L’appetito delle mafie sui fondi del Pnrr, sistema economico e Pa ancora troppo permeabili

Relazione Dia: “Criminalità agisce in silenzio ed ha affinato la capacità d’infiltrazione nel tessuto produttivo

L’ultima relazione presentata dalla Direzione Investigativa Antimafia al Parlamento conferma la tendenza, rilevata ormai da diversi anni, del generale inabissamento dell’azione delle consorterie mafiose più strutturate che hanno raggiunto un più basso profilo di esposizione. Si tratta di un profilo particolarmente insidioso proprio in ragione dell’apparente e meno evidente pericolosità. Lo dimostra il fatto che, nel corso della sua trentennale latitanza conclusa con la cattura il 16 gennaio 2023, il boss trapanese Matteo Messina Denaro abbia continuato a curare i propri interessi economici proprio grazie ad una fitta rete di complicità e connivenze.
Le mafie, oggi, preferiscono agire con modalità silenziose, affinando e implementando la capacità d’infiltrazione del tessuto economico-produttivo anche avvalendosi delle complicità di imprenditori e professionisti, di esponenti delle istituzioni e della politica formalmente estranei ai sodalizi e quindi “non sospettabili”.
Un’indubbia capacità attrattiva è rappresentata dai progetti di rilancio dello sviluppo imprenditoriale nella fase post-pandemica e dall’insieme di misure finalizzate a stimolare la ripresa economica nel Paese alimentate anche da finanziamenti europei tramite i noti fondi del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, il Pnrr.
Fondi che arrivano a seguito della pandemia, periodo di forte riduzione di alcuni reati come rapine e furti, a cui però non si è accompagnata una simile riduzione dei reati contro la Pubblica amministrazione, che nel 2021, in Sicilia, ha registrato un incremento di circa l’8% che raggiunge il picco del 32% circa per quanto riguarda i reati di corruzione. Allo stesso tempo, si contano ventinove comuni al momento affidati a una commissione straordinaria a causa d’infiltrazioni mafiose. Affidamenti spesso legati a infiltrazioni nell’aggiudicazione degli appalti.
Risulta evidente che “il contrasto alle mafie, oggi caratterizzate da modelli imprenditoriali che alterano le dinamiche economiche, la libera concorrenza e l’ambiente, deve sempre più ispirarsi ad una migliore tutela della spesa pubblica” evidenzia la relazione della Dia. Il risultato delle operazioni di contrasto eseguite in Sicilia – si legge nella relazione della Dia – hanno portato al sequestro di beni per un valore di quasi 10 milioni di euro e confische per oltre 30 milioni di euro.  
“Analizzando l’esito dei bandi di gara per l’aggiudicazione delle risorse e i successivi decreti di attribuzione, nell’ambito del Pnrr e del Piano nazionale – si legge nella relazione relativa all’economia della Sicilia pubblicata dalla Banca d’Italia nel novembre scorso – per gli investimenti complementari al Pnrr (PNC), in Italia alla data del 17 ottobre risultavano assegnati agli enti territoriali attuatori degli interventi 56,0 miliardi, pari a 946 euro pro capite. Agli enti della Sicilia sono stati destinati 5,8 miliardi, pari a 1.190 euro pro capite, concentrati negli interventi associati alla missione dedicata alla rivoluzione verde e transizione ecologica nonché a quella relativa all’inclusione e alla coesione sociale. Tra i progetti destinatari di maggiori assegnazioni si segnalano quelli per il trasporto pubblico e la riqualificazione degli spazi urbani (circa 930 milioni in entrambi i casi)”.

L’infiltrazione mafiosa, o la corruzione, si nasconde agevolmente nei subappalti, più difficili da monitorare. Recentemente è stato eliminato il limite imposto all’uso dei subappalti e spetterà alle stazioni appaltanti indicare le prestazioni che l’appaltatore non potrà affidare a terzi sulla base della valutazione che il subappalto consenta alle imprese di gestire meglio le commesse, riducendone costi e rischi.

Uno studio recente conferma però queste preoccupazioni: le imprese indagate per corruzione concedono in subappalto una fetta più ampia dell’appalto rispetto a quelle non indagate. E hanno oltre il 60% di probabilità in più di scegliere subappaltatori indagati per corruzione. Il subappalto può anche essere utilizzato per favorire in maniera illecita cartelli d’imprese, come riportato da indagini antitrust su imprese che si sono impegnate a non partecipare alle gare in concorrenza con gli altri membri del cartello in cambio di una quota della commessa.

È evidente, quindi, come la capacità tecnica e organizzativa di indire appalti pubblici sia fondamentale per evitare di renderli meno permeabili alle infiltrazioni mafiose. Sempre più province italiane, negli ultimi mesi, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa con i Comandi Provinciali della Guardia di Finanza finalizzato al controllo e al monitoraggio dei progetti realizzati nell’ambito delle risorse finanziarie destinate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
A fronte di una procedura ispettiva semplificata per rendere i controlli più snelli, come previsto dal Codice degli Appalti recentemente approvato, si rende inoltre necessaria anche una specifica professionalità sia da parte della Polizia Giudiziaria sia da parte dell’Autorità Giudiziaria.

L’osmosi di queste competenze potrà essere un’ottima terapia contro la fragilità del “sistema Italia” di fronte alle infiltrazioni da parte delle mafie. QUOTIDIANO DI SICILIA – Roberto Greco 20.5.2023

 


PNRR, rischi corruzione e mafia

 

Il PNRR rappresenta uno shock alla spesa pubblica senza precedenti negli ultimi decenni. L’ammontare totale del PNRR è di circa 200 miliardi, di cui 122 di prestiti e 69 di sovvenzionamenti a fondo perduto. La sfida per le stazioni appaltanti è quella di riuscire a spendere in maniera utile i fondi del PNRR, in breve tempo, limitando sprechi, corruzione e infiltrazioni mafiose. Non poco.
I fondi arrivano a seguito della pandemia, un periodo di forte riduzione di alcuni reati come rapine e furti (legato al minor tempo speso all’aperto), a cui non si è accompagnata una simile riduzione dei reati contro la Pubblica amministrazione, che per esempio, nel 2021 in Sicilia, registrano un incremento di circa l’8 % che raggiunge il picco del 32% circa per i reati di corruzione. Allo stesso tempo, si contano 29 comuni al momento affidati ad una commissione straordinaria a causa di infiltrazioni mafiose. Affidamenti spesso legati ad infiltrazioni nell’aggiudicazione degli appalti.

In questo quadro, le stazioni appaltanti si troveranno a spendere un ammontare di risorse sproporzionatamente maggiore. Un recente studio mostra che per spendere almeno il 95 per cento delle risorse del PNRR bisognerebbe triplicare la velocità di spesa delle stazioni appaltanti. Si tratta di uno scenario paragonabile a quello delle grandi emergenze, quando i comuni ricevono fondi extra per far fronte ad emergenze come le inondazioni o i terremoti. Come sottolineato da Franco Roberti (Procuratore Nazionale Antimafia), “la ricostruzione post-terremoto è un boccone ghiotto per la mafia”. Come illustrato in un recente studio, la buona notizia è che durante la fase emergenziale, quando il monitoraggio anti-mafia è presente, non si osserva una maggiore partecipazione di aziende mafiose agli appalti nei comuni colpiti dal terremoto. La cattiva è che negli anni successivi al terremoto, quando il monitoraggio si interrompe, aumenta in maniera considerevole la probabilità che un’impresa mafiosa partecipi ad un appalto. L’assegnazione dell’appalto è solo la prima fase.

L’infiltrazione mafiosa o la corruzione si nasconde facilmente nei subappalti, più difficili da monitorare. Recentemente è stato eliminato il limite imposto all’uso dei subappalti e spetterà alle stazioni appaltanti indicare le prestazioni che l’appaltatore non potrà affidare a terzi (l’idea è che il subappalto consenta alle imprese di gestire meglio le commesse, riducendone costi e rischi). Un recente studio su dati italiani conferma queste preoccupazioni: le imprese indagate per corruzione concedono in subappalto una fetta più ampia dell’appalto rispetto a quelle non indagate. E hanno oltre il 60 per cento di probabilità in più di scegliere subappaltatori indagati per corruzione. Il subappalto può anche essere utilizzato per favorire in maniera illecita cartelli di imprese, come riportato da indagini antitrust su imprese che si sono impegnate a non partecipare alle gare in concorrenza con gli altri membri del cartello in cambio di una quota della commessa.È evidente, quindi, come la capacità tecnica e organizzativa di indire appalti pubblici sia fondamentale.

Con 36,000 stazioni appaltanti e oltre 100,000 centri spesa non sarà facile. Col PNRR il governo dovrebbe finalmente procedere con la riforma della qualificazione delle stazioni appaltanti. Una normativa del 2016, finora inattuata. La buona notizia è che il 30 marzo, ANAC ha approvato le linee guida per la riqualificazione delle stazioni appaltanti. Un primo passo. L’attesa riforma ha obiettivi auspicabili: istituzione dell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti, qualificazione delle stesse e riduzione del numero delle stazioni, centralizzando soprattutto quelle dei piccoli comuni.

Analizzando i piccoli comuni è possibile seguire il filo che lega la corruzione alla spesa pubblica. In un recente studio, illustriamo il caso del patto di stabilità, in vigore fino a pochi anni fa: un caso speculare rispetto a quello del PNRR, in cui si è ridotta la spesa pubblica. Con l’introduzione del patto di stabilità nei piccoli comuni, limitando la spesa, si è ridotto il numero di indagini per corruzione. Dove il patto di stabilità era più stringente la corruzione è diminuita fino al 30%. L’effetto è più forte nei comuni in cui il sindaco poteva ricandidarsi e per i sindaci più istruiti. In altre parole, i sindaci più qualificati hanno reagito alla minore spesa riducendo gli sprechi soprattutto quando potevano ricandidarsi alle successive elezioni comunali. In vista del PNRR, la ricerca economica ci invita quindi a puntare su qualificazione, trasparenza e meccanismi di accountability: utili sia a migliorare le performance dei politici locali che quelle delle stazioni appaltanti.  SOLE 24 Ore  9.9.2022