ANTONINO FIUME detto NINO HOUSE – Racconti di mafia 45ª puntata

 

 


‘Ndrangheta stragista, il pentito Fiume svela i summit tra siciliani e calabresi

“Il primo incontro tra siciliani e calabresi, svolto in Lombardia, in cui si parlò di strategia stragista ebbe luogo nel periodo in cui è stato ucciso Valente o Valenti nel carcere di Bologna. Se non sbaglio l’omicidio Mormile era stato già consumato”. E’ il pentito Antonino “Nino” Fiume, cognato e braccio destro di Peppe De Stefano (“capo crimine” della ‘ndrangheta di Reggio), ad aver messo a verbale queste dichiarazioni lo scorso 14 marzo. Fiume doveva essere sentito lo scorso venerdì, ma la deposizione è saltata, al processo “‘Ndrangheta stragista” che vede imputati Rocco Santo Filippone, ritenuto vicino alla potente cosca ndranghetista dei “Piromalli”, ed il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già al 41 bis per le stragi del ’92 e del ’93. Entrambi sono sotto accusa per gli attentati ai Carabinieri tra il 1993 ed il 1994, in cui morirono gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo; attentati che vanno letti all’interno del contesto stragista di quegli anni volta a ricattare lo Stato ed adottare provvedimenti più morbidi nel contrasto alla criminalità organizzata.
Il verbale di interrogatorio è stato comunque depositato dal procuratore aggiunto
 Giuseppe Lombardo e il quadro che emerge è proprio il coinvolgimento in alcune riunioni da parte dei boss De Stefano di Reggio, dei Mancuso di Vibo e dei referenti reggini in Lombardia, Franco Coco Trovato e Antonio Papalia.
Summit si sarebbero anche tenuti anche nel Vibonese, lungo la “Costa degli dei”. “Se non ricordo male – ha ricordato Fiume – abbiamo soggiornato più volte a Parghelia, certamente nel corso dell’estate 1990 presso il Blue Paradise. Ero sempre in compagnia di Giuseppe o 
Carmine De Stefano. Nel corso del soggiorno erano presenti anche Coco Trovato e Totò Schettini. Noi eravamo stati invitati da Luigi Mancuso, al quale Coco aveva regalato un orologio costoso: lo stesso Mancuso ci ha accompagnato presso il villaggio turistico insieme al suo autista Totò Pronesti ed a suo nipote Salvatore Russo. Non ricordo se già nel soggiorno del 1990 si parlò con i Mancuso della strategia stragista voluta da Cosa Nostra. Se non ricordo male i discorsi iniziarono in epoca successiva. Quello che ricordo con certezza è il fatto che i primi incontri su tale tema si svolsero in Lombardia e sono gli incontri organizzati da Coco Trovato ma voluti da Antonio Papalia”.
Ma il pentito ha anche parlato di un altro incontro che si sarebbe tenuto, sempre nel 1991, in contrada Badia a Nicotera: “La riunione è durata molti giorni nel 1991, dopo il fallito attentato a 
Coco Trovato e Giuseppe De Stefano. Ricordo di aver dormito in vari luoghi nella disponibilità dei Mancuso, anche nei pressi dell’orto della parrocchia di Limbadi. Confermo che nel corso di tale riunione si è parlato della strategia stragista porta avanti da Cosa nostra Franco Coco Trovato era certamente possibilista. E’ inutile ribadire che Franco Coco Trovato era prima di tutto un uomo di Papalia, Antonino e Domenico”. Queste parole Fiume dovrà prossimamente ripeterle in aula di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore.
Oltre al collaboratore di giustizia reggino venerdì era prevista anche la testimonianza del giornalista del Corriere della Sera Bruno Tucci, ma anche questa deposizione è stata rinviata, mentre il processo riprenderà il prossimo 5 aprile.


Ndrangheta, il memoriale del pentito Nino Fiume: “Ecco il libro nero dei De Stefano” Il documento è stato inserito nel fascicolo dell’inchiesta Meta, che ha aperto uno squarcio sugli aspetti criminali delle cosche reggine. AMDuemila  31 Marzo 2019 Aaron Pettinari

“Sarò odiato e condannato a morte da molta gente che anche per mia colpa andrà a finire in prigione, ma forse un giorno potranno capire che è meglio in prigione che sottoterra”.

Inizia così il memoriale consegnato il 30 gennaio 2009 al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo dal collaboratore di giustizia Nino Fiume, un tempo killer della cosca De Stefano. Un memoriale che ora è stato inserito nel fascicolo dell’inchiesta Meta, che ha aperto uno squarcio sugli aspetti criminali delle cosche reggine. E su come gli accordi tra le famiglie mafiose si sono modificati rispetto alla pax del 1991.

Ventotto pagine scritte a mano in cui il pentito degli “arcoti”, protagonisti della seconda guerra di mafia, fa i nomi e i cognomi della “Reggio bene” . Giovani che “io frequentavo di rado – scrive la gola profonda – ma con tutti ho sempre mantenuto l’educazione, il rispetto del saluto, dell’abbraccio e del bacio”.

Avvocati, professionisti, i “bravi ragazzi” che, per anni, hanno frequentato i boss Carmine e Giuseppe De Stefano.

Quest’ultimo è diventato “capo crimine” di Reggio Calabria da oltre 10 anni, il mammasantissima di quella che il gip Filippo Leonardo ha definito, nell’ordinanza dell’inchiesta “Meta”, una “super associazione”.

Tre anime e un solo braccio riconosciuto, appunto, in Giuseppe De Stefano che ricopriva «il ruolo di vertice operativo nella gestione delle azioni estorsive e delittuose in genere e dei proventi che ne derivano, per aver ricevuto, con l’accordo di tutti i capi locali, il grado di “Crimine”».

Forte della posizione di vertice a lui universalmente riconosciuta all’interno della ‘ndrangheta calabrese, Pasquale Condello aveva «il ruolo di condirezione e coordinamento nell’azione di comando svolta da Giuseppe De Stefano, con il quale divide in parti eguali i relativi profitti illeciti, avvalendosi sul piano operativo dei propri cugini e tra loro fratelli Condello Domenico, detto “Gingomma”, e Condello Demetrio”.

Nella super associazione, infine, Pasquale Libri (che ha ereditato il bastone del comando dal fratello defunto, il carismatico boss don Mico), ha un “ruolo altrettanto direttivo di custode e garante delle regole che il germano aveva scritto nel 1991 al termine della seconda guerra di mafia, assistito in tale azione dal genero Chirico Filippo”.

I tre boss, scrive il gip Leonardo, “sono consapevoli che anche la ‘ndrangheta, come tutte le vicende umane, ha la necessità di evolversi per resistere alle lotte interne ed all’attività repressiva posta in essere dalle istituzioni dello Stato; sanno che la ‘ndrangheta vive del consenso dei soggetti che di quel mondo criminale fanno parte o che di quel mondo sono al servizio per esserne la consapevole, e quindi colpevole, cintura di protezione; così come sanno di poter contare sulla rassegnata acquiescenza di gran parte di una comunità soggiogata allo strapotere mafioso. I capi sanno che la ‘ndrangheta non può diventare un’entità astratta per continuare a prosperare, ma deve ancorarsi ad un volto che sia al passo con i tempi e che si faccia carico di un ruolo riconoscibile e raggiungibile attraverso passaggi e contatti non oscuri, a cui rivolgere domande e da cui ottenere risposte. Chi meglio del figlio di Paolo De Stefano può incarnare il volto della ‘ndrangheta reggina, garantito, da una parte, dall’appoggio di un alleato storico quale Pasquale Libri che ha la statura per svolgere il medesimo ruolo del fratello e garantire il legame con un passato di pace a tutti gradito e, dall’altra, dall’approvazione di Pasquale Condello, “il Supremo”, simbolo di una forza militare dirompente che serve a fornire autorevolezza all’organo di vertice, ma serve soprattutto a comunicare alla società civile ed ai soggetti imprenditoriali un messaggio essenziale: la stagione delle guerre è finita, la ‘ndrangheta tende ad essere unita ed a rafforzarsi all’interno e verso l’esterno pretendendo la sua parte in ogni attività economica”.

Alla luce dell’analisi del gip, il memoriale del pentito Nino Fiume diventa importantissimo per la Procura distrettuale per dimostrare i cambiamenti della ‘ndrangheta reggina.

“Chi è Giuseppe De Stefano, qual è il suo potere” è il titolo dato al suo memoriale dal collaboratore all’indomani della cattura del pericoloso latitante nel dicembre del 2008 quando Fiume ha appreso la notizia dalla tv: “Era sereno e con la mano mandava baci a qualcuno, inoltre al tg è stata detta questa frase: “Esponente facente parte dell’elite della ‘ndrangheta”. Mi ha fatto pensare a tante cose, a come avrebbe reagito l’opinione pubblica reggina, specie quella che ha conosciuto Giuseppe De Stefano sotto altri aspetti”.

Il pentito descrive, in quelle 28 pagine, come è iniziata la sua storia criminale. Una storia che gli ha consentito di vivere la famiglia mafiosa dei De Stefano dal di dentro. Nino Fiume, infatti, era il fidanzato della sorella del boss. “Mi sono avvicinato ancor di più ai fratelli Carmine e Giuseppe De Stefano dopo la morte del padre (e cioè nel 1985) e per più di un mese ho dormito a casa loro, ma a quei tempi non ero solo io a frequentare quella casa, c’erano tanti giovani della Reggio – Bene, giovani che poi hanno preso altre vie, altre strade, chi è andato a vivere all’Estero, chi si è laureato e ha cambiato città, chi pian piano, giorno per giorno, si allontanò senza più farsi rivedere se non alla fine della guerra di mafia. Io invece rimasi lì nonostante mi trovassi in difficoltà per cercare di mantenere l’amicizia (e buoni rapporti) con molti giovani su citati che pian piano si allontanarono all’inizio della guerra, tranne qualcuno e anche se c’era una differenza di età fra me e i fratelli Carmine e Giuseppe De Stefano, in altri tempi frequentavamo le stesse comitive fra le vecchie e le nuove generazioni”.

E qui Fiume fa i nomi e i cognomi della Reggio-bene distinguendo le vecchie dalle nuove generazioni, i ragazzi dalle ragazze delle comitive. I pm annotano e vanno avanti. Durante la guerra di mafia, quei giovani “rischiavano di morire in quanto si era innescato (o meglio si stava innescando) un meccanismo di fare cerchio nuovo, cioè di fare terra bruciata attorno alle persone che erano a conoscenza di cose che compromettevano l’incolumità e la reggenza di una cosca”.

Il collaboratore ha stilato una minuziosa lista di persone che erano state scritte nel “libro nero” dei De Stefano. Persone che dovevano essere eliminate o fatte sparire perché colpevoli di uno “sgarro”, o semplicemente perché su di loro i fratelli De Stefano nutrivano forti sospetti. Tra questi, stando sempre al racconto di Fiume, c’erano anche poliziotti, guardie penitenziarie e giovani di Reggio che frequentavano lo stesso gruppo De Stefano.

Brutte storie sulle quali indaga la Procura Distrettuale di Reggio. “Storie tristi e orripilanti” le definisce Nino Fiume che, dopo aver descritto le tensioni tra i fratelli Giuseppe e Carmine De Stefano e lo zio Orazio, conclude il suo memoriale con una riflessione: “i fatti reali sono sempre più grossi di quelli raccontati e alcuni ‘ndranghetisti citati in questi appunti a volte restano troppo inferiori rispetto ai nuovi ‘ndranghetisti che via via si formano, nel mentre che si lotta per riuscire a bloccare la loro formazione”. di Lucio Musolino   di RQuotidiano | 29 GENNAIO 2011

 


Parla il pentito Fiume: “Ecco la rete riservata dei De Stefano”“A Reggio Calabria i De Stefano li hanno abbracciati tutti”. Antonino Fiume è sempre romanzesco e scenografico nelle sue affermazioni. Lui che per anni ha vissuto gomito a gomito con i membri dello storico casato ‘ndranghetista di Archi, per via della relazione con Giorgia De Stefano, sorella dei noti Giuseppe (nella foto), Carmine e Dimitri. Oggi Nino Fiume è collaboratore di giustizia e viene escusso nell’ambito del maxiprocesso “Gotha”, celebrato contro la componente massonica e riservata della ‘ndrangheta.

E proprio di questo parla l’ex killer dei De Stefano.

Parla di decine di giovani, oggi divenuti uomini e donne molto noti in città, che avrebbero frequentato la comitiva dei De Stefano, ma parla anche dei legami occulti della famiglia, quella che, più di ogni altra, è riuscita a modernizzare la ‘ndrangheta attraverso le relazioni con mondi apparentemente inaccessibili.

Tra questo tipo di relazioni, Fiume menziona l’ex consigliere comunale Peppe Sergi, fedelissimo dell’allora sindaco Peppe Scopelliti: Sergi, a detta di Fiume, sarebbe stato “un riservato di Giuseppe De Stefano”. Ma il livello si alza fino al noto imprenditore Carlo Montesano, attivo nel settore alberghiero: “Era considerato massone e quindi veniva rispettato” afferma Fiume. Quello di Montesano, tuttavia, non è l’unico grande nome che avrebbe avuto rapporti privilegiati con i De Stefano. Si va dai Cozzupoli a Giovanni Filianoti, passando per Pietro Siclari e Pasquale Rappoccio, che comunque era più vicino ai Libri: “Quasi tutti quelli che erano nell’edilizia. Nell’ultimo periodo, molti passavano attraverso Mario Audino”.

“L’ultimo periodo” cui fa riferimento Fiume è da inquadrarsi entro l’inizio del 2002, momento in cui il killer della cosca De Stefano, capendo di essere finito nella lista nera del clan, decide di saltare il fosso e di consegnare il proprio patrimonio conoscitivo sui rapporti della più potente famiglia della ‘ndrangheta. Potente perché capace di essere ben inserita nei salotti buoni, contando su quelli che Fiume chiama “i Riservati”, ossia soggetti non formalmente affiliati, ma fondamentali strumenti di cerniera tra la ‘ndrangheta e il mondo del potere: “I Riservati dei De Stefano erano anche di famiglie perbene, che a loro volta erano collegati ad ambienti massonici”. Nella massoneria deviata, infatti, la famiglia di Archi avrebbe avuto entrature importanti fin dagli anni di don Paolino De Stefano, assassinato nel 1985, agli albori della seconda guerra di ‘ndrangheta: “Paolo De Stefano aveva una villa a Roma dove si facevano riunioni massoniche” afferma Fiume.

Da Roma a Milano, la ‘ndrangheta sarebbe stata forte anche su altri territori. Diversi i riferimenti di Fiume al cosiddetto “Consorzio”, un’unione delle cosche stanziate in Lombardia che, sotto il comando di Antonio Papalia, avrebbero riproposto al Nord le medesime dinamiche della casa madre. Grazie a questi rapporti, quindi, i De Stefano avrebbero accresciuto il proprio potere, nonostante gli anni della mattanza, in cui a Reggio Calabria e provincia vi saranno centinaia di morti. Fiume adombra anche sospetti sulla genesi della seconda guerra di ‘ndrangheta, tirando in ballo il possibile coinvolgimento di pezzi dello Stato: “Peppe De Stefano diceva sempre ‘i Servizi fanno la guerra e i Servizi fanno la pace'”. Rapporti con la destra eversiva e con la banda della Magliana, che ormai appartengono alla storia della ‘ndrangheta e che avrebbero permesso alla ‘ndrangheta – e in particolare ai De Stefano – di effettuare il salto di qualità, forti anche di una certa impunità: “I fratelli De Stefano non hanno mai temuto la magistratura” afferma laconico Fiume. IL DISPACCIO 06 Luglio 2019

 

La Dia confisca beni ad Antonino Fiume La Dia di Reggio Calabria ha sequestrato e confiscato beni personali e societari, per 1,5 milioni di euro, al collaboratore di giustizia Antonino Fiume, di 50 anni, condannato in via definitiva per associazione mafiosa, omicidio, favoreggiamento personale e violazione della legge sulle armi. Fiume era ritenuto affiliato alla cosca De Stefano di Reggio, sino a quando, nel 2003, non ha iniziato a collaborare con la giustizia, venendo ammesso allo speciale programma di protezione. La confisca è stata disposta dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria in sede di esecuzione della pena, su richiesta della Procura generale della Repubblica, in base agli accertamenti patrimoniali svolti dal Centro operativo Dia reggino. I giudici hanno motivato il sequestro e la confisca dei beni non ritenendone giustificabile la legittima provenienza e, soprattutto, ricollegandoli alla presunta pericolosità soggettiva di Fiume nonché ad una evidente sproporzione tra il valore dei beni che costituivano il patrimonio del collaboratore ed i redditi dichiarati. Nelle motivazioni del provvedimento di confisca, infatti, la Corte, recependo integralmente gli esiti degli accertamenti della Dia, ha sostenuto che “tenuto conto della palese ed obiettiva sproporzione (rispetto alla capacità reddituale di Antonino Fiume e del suo nucleo familiare) del valore economico dei beni oggetto della richiesta di sequestro e confisca, la richiesta avanzata dalla locale Procura generale deve essere pienamente accolta”. Tra i beni confiscati figurano il 50% del capitale sociale e corrispondente quota del patrimonio sociale di una società di capitali con sede a Reggio Calabria, avente ad oggetto l’attività di “costruzione di macchinari ed impianti per l’industria in genere”, tre appartamenti e due magazzini situati nel quartiere Archi di Reggio Calabria. ANSA 05 Dicembre 2014


‘Ndrangheta, pentito Fiume: “Matacena organizzò cena con tutti boss” Reggio Calabria- L’ex deputato di Fi Amedeo Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e latitante a Dubai, “nel 1994 organizzò una cena alla discoteca Papirus di Gallico Marina, cui parteciparono tutti i rappresentanti delle cosche cittadine e della periferia, tranne i Tegano”. Lo ha detto il pentito Antonino Fiume nel corso del processo che vede imputati l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, ed i segretari dell’ex parlamentare latitante Mariagrazia Fiordalisi e Martino Politi, tutti accusati di avere favori la latitanza dell’ex parlamentare. Fiume è un collaboratore di giustizia di primo piano per essere stato per molti anni fidanzato di Maria De Stefano, sorella del “crimine” della ‘ndrangheta Giuseppe De Stefano, oltre che autista e spalla destra dello stesso. Rispondendo per 4 ore alle domande del pm della Dda Giuseppe Lombardo, ha ripercorso non solo le tappe della carriera criminale dell’ex cognato, assurto al posto di comando della cosca dopo l’ assassinio del padre Paolo De Stefano nell’ottobre del 1985, ad opera di un gruppo di “scissionisti”, ma la ‘rete’ criminale di cui faceva parte a livello nazionale. Tornando alla cena organizzata da Matacena, Fiume ha riferito che alla stessa “c’erano i Condello, i Fontana, altri di Villa San Giovanni e Campo Calabro. Peppe De Stefano arrivò per ultimo. Non appena fu notato il suo ingresso, tutti si alzarono e si diressero verso di lui a salutarlo, anche chi, come Domenico Condello, era stato suo nemico nella guerra di ‘ndrangheta che si era conclusa da qualche anno. Immaginate un treno con una motrice e tanti vagoni: così è la ‘ndrangheta e ogni vagone rappresenta un locale. Matacena salì a bordo di quel treno e si fece tutti i vagoni. Mi ricordo che nel suo intervento Amedeo Matacena, rivolto a Peppe De Stefano e Domenico Condello, disse loro che dovevano far parte del ‘partito degli uomini’, con ciò intendendo che gli affari comunque avevano una loro preminenza rispetto al resto. Ha parlato di sviluppo turistico, di porti, questioni su cui non molti erano d’accordo con lui perché preferivano finanziamenti all’agricoltura o alle imprese. Lui aveva in mente – ha detto Fiume – di fare di Reggio Calabria una piccola Las Vegas”. La deposizione di Fiume proseguirà nella prossima udienza, fissata per il 7 dicembre prossimo.

             Boss De Stefano disse no a Riina su stragi Il boss della ‘ndrangheta Giuseppe De Stefano si rifiutò di fornire collaborazione alla mafia che stava per avviare la stagione delle stragi del ’93. Lo ha detto il pentito Antonino Fiume, deponendo nel processo che si celebra a Reggio Calabria per gli aiuti alla latitanza dell’ ex parlamentare di Fi Amedeo Matacena, rifugiato a Dubai dopo una condanna a 3 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Fiume conosce bene De Stefano perché fu suo autista e spalla destra dopo essere stato per molti anni fidanzato della sorella. “Peppe De Stefano – ha detto il pentito rispondendo alle domande del pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo sulle attività del boss – era conosciuto da tutti, qui o a Milano. Aveva poco più di venti anni quando in contrada ‘Badia’ di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, regno dei Mancuso, agli inizi degli anni ’90, in presenza degli stessi Mancuso, di Pino Piromalli e dei rappresentanti della camorra napoletana, negò agli emissari di Salvatore Riina ogni aiuto o coinvolgimento nella cosiddetta ‘strategia contro lo Stato’. Non la pensava come lui Franco Coco Trovato, attivo in Lombardia, nonché suocero di Carmine De Stefano, fratello di Peppe, che voleva invece si facesse qualcosa”. IL LAMENTINO Lunedì, 28 Novembre 2016

 

a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF