A raccontarla raccogliendo le testimonianze è la giornalista Rita Pedditzi dai microfoni di InviatoSpeciale su Radio 1 Rai, andata in onda oggi, 15 luglio 2023..
“È il 23 marzo 1995, Agnese, la moglie di Paolo Borsellino, depone a Caltanissetta, al processo per la strage di via D’Amelio” – spiega la giornalista. “Sono trascorsi tre anni da quel diciannove luglio 1992, quando una bomba faceva saltare in aria suo marito e gli agenti della scorta”.
“Signora Borsellino, vuole ricostruire gli ultimi movimenti di suo marito nella giornata del 19 luglio?”
- Si alzato molto presto la mattina, lui era molto mattiniero, e ha ricevuto una strana telefonata alle 7:00 del mattino. Il procuratore lo aveva chiamato per interessarsi lui dei processi di mafia riguardanti Palermo
La telefonata lo ha turbato moltissimo. Il procuratore ha detto: ‘Così la partita è chiusa’. Lui ha ripetuto: ‘La partita è aperta’, e ha cominciato a passeggiare su e giù…
“Una telefonata la domenica mattina in cui l’avrebbero ucciso – prosegue Rita Pedditzi – Il procuratore Pietro Gianmarco avverte l’urgenza di dirgli quel giorno che si potrà finalmente indagare su Palermo. A Borsellino erano state tolte le indagini sulla mafia di Palermo, e gli erano state assegnate quelle di Agrigento e Trapani. Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice”:
- Questa telefonata si innesta in quei 57 giorni terribili in cui il dottor Giammanco fece di tutto per non affidare al dottor Borsellino – benché la reclamasse – l’attribuzione della competenza delle indagini su Palermo. Il fatto che sia arrivato il 19 luglio mattina, alle 7:15, solleva dei dubbi che però non sono mai stati in realtà affrontati nel corso dei vari processi sulla strage di via D’Amelio. Io vorrei ricordare che all’inizio della sua requisitoria nel processo Borsellino bis, il sostituto procuratore generale dottor Dolcino Favi, ebbe a dire che quella telefonata ai suoi occhi era apparsa subito strana, come se… io non voglio dire che Gianmarco era coinvolto… come se Giammanco sapesse che il dottor Borsellino non sarebbe arrivato alla fine di quella giornata. È una dichiarazione fortissima del dottor Dolcino Favi, quindi bisogna indagare su quei 57 giorni. Anche perché la recente scoperta del contenuto dei verbali della commissione del CSM del luglio del 92, fa emergere un clima terribile di ostracismo ingiustificato, irrazionale, che ha, secondo noi, posto le basi per quella delegittimazione che precede sempre il compimento degli omicidi eccellenti.
“Borsellino sapeva di essere il prossimo…”
- Non fece mistero in più dichiarazioni pubbliche di sentire la fine imminente… e definire il suo ufficio ‘nido di vipere’ per noi è stata una sorpresa grandissima. Noi diciamo oggi che è giunto il momento di indagare su quello che accadde veramente all’interno della procura di Palermo, atteso anche l’interesse del dottor Borsellino per l’indagine su mafia-appalti… questo è molto importante perché oggi possiamo capire anche che le attese, le dilazioni per affidargli il comparto su Palermo, potevano avere una ragione anche nella necessità di tenere Borsellino lontano dalle carte compendiate nel famoso dossier del Ros del febbraio del 1991
“L’ultimo discorso pubblico il 25 giugno a Casa Professa, è il suo testamento?”
- Quello di Casa Professa è, come dire, una testimonianza fondamentale, una sorta di testamento spirituale. Borsellino sostanzialmente afferma due cose fondamentali: innanzitutto sostiene l’autenticità dei diari di Falcone e in quei diari vi è testimonianza sostanzialmente del disagio illo tempore provato da Giovanni Falcone, sempre nella procura retta dal dottor Pietro Giammarco, e poi Borsellino dice che la sua ricostruzione degli eventi in atto era giunto il momento di andare a riferire alla Procura di Caltanissetta. Era quasi pronto sostanzialmente a rassegnare la sua visione di quello che stava accadendo. Probabilmente molte delle annotazioni relative a questa visione erano contenute nell’agenda rossa che come sappiamo è stata sottratta Immediatamente dopo l’esecuzione dell’attentato…
È una testimonianza forte quella dell’avvocato Trizzino che – raccolta coraggiosamente dalla giornalista Pedditzi – offre una diversa prospettiva alla narrazione sulle stragi del ’92, rispetto a vicende giudiziarie che per un decennio hanno spostato l’attenzione investigativa, giudiziaria e mediatica, in direzione di una Trattativa Stato-mafia, quale causa dell’accelerazione della strage di via D’Amelio, sconfessata dalla recente sentenza della Corte di Cassazione.
“Non arriva mai lo squillo che Borsellino ha atteso nei 57 giorni precedenti – prosegue la giornalista – Consumati in una disperata corsa per riscattare la morte dell’amico Giovanni Falcone e salvare sé stesso. Né il CSM, né la Procura di Caltanissetta, hanno sentito la necessità di ascoltarlo. È il 25 giugno del 1992, quando nel suo ultimo intervento pubblico il magistrato pronuncia queste parole: ‘In questo momento – si ascolta direttamente dalla voce registrata di Paolo Borsellino –, oltre che magistrato, io sono testimone. Questi elementi che porto dentro di me, io debbo, per prima cosa, rassegnarli all’Autorità Giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone’.
“Paolo Borsellino nell’estate del 1992 corre per capire. Riprende in mano l’indagine mafia-appalti che ha già portato Falcone ipotizzare una finanziarizzazione della mafia con l‘ingresso in borsa, dietro l’ombra dell’imprenditoria nazionale. Si trova ormai nella stessa sgradevole situazione di Falcone. Anche lui ostracizzato ed escluso dalle indagini palermitane su ‘Cosa nostra’. Visibilmente isolato, il 4 luglio torna a Marsala per salutare gli ex colleghi. Giuseppe Salvo ex procuratore generale a Venezia ha iniziato la sua carriera nella squadra di Borsellino a Marsala:
- Era un uomo profondamente cambiato nonostante fossero passati solo pochi mesi da quando lui aveva lasciato Marsala. Manifestò addirittura il timore forse di aver perduto il proprio entusiasmo. Queste sono proprio parole che io ricordo con precisione. Era un uomo anche amareggiato, perché aveva avuto modo di recente di leggere in alcune pagine di un libro che lui era venuto a Marsala per farsi i bagni di mare, e che poi si era pentito però di venire a Marsala perché ormai a Marsala l’unico che lo degnava di attenzione mediatica era Tele Scirocco. Si confidò in questo modo nel suo discorso pubblico, manifestando amarezza per queste considerazioni, fra l’altro erano considerazioni di un collega, sostituto procuratore della Repubblica, poi componente del CSM.
“Invece a Marsala?”
- Borsellino in realtà era venuto a Marsala per lavorare… per continuare il lavoro che aveva iniziato a Palermo con Giovanni Falcone, per organizzare una specie di laboratorio investigativo dove trasferire sostanzialmente l’esperienza del maxiprocesso, dalla centralità palermitana alla periferia mafiosa delle province, cioè della mafia dei paesi, Castelvetrano, Mazzara del Vallo… Disse che lui sì, amava profondamente il mare, ma il mare l’aveva visto a Marsala solo attraverso il prisma dei blindati della sua macchina. Era una persona prostrata da quello che era accaduto a Capaci. ‘Quello che è venuto a fine maggio – disse – mi induce, e ritengo ci induca tutti a una riflessione, perché ancora forse neanche più sappiamo quello che facciamo, quello che faremo dopo’. Queste sono le parole… un presagio di quello che purtroppo sarebbe accaduto due settimane dopo. Parlò di interrogativi, molti interrogativi, ai quali disse di non essere in grado di dare una risposta in quel momento, e si ripromise però che gli anni che lui aveva trascorso insieme a noi a Marsala, avrebbero sicuramente avuto un peso determinante in quella che sarebbe stata la risposta che lui sentiva di dovere dare, e che purtroppo non fu in grado di potere dare, fare luce su Capaci.
“Quel 4 luglio avete parlato?
- Ci siamo parlati per qualche minuto nel suo vecchio ufficio: ‘So che noi abbiamo anche discusso, ma ho sempre avuto la consapevolezza della tua lealtà e sempre saputo che tu eri una persona come i tuoi colleghi che mi volevate bene, ma adesso a Palermo io sono in difficoltà, perché a Palermo io non so da chi e da che cosa mi devo guardare prima’. Usò testualmente le parole che ho riportato e fu una frase così, rimasta un po’ in sospeso…
“Per ‘Cosa nostra’, Borsellino è un’altra spunta nell’elenco che Totò Riina ha stilato nel dicembre del 1991. Si dice, si bisbiglia, lo sanno i suoi colleghi, lo registrano le informative dei servizi. Borsellino 52 anni, da poco più di un anno procuratore aggiunto di Palermo, è il prossimo. In quei 57 giorni ha vissuto il dramma di un uomo lasciato solo, e che sapeva di essere stato condannato a morte. Lo sconforto per avere scoperto che un amico lo aveva tradito. Disse proprio così Paolo Borsellino a Massimo Russo, ex pm a Marsala:
- Lo rivediamo cambiato, stravolto, un Paolo Borsellino piegato su sè stesso, che accoglie me e Alessandra Camassa quando lo andiamo a trovare subito dopo il 23 maggio. Ci accoglie e rievoca questa storia ormai nota di un amico che l’aveva tradito, ma soprattutto ci racconta della sua solitudine quando si esprime in maniera molto pesante dicendo che la procura di Palermo era per lui un nido di vipere, quasi a voler con una metafora raccontare ai contrasti le difficoltà…
Il “nido di vipere” trapela da ogni parola di chi ricorda l’ultimo periodo di vita di Paolo Borsellino. Un aspetto mai indagato per come avrebbe invece meritato.
“Vi ha raccontato cosa accadeva in procura a Palermo?” – chiede la giornalista Pedditzi
- … uno sfogo personale, intimo, ma non spiegò le ragioni… né noi purtroppo avemmo la prontezza di chiedere perché quello che stava accadendo… perché Paolo Borsellino si lasciò cadere sul divano con le lacrime agli occhi, e rievocò un po’ questa sua condizione, che era la condizione di un magistrato che sapeva di aver ricevuto il testimone dal suo migliore amico che era scomparso con 500 chili di tritolo a Capaci, e forse era consapevole che il prossimo sarebbe stato lui…
“Un pomeriggio assolato del 19 luglio di 31 anni fa, il bagliore di un’altra bomba inghiotte altre vite. Con il procuratore aggiunto di Palermo muore la prima e unica donna delle scorte assassinata, Emanuela Loi, e muoiono Agostino Catalano, il veterano del gruppo, e i colleghi Eddie Walter Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, si salva solo Antonio Vullo”.
Perché non venne mai sentito l’allora procuratore Giammanco?
Perché non volle affidare a Paolo Borsellino quelle indagini che lui avrebbe voluto condurre, salvo farlo la stessa mattina del giorno in cui sarebbe stato ucciso?
Queste sono soltanto alcune delle domande che non avranno mai una risposta, in merito a una strage annunciata…
LA VALLE DEI TEMPLI 15.7.2023