
- ^ Il pentimento di padre Nuvola “Chiedo scusa sono un malato”, repubblica.it, 27 luglio 2013. URL consultato il 30 giugno 2016.
- ^ In chiesa targa commemorativa dell’ex-esattore di Cosa Nostra « EF’s Blog
- ^ Il prete nasconde la targa per Ignazio Salvo al suo posto è stato appeso un crocifisso | Palermo la Repubblica.it
- L’impero dei Salvo, su ecorav.it.
- La sentenza sull’accusa di associazione mafiosa per Andreotti., su cittadinolex.kataweb.it.
a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF