Resoconti stenografici delle audizioni
Seduta n. 21 di Lunedì 17 marzo 2014
Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente … 3
Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Francesco Messineo:
Bindi Rosy , Presidente … 3
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 3
Bindi Rosy , Presidente … 3
Fava Claudio (SEL) … 3
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 4
Teresi Vittorio , procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 5
Bindi Rosy , Presidente … 6
Agueci Leonardo , procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 6
Lumia Giuseppe … 7
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 8
Fava Claudio , Presidente … 11
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 11
Lumia Giuseppe … 11
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 11
Lumia Giuseppe … 12
Messineo Francesco , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 12
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 12
Fava Claudio , Presidente … 12
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 12
Messineo Francesco , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 12
Bindi Rosy , Presidente … 13
Di Matteo Antonino , sostituto procuratore presso il tribunale di Palermo … 13
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 14
Gotor Miguel … 14
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 14
Bindi Rosy , Presidente … 15
Buemi Enrico … 15
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 15
Buemi Enrico … 16
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 16
Buemi Enrico … 16
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 16
Buemi Enrico … 16
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 16
Buemi Enrico … 17
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 17
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 17
Buemi Enrico … 17
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 17
Buemi Enrico … 17
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 17
Buemi Enrico … 17
Teresi Vittorio , Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo … 17
Buemi Enrico … 17
Fava Claudio , Presidente … 17
Buemi Enrico … 17
Messineo Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 17
Vecchio Andrea (SCpI) … 18
Messineo Francesco , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 18
Fava Claudio , Presidente … 18
Messineo Francesco , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo … 18
Fava Claudio , Presidente … 18
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI
La seduta comincia alle 17.10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Francesco Messineo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo Francesco Messineo e dei procuratori aggiunti Leonardo Agueci, Vittorio Teresi e del sostituto procuratore Antonino Di Matteo. I lavori di oggi sono dedicati al seguito dell’audizione svolta il 3 marzo scorso nell’ambito della missione a Palermo, nella quale si era convenuto di rinviare a una successiva seduta la parte dedicata alle domande dei commissari. La seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera. Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterranno opportuno, potranno chiedere che i lavori della Commissione proseguano in seduta segreta. Ringrazio il procuratore Messineo e gli altri magistrati della direzione distrettuale antimafia di Palermo per la loro presenza e disponibilità. Cedo volentieri la parola al procuratore Messineo, a cui siamo particolarmente grati per aver indirizzato alla Commissione un promemoria su possibili modifiche normative al codice antimafia, e non solo.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Sono io che la ringrazio anche a nome dei colleghi per questa prosecuzione che credo sarà utile anche per chiarire alcuni aspetti che l’altra volta non è stato possibile esplorare in modo approfondito. Vorrei soltanto giustificare l’assenza della collega, dottoressa Principato, che ha problemi di salute. Inoltre, il procuratore aggiunto Scalia, presente la volta scorsa, non è venuto perché impegnato in altre attività, ma ha redatto una relazione. Per il resto, non riteniamo di fare particolari dichiarazioni all’inizio, anche se forse c’è qualche altra piccola novità. Si è verificato, infatti, un omicidio di mafia a Palermo, che ci consente di costruire un’ipotesi di evoluzione possibile della situazione della mafia a Palermo, ma credo che potrà emergere nel corso della discussione. Come ha già detto, abbiamo presentato un promemoria per fissare alcuni punti relativi a riforme legislative a nostro avviso indispensabili e che ci auguriamo siano portate avanti. Naturalmente, restiamo a disposizione della Commissione per qualsiasi domanda o per chiarimenti che dovessero essere richiesti.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
CLAUDIO FAVA. Nello scorso incontro, nei vostri interventi più volte è apparsa Pag. 4l’immagine della mafia sempre più sistema criminale, anche con un rapporto con la politica che si è evoluto nel corso negli anni. Scopo primario e architrave di questa Commissione è provare a esaminare e ad aggiornare il rapporto tra le mafie e la politica, per cui le chiederei se su questo potete offrirci qualche spunto, in particolare su quale possa essere stata la funzione di una destra con caratteristiche abbastanza eversive a partire dalla stagione stragista a oggi, che vediamo agitarsi ogni tanto sullo sfondo. Adesso è arrivata la rivendicazione della Falange armata, il lavoro di Rosario Cattafi continua a essere l’anello di congiunzione tra servizi e ambiente dell’estrema destra e forse non casualmente è uno dei detenuti per i quali, utilizzando la convenzione di cui abbiamo ampie informazioni, è stato chiesto di conoscere frequentazioni, comunicazioni telefoniche e così via. Ci sembra che l’ombra di questa destra non sia episodica, ma un elemento strutturato nel rapporto deviato tra politica e mafia: su questo può offrirci un approfondimento ? Inoltre, un altro punto più specifico riguarda le denunce a mezzo stampa del dottor Cicero, presidente di un ente regionale, mi sembra fosse l’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive (IRSAP). Denunce che poi avrebbe dovuto approfondire anche con la procura della Repubblica assumendo che dei parlamentari regionali in carica risultano non soltanto legati, ma in qualche modo anche referenti e garanti di pezzi di cosa nostra. Su questo, se lo ritiene, può offrirci qualche elemento in più, eventualmente anche segretando la seduta ? L’ultimo punto si collega per necessità, nell’intero perimetro dei nostri ragionamenti, con le ultime esternazioni di Toto Riina che ci sono arrivate dal carcere, di cui abbiamo avuto notizia a mezzo stampa sulla vicenda del citofono di casa Borsellino: qual è la vostra valutazione ? È un millantato credito ? Un tentativo di inserire un altro elemento distorsivo della realtà ? Come lo considerate alla luce di tutte le cose che Salvatore Riina ha detto e ha fatto sapere durante questi mesi di detenzione ?
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Data la complessità, inizierei dal tema generale dei rapporti tra mafia e politica. Sul tema della destra eversiva chiederò di intervenire al collega Teresi, che ha specificamente esaminato quest’aspetto, Cattafi, la convenzione e così via, ma dovremmo passare in modalità segreta. Delle denunzie del presidente Crocetta e dell’ipotizzata presenza di parlamentari regionali potrà occuparsi il collega Agueci. Credo di poter dire io qualcosa a proposito delle esternazioni di Totò Riina, specialmente in relazione a quest’ultimo aspetto, ma credo che il tema dovrà essere affrontato dal collega Nino Di Matteo, che ne ha una conoscenza particolare, pur trovandosi nella singolare situazione di essere al tempo stesso anche parte offesa. Posta questa suddivisione, inizierei genericamente dal tema di mafia e politica, che è stato sempre scottante nella vita pubblica siciliana e nelle indagini di mafia. Il punto è che, ovviamente, la mafia ha sempre avuto un notevolissimo peso elettorale, ha una forza elettorale difficile da stimare, ma che ammonta probabilmente a centinaia di migliaia di voti che possono essere mobilitati. Nella nostra banca dati, abbiamo un elenco di almeno 5 mila soggetti rapportati a cosa nostra in varia forma, appartenenti direttamente, concorrenti esterni, collusi, soggetti cosiddetti avvicinati. Molte di queste persone vivono nella società civile, in mezzo a noi, hanno a loro volta circuiti familiari piuttosto intensi e hanno un’attività di lavoro: lascio immaginare quale forza elettorale siano in grado di mobilitare. È difficile pensare che questo possa non avere alcun peso nella politica. Più in dettaglio, abbiamo avuto alcune condanne di politici regionali, in particolare l’ultima in appello dopo una sentenza di assoluzione in primo grado, dell’ex assessore regionale Antinoro, una sempre per voto di scambio di un altro politico regionale. Sono ben conosciuti i casi dei due presidenti della regione. L’indagine Lombardo non appartiene a noi, ma alla procura di Catania. Tuttavia, l’infiltrazione – che è già un termine piuttosto Pag. 5leggero – della mafia nelle strutture pubbliche si apprezza con molta evidenza nell’inquinamento della vita politica locale, cioè i comuni. Già solo l’elenco di tutti i comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, di quelli candidati allo scioglimento e di quelli per i quali sono in corso le attività conoscitive, che porteranno probabilmente a una proposta di scioglimento, dà un’idea di come la vita politica locale sia inquinata dalla mafia. Mi si obietterà che in fondo il fatto che la mafia si infiltri in un comune ha poca importanza. Questo è vero fino a un certo punto. I comuni veicolano somme abbastanza rilevanti in termini di lavori pubblici, frazionate in piccole quote e in piccole tranche, ma tali da assicurare all’impresa mafiosa un certo reddito. I comuni, soprattutto, vivono a contatto con la gente comune, con le persone. Attraverso questo contatto la mafia condiziona, in realtà, il modo di vivere e di rapportarsi della collettività. È un tipo di infiltrazione pericolosissimo. Vediamo in tutte queste indagini che ogni comune ha il suo bravo gruppo mafioso, che ha un pacchetto di voti e lo distribuisce a suo piacimento, determinando l’elezione o la non elezione di determinati soggetti. Purtroppo, lo scioglimento del comune non risolve il problema. Finito, infatti, il periodo della gestione commissariale, sopportato come una periodica iattura, il gruppo mafioso riprende nuovamente il controllo, fa eleggere un nuovo sindaco incensurato, assolutamente insospettabile, una faccia pulita come si suol dire, e la vicenda riprende. Questo è un problema con cui tutte le commissioni antimafia, per quanto ne abbia memoria, si sono confrontate. L’attuale normativa sullo scioglimento dei consigli comunali è valida, anche se forse andrebbe ancora più rafforzata e incrementata – l’ipotesi già esiste – estendendo l’intervento anche ai semplici dipendenti a seguito di scioglimento del comune. Sapete benissimo e, anzi, siete voi a insegnarcelo, che è in corso la modifica del 416-ter, in sé una norma irrealistica, tanto che ha prodotto pochissimi processi e pochissime condanne, che però, se emendata, come è stato richiesto e mi pare che i lavori parlamentari siano in questo senso, potrà avere una utile refluenza. Consentirà, infatti, di colpire situazioni che oggi, invece, non è possibile colpire. La lotta contro la cattiva politica e l’infiltrazione della mafia nella politica è una frontiera. Non la risolveremo certamente oggi o domani. Si tratta di avere cognizione dell’ampiezza del fenomeno e di operare in conseguenza. Questo è quanto posso dire. Se dovesse servire un più specifico elenco di casi particolari nei quali si è constatata l’influenza mafiosa, abbiamo l’arresto di vari sindaci di vari comuni del distretto nel quale operiamo, l’arresto di consiglieri comunali, di assessori. Sotto il profilo della constatazione di comuni che erano assolutamente nelle mani della mafia, possiamo anche inoltrarvi una relazione su quest’aspetto, ma il pericolo esiste. Su destra eversiva, Falange armata e così via, col permesso del presidente, cederei la parola al collega Vittorio Teresi.
VITTORIO TERESI, procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Ringrazio il presidente e tutti i commissari per l’invito a poter chiarire e discutere di queste vicende. In merito alla sollecitazione del vicepresidente Fava a proposito dell’interferenza, se capisco bene, che può avere ancora oggi un’ipotesi di attività della destra eversiva in cose di mafia, oltre al fatto che tradizionalmente i rapporti e le vicende più eclatanti delle stragi mafiose affondano nel passato – i rapporti tra destra eversiva e mafia sono ormai storia giudiziaria consolidata in varie sentenze passate in giudicato – abbiamo il marchio di fabbrica, come pure è stato evocato dal vicepresidente Fava, della Falange armata, apparentemente la sigla di un gruppo eversivo di estrema destra, ma che si caratterizza perché è comparsa in alcuni episodi eclatanti estremamente significativi del periodo della trattativa, per intenderci, quindi dalla fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta in poi. La Falange armata rivendica numerosissimi atti, che poi hanno una connotazione mafiosa, l’omicidio Lima, l’omicidio Guazzelli, le Pag. 6stragi. Non c’è dubbio che siano episodi che hanno una componente esecutiva mafiosa ormai riconosciuta universalmente. Non c’è dubbio, però, neanche che questa sigla in qualche modo leghi i due mondi, da ultimo con un’acquisizione processuale. Dovremmo passare, se il presidente consente, alla modalità segreta.
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.
LEONARDO AGUECI, procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Non credo di dire cosa originale constatando che cosa nostra ha un interesse diretto volto a interferire su tutta la destinazione delle risorse economiche pubbliche, in particolare quelle che confluiscono nell’economia siciliana, almeno per la nostra esperienza. Sono fenomeni noti da sempre, che negli ultimi tempi, specialmente in relazione all’atteggiamento certamente diverso rispetto al passato dato dall’attuale amministrazione regionale, ha comportato sicuramente dei contraccolpi. Certamente, non competono a noi valutazioni di tipo politico all’attività della giunta presieduta dall’onorevole Crocetta e dalle strutture che la compongono, ma un dato di fatto chiaro e palese è il diverso rapporto instaurato da quest’amministrazione con le istituzioni giudiziarie di polizia. Il numero di informazioni, di denunzie che ci sono pervenute è cresciuto in modo esponenziale e ha dato vita a un numero complesso di indagini, che in molti casi hanno avuto anche dei riscontri positivi, dato vita a procedimenti in alcuni casi già definiti nella fase delle indagini preliminari e che hanno riguardato aspetti di infiltrazione o di presunta ipotizzata infiltrazione mafiosa sulle strutture e sull’organizzazione pubblica regionale, in particolare sugli enti erogatori di risorse. Qui si viene al riferimento all’IRSAP dell’onorevole Fava. Ovviamente, in presenza di questi fenomeni, cosa nostra non sta a guardare. È, peraltro, un momento in cui anche all’interno di cosa nostra vi sono delle esperienze di riassetti che hanno la loro influenza netta anche sull’intervento nella distribuzione e assegnazione di risorse, sia a livello di risorse regionali o gestite direttamente dalla regione, sia, come prima ricordava il procuratore dalla Repubblica, per quello che riguarda tutti questi fenomeni a livello locale, di amministrazione di comuni e di consorzi comunali. Abbiamo degli esempi investigativi in questo senso. Per tornare a noi, vi sono delle risposte da parte di cosa nostra che si manifestano anche attraverso fenomeni intimidatori, oltre a quello cui accennava l’onorevole Fava, ma ricordo le denunzie di un altro esponente politico locale, l’onorevole Forzese, che già si è presentato in più di un’occasione alla procura della Repubblica denunziando fatti intimidatori inquietanti attualmente oggetto di indagini. Il momento è quello di una dispersione di risorse, accompagnato oltretutto dalla constatazione che l’uso indebito delle risorse pubbliche nazionali ed europee negli ultimi anni è stato un fenomeno estremamente elevato. Abbiamo condotto negli ultimi anni parecchie inchieste, anche di una certa rilevanza, che hanno evidenziato come dato comune l’assoluta deviazione delle risorse pubbliche dalle finalità a cui erano previste e il loro indirizzo verso finalità eminentemente private. Tutto ciò ha visto certamente partecipe cosa nostra e abbiamo dei segnali in questo senso. Il nostro sforzo è di approfondire tutto questo attraverso l’evidenza di fatti specifici, episodi e persone che possono essere coinvolte in questo senso. Per ora siamo a livello dei fenomeni, appunto, rappresentati anche dalla presenza di alcuni fatti di intimidazione cui prima si è accennato. Avendo preso la parola sul punto, vorrei far presente – mi permetto di sottolinearlo in questa sede – che la risposta più importante, a nostro avviso, rispetto a questi fenomeni e alla presenza immanente e incombente di cosa nostra sulla vita pubblica locale, ma non solo, è di lanciare dei messaggi al cittadino, all’utente, all’interlocutore della pubblica amministrazione: si può ottenere la Pag. 7tutela dei propri diritti e dei propri interessi senza bisogno di ricorrere a scorciatoie, come quella classica rappresentata da cosa nostra. Occorre – cerchiamo di farlo per la nostra parte – che il rapporto tra il cittadino e le istituzioni si svolga attraverso canali di maggiore fiducia e di dialogo reciproco. Vi sono dei fenomeni, anche se non sempre chiari, univoci in questo senso. Mi preme sottolineare, come già la volta scorsa ha fatto il procuratore generale, che la legge Severino in questo senso non ci ha aiutato e non ci aiuta. Sotto questo profilo, la legge, che peraltro ha profili estremamente rilevanti, come vediamo nella sua applicazione pratica, nel momento in cui isola la figura del destinatario di un particolare tipo di concussione, ossia la cosiddetta concussione per induzione, dal contesto di denunzie, di collaborazione nei confronti dell’autorità giudiziaria e lo affianca all’autore del reato, certamente fa a mio avviso un grosso favore a chi intende mantenere il sistema di malaffare cui ho accennato. Forse è opportuno che provi a spiegarmi meglio. La legge Severino ha distinto la concussione rappresentata dalle minacce dirette nei confronti del soggetto passivo da quelle rappresentate da consigli più o meno bonari, più o meno effettuati con il sorriso o, comunque, con atteggiamento amichevole, ma che comunque hanno sempre un certo significato: se si vuole ottenere una certa prestazione pubblica, bisogna adoperarsi per ungere gli ingranaggi. Tutto questo, che la vecchia disciplina ha sempre ritenuto come episodio di concussione, in cui il privato era considerato soggetto passivo, vittima, quindi persona che poteva rivolgersi agli organi di polizia o alla giustizia come soggetto passivo, con la riforma operata dalla legge Severino rende questa particolare figura concorrente nel reato, persona quindi che, una volta che si accerta essere stata destinataria di condotte di questo genere, diventa concorrente nel reato, a sua volta sottoposta a indagini e a processo. Oltretutto, non è stata prevista alcuna disposizione di tipo premiale, che in qualche modo potesse escludere la punibilità per le persone che si presentavano a denunziare determinati fatti all’autorità giudiziaria. Il risultato di tutto questo è evidente: il privato che si trova protagonista di vicende del genere si guarda bene dal rivolgersi alle istituzioni ed è, invece, portato a stringere un’alleanza sempre più stretta con il suo interlocutore nell’ambito del malaffare, e quindi indirettamente a restare sempre legato al contesto mafioso, spesso il vero artefice e burattinaio di operazioni del genere. È una constatazione che già da circa un anno, dall’entrata in vigore della legge Severino, trova una serie di rappresentazioni concrete che credo siano motivo di riflessione particolarmente importante in questa sede.
GIUSEPPE LUMIA. Prima di addentrarmi a mia volta nelle classiche questioni che abbiamo affrontato anche la volta scorsa, vorrei porre stamattina alcune domande sull’attualità. Vorrei chiedervi notizie sulla presenza della mafia in tre settori significativi della vita della città di Palermo: il porto, il mercato ortofrutticolo e un settore delicato e importante come quello dei distributori di carburante. In particolare, mi si segnala la presenza straripante dei Giuliano e vorrei qualche notizia a questo proposito: su questi nodi nevralgici esiste un’attività della DDA in corso ? Che risultati, eventualmente, ha dato ? Inoltre, vorrei approfondire, per capire le difficoltà e la tenuta strutturale di cosa nostra nella sua organizzazione, quanto sta avvenendo nella provincia di Palermo e nell’importante retrovia della provincia di Agrigento. Sempre sull’attualità, ci avete detto di un elenco – non ricordo se era segretato, quindi non cito il numero – di possibili boss o famiglie in grado di raccogliere il messaggio di Riina sulle minacce al dottor Di Matteo e a voi magistrati: esiste una particolare attenzione su Badagliacca, su Sansone, su Mandalà, sui Guzzino, figure ancora presenti sul territorio, alcuni per fine pena, e che sono in grado ancora di avere un certo prestigio all’interno della vita di cosa nostra ?Pag. 8
Quanto ai problemi che abbiamo affrontato sino adesso e la vicenda 41-bis, antica e attualissima, ci avete parlato già la volta scorsa del famoso protocollo farfalla o come si voglia definirlo: vorrei che su questo vi soffermaste un po’ di più per capire bene il tipo di penetrazione, anomala in questo caso.
I servizi, naturalmente, devono avere un carattere anomalo nelle loro procedure, ma mi riferisco all’essere anomale nel senso di esterne ai canoni previsti dalla stessa legge: dalle vostre indagine sulla trattativa avete potete offrire segnali, fatti alla valutazione della Commissione parlamentare antimafia per capire, al di là dei dati che anche qui abbiamo accertato dei 41-bis, se ci sia stata anche di recente, nei fine anni Duemila, un’interlocuzione deviata, sbagliata utilizzando, appunto, il protocollo Farfalla ?
Abbiamo sentito che non esiste un protocollo Farfalla, ma un certo protocollo c’è, anche se non chiamato Farfalla. Abbiamo notato anche una certa contraddizione tra quanto dichiarato qui da noi, in Commissione antimafia, e qualche dichiarazione negli approfondimenti che avete svolto: vorremmo che su questo si fosse un po’ più precisi, in modo che la Commissione possa accertare anche che chi viene qui lo faccia con spirito collaborativo, potremmo dire anche veritativo visti i poteri della Commissione parlamentare antimafia.
Inoltre, sempre in relazione al 41-bis, nelle intercettazioni di cui ci avete parlato in fase di segretazione su Riina, vorrei capire bene soprattutto all’inizio chi ne fosse informato, quali forze di polizia le hanno svolte, se esistesse anche un’informazione che rimaneva dentro il circuito carcerario, che coinvolgeva anche il direttore del carcere. Vorrei capire bene in mano a chi si trovasse l’avvio di quest’attività. È un altro fatto molto importante che ci aiuta a comprendere il grado di collaborazione e di permeabilità che abbiamo ancora oggi all’interno del circuito carcerario.
È importante per la Commissione parlamentare antimafia perché sulla trattativa che avvenne prima della strage di via D’Amelio la Commissione ha acquisito molto materiale e potrebbe anche formarsi un’idea abbastanza completa – non si finisce mai di imparare – mentre è interessante il lavoro che state svolgendo su quello che prima era considerato un tabù, una possibile trattativa anche prima della strage di Capaci, e quindi una fase della trattativa.
In queste varie fasi, c’è anche da risalire alla vicenda ancora per molti versi non chiara dell’attentato dell’Addaura delle famosi menti raffinatissime, secondo l’espressione di Falcone: avete individuato alcuni soggetti e vorrei capire se, oltre agli apparati del ROS, a Subranni e al resto su cui sino adesso si è lavorato, per cui ci sono notizie ormai abbastanza chiare, esistesse anche un coinvolgimento di altri filoni, come abbiamo detto, più legati al Ministero dell’interno, alla Polizia stessa.
Vorrei comprendere bene come interloquivano questi vari filoni. Erano in competizione ? In integrazione ? In questa fase delle trattative c’era una ricerca di egemonia anche all’interno degli apparati investigativi in rapporto con i livelli istituzionali o c’era un’integrazione ? È importante capire le varie fasi in modo che possiamo comprendere il grado di pervasività che cosa nostra era in grado di attivare nel rapporto con i livelli istituzionali del nostro Paese.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Cercherò di fornire, insieme con i colleghi che di volta in volta chiamerò a dare il loro contributo, una risposta soddisfacente ai numerosi quesiti che sono stati posti, pur rendendomi conto che alcuni di essi necessiterebbero di ripercorre vicende estremamente complesse, come in generale la vicenda della trattativa. Pregherei il senatore Lumia, eventualmente, di puntualizzare qualche circostanza su cui chiede ulteriori approfondimenti qualora la nostra illustrazione non dovesse essere esauriente.
Cominciamo dai fatti tutto sommato più semplici, le notizie sulla presenza della Pag. 9mafia in determinati contesti economici. Saremo tutti d’accordo che la mafia non disdegna nessuna attività economica. Potenzialmente, non ne esiste nessuna che sia indenne dalla mafia. Si tratta di volta in volta storicamente di spostarsi dall’uno all’altro contesto secondo le convenienze e i momenti.
Attraverso le nostre indagini, abbiamo individuato un’importante attenzione della mafia al settore, che può sembrare marginale, ma che tale non è, dei distributori di benzina. I profili sono due. Uno è quello dell’intestazione fittizia di queste strutture a soggetti non mafiosi incensurati o con lievi pregiudizi penali che le gestiscono nell’interesse dei mafiosi. Un primo fattore di arricchimento, quindi, è il controllo di questo mercato attraverso personaggi perbene.
Soprattutto, però, abbiamo individuato un contesto, arrivando a definirlo attraverso normali indagini svolta dalla Guardia di finanza sulla regolarità dell’erogazione della benzina, la cui partenza è stata abbastanza modesta, in tono minore: ci siamo resi conto che la distribuzione della benzina troppo spesso avviene in condizioni di irregolarità attraverso un semplicissimo meccanismo che può essere attivato con un semplice impulso e che trucca le colonnine della benzina segnando più benzina di quanta ne sia stata erogata, e quindi potendo locupletarsi della differenza. Questo è un semplice meccanismo che, ripetuto tante volte durante la giornata, i mesi e gli anni, può fruttare moltissimo. Credo di averlo detto l’altra volta, ma un solo distributore può rendere anche 150.000 euro in un anno puliti, puliti per modo di dire, da cui l’interesse della criminalità mafiosa.
Abbiamo individuato vari distributori riferibili alla famiglia Graviano. Si è fatto riferimento a Giuliano. C’è un contesto di soggetti direttamente mafiosi, appartenenti alle famiglie o, comunque, gravitanti in quest’ambito che sono detentori o gestori di fatto di numerosi di questi distributori.
Molti sono stati i sequestri preventivi. Siamo abbastanza avanti con le procedure di rinvio a giudizio e di celebrazione del dibattimento, ma vi invito a riflettere sul fatto che, tutto sommato, è un’attività a costo vicino allo zero per la mafia, che sequestrare un distributore non significa recare un danno definitivo alla famiglia mafiosa. Un distributore, infatti, non è nulla, ma solo una superficie di terreno che può essere anche in affitto, le colonnine sono in comodato d’uso, a chiunque si presenti è concessa la fornitura della benzina. Sequestrato un distributore e sottratto alla famiglia mafiosa, nulla vieta di aprirne un altro in un’altra zona e di ricominciare. È un gioco a guardie e ladri che, ovviamente, ci impegna, ma abbiamo scoperto questi meccanismi. Naturalmente, valorizziamo tutti gli elementi investigativi che emergono nelle indagini, le dichiarazioni dei pentiti e così via.
La vicenda del porto è più complessa. Possiamo, ovviamente, approfondire quanto la Commissione lo ritiene, ma trattandosi di vicende di grande complessità, non so quanto possa essere utile in un simile contesto di tempo.
Nella vicenda del porto soprattutto emerge, oltre che il protagonismo di determinati esponenti mafiosi, la presenza di cooperative, come l’abbastanza nota Newport, largamente infiltrate da soggetti appartenenti alla famiglia Galatolo o ad altre famiglie dell’Acquasanta, cioè in prossimità del porto per motivi di contiguità territoriale.
Queste cooperative detenevano – sono state sottoposte ad amministrazione giudiziaria – il monopolio di tutte le attività portuali in forza di un certo riferimento a leggi antecedenti modellate sulla compagnie portuali, formate dai lavoratori portuali. Queste leggi sono state trasferite in applicazione a queste cooperative, che sono tali solo per modo di dire perché sono formate da una pluralità di soggetti, ma in sostanza chi comanda sono determinati personaggi, che si trovano nell’invidiabile posizione di gestire in regime di monopolio tutte le attività del porto di Palermo e non solo quelle.
Abbiamo anche accertato, attraverso le indagini della DIA, che la Newport e altre società a essa riferibili hanno concessioni Pag. 10di grande importanza in vari porti italiani e anche del Mediterraneo, cioè ci troviamo in presenza di una concentrazione notevole di potere da questo punto di vista. Ripeto, se richiesti, possiamo fornire i dettagli, ma credo che andremo molto avanti.
Per il mercato ortofrutticolo, delle indagini di prevenzione hanno portato a ingenti sequestri condotti dalla DIA. Dobbiamo sempre tenere presente il doppio binario che si stabilisce tra le indagini propriamente su reati e indagini di prevenzione che consentono di arrivare a risultati notevoli.
L’infiltrazione mafiosa nel porto e nel mercato ortofrutticolo e nei distributori è un fatto assolutamente conclamato. Peraltro, per il mercato ortofrutticolo è quasi tralaticio, tradizionale, ma comunque è emerso ancora una volta.
Della tenuta strutturale di cosa nostra si era già parlato la volta scorsa: non si vedono, da questo punto di vista, segni imminenti di cedimento. Per una serie di motivi, tra cui il rapido turnover di esponenti mafiosi che soggiornano in carcere per pochi anni, escono e riprendono la loro attività, le strutture portanti delle famiglie e dei mandamenti mafiosi sono indebolite, ma non sono vinte neanche per sogno. Constatiamo il nuovo inserimento di soggetti che escono dal carcere e, ovviamente, ambiscono a riprendere le loro posizioni di comando.
Vi avevo anticipato di un recente omicidio di mafia, che non a caso ha colpito un soggetto, nella zona di Palermo est – dividiamo in due parti, per ragioni di comodità investigative alla DDA di Palermo, Palermo est e Palermo ovest – che verosimilmente è stato ucciso perché ambiva ad arrivare al vertice dell’organizzazione scalzando altri esponenti di lungo. Questi, dopo aver scontato pene detentive temporanee, erano di nuovo sul mercato.
È chiaro che si tratta soltanto di un’ipotesi, i dati investigativi dovranno essere validati, come speriamo, ma è altrettanto chiaro che questi altri soggetti, proprio per non essere scalzati, abbiano determinato l’omicidio di questo tale. È un ritorno, una specie di verificarsi continuo, di avvitarsi circolare del modo di procedere mafioso nella gestione di questi affari, come si rileva nella provincia di Palermo.
Per quanto riguarda la provincia di Agrigento, come avevo preannunziato, ho portato qui, dato che il collega Scalia si trovava impossibilitato a venire, una relazione breve ma abbastanza completa. La provincia di Agrigento nel contesto mafioso ha una tipologia e una caratteristica diversa da quella di Palermo. È stata sempre una mafia più primitiva, se così possiamo dire, ma anche più agguerrita, radicata nel territorio, per frazioni però separate: i mandamenti di Agrigento operano ognuno per conto loro e sono distanti tra loro, non ci sono comunicazioni. È, quindi, una mafia agguerrita, primitiva, violenta, di entità separate, che raramente riconoscono un unico referente.
Nel territorio di Agrigento si sono verificati pentimenti di notevole importanza, tra cui quello di Di Gati Maurizio, e arresti, anche fuori dal territorio agrigentino, di pericolosissimi latitanti storici, come Gerlandino Messina e Falsone, che hanno in un certo senso azzerato la situazione dei latitanti. Sono elementi di estrema pericolosità. Gli omicidi, però, ci sono stati. Purtroppo, vado a grandi linee, ma non credo di poter fare diversamente. Sono pronto, però, agli approfondimenti e, eventualmente, potremmo trasmettere formalmente questa relazione.
Ovviamente, non posso annoiarvi con la lettura di tutto. Conosciamo tutta la struttura della mafia di Agrigento, i mandamenti, le famiglie mafiose, a grandi linee gli esponenti più importanti. In un mandamento di Sambuca di Sicilia, dove il Sutera Leo ha avuto un momento di celebrità perché le sue vicende si sono incrociate con quelle della cattura di Matteo Messina Denaro, abbiamo la famiglia di Palma di Montechiaro. Sono in grado di fornirvi tutti gli elementi per quanto riguarda la provincia di Agrigento, ma bisogna vedere quali sono di specifico interesse.Pag. 11
Ho segnato qui un elenco di soggetti in grado di raccogliere i messaggi essendo liberi per fine pena. Potenzialmente, sono tutti quelli che, dopo pene detentive di non grande entità, sono stati rimessi in circolazione. Tra questi, segnaliamo da ultimi, come dirà meglio, se ritiene, succintamente il collega Agueci, ci sono proprio coloro che sono rientrati e che ambiscono alla successione del D’Ambrogio Alessandro, che si candidava a capo della mafia palermitana, ma che è stato arrestato e che ora si cerca di sostituire.
Ovviamente, monitoriamo tutte queste situazioni e, non appena possibile, avviamo delle nuove attività investigative. Il quadro ci è chiaro, ma altro è avere un quadro chiaro, altro degli elementi investigativi validi.
Quanto al 41-bis e al protocollo Farfalla, credo che su questo punto potrà riferire, sempre succintamente, il collega Vittorio Teresi. Sul quel protocollo le notizie in nostro possesso sono parzialmente divergenti. Qui potremmo andare, se possibile, in modalità segretata.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CLAUDIO FAVA
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. A grande linee, nella trattativa, come sappiamo, abbiamo individuato una prima fase…
GIUSEPPE LUMIA. Scusi presidente, in merito al 41-bis c’è un punto di continuità tra quello che abbiamo discusso del protocollo Farfalla, l’imputato nel processo qua a Roma e la gestione delle dichiarazioni di Riina del direttore di Milano: anche su quest’aspetto gradiremmo ulteriori dettagli per comprendere se esista una continuità o una discontinuità nei fatti.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Sempre a grandi linee, il funzionario che allora sarebbe stato partecipe o, comunque, interessato da questo protocollo è lo stesso direttore di Opera, che quindi si è trovato presente nella vicenda di Totò Riina e, peraltro, destinatario di minacce da parte di Totò Riina. È un’identità soggettiva, poi ognuno può argomentare le conseguenze che possiamo trarre, ma la domanda più interessante che il senatore Lumia aveva posto mi sembra quella del rapporto tra investigazioni e personale carcerario, molto interessante ad esempio nel nostro caso.
A effettuare le intercettazioni è stata la DIA su nostra delega, che però chiaramente si avvale, come sempre avviene, di ditte private che hanno le microspie e tutto quanto serve. A parte questo, è evidente che, in un ambiente chiuso e in sé definito come l’ambiente carcerario, non è pensabile che si possano effettuare delle intercettazioni senza che il personale carcerario sia quasi necessariamente non solo consapevole, ma anche coinvolto.
Inoltre, il personale carcerario è quello che assiste ai colloqui dei 41-bis con i familiari e ne annota i temi principali, colloqui che comunque sono anche registrati a fini amministrativi indipendentemente dalle nostre intercettazioni. La presenza del personale di Polizia penitenziaria a queste attività, quindi, è oserei dire imponente. Non sono attività che si possono compiere senza la partecipazione del personale di Polizia penitenziaria o senza la sua consapevolezza.
Non saprei dire se questo sia un fatto positivo o negativo, comunque è ineliminabile finché la struttura degli istituti penitenziari dovrà, come deve, essere questa. L’identità soggettiva del direttore è un fatto oggettivo – perdonate il bisticcio – ma da questo non saprei quali argomentazioni trarre.
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GIUSEPPE LUMIA. Chi ha curato la trascrizione ? Sin dall’inizio ? Sempre ? Mai ?
FRANCESCO MESSINEO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. L’intercettazione si articola nelle seguenti forme: nel luogo è collocata la microspia, che raccoglie i segnali e li veicola al nostro server e con ascolto remoto anche negli uffici della polizia. Forse i tecnici possono essere più utili.
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Vorrei passare in modalità segretata.
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Sto facendo riferimento ad alcune dichiarazioni dibattimentali rese dal collaboratore Di Carlo alle udienze di qualche settimana fa, nelle quali dava conto del fatto che, prima del tentato attentato all’Addaura, quindi poco prima del giugno-luglio 1989, si trovava detenuto presso un carcere in Inghilterra e lì era stato avvicinato da personale dei servizi italiani ed inglesi.
Ricevette in quell’occasione dal funzionario che individua nel dottor La Barbera pressanti inviti a fornire il nominativo di qualcuno a Palermo con cui La Barbera o i Servizi potessero entrare in contatto per un’operazione di allontanamento del dottor Falcone, del tipo promoveatur ut amoveatur, tentativo che in qualche modo assecondò fornendo il nominativo di Nino Salvo, che poi ebbe evidentemente una sorte non felice, ma di fatto si passò all’attentato all’Addaura.
Una delle preoccupazioni di cosa nostra di quel periodo – stiamo parlando dei piani altissimi di cosa nostra – era già di liquidare il dottor Falcone perché si rendeva conto che era colui che stava comunque annodando i fili interrotti di vari rapporti istituzionali, economici, finanziari di Cosa nostra. È, quindi, un tentativo, prima, soft e, in seguito, attraverso l’azione violenta.
In questo momento, possiamo parlare direi neanche di trattativa, se non nel senso molto esteso del termine, ma certamente di accordi ancora una volta attraverso il mondo di cosa nostra e un mondo istituzionale o paraistituzionale che interferisce all’interno delle carceri anche con detenuti come Di Carlo in Inghilterra.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI
FRANCESCO MESSINEO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Il senatore voleva sapere di eventuali fatti antecedenti alla strage di Capaci riferibili alla trattativa. Li indicherei, ma con riserva da parte del collega Di Matteo eventualmente di convalidare questa mia esposizione, proprio nell’omicidio Lima, nel panico diffuso tra certi esponenti politici siciliani nella loro ricerca, appunto, di forme di protezione impropria e non attraverso gli organismi statali ma in forme diverse, e quindi nell’avvio di quella che abbiamo individuato come trattativa per effetto di questa campagna di intimidazione attraverso l’uccisione dell’onorevole Lima.
Quel fatto doveva essere soltanto il primo movimento di un più vasto disegno, di una campagna di eliminazione di quegli esponenti politici che, dopo avere formulato promesse, in sostanza non erano stati in grado di bloccare il maxi processo nella fase della Cassazione. Se vogliamo, quindi, questo è il primo movimento di questo vasto disegno, che poi si concretizza successivamente nei contatti dei carabinieri con Ciancimino, con il ministero della giustizia alla ricerca, come è detto esplicitamente, di una sponda politica o qualcosa del genere e poi nell’evoluzione successiva.
Il personale del ministero dell’interno, se così vogliamo definirlo, compare nelle Pag. 13indagini, ad esempio con l’anomalo protagonismo del dottor La Barbera, indicato mi pare anche come soggetto referente dei Servizi, appartenente ai Servizi. Forse dobbiamo nuovamente segretare.
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende la seduta pubblica.
ANTONINO DI MATTEO, sostituto procuratore presso il tribunale di Palermo. La ricostruzione è questa: il primo momento forse importante è quello di una riunione con Graviano, il suo dante causa anche nei precedenti attentati, che il collaboratore Spatuzza colloca a fine 1993 nel paesino della provincia di Palermo Campofelice di Roccella.
Spatuzza dichiara di essersi lamentato in quella circostanza con Graviano perché l’azione stragista stava portando a morti che, per usare la loro espressione, non appartenevano a Cosa nostra. Il riferimento era al bambino morto in via dei Georgofili, ai 5 morti nell’attentato di via Palestro a Milano, cioè morti che non erano nemici di Cosa nostra, e quindi in questo senso non le appartenevano, ma erano più che altro il frutto di una campagna di tipo terroristico più che terroristico-mafiosa.
Sempre secondo Spatuzza, a quest’affermazione Graviano avrebbe risposto lo Spatuzza non ne capiva tanto di politica, che quei morti servivano, che avrebbero portato a dei benefìci notevoli per tutta l’organizzazione e, in particolare, per i carcerati. Addirittura, andava organizzato un attentato ulteriore ai Carabinieri, non alle forze dell’ordine, a Roma.
Dopo un poco, ancora nelle dichiarazioni di Spatuzza, quando cominciano a muoversi, gli arriva l’ulteriore ordine da Graviano che l’attentato doveva avere modalità particolarmente violente e portarsi dietro almeno 50-100 morti dei Carabinieri, cioè essere particolarmente violento anche rispetto a quello che avevano fatto, ma Spatuzza avrebbe dovuto aspettare, per passare alla fase esecutiva, l’ok definitivo di Graviano.
Spatuzza parla di un incontro che si sarebbe verificato 4-5 giorni prima del 23 gennaio al bar Doney, lo stesso nel quale, sempre secondo le dichiarazioni di Spatuzza, il Graviano manifesta una particolare soddisfazione, fa riferimento a Berlusconi e Dell’Utri e, parlando della vicenda di Campofelice di Roccella, alla situazione che si era chiusa e all’utilità di quei morti.
Uscendo dal bar Doney, Spatuzza accompagna Graviano a Torvaianica, dove c’erano gli altri che dovevano fare anche l’attentato dell’Olimpico, e Spatuzza chiede se a quel punto l’attentato si dovesse fare. Sembrerebbe, infatti, fosse diventato inutile. Graviano si sarebbe espresso nel senso che dovevano per infliggere il colpo di grazia e perché si erano mossi in quei giorni anche i loro amici calabresi.
In effetti, il 18 gennaio 1994 si era verificato un omicidio in danno di due carabinieri vicino Villa San Giovanni, in quegli stessi giorni. Graviano lo attribuisce all’esecuzione della stessa strategia, quindi l’incontro del bar Doney precede e non segue il fallito attentato dell’Olimpico.
Come si sottolineava, 4 giorni dopo sono arrestati i fratelli Graviano. A questo punto, sarebbe importante accertare, così com’è importante accertare perché è iniziata la strategia stragista, non soltanto a parere nostro ma anche dei giudici di Firenze, che questo interrogativo si sono posti e hanno consacrato anche nelle loro sentenze definitive, come mai la strategia stragista finisca.
Come nella sua domanda ha, a mio parere, molto esaustivamente premesso, non ci sono più attentati. L’attentato si sarebbe potuto ripetere, non c’è stato un contrordine, secondo Spatuzza, che ci dice che sì i fratelli Graviano erano stati arrestati, ma l’ordine rimaneva potenzialmente esecutivo e non solo: rimanevano ancora latitanti coloro che, assieme ai fratelli Graviano, erano stati i principali Pag. 14protagonisti di tutta la fase delle stragi del continente, ossia Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro.
Fatto sta, continua Spatuzza, un soldato, un esecutore, che quell’ordine non fu più attualizzato e, al contrario, si passò a una vicenda delittuosa che a Spatuzza stava particolarmente a cuore e che, invece, Graviano aveva bloccato asserendo che c’erano cose più importante da fare, per fortuna il fallito attentato al collaboratore di giustizia Contorno. Naturalmente, mi riferisco sempre e soltanto alle fasi dibattimentali: lo Spatuzza collega i nominativi di Berlusconi e Dell’Utri nelle parole del Graviano a una chiusura «positiva» della trattativa.
Penso sia nota anche giornalisticamente la questione della cosiddetta tardività delle dichiarazioni dello Spatuzza. Queste dichiarazioni, con il riferimento nominativo ai due esponenti, Berlusconi e Dell’Utri, sono state rese dallo Spatuzza che aveva parlato dell’incontro con Graviano al bar Doney nei primi 180 giorni, ma il riferimento contenutistico e nominativo a questi due soggetti è successivo ai 180 giorni benché sia stato ribadito in numerosi dibattimenti, e quindi nei rispettivi dibattimenti utilizzabile.
Lo Spatuzza sostiene che questo ritardo parziale era dovuto al suo timore di incorrere in un trattamento da un punto di vista amministrativo deteriore sotto il profilo del mancato accoglimento della richiesta di protezione, che in effetti si verificò in un primo momento. La commissione centrale che delibera i programmi di protezione per i collaboratori, proprio censurando la tardività di queste dichiarazioni, in un primo momento rigettò il programma di protezione. Lo Spatuzza ricorse al tribunale amministrativo regionale del Lazio, che accolse il ricorso e, solo in esito a questa procedura giudiziaria, la commissione lo ammise al programma speciale di protezione.
Lui sostiene che già nel corso dei colloqui investigativi del 1997 o del 1998 con gli allora esponenti della procura nazionale antimafia, per carità senza citare fatti precisi – all’epoca non collaborava – aveva dato un input di stare particolarmente attenti a quei personaggi perché avevano avuto dei rapporti con l’organizzazione mafiosa.
In ogni caso, effettivamente, secondo il racconto Spatuzza, quel periodo di gennaio è pieno di avvenimenti e, soprattutto, si conclude sostanzialmente con la mancata ripetizione di un attentato che, come sapete benissimo, non era stato scoperto né erano stati scoperti gli autori, ma che di fatto non fu più perpetrato, per fortuna, dopo l’arresto dei Graviano.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Il senatore Gotor aveva posto all’inizio una domanda nella parte generale delle sue domande. Non è forse una domanda, ma una considerazione: diceva del ruolo della politica e dei vertici del ROS nello spostare l’attenzione dai politici ai magistrati.
MIGUEL GOTOR. Eventuale.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Sì, eventuale, appunto. Qui siamo, appunto, in ipotesi, analisi e nulla di certo.
Non abbiamo elementi per affermare che vi sia stata una intenzionale attività diretta a spostare l’attenzione della mafia o la violenza mafiosa dai politici ai magistrati e che, addirittura, quest’attività possa fare capo a organi istituzionali.
È probabile che, non trovando la strada dei politici – la violenza mafiosa in un certo senso fu fermata, secondo la nostra posizione, dall’inizio della trattativa, che mise i politici in salvo per il momento dalla continuazione della politica stragista della mafia – si aprì la fase della violenza nei confronti di magistrati particolarmente invisi alla mafia per la loro attività istituzionale e che non erano, invece, coperti da queste attività della trattativa, Falcone prima, Borsellino dopo.
Peraltro, il fatto che la strage nei confronti di Borsellino sia stata effettuata con accelerazione delle relative attività perché Pag. 15aveva scoperto l’esistenza della trattativa e vi si opponeva o, comunque, si era messo per traverso rispetto a essa, è stato più volte affermato dalla procura di Caltanissetta con argomenti ai quali, ovviamente, non posso che rinviare.
Ricordiamo ancora l’incontro di Borsellino con il ROS nella caserma dei Carabinieri a Palermo e la sua risposta a quanto gli veniva comunicato dalla Ferraro circa, appunto, l’attività o l’iperattivismo dei Carabinieri del ROS.
Tutti questi dati potrebbero anche sostanziare l’ipotesi che l’aggressione ai magistrati fosse collegata alla trattativa che, invece, aveva messo in salvo i politici, ma onestamente non mi sembra di poter andare più avanti su questa strada. Oltretutto, il discorso è riservato alle analisi e all’attività di Caltanissetta.
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CLAUDIO FAVA
ENRICO BUEMI. Non mi addentro nella profondità dei ragionamenti affrontati dai colleghi e neanche chiedo ai magistrati presenti che si facciano passi in una direzione che, francamente, non compete, almeno dal mio punto di vista, a questa Commissione.
Vorrei, invece, capire un po’ un aspetto tecnico perché spesso nel particolare si insinua la risposta al problema più generale. In relazione alla questione delle trascrizioni – ovviamente, non mi rivolgo alla procura di Palermo, ma in generale – è una questione che dalle mie conoscenze si presenta a interpretazioni dubbie dal punto di vista di chi lo fa, cosa trascrive e i rapporti che ci sono tra le ditte che svolgono quest’attività e il prodotto finale.
Ho notizia che in alcune realtà queste società sono gestite da titolari che sono casalinghe o poco di più e che i rapporti di lavoro prescindono quasi totalmente dal diritto del lavoro. Non parlo di lavoro nero, ma potremmo essere in questa realtà.
Una problematica di questo genere si presta a tutte le interpretazioni, a tutti gli interventi. Vorrei capire se, dal punto di vista della vostra esperienza, avete svolto qualche verifica puntuale su queste questioni. Lì si può annidare qualche problema senza voler coinvolgere organi dello Stato o altri, tra l’altro organi dello Stato che hanno il compito di agire con una certa riservatezza.
Inoltre, abbiamo colto una problematica del reinserimento del condannato che, espiata la pena, riprende la posizione funzionale nella sua organizzazione: dal vostro punto di vista, quali potrebbero essere le misure, per personalità di rilievo, nel contrasto del fenomeno nel suo insieme, eccetto quella che qualche collega ha adombrato in Commissione giustizia, cioè di dare a tutti l’ergastolo ?
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Un po’ radicale. Siccome si tratta di notazioni generali, risponderò io.
Il sistema delle intercettazioni, a parte il caso specifico di Riina, dove c’è stato questo elemento tecnico che ha imposto la registrazione in loco, normalmente si basa, come abbiamo detto, sull’invio di questo segnale al nostro server, la remotizzazione alla polizia giudiziaria, che ascolta e trascrive. La trascrizione trasmessa a noi non è opera della ditta, che si limita semplicemente a fornire in mezzi tecnici per la captazione.
Questo avviene perché il ministero, purtroppo, non dispone di mezzi tecnici propri né delle particolari professionalità necessarie per far funzionare questi mezzi e allora è necessario fare ricorso a ditte private sul libero mercato, ma ripeto che la trascrizione che utilizziamo è opera della polizia giudiziaria e, comunque, non è poi neanche quella sulla base della quale il giudice deciderà, dal momento che a sua volta di solito fa eseguire una perizia ai Pag. 16fini dell’utilizzazione. Sull’affidabilità delle trascrizioni rispetto al dato fonetico, quindi, se non ci fidiamo della polizia giudiziaria, non so proprio di chi dovremmo.
Parliamo dell’affidabilità delle ditte, che abbiamo detto operano sul libero mercato. Non conosciamo gli interna corporis delle ditte. Non si tratta, peraltro di rapporti contrattuali di appalto. Non negoziamo un appalto con la ditta che si occupa dell’intercettazione, ma un incarico di ausiliario della polizia giudiziaria, che è cosa diversa, incarico peraltro non negoziabile e non rifiutabile. Non contrattiamo sull’importo del corrispettivo perché abbiamo un nostro prezziario: o accettano quello o non si fa nulla e normalmente lo accettano. In queste condizioni, l’unico dato è quello dell’affidabilità.
Anche sotto questo profilo, siamo obbligati a fidarci di ciò che viene detto dalla polizia giudiziaria, cioè esigiamo dalla polizia giudiziaria un giudizio preventivo di idoneità e di affidabilità della singola ditta. Generalmente, le varie forze di polizia lavorano più volentieri con determinate ditte e non con altre e in questo campo sarebbero pericolosissime delle imposizioni.
Esiste, infatti, un problema delicatissimo di rapporti di collaborazione. Pensate a quello che serve, talvolta, per inserire una microspia per un’intercettazione ambientale in un’abitazione o in un’autovettura con particolari sistemi di allarme. Deve esserci un rapporto di fiducia, altrimenti va tutto male.
L’affidabilità della ditta, quindi, ci viene attestata dalla polizia giudiziaria. Ovviamente, tutte le volte che rileviamo un’anomalia, interveniamo con tutta la necessaria energia. Ricordo vagamente un caso in cui risultava che la SIM card di una telecamera era stata asportata, come si scoprì, da un appartenente a un’altra ditta: ovviamente, abbiamo fatto seguito con le necessarie iniziative giudiziarie, ma si tratta veramente di casi sporadici.
Non abbiamo mai avvertito il sospetto che le ditte possano agire al di fuori del loro compito. In qualche caso, le ditte sono più efficienti e l’ascolto e la qualità della registrazione è più valida, in altri non avviene, ma a mio avviso questa è l’alea anche di ciò che avviene. In ogni caso, ci atteniamo alle regole e ci affidiamo alla polizia giudiziaria per la verifica della correttezza della ditta.
Certo, se indagassimo anche sulla struttura di queste ditte, probabilmente ci troveremmo in molti casi degli ex appartenenti alle forze di polizia che, avendo una certa esperienza, trovano utile monetizzarla; in altri casi, potremmo forse trovarci di fronte a queste realtà, che comunque non necessariamente rinviano a un quadro di illecito. Il vero titolare della ditta non ha interesse a esporsi.
ENRICO BUEMI. Scusi, procuratore, forse è un mio limite, ma non ho compreso se le ditte hanno o possono avere la disponibilità del contenuto, seppure temporaneamente, o meno.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. In linea di massima, certo. Se, infatti, impiantano le microspie, gli impianti per la registrazione, è chiaro che, volendo, possono disporre del materiale, ma non legalmente. Non devono fare altro che da tramite.
ENRICO BUEMI. Dal punto di vista tecnico, però, sono in condizione di avere il contenuto.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Sì. Il problema è che il loro incarico non è questo, tranne in questo caso della registrazione perché lì hanno avuto proprio fisicamente a disposizione il…
ENRICO BUEMI. … come la famosa intercettazione di «abbiamo una banca».
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pag. 17Palermo. Lo so, ma l’illecito non può essere il metro valutativo di un sistema. Può essere dovunque.
ENRICO BUEMI. Qualche volta l’illecito dà la risposta più plausibile all’interrogativo che ci poniamo.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. È un sistema pieno di trappole. Può avere un fortissimo interesse disporre di una notizia di questo genere, quindi è un sistema pieno di sabbie mobili, non è sicuro, non ci muoviamo tranquillamente. Cerchiamo di contemperare vari interessi, tra cui massimamente quello all’indagine sui reati di mafia, che senza le intercettazioni sarebbe assolutamente impossibile, ma il pericolo è dietro l’angolo.
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Nella fisiologia, la ditta, una volta installati gli apparati, scompare, non è più presente fisicamente nelle operazioni di intercettazione né in quelle di trascrizione. Interviene laddove, per esempio, una microspia dovesse funzionare male e si debba sostituirla, ma non partecipa alle operazioni di registrazione audio, video o trascrizioni. Questo è il dato.
ENRICO BUEMI. La ditta partecipa all’operazione coperta di inserimento della microspia ?
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Sì, certo.
ENRICO BUEMI. È, quindi, consapevole.
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Sa che esiste l’intercettazione.
ENRICO BUEMI. Sa dove ha posizionato.
VITTORIO TERESI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. Sì, ma non dispone del contenuto delle intercettazioni.
ENRICO BUEMI. Non in maniera lecita.
PRESIDENTE. Sta dicendo che potrebbe intercettare le intercettazioni.
ENRICO BUEMI. Chi ha messo la microspia conosce il dato tecnico dell’operazione, cioè le frequenze e così via – le conosce se mette il sistema di trasmissione – è più facilitato.
FRANCESCO MESSINEO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Non possiamo escludere che abbia un grosso vantaggio, ma credo che, normalmente, le cose vadano in maniera diversa, pur non potendo escludere.
Lei ha posto una seconda domanda a proposito dei mezzi per evitare il reinserimento dei boss mafiosi appena liberati. Abbiamo articolato una proposta un po’ più ristretta di quella di dare l’ergastolo a tutti, che mi lascia un po’ perplesso. Ciò avviene perché, in termini di articolo 81, cioè di continuazione, le pene irrogate la seconda e la terza volta per lo stesso reato di associazione mafiosa diventano ridicole, si attenuano per il meccanismo della continuazione fino a scomparire quasi.
Abbiamo formulato la proposta di stabilire un minimo edittale insuperabile, che dovrebbe essere da un terzo a metà della pena massima stabilita. Quando, cioè, si commette il secondo reato, il giudice può mettere il reato in continuazione, ovviamente, ma la pena da irrogare non è a suo arbitrio, come avviene attualmente, che si riduce di molto, bensì non dovrebbe scendere al di sotto di un terzo o, come a mio avviso, di metà della pena massima edittale, una misura consistente, che impedirebbe questa specie di porta girevole per cui dal 416-bis si entra e si esce tranquillamente dopo 2, 3, nel migliore dei casi, ma è più vicino a 3, 4 anni.Pag. 18
È chiaro che, se rimettiamo in circolazione il boss mafioso non colpito dalla pena dell’ergastolo, dopo 3 anni otteniamo il rientro in sede, la pretesa di comandare di nuovo, e quindi l’eventuale omicidio.
ANDREA VECCHIO. La mia è una domanda brevissima. Riina è in carcere da oltre 20 anni e le intercettazioni sono cominciate ad agosto del 2013, mentre era già da diversi mesi in regime di socializzazione con questo soggetto: qual è stato lo spunto dal quale siete partiti per disporre l’intercettazione, la motivazione ?
FRANCESCO MESSINEO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Lo spunto è stato il fatto che Totò Riina aveva manifestato, dopo silenzi granitici di questi 20 anni, in cui non c’era stata nessuna manifestazione apprezzabile, ma soltanto dinieghi, ironie, secondo cui non c’entrava lui ma altri, delle manifestazioni ed espresso delle considerazioni a un appartenente alla polizia penitenziaria che prestava servizio accanto a lui e che diligentemente aveva riferito ai suoi superiori, e quindi a noi.
Da queste manifestazioni, a noi era sembrato di poter intravedere una determinazione o una disposizione d’animo di Totò Riina a uscire dal suo isolamento e a parlare almeno al pubblico. Non potevamo ipotizzare che un Totò Riina si pentisse – neanche per sogno – ma che avesse voglia di raccontare la sua versione, qualcosa di se stesso e del contesto generale. Questo fatto nuovo – avevamo anche ipotizzato la possibilità che Totò Riina rompesse il suo silenzio in udienza, come non è avvenuto – ci ha spinto a determinare queste intercettazioni nel contesto della socialità.
Prima non lo avevamo fatto per il semplice motivo che con un Totò Riina granitico – ovviamente, ascoltavamo i colloqui con i familiari, spia molto importante – che non parlava neanche con se stesso, non ammetteva niente neanche con se stesso, ci era sempre sembrata una fatica, un’attività inutile. In seguito, abbiamo investito mezzi e tempo in quest’attività.
PRESIDENTE. Mi permetta una curiosità. In questi mesi, qual è stato il suo atteggiamento in dibattimento quando la notizia ormai era di pubblico dominio ?
FRANCESCO MESSINEO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Ho partecipato ad alcune udienze: distaccato, sempre presente, interrompendo solo per uscire per le terapie che gli praticano. È, infatti, in condizioni di salute non ottimali. Benché insista nel dichiararsi in perfette condizioni, infatti, non è così in realtà, ha una serie di patologie.
È stato sempre molto presente, molto attento, ma assolutamente distaccato, senza dare mai segno di voler intervenire.
PRESIDENTE. Propongo la disattivazione dell’impianto audio.
Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti. Domani ci sarà l’audizione della dottoressa Del Balzo, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Napoli, del dottor La Malfa, della sezione misure di prevenzione del tribunale di Bari, e a seguire l’ufficio di presidenza.
Dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 20.35.