SENTENZA DEPISTAGGIO – La Procura si appella: Sentenza da censurare. Un “copia e incolla di precedenti sentenze”, contraddizioni, “profili illogici”.

 

Presentato l’appello contro la sentenza di primo grado

“È dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage del 19 luglio 1992, costata la vita al giudice Paolo Borsellinoe alla sua scorta, anche di soggetti estranei all’associazione mafiosa Cosa nostra, affermazione che non può nemmeno essere messa in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali”. Le prove del coinvolgimenti di soggetti estranei alla mafia sarebbero la “tempistica della strage che non coincide con gli interessi della consorteria mafiosa e la strana presenza di appartenenti al servizio di sicurezza attorno alla vettura blindata del magistrato negli attimi immediatamente successivi all’esplosione”.“Contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, la valutazione complessiva delle risultanze probatorie offre un quadro estremamente chiaro delle motivazioni che hanno spinto il dottor La Barbera a commettere gli abusi e i gravi illeciti (accertati con sentenze passate in giudicato) nella conduzione delle indagini sulla strage di via d’Amelio; da un lato certamente anche la finalità di carriera ma soprattutto la necessità di mantenere le indagini su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che ‘Cosa nostra’ ha avuto nella ideazione e nell’esecuzione della strage di via d’Amelio e con ambienti esterni alla stessa”.

Sentenza da censurare

“L’impugnata sentenza é certamente da censurare per le conclusioni alle quali è pervenuto il tribunale con riferimento all’accertamento della responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti, alla valutazione del ruolo di Arnaldo La Barbera e delle finalità del medesimo perseguite con l’illecita attività di inquinamento probatorio nella conduzione delle indagini sulla strage di via d’Amelio e, infine, alla comunicabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa degli imputati”.

“La lettura della sentenza” di primo grado sul depistaggio Borsellino emessa nel luglio 2022, “manifesta le evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell’imponente materiale probatorio acquisito nel corso del processo”. “E la spia di tale difficoltà la si ricava, oltre che da un estenuante ricorso al ‘copia e incolla’ delle precedenti sentenze che hanno definito i processi già celebrati per l’accertamento delle responsabilità per la strage di via d’Amelio, da contraddizioni e profili di illogicità che talvolta la motivazione presenta in occasione dell’analisi di aspetti fondamentali per il thema probandum”. La Procura, molto dura con il tribunale nisseno, parla anche di “vizi del ragionamento che sono conseguenza di una parcellizzazione del quadro probatorio offerto e di una scelta di semplificazione consistente nell’adagiarsi, nonostante gli elementi di novità acquisiti nell’ambito del presente procedimento, alle conclusioni già raggiunte dai giudici del ‘Borsellino quater’ su circostanze rilevanti per l’accertamenti delle responsabilità penali”.

“Gli elementi probatori acquisiti nel presente procedimenti, a conferma delle valutazioni formulate nei precedenti processi, hanno consentito di fare luce sulle gravi violazioni di legge imputabili agli appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino, nel corso della gestione di Scarantino”, il falso pentito di mafia. E spiegano che l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, nel frattempo deceduto, “ha agito deviando le indagini sulla strage di via d’Amelio per mantenerle su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che Cosa nostra ha avuto nella ideazione della esecuzione della strage con ambienti esterni alla stessa”. Secondo i pm le “argomentazioni del tribunale” “presentano evidenti profili di criticità”

“il Tribunale ha errato nell’escludere la sussistenza dell’aggravante mafiosa” a carico dei tre poliziotti imputati nel processo depistaggio Borsellino.

“Il collegio ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante in via principale in considerazione della mancanza della prova che Arnaldo La Barbera (l’ex capo della Mobile, morto ndr) abbia agito con la finalità di agevolare l’attività di Cosa nostra e comunque, anche prescindendo da tale argomentazione, per la mancanza della prova della conoscenza da parte degli imputati della finalità perseguita dal correo”.

L’Agenda Rossa di Paolo Borsellino

“Il movente della sottrazione di un reperto così importante” come l’agenda rossa di Paolo Borsellino “da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via d’Amelio”

“I comportamenti tenuti dal dirigente della Squadra mobile” Arnaldo La Barbera “risultano eccessivamente sospetti e inducono ragionevolmente a ipotizzare un ruolo del dottor La Barbera per la sottrazione dell’agenda rossa”, scrive la procura.

Le risultanze probatorie del processo depistaggio Borsellino “hanno consentito di acclarare con assoluta certezza episodi di indottrinamento posti in essere da Arnaldo La Barbera e da Mario Bo“. “In occasione di ciascuno dei due interrogatori del 16 settembre e del 28 ottobre 1994 – dicono i pm – risultano documentati accessi del dottor Bo nel carcere di Palliano, dove era detenuto il collaboratore Andriotta”. Poi ribadiscono “il numero elevato di colloqui investigativi con Scarantino” che “evidenziano un costante modus operandi del dottor La Barbera e dei suoi fedelissimi funzionari caratterizzati dall’uso dei colloqui investigativi e degli accessi in strutture carcerarie per istruire i falsi collaboratori”.

 “la chiave di lettura alle incomprensibili condotte e reazioni del dottor La Barbera su questa specifica vicenda allora non può essere altra che quella del mantenimento delle indagini all’interno del ‘perimetro’ mafioso della strage”.

 

 

Depistaggio Borsellino: “Hanno coperto i mandanti esterni”

«E’ dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage del 19 luglio 1992 , costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, anche di soggetti estranei all’associazione mafiosa ‘Cosa nostrà, affermazione che non può nemmeno essere messa in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali».

La Procura fa appello

Lo Procura di Caltanissetta insiste nell’appello alla sentenza sul depistaggio delle indagini sull’attentato di via D’Amelio. Il processo si è concluso con la dichiarazione di prescrizione del reato di calunnia aggravato contestato ai poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei e l’assoluzione del terzo poliziotto imputato, Michele Ribaudo.

Non solo la mafia

Per la Procura le prove del coinvolgimenti di soggetti estranei alla mafia sarebbero la «tempistica della strage che non coincide con gli interessi della consorteria mafiosa e la strana presenza di appartenenti al servizio di sicurezza attorno alla vettura blindata del magistrato negli attimi immediatamente successivi all’esplosione».

«La valutazione complessiva degli elementi non lascia dubbio sulla esistenza di cointeressenze con centri di potere esterni alla mafia nella deliberazione della strage di via D’Amelio e nella successiva partecipazione alle fasi esecutive di appartenenti ad apparati istituzionali», proseguono i pm. Secondo la Procura inoltre il depistaggio delle indagini sull’attentato, che portò all’incriminazione di innocenti e che è stata contestata ai tre imputati, è imputabile al dottor La Barbera (allora capo del pool che indagava poi deceduto ndr) e ha avuto come finalità principale proprio quella di occultare le responsabilità esterne. Un ragionamento che, secondo i pm, contrasta con la ricostruzione della sentenza di primo grado che esclude che La Barbera abbia agito per favorire i boss e che porta alla esclusione dell’aggravante anche per i poliziotti imputati e alla conseguente prescrizione dei reati a loro contestati.

Il ruolo di La Barbera

«La fotografia del dottor La Barbera che le risultanze probatorie ci consegnano» secondo i magistrati è quella «di un ufficiale di polizia giudiziaria in realtà legato mani e piedi al servizio segreto civile, contrariamente a quanto sostenuto in maniera incomprensibile dal tribunale».

 

Sentenza primo grado copia e incolla

«La lettura della sentenza manifesta le evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell’imponente materiale probatorio acquisito nel corso del processo. E la spia di tale difficoltà si ricava, oltre che da un estenuante ricorso al COPIA E INCOLLA delle precedenti sentenze che hanno definito i processi già celebrati per l’accertamento delle responsabilità per la strage di via D’Amelio, da contraddizioni e profili di illogicità che talvolta la motivazione presenta» hanno scritto ancora i pm di Caltanissetta nei motivi d’appello alla sentenza di primo grado.

 

La Procura parla di «vizi del ragionamento che sono conseguenza di una parcellizzazione del quadro probatorio offerto e di una scelta di semplificazione consistente nell’adagiarsi, nonostante gli elementi di novità acquisiti nell’ambito del presente procedimento, alle conclusioni già raggiunte dai giudici del ‘Borsellino quater’ su circostanze rilevanti per l’accertamento delle responsabilità penali».  LA SICILIA 19.5.2023


Depistaggio Borsellino: “Hanno coperto i mandanti esterni”

Un atto d’appello duro, nella forma e nella sostanza. Il procuratore della Repubblica di Caltanissetta e il sostituto Maurizio Bonaccorso è certa della colpevolezza degli imputati del processo sul cosiddetto “depistaggio” nelle indagini sulla strage di via D’Amelio. Nell’eccidio del 1992 morirono Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Lo scorso luglio il Tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritto il reato di calunnia aggravato contestato ai poliziotti Mario Bo e Luigi Mattei e ha assolto il terzo poliziotto imputato, Ribaudo. A fare scattare la prescrizione il fatto che non è stata contestata l’aggravante di avere agevolato Cosa Nostra.

“Evidenti difficoltà”

I pubblici ministeri parlano di “evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell’imponente materiale probatorio”. La spia di tale difficoltà “la si ricava, oltre che da un estenuante ricorso al copia e incolla delle precedenti sentenze, da contraddizioni e profili di illogicità che talvolta la motivazione presenta, vizi nel ragionamento conseguenza di una parcellizzazione del quadro probatorio e di una scelta di semplificazione consistente nella adagiarsi alle conclusioni già raggiunte dai giudici del Borsellino quater”.

Perché furono imbeccati i falsi pentiti, su tutti Vincenzo Scarantino? Secondo il Tribunale, Arnaldo La Barbera, il superpoliziotto che guidava Gruppo investigativo specializzato Falcone-Borsellino,voleva fare carriera e non c’è la prova che fosse un concorrente esterno all’associazione mafiosa.

“Non solo per fare carriera”

Ed invece secondo i pm, “la valutazione complessiva delle risultanze probatorie offre un quadro estremamente chiaro delle motivazioni che hanno spinto il dottor La Barbera a commettere gli abusi e i gravi illeciti nella conduzione delle indagini sulla strage di via D’Amelio: da un lato certamente anche la finalità di carriera ma soprattutto la necessità di mantenere le indagini su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che Cosa Nostra ha avuto nella ideazione e nelle esecuzione della strage con ambiente esterni alla stessa”.

Il passaggio successivo è ancora più chiaro: “Il depistaggio ha contribuito a non intaccare i rapporti di collusione di Cosa Nostra con quegli ambienti istituzionali cointeressati e coinvolti nella esecuzione della strage, rapporti essenziali per la sopravvivenza e rafforzamento della consorteria mafiosa“.

“Totale adesione al disegno criminale”

I poliziotti sotto processo – La Barbera è deceduto – godevano della piena fiducia del capo. I pubblici ministeri si chiedono perché gli “operatori di polizia giudiziaria hanno accettato di commettere gravissimi reati, tra cui le violenze fisiche subite dai collaboratori di giustizia per indurli a mentire e i suggerimenti per riempire i verbali delle bugie infine smentite da Gaspare Spatuzza.
La risposta “non può in alcun modo essere limitata ad una semplice finalità di carriera per l’evidente sproporzione esistente tra l’eventuale scopo perseguito e la gravità delle condotte illecite poste in essere”. I poliziotti non solo erano “consapevoli” del piano di La Barbera, la loro sarebbe stata “una totale adesione al disegno criminale perseguito“.

Riccardo Lo Verso  19


 

Depistaggio Borsellino, l’appello dei pm: “Agenda rossa sottratta in via D’Amelio per sviare le indagini”

 

A scriverlo, nei motivi di appello del processo, sono il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e Maurizio Bonaccorso: “I comportamenti tenuti dal dirigente della Squadra mobile, Arnaldo La Barbera, risultano eccessivamente sospetti”

“Il movente della sottrazione di un reperto così importante” come l’agenda rossa di Paolo Borsellino “da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via D’Amelio”. A scriverlo, nei motivi di appello del processo depostaggio Borsellino, sono il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e il pm Maurizio Bonaccorso.

I comportamenti tenuti dal dirigente della Squadra mobile” Arnaldo La Barbera “risultano eccessivamente sospetti e inducono ragionevolmente a ipotizzare un ruolo del dottor La Barbera per la sottrazione dell’agenda rossa. Se realmente la spinta psicologica del dottor La Barbera nell’azione illecita che ha portato alla creazione di tre falsi collaboratori di giustizia – dicono i pm – fosse stata soltanto quella di ‘potere mantenere e accrescere la propria posizione all’interno della Polizia di Stato’, come ritiene il tribunale, allora si sarebbe dovuto assistere a iniziative e comportamenti totalmente diversi, con sforzi investigativi orientati a cercare di fare luce anche sul mistero dell’agenda rossa”. Per la Procura “La chaive di lettura alle incomprensibili condotte e reazioni del dottor La Barbera su questa specifica vicenda allora non può essere altra che quella del mantenimento delle indagini all’interno del ‘perimetro’ mafioso della strage”.
Nei motivi di appello del processo depistaggio Borsellino il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e il pm Maurizio Bonaccorso scrivono: “Singolari anomalie in occasione di alcune telefonate effettuate dal falso pentito Vincenzo Scarantino mentre era a San Bartolomeo al Mare dopo avere collaborato con la giustizia”. E spiegano: “A fronte di circa 280 eventi telefonici verso utenze in uso ai familiari e al difensore di Scarantino non vi sono state anomalie nel funzionamento del registratore”, invece “in occasione di due chiamate verso il numero 091-210101” cioè il telefono fisso della Questura di Palermo “si sono verificate due anomalie”. Così come anomalie si sarebbero riscontrate nella chiamate verso la pm Annamaria Palma. I pm parlano di “imbarazzante comportamento processuale” degli “appartenenti del gruppo Falcone e Borsellino” in aula.

Le risultanze probatorie del processo depistaggio Borsellino, scrivono, “hanno consentito di acclarare con assoluta certezza episodi di indottrinamento posti in essere da Arnaldo La Barbera e da Mario Bo. In occasione di ciascuno dei due interrogatori del 16 settembre e del 28 ottobre 1994 – dicono i pm – risultano documentati accessi del dottor Bo nel carcere di Palliano, dove era detenuto il collaboratore Andriotta”. Poi ribadiscono “il numero elevato di colloqui investigativi con Scarantino” che “evidenziano un costante modus operandi del dottor La Barbera e dei suoi fedelissimi funzionari caratterizzati dall’uso dei colloqui investigativi e degli accessi in strutture carcerarie per istruire i falsi collaboratori”.

“L’esistenza del rapporto di fiducia conferma ulteriormente non solo la consapevolezza ma una totale adesione” dei tre imputati del processo depistaggio Borsellino “al disegno criminale perseguito da Arnaldo La Barbera”. Nel luglio 2022 il tribunale di Caltanissetta aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante aveva determinato la prescrizione del reato di calunnia. “Per tali ragioni il tribunale ha errato a escludere la sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa”.

fonte Adnkronos 19.5.2023

 


Processo Borsellino, depositati i motivi di appello. “Depistaggio per coprire ambienti estranei alla mafia”

Un “copia e incolla di precedenti sentenze”, contraddizioni, “profili illogici”. Usano parole durissime il procuratore capo Salvatore De Luca e il pm Maurizio Bonaccorso, per appellare la sentenza di primo grado sul depistaggio Borsellino che, dopo aver escluso l’aggravante mafiosa, ha dichiarato prescritte le accuse di calunnia contestate ai poliziotti Maurizio Bo e Fabrizio Mattei e assolto Michele Ribaudo.
I tre, tutti membri del pool investigativo di Arnaldo La Barbera, sono accusati insieme al dirigente, morto da tempo, di aver “costruito” a tavolino i verbali del pentito Vincenzo Scarantino, come dei collaboratori Salvatore Candura eFrancesco Andriotta, imbeccandoli e costringendoli ad accusare della strage persone poi rivelatesi innocenti. Un depistaggio che per anni ha impantanato le indagini e che per la procura di Caltanissetta è stato mirato a proteggere ambienti esterni a Cosa Nostra, come i corleonesi coinvolti nell’omicidio del giudice e della sua scorta.
“E’ dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage del 19 luglio 1992 anche di soggetti estranei all’associazione mafiosa ‘Cosa nostra’, affermazione – sottolineano i magistrati nel ricorso – che non può nemmeno essere messa in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali”.

“Sentenza di primo grado dai profili illogici e con vizi di ragionamento”

Per i giudici di Caltanissetta però La Barbera si sarebbe mosso solo per motivi di carriera, i suoi non sarebbero stati a conoscenza dei suoi piani e gli elementi di prova non sarebbero stati sufficienti a provare l’aggravante di aver agevolato Cosa Nostra, da qui la prescrizione delle accuse per due degli imputati e l’assoluzione del terzo. Un errore clamoroso che merita di essere corretto in appello per la procura di Caltanissetta, che ha chiesto l’applicazione in secondo grado del pm Maurizio Bonaccorso, che ha rappresentato l’accusa in primo grado dopo l’addio del pm Stefano Luciani, oggi a Roma, e dell’aggiunto Gabriele Paci, oggi a Trapani.
Nella sentenza di primo grado, si legge nelle novantotto pagine di motivi di ricorso presentate, ci sono “vizi del ragionamento che sono conseguenza di una parcellizzazione del quadro probatorio offerto e di una scelta di semplificazione consistente nell’adagiarsi, nonostante gli elementi di novità acquisiti nell’ambito del presente procedimento, alle conclusioni già raggiunte dai giudici del ‘Borsellino quater’ su circostanze rilevanti per l’accertamento delle responsabilità penali”.

Depistaggio per proteggere soggetti esterni a Cosa Nostra

Il materiale per ricostruire cosa sia davvero successo c’è, sottolineano dalla procura. “Gli elementi probatori acquisiti nel presente procedimenti, a conferma delle valutazioni formulate nei precedenti processi, hanno consentito di fare luce sulle gravi violazioni di legge imputabili agli appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino, nel corso della gestione di Scarantino”.
E l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, nel frattempo deceduto, non ha agito semplicemente perché ciecamente determinato a fare carriera, come ha sostenuto il tribunale, ma “deviando le indagini sulla strage di via D’Amelio per mantenerle su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che Cosa nostra ha avuto nella ideazione ed esecuzione della strage con ambienti esterni alla stessa”.
Di questo la sparizione dell’agenda rossa sarebbe una prova cardine. “Il movente della sottrazione di un reperto così importante da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa – sottolineano i magistrati – non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via D’Amelio”.

Lavoro di squadra

Per i pm, i comportamenti di La Barbera sono stati “eccessivamente sospetti e inducono ragionevolmente a ipotizzare un ruolo nella sottrazione dell’agenda rossa” e l’unica chiave di lettura possibile “alle incomprensibili condotte e reazioni del dottor La Barbera su questa specifica vicenda allora non può essere altra che quella del mantenimento delle indagini all’interno del ‘perimetrò mafioso della strage”. Per questo la costruzione del pentito Scarantino è stata fondamentale e non ci sono dubbi – sottolineano i magistrati che sia stato indottrinato da Bo e La Barbera.
“In occasione di ciascuno dei due interrogatori del 16 settembre e del 28 ottobre 1994 – dicono i pm – risultano documentati accessi del dottor Bo nel carcere di Palliano, dove era detenuto il collaboratore Andriotta”. Poi ribadiscono “il numero elevato di colloqui investigativi con Scarantino” che “evidenziano un costante modus operandi del dottor La Barbera e dei suoi fedelissimi funzionari caratterizzati dall’uso dei colloqui investigativi e degli accessi in strutture carcerarie per istruire i falsi collaboratori”.
“L’esistenza del rapporto di fiducia conferma ulteriormente non solo la consapevolezza ma una totale adesione” dei tre imputati del processo depistaggio Borsellino “al disegno criminale perseguito da Arnaldo La Barbera”. LA REPUBBLICA 19.5.2022

 

 

 

BORSELLINO: “Su strage convergenze interessi Cosa nostra e ambienti esterni” – Sentenza processo depistaggio depositate le motivazioni

 

 

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