Processo su trattativa non sarebbe mai dovuto iniziare, giustizia usata per altri obiettivi”, parla l’avvocato Manes

 

 

La storia non si lascia giudicare in un aula di giustizia, perché il processo penale ha ad oggetto fatti ricostruiti secondo prove, ed accertati al di là di ogni ragionevole dubbio”, afferma l’avvocato Vittorio Manes che ha assistito in Cassazione il generale Mario Mori insieme a Basilio Milio ed il colonnello Giuseppe De Donno insieme a Francesco Romito.

Avvocato Manes, pensa che sia stata una forzatura far entrare quanto accaduto in quegli anni nel codice penale?
Si è inteso portare in giudizio la storia, sostituendosi agli storici, secondo una molto opinabile ipotesi ricostruttiva che poi è diventata una martellante narrazione mediatica, frutto di congetture, suggestioni, supposizioni, dietrologie complottistiche, teoremi. I fatti, con la loro esasperante ostinatezza, sono sempre gli argomenti più testardi, ed alla fine hanno prevalso – anche grazie al notevole lavoro dei colleghi sia dalla fase di merito – smentendo la grande narrazione della trattativa tra le istituzioni dello Stato e Cosa nostra.

In questa vicenda il processo penale ha allora avuto altri fini?
Nel processo Trattativa, ciò che sorprende, o inquieta, e l’utilizzo della giustizia penale come strumento di scopo, per arrivare ad un certo risultato, assumendo che un determinato accadimento sia – per qualche convincimento personale – meritevole di censura per poi ricercare una qualche fattispecie penale che sia utile allo scopo, utilizzandola come una specie di ‘guache’ dilatata ed adattata per aggiungere il risultato che si intende perseguire. E mi riferisco proprio alla contestazione dell’articolo 338 del codice penale. Ma l’interpretazione e l’applicazione delle norme penali non è il letto di Procuste, altrimenti diventa un esperimento di anarchia giuridica. In altri termini, Questo modo di procedere rispecchia un rovesciamento metodologico ed epistemologico rispetto alle logica consueta e corretta del processo penale, che dovrebbe sempre partire da un fatto precisamente riconducibile ad una fattispecie punitiva per verificarne, scrupolosamente, la consistenza probatoria.

Un tema questo già affrontato dal professor Giovanni Fiandaca.
Si. Fiandaca, grande maestro del diritto penale, lo aveva avvertito con la consueta lucidità e rigore, e alla fine credo che la Cassazione gli abbia dato ascolto. Se si ribalta questa logica il giudice – e prima di lui il pubblico ministero – si sostituisce alla legge, piegandola ai propri fi ni. Ed è l’eclissi della separazione dei poteri e dello stato di diritto.

Comunque non si può non essere soddisfatti per l’esito del processo.
Sembrerebbe un lieto fine, ma c’è ben poco di lieto e, temo, non sarà la fine di questa storia, che proseguirà in altre forme visto che si sono già levate le prime voci critiche che – paradossalmente – rivendicano solo adesso la diversità dei criteri di giudizio tra diritto penale e ricostruzione storica. Proprio per questa ragione un processo come questo non sarebbe mai dovuto iniziare, in uno stato di diritto rispettoso delle regole e ai principi.

 

Paolo Comi — 29 Aprile 2023 IL RIFORMISTA 

 

 


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