La vita “segreta” di Matteo Messina Denaro: i vestiti da donna nel covo, il medico massone e l’avvistamento del 2021

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Rolex, Franck Muller, Omega: il lusso di Messina Denaro

La passione per gli orologi di lusso accomuna Matteo Messina Denaro alla sorella Bice. Il padrino, il giorno dell’arresto, portava al polso un Franck Muller Geneve Color Dreams. Il modello base vale circa 12 mila euro, ma certi modelli raggiungo i 30 mila. Gli è stato sequestrato. Stessa sorte è toccata ai pezzi pregiati trovati a casa di Bice, a Castelvetrano. Custodiva tre Rolex Oyster Datejust, uno in metallo e due con corona in oro, e un Rolex Gmt Master che costano dagli otto ai quattordici mila euro. Subito dopo l’arresto del fratello anche la casa della donna è stata perquisita. Le è stato tolto anche un Omega Seamaster da seimila euro. I prezzi sono suscettibili di variazioni, basta un piccolo dettaglio esclusivo nel quadrante o nella ghiera per fare schizzare la quotazione. La collezione di orologi è la spia di un tenore di vita elevato. Bice è una delle quattro sorelle del latitante. Le altre sono Rosalia (arrestata nei giorni scorsi), Patrizia (detenuta per mafia) e Giovanna. I mariti sono entrati a pieno nella famiglia, sia di sangue che mafiosa. Rosalia ha sposato Filippo Guttadauro (arrestato e detenuto all’ergastolo bianco), Vincenzo Panicola (condannato per mafia) e Rosario Allefera (condannato per mafia e deceduto tre anni fa mentre era detenuto). Il marito di Bice è Gaspare Como, ufficialmente faceva il commerciante di abbigliamnto, ma in realtà era diventato il capo del mandamento mafioso. In primo grado è stato condannato a 25 anni di carcere

Di soldi in casa Messina Denaro ne giravano parecchi. La ricostruzione del patrimonio è ancora in corso. I pizzini trovati negli immobili dei Messina Denaro aiuteranno i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e i carabinieri del Ros nella mappatura. Gli orologi sono una spia del lusso di Messina Denaro.


24.2.2023 Messina Denaro, «tenore di vita altissimo» senza soldi nei covi. L’ipotesi: come riusciva spendere 15mila euro al mese

Proseguono le indagini dopo la cattura del boss Matteo Messina Denaro, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila in regime di 41bis. Ora, gli investigatori vogliono scoprire chi sono i finanziatori del superlatitante di Cosa Nostra e in che modo i soldi arrivassero a Messina Denaro che riusciva a mantenere «un tenore di vita elevatissimo». Il giorno dell’arresto alla clinica Maddalena di Palermo, infatti, addosso al boss mafioso sono state trovate delle carte di credito riferibili a conti correnti intestati ad alias sui quali, però, non ci sarebbero state disponibilità tali da consentirgli le spese – fino al 15mila euro al mese – abitualmente sostenute. L’ipotesi degli investigatori è che le somme siano state consegnate di volta in volta all’ultima “primula rossa” di Cosa nostra nel covo in cui si nascondeva, a Campobello di Mazara, nel Trapanese. Le indagini si stanno concentrando al momento sulla cerchia stretta dei favoreggiatori storici e della famiglia del capomafia, che avrebbero potuto far arrivare materialmente tutti quei soldi a Messina Denaro. La Procura, inoltre, spiega Ansa, starebbe effettuando indagini anche di tipo patrimoniale per capire se dietro quei finanziamenti ci fossero attività formalmente lecite gestite da prestanome o se i soldi arrivassero dalle estorsioni e da attività illecite. 


15.2.2023  A Messina Denaro bastò un quarto d’ora per trovare un posto di lavoro alla zia

«Tu unni voi iri a travagghiare? E dopo un quarto d’ura mi sona u telefonu… E mi rice accussì: “Domani verso le quattru, vai ntà la via Quattro novembre alla Cassa mutua. Presentati nì iddu…». Quindici minuti di orologio per trovare un posto di lavoro, il regalo che Matteo Messina Dnaro, «Iddu», allora non ancora latitante, fa alla zia Rosa Santangelo la sorella della madre Lorenza. Siamo nel 2013 quando l’intercettazione ambientale – rigorosamente in dialetto castelvetranese – capta il racconto di una vicenda che risale al 1993, prima ancora che il giovane diventasse un latitante ricercato per omicidio e negli anni per stragi.
La zia del boss, Rosa, sta parlando col fratello Giovanni: entrambi sono sotto osservazione perché gli inquirenti immaginano che in qualche modo abbiano contatti con il nipote ricercato. E la donna ricorda come Matteo, «Iddu», in pochissimo tempo gli ha trovato un posto di lavoro a Castelvetrano: una testimonianza inequivocabile del potere che la famiglia Messina Denaro, grazie al ruolo del capostipite, Francesco, era in grado di esercitare. Il verbale dell’intercettazione è depositato agli atti di un processo tenutosi a Marsala e terminato nel 2015, presidente Gioacchino Natoli, pubblici ministero Carlo Marzella e Paolo Guido. Sul banco degli imputati ci sono Francesco Guttadauro, Anna Patrizia Messina Denaro, altri tre fiancheggiatori del boss. E potrebbe ricalcare uno dei filoni di indagine che oggi Guido, diventato procuratore aggiunto e coordinatore dell’inchiesta guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, ha portato alla cattura di Messina Denaro: la pista dei soldi. GIORNALE DI SICILIA


12.2.2023 – Messina Denaro, nel portafoglio anche la foto di Gaspare Allegra: il nipote morto nel 2021

Tra le cose ritrovate nel portafoglio di Matteo Messina Denaro, oltre per esempio a soldi in contanti e ricette mediche, anche un “pezzo di vita” del super boss di Castelvetrano. Una foto di Gaspare Allegra, il nipote morto il 21 marzo 2021 durante una gita sul monte Grisone sul lago di Como. Gaspare era il figlio della sorella Giovanna e di Rosario detto “Saro”. Allegra era andato in Lombardia con l’obiettivo di allontanarsi dal peso della parentela con il super latitante e coltivare la propria carriera di avvocato Allegra collaborava come penalista con l’avvocato Giovanni Bosco nel suo studio di Abbiategrasso. Ha però sempre mantenuto, per così dire, un legame con la vita siciliana legata agli “affari” dello zio. Il 37enne rimase coinvolto, infatti, nell’operazione antimafia “Anno Zero”: scommesse illegali online, estorsioni e danneggiamenti. Un’operazione che risale quasi a cinque anni fa, aprile 2018. Un’operazione che costò l’arresto al padre di Gaspare, Saro Allegra. Per il Gip quest’ultimo era “in possesso di canali di comunicazione con Matteo Messina Denaro. Canali che, nonostante le lunghe e complesse attività investigative espletate nel corso degli ultimi anni, sono allo stato ancora ignoti”. Saro Allegra fu detenuto nel carcere di Terni al 41bis morendo il 13 giugno 2019 a 65 anni vittima di un aneurisma “È stato coinvolto nell’inchiesta perché nipote di Matteo Messina Denaro”, ne era certo l’avvocato Bosco con cui Gaspare Allegra collaborava, “era una bravissima persona, un valido professionista destinato a una brillante carriera, gli volevano tutti bene. Era andato lontano di casa proprio per scappare dal peso delle parentele”. In quella domenica di marzo 2021, Gaspare Allegra si stava divertendo durante un’escursione con il fratello Francesco. All’improvviso rimase vittima di un incidente scivolando in un canalone dove c’era neve ghiacciata. Ha sbattuto con la testa ed è precipitato per 350 metri. La sua fu una morte accidentale e il suo corpo fu trasportato nella “sua” Castelvetrano senza però ricevere neanche la possibilità di essere ricordato con un funerale. L’ultimo saluto a Gaspare Allegra, vittima ancora una volta di un legame parentale pesante, non fu consentito per motivi di ordine e sicurezza pubblica GAZZETTA DEL SUD


6.2.2022 Matteo Messina Denaro: «Sono inc… per i servizi dei telegiornali, balle»

Lo sfogo con la polizia penitenziaria e con i medici che lo curano nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila: ale informazioni riportate sarebbero «frutto di fraintedimenti». Nei primi giorni di reclusione aveva scelto di non guardare la tv. Poi ha cambiato idea Sbotta dopo aver visto in tv notizie sul suo conto. «Sono incazzato per i servizi dei telegiornali» si sarebbe sfogato il boss Matteo Messina Denaro parlando con gli agenti della polizia penitenziaria e con i medici che lo curano nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila in cui è detenuto in regime di 41 bis. Il capomafia trapanese, ormai in cella dal 16 gennaio, avrebbe giudicato false molte delle cose sentite ai telegiornali. «Balle», le avrebbe definite parlando con sanitari e guardia carcerarie. Insomma le informazioni riportate sarebbero «frutto di fraintedimenti». Nei primi giorni di reclusione il padrino di Castelvetrano aveva scelto di non guardare la televisione. Evidentemente ha cambiato idea. Dal blitz che ha messo fine alla sua trentennale latitanza l’informazione si è costantemente occupata del boss.
Ieri sono stati diffusi gli audio di alcuni messaggi vocali che Messina Denaro aveva inviato ad alcune pazienti conosciute durante le terapie fatte nella clinica Maddalena. In una delle chat registrate il capomafia, palesemente infastidito, si lamentava delle cerimonie di commemorazione della strage di Capaci che l’avevano costretto a restare bloccato nel traffico. di Lara Sirignano Corriere della Sera 


5.2.2023 Gli audio di Matteo Messina Denaro a un’amica: «Io sono un leone, ma lunedì ho la terapia. Per ora però sto bene»

I messaggi audio che Matteo Messina Denaro inviava a un’amica sono stati mandati onda dalla trasmissione di Massimo Giletti, «Non è l’Arena», su La7 . «Io sono un leone ma lunedì ho la terapia – spiega il boss alla donna- però per ora sto benissimo, molto molto bene. Amica mia ti abbraccio, ti penso. Anche oggi pomeriggio ti pensavo, anche se non ci siamo sentiti. Ma sappi che ti voglio bene. Ciao, un bacione». In un altro audio – recuperato dai carabinieri del Ros – si sente invece Messina Denaro in auto bloccato nel traffico durante le commemorazioni delle strage di Capaci.«Io sono qua, bloccato, con le 4 gomme a terra – dice – . Cioè non nel senso di bucate, ma bloccate perché sono sull’asfalto e non mi posso muovere. Per le commemorazioni di sta minchia. Porco mondo»

5.2.2023 Choc per gli insulti in auto a Capaci di Matteo Messina Denaro: «’Ste cerimonie mi bloccano nel traffico»

Il 23 maggio 2022 il whatsapp alle amiche e la foto alle code vicino al luogo della strage. Le imprecazioni perché bloccato in mezzo al traffico. L’autista del giudice Falcone: «Era pieno di forze dell’ordine, come è possibile che passasse di lì incurante?»

 Choc per gli insulti in auto a Capaci di Matteo Messina Denaro: «’Ste cerimonie mi bloccano nel traffico»

Dal nostro inviato
CASTELVETRANO (TRAPANI) Impreca perché le celebrazioni per ricordare il magistrato simbolo nella lotta alla mafia lo bloccano nel traffico. E condivide pure una foto che inquadra il cruscotto e le auto incolonnate a ridosso dello svincolo di Villagrazia di Carini. Siamo sull’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo. È il 23 maggio 2022, anniversario della strage di Capaci in cui vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, appena pochi chilometri più avanti, nello stesso tratto di autostrada.
L’uomo alla guida è il latitante più ricercato d’Italia che su WhatsApp invia messaggi a due pazienti, diventate amiche, che come lui sono in cura presso la clinica «La Maddalena». Questo il contesto dell’audio in cui per la prima volta (se si esclude il breve vocale dopo l’arresto) si sente nitida e arrogante la voce di Matteo Messina Denaro infastidito per il traffico bloccato: «… e io qua sono bloccato con le quattro gomme a terra, cioè a terra nel senso non di bucate ma sull’asfalto. E non ci si muove per le commemorazioni di sta minchia!».
Il contenuto dell’audio era stato anticipato dalla trasmissione Non è l’Arena di Massimo Giletti, in onda ieri sera, e pubblicato ieri sul Corriere, ma ascoltarlo è un pugno allo stomaco. Il boss usa parole, e un tono, che ne svelano tutta l’arroganza. Altro che belle donne, viagra e profumi! Qui viene fuori il macellaio che non esitò ad ordinare l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. Anche per la strage in cui morì il giudice per il quale quel giorno era bloccato in autostrada Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo.
Eppure il boss latitante non rinuncia a transitare in quel luogo simbolo in un giorno più carico di significati del solito: l’anniversario tondo, 30 anni. Segno di una sfrontatezza che neanche una pessima fiction avrebbe potuto sceneggiare. E mentre a pochi chilometri da lui la tromba intona il silenzio e i familiari delle vittime si abbracciano, lui si intrattiene in chat raccontando della madre. «Dice che quando sarà morta, al suo funerale vuole la banda musicale che deve suonare un unico motivo, la marcia del kaiser quella che fanno a Vienna per il capodanno. Ma chi lo dice che io muoio dopo di lei… lei non lo sa questo ma lo so io». Per poi tornare, bruscamente, a quel maledetto traffico che lo blocca: «Porco mondo… qua mi sono rotto i co… di brutto».
E si può solo immaginare cosa avrà detto nel momento in cui con l’auto riesce a transitare accanto alla stele che ricorda il sacrificio di Falcone, della moglie e degli uomini della scorta. Ma dietro a quell’audio non c’è solo la bestemmia contro le vittime di mafia. Per anni si è immaginato che il boss trascorresse la latitanza chissà dove. E invece era nel suo regno: a Campobello, sei chilometri appena da Castelvetrano, dove è nato e cresciuto. E in più faceva tranquillamente la spola con Palermo. Non ci ha voluto rinunciare neppure il giorno dell’anniversario di Capaci. «Perché?» si interroga Giuseppe Costanza, l’autista di Falcone che nella strage si salvò solo perché quel giorno il magistrato volle mettersi alla guida dell’auto.
«Provo ribrezzo a sentire quelle parole — afferma—, ma mi chiedo: perché un latitante decide di transitare in un tratto di autostrada pieno di forze dell’ordine incurante di incappare in un controllo?». La chat con le due amiche era stata acquisita dai Ros prima dell’anticipazione di Giletti. Sarebbe stata una delle donne a consegnarla ai carabinieri dicendo che non conosceva la reale identità dell’uomo con cui era nata un’amicizia e che si presentava come un imprenditore divorziato e padre di tre figlie. Ieri sera una delle due donne della chat è stata ospite di Massimo Giletti, tenendo nascosta la propria identità. Ormai da 20 giorni gli inquirenti stanno passando al setaccio i due telefoniniche Messina Denaro aveva con sé al momento dell’arresto, più quello sequestrato al suo autista Giovanni Luppino. Nei cellulari del capomafia ci sarebbe più di una chat e non solo quelle con i pazienti conosciuti alla clinica«La Maddalena» e presto potrebbero svelare altri squarci sulla vita e le relazioni del boss latitante. CORRIERE DELLA SERA


2.2.2023 – L’ex avvocata di Provenzano: «Vi spiego perché il Viagra è la prova che Messina Denaro non si è fatto prendere»


29.1.2023 Messina Denaro, la confessione choc: “Non so come sia finito in questo labirinto”


29.1.2023 In tanti confermano incontri con Messina Denaro, anche donna Inconsapevoli vera identità, alcuni lo hanno conosciuto in clinica

Diversi cittadini, anche palermitani, si stanno presentando dagli investigatori a raccontare di aver incontrato, conosciuto e, in alcuni casi, frequentato il boss Matteo Messina Denaro essendo ovviamente inconsapevoli della sua vera identità. C’è chi racconta di averlo visto alla clinica Maddalena, dove il 16 gennaio è stato arrestato, chi di aver fatto parte del gruppo di pazienti oncologici che con lui faceva la chemio. Tra le segnalazioni c’è anche quella di una donna che ha raccontato di aver avuto una relazione di alcuni mesi con il capomafia precisando, però, di non essere stata a conoscenza della sua reale identità.    



29.1.2023  Le presunte amanti a Campobello


 

29.1.2023 La cena da 700 euro di Messina Denaro, il giallo sullo scontrino conservato dal boss nel covo

Perché Matteo Messina Denaro conservasse le ricevute anche dei ristoranti nei suoi covi a Campobello di Mazara è ancora tutto da chiarire. Di certo ce n’è una che tra le altre ha acceso la curiosità degli inquirenti, cioè quello scontrino da 700 euro per una cena. Come riporta Repubblica, su quel documento c’è il massimo riserbo dei carabinieri, ma nel paesino del Trapanese cresce la certezza che un conto del genere sarebbe stato speso nel centro storico della vicina Mazara del Vallo. È lì che si trova una decina di ristoranti diventati ormai locali importanti e mete per turisti e appassionati del rinomato gambero rosso, come lo sarebbe stato anche il boss mafioso. Quel conto da 700 euro potrebbe rivelare dettagli importanti per le indagini, a cominciare dalla compagnia al tavolo del boss, che meritava evidentemente una certa attenzione e rispetto vista la spesa importante.
Di ricevute in casa di Messina Denaro però ce n’erano diverse. E infatti i ristoratori di Campobello di Mazara non possono escludere di aver avuto il latitante come cliente, almeno nel corso degli ultimi mesi. Un conto come quello da 700 euro però dovrebbe restare impresso nella memoria di un ristoratore. E infatti il titolare di un ristorante, Davide Fontana, a Francesco Patané di Repubblica spiega: «Non escludo che possa essere venuto a mangiare una volta anche da noi – spiega il titolare dell’Ancara – ma quel conto non può essere che di un locale di Mazara del Vallo. Conti del genere li facciamo per tavolate di molte persone e ricordo tutti i clienti che mi pagano cifre del genere».
Il boss sarebbe stato cliente almeno un paio di volte di una pizzeria aperta a pranzo, tra le poche che offrono pasti per chi lavora in zona. Ma di tutti i ristoratori disposti a parlare di Campobello, nessuno dice di essere riuscito a riconoscerlo. Anche chi è originario di Castelvetrano e dice di aver visto in faccia il boss mafioso da ragazzo. Che si possa trattare di un locale di Mazara del Vallo sembra certo anche il proprietario di una pizzeria vicina a vico San Vito, la strada del covo di Messina Denaro: «Si fa presto a raggiungere quella cifra – spiega – con un chilo di gamberoni rossi, circa una ventina, un antipasto di pesce crudo e un’altra portata di pesce si arriva facilmente a 250 euro a persona. Se poi ci bevi bene sopra si possono anche superare i 700 euro in due». OPEN


Messina Denaro, boss ripreso a fare spesa: tritato e detersivi a pochi giorni da arresto

24 gennaio 2023 | ADNKRONOS

Video e scontrini testimoniano che l’ex primula rossa viveva nel covo di vicolo San Vito a Campobello di Mazara. Indagati i figli dell’autista Luppino Faceva la spesa al supermercato fino a pochi giorni prima del suo arresto il boss superlatitante Matteo Messina Denaro. Il tritato ma anche i detersivi. E’ quanto emerge da alcuni scontrini e dalle videocamere della zona, come hanno scoperto i carabinieri del Ros che hanno inviato una informativa alla Procura. Un riscontro al fatto che Messina Denaro vivesse nel covo di vicolo San Vito, l’appartamento acquistato per lui dal geometra Andrea Bonafede che gli aveva ceduto l’identità. Intanto sono stati iscritti nel registro degli indagati i due figli di Giovanni Luppino, l’autista del boss arrestato lunedì con il capomafia. Sotto inchiesta Vincenzo e Antonio Luppino, accusati di favoreggiamento aggravato. Ieri sono state perquisite le abitazioni di loro pertinenza a Campobello di Mazara (Trapani). In un’area recintata di loro proprietà è stata anche trovata dalla Polizia scientifica la Giulietta usata da Matteo Messina Denaro.


 

L’altra identità di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara era “Francesco”. Con quel nome ha detto di aver conosciuto il boss il suo autista Giovanni Luppino. E così lo chiamavano anche in paese. La necessità di un altro alias era prettamente tecnica: non poteva presentarsi a tutti con l’identità dell’impiegato del centro acquatico Andrea Bonafede. Che in paese conoscevano in tanti. Intanto da oggi inizierà la perquisizione “profonda” dei covi dell’Ultimo dei Corleonesi. Partendo da quello di via San Vito o Cb31/7: dalle impronte digitali e dalle tracce biologiche si cercherà di risalire a chi ha frequentato il boss negli ultimi mesi della sua latitanza. Di certo c’è che oltre ai poster de Il Padrino nella tana sono stati ritrovati gli abiti di una donna. Che potrebbe essere l’amante abituale del boss.

Stefano e Francesco

Nella casa, spiega oggi Il Messaggero, ci sarebbero anche altre tracce di una presenza femminile. E questo darebbe agli investigatori la certezza che una persona ha frequentato almeno per qualche tempo la casa. Quella degli abiti, quindi, non sarebbe una dimenticanza. Oltre al nome di Francesco, in paese c’è chi dice che Messina Denaro usava anche quello di Stefano. L’indagine ha intanto consentito di retrodatare al 2020 l’arrivo del Padrino a Campobello di Mazara. In quella data è stato ricoverato nel reparto di chirurgia dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo. L’esame istologico sul tumore al colon con metastasi è stato eseguito invece al Vittorio Emanuele di Castelvetrano. Anche sull’Alfa Romeo Giulietta si effettueranno accertamenti irripetibili. I documenti dell’auto si trovavano in via San Vito. Già si sa che il boss l’ha comprata a Palermo nella zona di corso Calatafimi. A pochi metri dalla sede della Regione Siciliana.

I libri di Baudelaire

Intanto Bonafede rischia l’arresto. La Stampa rivela che la sua ex compagna ha detto ai magistrati che l’uomo è stato obbligato di fatto per evitare ritorsioni a reggere il gioco di Messina Denaro. Attualmente è indagato per favoreggiamento, procurata inosservanza della pena e falso. Oltre alle preferenze cinematografiche, emergono anche quelle letterarie: nel covo è stata trovata una copia de I fiori del male del poeta francese Charles Baudelaire. Dai primi riscontri sui due telefonini ritrovati nelle tasche del boss a La Maddalena emerge poi che Messina Denaro si è mosso in altre province siciliane in questi ultimi mesi. Nel covo c’era anche un quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata da Joaquin Phoenix. «C’è sempre una via d’uscita, ma se non la trovi sfonda tutto», diceva invece la scritta su un quadretto più piccolo appeso proprio sotto quello di Joker.

Tumbarello e i massoni

Intanto emergono altri dettagli riguardo Alfonso Tumbarello, che fece il test del Dna al boss prima della chemio. Il dottore è stato sospeso dal Grande Oriente d’Italia. Ma nella puntata di Report di stasera si parlerà anche delle sue frequentazioni precedenti. L’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino – ovvero l’uomo che ha sviluppato con lui una corrispondenza con i nomi di Svetonio e Alessio – lo aveva nominato durante un’udienza del processo Golem nel 2012. Nella trascrizione Vaccarino dice che per arrivare al latitante ha contattato il fratello Salvatore proprio attraverso il medico Tumbarello. L’incontro è avvenuto tra 2001 e 2004. Vaccarino cerca i Messina Denaro per creare un’area di servizio presso l’area Costa Gaia sull’autostrada verso Palermo. Nella testimonianza Vaccarino ricorda che lo ha contattato in accordo con il Sisde, ovvero i servizi segreti italiani. Che avevano escogitato quella mossa per riuscire ad arrivare alla cattura del latitante.

L’avvistamento del 2021

Ma c’è dell’altro. Nella trasmissione di stasera, di cui parla oggi Il Fatto Quotidiano, si racconta anche di un clamoroso avvistamento di Messina Denaro che risale al 2021. Un’annotazione della stazione dei carabinieri di Campobello del novembre 2021 riporta i racconti di una “fonte confidenziale”. Questo li informa che «a lui (il boss, ndr) non lo vogliono prendere». E che qualcuno «gli deve portare da mangiare e i vestiti puliti». La fonte aggiunge che c’è gente di Campobello che «sale e scende dalla Torretta». E di aver saputo che Messina Denaro «è molto invecchiato ma ha sempre la stessa faccia». Smentendo quindi i racconti sulle presunte plastiche facciali del boss. Di più: la fonte aggiunge anche che il latitante «a Campobello è protetto. I giovani lo elogiano». Anche perché comanda sempre «il fratello Salvatore Messina Denaro».

La frazione di Torretta Granitola

La frazione di Torretta Granitola, racconta il servizio di Marco Bova, era sede delle scorribande giovanili del boss figlio di Don Ciccio. Mentre Andrea Bonafede, che gli ha prestato l’identità, risulta anche essere uno dei soci di un parco acquatico in zona, il New Acqua Splash. Massimo Russo, ex magistrato della Dda di Palermo, spiega che il Trapanese è stato storicamente un rifugio per tanti Mammasantissima di Cosa Nostra. «Riina aveva una casa a Mazara. Messina Denaro era di Campobello. Lo stesso dicasi per Bagarella e per Brusca che era a Castellammare del Golfo. Evidentemente la rete di protezione lo garantiva». Nell’elenco degli indagati intanto spunta anche un oncologo trapanese.


La storia e i misteri del ritratto di Matteo Messina Denaro della pittrice Flavia Mantovan

 

Il quadro che ritrae Matteo Messina Denaro appeso nel salotto della casa della madre, Lorenza Santangelo, vedova del boss Francesco ( Don Ciccio) Messina Denaro porta con se una storia di mistero come per tutto ciò che riguarda i 30 anni di latitanza dell’ultimo dei corleonesi. Il quadro è stato dipinto dall’ex modella e pittrice Flavia Mantovan insieme ad altre “facce di mafia”.

L’ex modella e famosa pittrice ed artista Flavia Mantovan

Nel 2009 era esposto al museo di Salemi dedicato a Cosa Nostra. Vittorio Sgarbi era il sindaco del comune. L’assessore era Oliviero Toscani. La distanza fra Castelvetrano e Salemi, ambedue comuni della provincia di Trapani è di soli 28 chilometri. Il quadro venne acquistato da un misterioso compratore. Ma la storia vera del quadro viene raccontata dalla stessa pittrice, Favia Mantovana, sul quotidiano “La Voce”, quotidiano d’informazione di Roma, Cerveteri, Ladispoli ed Etruria meridionale. Ladispoli è la città natale della ex modella e pittrice. Riportiamo integralmente il racconto della pittrice pubblicato dal Quotidiano  “La Voce” nell’edizione del 29 gennaio 2023:  “Quel dipinto lo realizzai nel 2005 insieme a tutta la serie delle facce di mafia su proposta del gallerista Arzenta di Horti Lamiani a Roma. Tutto avvenne in occasione dell’ arresto di Provenzano e allora come ora tutti i giornali pullulavano di immagini e racconti di mafia.  A quel tempo dipingevo modelle giusto per divertimento, avevo una solida carriera come modella alle spalle.  Quella di dipingere i volti dei mafiosi fu una vera e propria sfida pittorica, erano permeati da tutt’altra luce, tuttavia accettai volentieri perché ero incuriosita, come scrisse Vittorio Sgarbi in catalogo “nihil humanum a me alienum puto”. I quadri quindi vennero realizzati e inizialmente l’idea del gallerista era di trovare il modo di esporli in una sede istituzionale, poi il tempo passò e lì per lì non se ne fece nulla e io continuai a dipingere altri soggetti legati al mondo delle riviste patinate.  Tra una mostra e l’altra conobbi il famoso fotografo americano David LaChapelle a Roma.  Questi mi volle come musa per alcune sue foto da realizzare in America.  Negli Stati Uniti è circondato da una fama estrema, il suo immaginario pop e il suo passato da assistente di Andy Wharol già bastano a capire la portata della sua arte.  Poi fu il momento di New York, li le lezioni d’arte e di vita furono molte, è una città veloce, bisogna cogliere l’attimo, farsi valere e stare sempre pronti, tutto avviene in un modo rapido e se si traccheggia si resta indietro.  In uno dei viaggi di rientro in Italia appresi da una rivista che Sgarbi voleva aprire il museo della mafia a Salemi, dove era diventato sindaco, e così, memore della lezione americana, lo contattai immediatamente e gli inviai le foto dei quadri già pronti da anni.  Sgarbi li trovò adatti, fu una circostanza del tutto fortuita di fatto, e nel giro di pochissimo tempo si inaugurò, in preapertura del museo della mafia, la mostra “facce di mafiosi”.  Il titolo fu lanciato da Oliviero Toscani che allora era assessore alla cultura e la mostra venne curata da Sgarbi che ne scrisse il testo in catalogo.
Dunque il quadro di Messina Denaro- racconta ancora la pittrice ed ex modella di Ladispoli, Flavia Mantovan – venne esposto lì nel 2009 e di nuovo l’anno successivo per l’apertura ufficiale del museo e in pompa magna con molti altri artisti e con la presenza dell’allora Presidente Giorgio Napolitano.  Sapevamo che la mostra avrebbe fatto scalpore, ma avevamo delle buone intenzioni, Sgarbi sosteneva che “la finalità era storicizzare la mafia e chiuderla in un museo”, per non dimenticare, perché i visitatori trovandosi faccia a faccia con quei volti potessero trovare spunto di riflessione, provare un emozione, confrontarsi con la paura.  Poi dopo un po’ di tempo un altro gallerista sempre romano, Carmine Siniscalco, con cui avevo fatto molte mostre in Italia e pure la biennale del  Cairo in Egitto, mi disse che aveva ricevuto una richiesta di acquisto per quel ritratto di Messina Denaro.  Gli dissi di mettersi in contatto con l’altro gallerista di Horti Lamiani che ne era proprietario e così poi chiusero la vendita tra di loro.  Dopo un po’ di tempo, successe che Sgarbi nominato curatore del padiglione Italia alla biennale di Venezia decise di portare in laguna pure sette dipinti delle facce di mafiosi esposti a Salemi incluso il ritratto di Messina Denaro.  Così chiesi al gallerista Siniscalco se poteva contattare l’acquirente di quel dipinto, per poterlo mandare in biennale, ma l’esito fu negativo, e così ne dipinsi una seconda versione, con altre particolarità.  Poi tutto il resto è storia, in ogni caso ci tengo a ringraziare Vittorio Sgarbi sia per la fiducia che mi ha concesso sin dai miei esordi, permettendomi di esporre in queste mostre, sia per come in questi giorni abbia chiarito, in tv e sui giornali, che è normale che i quadri una volta venduti non è dato sapere né all’artista, né al gallerista, su quali pareti poi effettivamente arrivino”.   Fonte: La Voce, quotidiano d’informazione, Gianfranco Bonofiglio 2 

 


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