Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D’Amelio

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CAMERA DEI DEPUTATI Mercoledì 13 luglio 2022
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e II)
SEDE REFERENTE

  Mercoledì 13 luglio 2022.Presidente della II Commissione Mario PERANTONI – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Francesco Paolo Sisto.

  La seduta comincia alle 13.35.

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
C. 1915 Meloni.
(Esame e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l’esame della proposta di legge.

  Mario PERANTONI, presidente, avverte anzitutto che, come specificato anche nelle convocazioni, alla luce di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso, i deputati possono partecipare all’odierna seduta in sede referente in videoconferenza, in quanto non sono previste votazioni.
  Rileva quindi come le Commissioni riunite I e II inizino oggi l’esame, in sede referente, della proposta di legge C. 1915 Meloni, recante «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta».

  Augusta MONTARULI (FDI), relatrice per la I Commissione, anche a nome della relatrice per la II Commissione, Sarti, segnala come la relazione illustrativa della proposta di legge indichi che l’istituzione della Commissione d’inchiesta muove dall’esito del cosiddetto «processo Borsellino-quater», nel quale la Corte d’assise di Caltanissetta, accogliendo la versione dei fatti riferita dal collaboratore Spatuzza e riconoscendo come nel corso degli anni le indagini siano state inquinate da una serie di dichiarazioni false, ha condannato alla reclusione per il reato di calunnia due ex collaboratori di giustizia (Andriotta e Pulci) e ha dichiarato il non luogo a procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti di un altro testimone chiave delle tesi accusatorie sostenute nei precedenti iter processuali (Scarantino), al quale sono state Pag. 12concesse attenuanti per essere stato indotto da altri a rendere false dichiarazioni. Fa notare che la relazione illustrativa sottolinea come gli esiti del processo non chiariscano chi abbia indotto i collaboratori a rendere le false dichiarazioni e dunque chi sia responsabile di quello che la stessa Corte d’assise di Caltanissetta ha definito «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana».
  Passando a illustrare il contenuto della proposta di legge, rileva come l’articolo 1, al comma 1, istituisca la Commissione parlamentare d’inchiesta «sulle cause della mancata individuazione dei responsabili della strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992», nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. Il medesimo comma specifica i compiti della Commissione, che sono: a) accertare le ragioni che hanno impedito l’individuazione dei responsabili della strage di via D’Amelio; b) verificare le motivazioni alla base dell’insufficiente tutela accordata al giudice Borsellino, in particolar modo dopo l’assassinio del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, avvenuto nella strage di Capaci il 23 maggio 1992; c) esaminare la compiutezza e l’efficacia della gestione dell’attività investigativa sulla strage di via D’Amelio, sia nell’immediatezza dell’evento sia nel corso dei procedimenti giudiziari, con particolare riguardo alla gestione dei collaboratori di giustizia. Come stabilito dal comma 2, la Commissione conclude i propri lavori entro ventiquattro mesi dalla sua costituzione, presentando alle Camere una relazione sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza.
  Riguardo alla durata della Commissione, rileva l’opportunità di coordinare la disposizione con la durata residua della legislatura in corso, inferiore a ventiquattro mesi.
  Relativamente alla composizione della Commissione, ai sensi del comma 1 dell’articolo 2, osserva che essa è composta da 20 senatori e 20 deputati, nominati dai Presidenti della Camera di appartenenza (in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento). Ai sensi del comma 2, con gli stessi criteri e con la stessa procedura si provvede alle sostituzioni che si rendano necessarie in caso di dimissioni dalla Commissione o di cessazione del mandato parlamentare. Secondo le norme dettate dai commi 3 e 4, l’Ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Come previsto dal comma 5, la Commissione approva, prima dell’inizio dell’attività di inchiesta, un regolamento interno per il proprio funzionamento. Ai sensi del comma 6, tutte le volte che lo ritenga opportuno la Commissione può riunirsi in seduta segreta. Relativamente alle spese per il funzionamento della Commissione, il comma 7 fissa un limite di spesa pari a 50.000 euro annui. Tali spese sono poste a carico dei bilanci di Camera e Senato in parti uguali.
  Quanto ai poteri della Commissione, l’articolo 3, al comma 1, dispone che essa procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziari. Ai sensi del medesimo comma 1, la Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l’accompagnamento coattivo di cui all’articolo 133 del codice di procedura penale, il quale prevede che se il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato, il consulente tecnico, l’interprete o il custode di cose sequestrate, regolarmente citati o convocati, omettono senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, il giudice può ordinarne l’accompagnamento coattivo e può altresì condannarli, con ordinanza, a pagamento di una somma da euro 51 a euro 516 a favore della cassa delle ammende, nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa. Come previsto dal comma 2, per le audizioniPag. 13a testimonianza davanti alla Commissione si applicano gli articoli 366 (Rifiuto di uffici legalmente dovuti) e 372 (Falsa testimonianza) del codice penale. Ai sensi del comma 3, alla Commissione, limitatamente all’oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto di Stato né il segreto d’ufficio. Inoltre, si specifica che non può essere opposto il segreto da parte di altre Commissioni di inchiesta. Per i segreti professionale e bancario si applicano le norme vigenti, mentre per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, che reca la normativa in materia di Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.
  In merito a tali tematiche ricorda che il segreto di Stato è attualmente disciplinato principalmente dalla legge di riforma dei servizi di informazione (la citata legge n. 124 del 2007) e, in sede processuale, dagli articoli 202 e seguenti del codice di procedura penale, il quale, in particolare, prevede tra l’altro che i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. Quanto al segreto d’ufficio rammenta che l’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 obbliga l’impiegato pubblico a non divulgare a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso). In merito al segreto professionale ricorda che ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale, determinate categorie di persone (sacerdoti, medici, avvocati ecc.) non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, ad esempio in qualità di periti.
  Il comma 4 dell’articolo 3 prevede che la Commissione possa avvalersi dell’opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritenga necessarie. La Commissione può inoltre chiedere informazioni e documenti all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e al Dipartimento dell’informazione per la sicurezza.
  Ai sensi del comma 5, la Commissione può ottenere, ai sensi dell’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti anche se coperti dal segreto, in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale, che copre con il segreto gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. La norma specifica che l’autorità giudiziaria può ritardare – motivando il ritardo con apposito decreto e solo per ragioni di natura istruttoria – la trasmissione degli atti e documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per 30 giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l’autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto.
  In base al comma 6 la Commissione, a maggioranza assoluta dei propri membri, decide quali atti e documenti possono essere divulgati. La disposizione specifica che devono comunque essere coperti da segreto i nomi, gli atti, i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
  In proposito evidenzia come, rispetto ad altri provvedimenti istitutivi di Commissioni di inchiesta parlamentari, la proposta di legge non rechi la clausola che vincola la Commissione a mantenere l’eventuale regime di segretezza degli atti trasmessi coperti da segreto (richiama, ad esempio, l’articolo 5, comma 2, della legge n. 99 del 2018, istitutiva della Commissione antimafia).
  Aggiunge che l’articolo 4, ai commi 1 e 2, stabilisce il vincolo del segreto, sanzionato penalmente, ai sensi dell’articolo 326 codice penale, per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui al comma 6 dell’articolo 3. Il vincolo del segreto riguarda,Pag. 14anche dopo la cessazione dell’incarico, i componenti la Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa e tutte le altre persone che collaborano con la Commissione o compiono o concorrono a compiere atti di inchiesta oppure di tali atti vengono a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio. A tale proposito ricorda che il richiamato articolo 326 del codice penale sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) che, violando i doveri del suo servizio o della sua funzione o, comunque, abusando della sua qualità, rivela o agevola la conoscenza di notizie di ufficio destinate alla segretezza; se l’agevolazione della rivelazione è solo colposa si applica la reclusione fino a un anno. Il medesimo articolo 326 punisce gli stessi soggetti: con la reclusione da due a cinque anni, se violino il segreto d’ufficio per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale; con la reclusione fino a due anni, se la violazione è commessa per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o per cagionare ad altri un danno ingiusto.
  Ai sensi del comma 3, salvo che il fatto costituisca più grave reato, le stesse pene previste dall’articolo 326 del codice penale si applicano a chiunque diffonde, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.
  L’articolo 5 dispone in merito all’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Per quanto riguarda il quadro costituzionale in cui si inserisce la proposta di legge, ricorda in primo luogo che, in base all’articolo 82, primo comma, della Costituzione, ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.
  L’istituzione della Commissione di inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera, con atto non legislativo. Nella storia parlamentare si è però andata affermando la prassi di deliberare le inchieste anche con legge, affidandole a Commissioni composte di deputati e senatori, ovvero, in alcuni casi, con due delibere di identico contenuto adottate dalle rispettive assemblee con gli strumenti regolamentari. Nel primo caso viene istituita una vera e propria Commissione bicamerale, mentre nel secondo si hanno due distinte Commissioni che possono deliberare di procedere in comune nei lavori d’inchiesta, rimanendo tuttavia distinte quanto ad imputazione giuridica dei rispettivi atti.
  In ogni caso, per quanto riguarda il procedimento di formazione, l’articolo 140 del Regolamento della Camera e l’articolo 162 del Regolamento del Senato stabiliscono che per l’esame delle proposte di inchiesta si segue la procedura prevista per i progetti di legge.
  Per quanto riguarda la nomina dei commissari, il secondo comma dell’articolo 82 della Costituzione prevede che la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi; tale nomina, quindi, deve essere improntata al rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, si applicano l’articolo 56, comma 3, del Regolamento della Camera e l’articolo 25, comma 3, del Regolamento del Senato, i quali stabiliscono che per le nomine delle Commissioni che, per prescrizione di legge o regolamento debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi parlamentari, il Presidente comunica ai Gruppi il numero dei posti spettanti a ciascuno in base al suddetto criterio richiedendo la designazione di un eguale numero di nomi.
  In alcuni casi, l’atto costitutivo della Commissione ha previsto espressamente che il Presidente sia nominato tra i parlamentari non appartenenti alla Commissione, dal Presidente dell’Assemblea ovvero d’intesa tra i Presidenti delle due Camere in caso di Commissione bicamerale.
  Il già richiamato articolo 82, comma secondo, della Costituzione stabilisce inoltre che la Commissione d’inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria (cosiddetto principio del parallelismo).
  I poteri coercitivi che la Commissione d’inchiesta può esercitare sono naturalmentePag. 15quelli propri della fase «istruttoria» delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati, né irrogare sanzioni. La Commissione può quindi, salvo limitazioni disposte dalla legge, disporre ispezioni e perquisizioni personali e domiciliari, sequestri, intercettazioni telefoniche, perizie, ricognizioni, esperimento di prove testimoniali ed accompagnamento coattivo dei testi renitenti.

  La Commissione deve comunque assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di difesa discendenti dal disposto dell’articolo 24 della Costituzione, riconoscendo, ad esempio, il diritto all’assistenza del difensore ogni volta che il suo mancato esercizio possa pregiudicare la posizione processuale della persona interrogata.
  Il parallelismo con i poteri della magistratura disposto dal citato comma secondo dell’articolo 82 della Costituzione si estende anche agli aspetti relativi alle limitazioni dei poteri della Commissione stessa. In via generale afferma che lo svolgimento dell’inchiesta trova gli stessi limiti che la vigente legislazione pone alle indagini dell’autorità giudiziaria, fermo restando che l’atto istitutivo della Commissione può disporne di ulteriori, ovvero prevedere l’inapplicabilità nei confronti della Commissione stessa di disposizioni limitative dell’attività d’indagine dell’autorità giudiziaria; al riguardo rammenta, in via esemplificativa, che l’articolo 3, comma 2, della legge 30 giugno 1994, n. 430, istitutiva della Commissione antimafia nel corso della XII legislatura, ha disposto la non opponibilità alla Commissione del segreto di Stato con riferimento ai fatti di mafia, camorra ed altre associazioni criminali similari (reati per i quali all’epoca era prevista l’opponibilità del segreto di stato, prima delle modifiche apportate in materia dalla legge n. 124 del 2007).
  Precisa che, per quanto attiene ai rapporti tra l’attività delle Commissioni d’inchiesta e le concorrenti indagini della autorità giudiziaria, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 26 del 2008, ha rilevato che i poteri di indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari di inchiesta e agli organi della magistratura requirente hanno ambiti e funzioni differenti, con la conseguenza che l’esercizio degli uni non può avvenire a danno degli altri, e viceversa. Infatti, il compito delle suddette Commissioni non è di «giudicare», ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l’esercizio delle funzioni delle Camere.
  Pertanto, il normale corso della giustizia non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, ma deve arrestarsi unicamente nel momento in cui l’esercizio dei poteri di indagine dell’autorità giudiziaria possa incidere illegittimamente su fatti ad essa soggettivamente e oggettivamente sottratti e rientranti nella competenza degli organi parlamentari.
  Sottolinea che, sulla base di questa argomentazione, nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la Corte ha, da una parte, riconosciuto il potere della Commissione parlamentare di disporre lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili sull’autovettura corpo del reato, potendo la Commissione esercitare gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 82, secondo comma, della Costituzione, e ha, dall’altra, negato che la Commissione potesse opporre un rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura, di acconsentire allo svolgimento congiunto dei predetti accertamenti tecnici, in base al principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato.
  Per quanto riguarda i profili di reciproca opponibilità del segreto, richiama la sentenza n. 231 del 1975 della Corte costituzionale, che ha risolto il conflitto di attribuzioni tra Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia ed i tribunali di Torino e Milano, stabilendo che la Commissione non ha l’obbligo di trasmettere ai Tribunali gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, che la Commissione abbia ritenuto di mantenere segreti (cosiddetto Pag. 16segreto funzionale), nonché gli atti già a disposizione del potere giudiziario. La Corte ha stabilito invece l’obbligo per la Commissione di trasmettere ai Tribunali predetti gli altri atti e documenti in suo possesso che non siano coperti all’origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all’autorità giudiziaria.
  Con riferimento al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come la proposta di legge costituisca esercizio di un potere costituzionale delle Assemblee parlamentari e possa dunque ricondursi alla materia «organi dello Stato», attribuita alla competenza legislativa statale esclusiva dall’articolo 117, secondo comma, lettera f), della Costituzione.
  Svolgendo alcune considerazioni conclusive, ritiene sia stato importante incardinare tale provvedimento, proprio in corrispondenza con la commemorazione del trentesimo anno dalla morte dei giudici Falcone e Borsellino, al fine di lanciare un chiaro segnale che le istituzioni intendono far luce su una stagione ancora piena di ombre, a testimonianza di una volontà ferma di contrasto nei confronti di tutte le mafie ed esprimendo così la vicinanza a chi ha lavorato e lavora in nome della giustizia, al servizio dello Stato.

  Giulia SARTI (M5S), relatrice per la II Commissione, intervenendo da remoto, nell’associarsi alle considerazioni della relatrice Montaruli, evidenza che la durata dell’attività dell’istituenda Commissione di inchiesta dovrà essere coordinata con la durata della legislatura e che sarà necessario intervenire sull’articolo 3 del provvedimento per prevedere, come per tutte le altre Commissioni di inchiesta, la clausola che vincola la Commissione a mantenere l’eventuale regime di segretezza degli atti trasmessi coperti da segreto.
  Sul piano politico, ritiene particolarmente significativo l’avvio dell’esame di questa proposta di legge il giorno dopo la sentenza della Corte di assise di Caltanissetta su uno dei più grandi depistaggi della storia della Repubblica, relativo alla strage di Via d’Amelio.
  Sottolinea come tanti aspetti di questa strage, al pari di tante altre, purtroppo ancora non siano stati definiti dal punto di vista giudiziario e come non siano state ancora individuate le responsabilità dei depistaggi delle relative indagini.
  Nel ritenere altresì che sarà necessario che le Commissioni riuniti coordinino i propri lavori con quelli della Commissione antimafia, si dichiara disponibile a valutare, insieme alla collega Montaruli, tutte le osservazioni e le proposte migliorative del testo che i colleghi volessero far pervenire.

  Maria Carolina VARCHI (FDI), in qualità di cofirmataria della proposta di legge in esame, sottolinea come quello di Fratelli d’Italia sulla materia sia un impegno corale che da molto tempo viene portato avanti. Ricorda infatti che la proposta di legge era stata già presentata nelle scorse legislature e solo in questa ne è stato avviato l’esame.
  Considera un segno del destino che l’avvio dei lavori delle Commissioni avvenga proprio all’indomani della sentenza del tribunale di Caltanissetta che ha ribadito come furono commessi reati e come lo Stato abbia esercitato in ritardo la sua potestà punitiva, che dunque si infrange contro il muro della prescrizione. Sottolinea come ciò rappresenti un fallimento del sistema giudiziario italiano.
  Rivolge quindi un appello a tutti i commissari affinché il provvedimento venga presto approvato e manifesta la disponibilità del suo gruppo a non vantare la paternità sullo stesso, evidenziando come un provvedimento del genere debba rappresentare una vittoria per le Istituzioni. Ritiene infatti che il provvedimento possa contribuire a dare giustizia alle vittime di mafia e a saldare il debito di riconoscenza che tutti dobbiamo avere nei confronti dei parenti delle vittime di mafia che hanno avuto la capacità di trasformare un dolore personale in dolore collettivo.
  Rivolge quindi un pensiero particolare ai familiari del giudice Borsellino, che hanno sempre portato avanti la loro opera di ricerca della verità. Nel sottolineare come non ci si debba rassegnare all’oblio, ritiene che l’istituzione di una Commissione di inchiesta, con tutte le prerogative e i poteri Pag. 17riconosciuti dalla Costituzione, possa costituire uno strumento efficace per perseguire tale scopo.
  Esprime pertanto la propria soddisfazione per l’avvio dell’esame del provvedimento e, pur comprendendo la necessità di apportare alcune modifiche al testo – come quella legata alla durata della legislatura – auspica una rapida approvazione dello stesso.
  Invita quindi le presidenze a favorire la programmazione dei lavori e chiede a tutti i colleghi di fornire il loro fattivo contributo per approvare rapidamente il testo in esame.

  Mario PERANTONI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.50.