Dalle origini di Cosa Nostra alle lotte intestine fino alla fase stragista: la morte dell’ultimo boss può segnare davvero il colpo di grazia per la mafia italiana?
La morte per malattia di Matteo Messina Denaro, uno dei capi mafiosi più ricercati degli ultimi decenni e profilo criminale di spicco nel panorama nazionale e internazionale, segna una discontinuità. Con lui scompare l’ultima figura – dopo quella dei principali boss corleonesi, Bernardo Provenzano nel 2016 e Totò Riina nel 2017 – in grado di rappresentare, dandogli un volto, l’ombra nera dell’organizzazione che ha fondato il concetto stesso di criminalità organizzata, almeno nell’immaginario collettivo: Cosa Nostra.
Il diritto di comandare. Le vicende di Cosa Nostra si dipanano lungo il più ampio percorso tracciato da quelle italiane, e hanno radici profonde. La mafia siciliana emerse nel XIX secolo, crebbe nell’età liberale, si ramificò perfino all’estero, come negli Stati Uniti, ed estese la sua influenza anche durante la dittatura di Mussolini, soprattutto a livello locale.
Sopravvivesse quando lo stato monarchico e poi fascista tentò di imporsi con durezza, per poi sfruttare la commistione con autorità politiche disposte a tollerare o addirittura a collaborare. Nelle sue varie articolazioni coltivò un disegno disomogeneo per arrogarsi funzioni essenziali: il controllo del territorio, il ruolo di regolatore economico o il monopolio della forza.
Guerra intestina. Dopo la Seconda guerra mondiale seguì un’evoluzione complessa. A fasi di coabitazione con il potere pubblico se ne alternarono altre di maggiore visibilità, ad esempio negli anni ’80, quando varie fazioni si scontrarono lasciando sul terreno centinaia di morti. Proprio allora i Corleonesi– così chiamati perché provenienti dall’area di Corleone, in provincia di Palermo – ottennero una crescente supremazia.
Il potere a Corleone. Sotto la guida di Totò Riina e Bernardo Provenzano, la mafia siciliana reclamò nuovi spazi di agibilità e illegalità, minando la legittimità e le prerogative dello stato repubblicano. Una lunga serie di attacchi, poi, colpì figure pubbliche, politiche e istituzionali, come il deputato comunista Pio La Torre o il generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
La stagione delle bombe. Quando si passò alla controffensiva il conflitto si inasprì. All’impegno risoluto di una parte della magistratura e alle condanne inflitte durante il cosiddetto maxiprocesso, a partire dal 1987, seguì la stagione delle bombe. E dunque veri e propri attentati di stampo terroristico. Come quelli del 1992 ai danni dei magistrati Giovanni Falcone (ucciso a Capaci insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti della scorta) e Paolo Borsellino (ucciso a Palermo insieme ai cinque agenti della scorta).
O quelli del 1993, che coinvolsero anche le città di Roma, Milano e Firenze.
Metodo Falcone e Borsellino. Eppure l’accelerazione stragista, pur destabilizzando il Paese, fu bloccata. Le condanne confermate in Cassazione non vennero messe in discussione, il metodo indicato da Falcone e Borsellino divenne un modello e molti boss, come lo stesso Riina nel 1993, furono arrestati. La mafia, che fin lì aveva oscillato tra collusione e contrapposizione con il potere pubblico, non riuscì a vincere.
Strategia perdente. Come ha recentemente osservato il sociologo Luigi Manconi a proposito della strategia di Cosa Nostra: “Che la dinamite abbia fatto strage di uomini e istituzioni è indubbio, che la strategia si sia rivelata vincente solleva più di qualche ragionevole perplessità“. Quegli anni drammatici, infatti, infransero l’aura di invincibilità che avvolgeva Cosa Nostra. Con un’efficace azione repressiva, attuata in un momento di emergenza democratica, alcuni dei presupposti che avevano favorito e rafforzato i corleonesi vennero rovesciati.
L’ultimo boss. Dagli anni ’90 molto è cambiato. È iniziato un periodo di frammentazione, trasformazione e inabissamento. A figure già affermate come quella di Provenzano, garante del potere corleonese arrestato solo nel 2006, se ne sono affiancate altre più giovani, spregiudicate e pragmatiche, come quella di Matteo Messina Denaro. Nato in provincia di Trapani nel 1962, e figlio di un boss, Messina Denaro fu vicinissimo a Riina, esecutore fedele delle sue direttive e poi, dal 1992, leader criminale al centro di traffici illeciti e affari illegali.
Latitanza. La sua cattura è avvenuta nel gennaio 2023 a Palermo, nei pressi della clinica privata in cui si recava per cercare di curare un tumore in stadio ormai avanzato. Il lavoro capillare dei carabinieri del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) e la deroga dello stesso boss alla cautele maniacali fin lì adottate, hanno così portato a un arresto decisivo. E quindi alla fine di una latitanza lunga oltre trent’anni, che ha goduto di omertà e compromissioni diffuse.
Fine di un’era. Tutto ciò è apparso, ad alcuni commentatori, come il segno più tangibile della “fine di un’era”: un’espressione carica di enfasi, ma non priva di fondamento. E del resto la notizia, oltre che scuotere l’opinione pubblica, ha fatto subito il giro del mondo. “L’ultimo mafioso italiano legato a un periodo brutale“, secondo il più importante quotidiano degli Stati Uniti, il New York Times. “L’ultimo ‘padrino’ della mafia siciliana e uno dei criminali più ricercati al mondo“, secondo la cronaca del Guardian di Londra.
Per il francese Le Monde si è chiuso “un ciclo intero della storia italiana“, mentre per lo spagnolo El País l’Italia ha “neutralizzato l’ultimo simbolo di un’epoca terrificante“.
Colpo di grazia? Almeno per l’eco suscitata, la fine di Messina Denaro – morto nel settembre del 2023 a causa della sua patologia, all’ospedale dell’Aquila – ha quindi costituito di per sé un ulteriore colpo alla mafia siciliana: già indebolita e non più in grado di dispiegare pratiche di contropotere efferate e dai tratti eversivi. Il colpo subito, però, visti anche i mutamenti del quadro socio-economico, può non essere letale e l’attenzione al fenomeno mafioso resta alta. Un fenomeno che, secondo la ricerca storica, non solo appare radicato nel contesto italiano e nelle sue enormi fragilità, ma andrebbe contrastato nel segno della legalità costituzionale e della cultura del diritto: entrambe antitetiche alla storia di Cosa Nostra.
FOCUS 27.9.2023