Adesso sappiamo qualcosa in più sulle indagini che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro

 

Adesso sappiamo qualcosa in più sulle indagini che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro/1

Il racconto inizia con la spiegazione di chi era l’ex latitante: dalla crescita con Totò Riina alla scalata dentro cosa nostra.

I vari interventi sono stati curati dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia; il generale e comandante dei Ros Pasquale Angelosanto; il colonnello dei Ros Lucio Arcidiacono; gli uomini del Ros e del Gis che lo hanno arrestato a volto coperto; la giornalista Elvira Terranova; l’imprenditrice che ha denunciato i Messina Denaro Elena Ferraro; il colonnello Fabio Bottino e il colonnello dei Gis Giovanni Capone.

Il programma è iniziato facendo capire che sono arrivati a Messina Denaro tramite un pizzino ritrovato a casa della sorella Rosalia, dove c’era scritta la cronistoria clinica del latitante. Poi è stato fatto un excursus della mattinata e preparazione dell’arresto.

Nella spiegazione sono tornati indietro al 1991 dove, in una riunione nelle campagne del trapanese, è stata decisa la strategia stragista di cosa nostra e dove era presente Matteo Messina Denaro.

Killer efferato di cosa nostra da dopo la sentenza in cassazione del “Maxiprocesso” è stato alla testa delle stragi di Capaci, via d’Amelio e di quelle sul continente nel 1993, per le quali è stato già condannato.

 

 

Hanno chiamato l’operazione “Tramonto” in memoria della piccola Nadia Nencioni, vittima della strage dei Georgofili a soli 9 anni, la quale scrisse una poesia che si intitola, appunto, Tramonto.

 

Poi si arriva all’aprile del 2006, alla cattura di Bernardo Provenzano e da lì, mmd, va a colmare quel vuoto e viene ricercato in tutto il mondo. I Ros hanno creato una squadra dedita solamente alla caccia al latitante, nella quale hanno operato centinaia di operatori, e spiegano l’iter di arruolamento in questa squadra.

La cattura viene dedicata pure a Filippo Salvi, maresciallo dei carabinieri, che si dedica a queste indagini da dopo le stragi e muore nel 2007 proprio per compiere il proprio dovere fino in fondo.

Di Messina Denaro non si ha niente se non una foto risalente a prima del ’92 e, nel corso degli anni, vengono arrestati tutti tutti gli altri capi facendo crescere la sua autorevolezza e il mito all’interno di cosa nostra stessa. All’interno dei vari covi scoperti nel corso degli anni hanno sempre avuto la prova del suo essere in vita grazie ai ritrovamenti e alle intercettazione dove veniva pure nominato con nome e cognome. Ha fatto credere che era in qualsiasi parte del mondo ma nel 2015 viene scoperto, nelle campagne di Mazara Del Vallo, un casolare adoperato come centro di smistamento dei suoi pizzini.

Si arriva al 6 dicembre 2022, quando i Ros entrano nella casa di Rosalia Messina Denaro, da tempo intercettata e con marito e figlio da tempo detenuti, per piazzare una cimice nelle parti non ancora coperte. Lì scoprono, guardando nell’incavo di una sedia, il pizzino con la cronistoria medica di qualcuno.

Tramite le dovute indagini capiscono che si tratta del fratello. Da quel giorno si chiudono a Boccadifalco e non tornano più nemmeno a casa, e in questa parte di racconto si evidenzia molto la parte emotiva degli operatori e, sicuramente, la più difficoltosa.

Da adesso cambiano pure modus operandi: inizia un’operazione di ricerca e studio delle banche dati del Ministero della Salute, senza nemmeno scendere in strada. Accumulano milioni di dati anagrafici e altrettante cartelle cliniche; si prendono le due date di operazioni ritrovate nel pizzino, 13 dicembre 2020 e 4 maggio 2021, e si scopre che solamente 89 persone in tutta Italia sono state operate e 22 in Sicilia e tra questi solamente 1 di oncologia: Andrea Bonafede.

Si arriva al 13 gennaio 2023, 3 giorni prima della cattura e si ricostruiscono i legami del padre che sono gli stessi alle quali si è affidato il figlio.

 

E qui interviene Elena Ferraro, l’imprenditrice che si è rifiutata di riciclare i soldi dei Messina Denaro denunciando il cugino. Ricostruendo le immagini notano che durante l’operazione di Andrea Bonafede, lo stesso si trovava a spasso con il cane a Campobello di Mazara.

I Ros riescono ad entrare nel sistema operativo della clinica “La Maddalena” e scoprono due cose: la prima che continuava ad essere sottoposto a cicli di cure e che la successiva sarebbe stata il 16 gennaio.

Coinvolgono il Gis perché non sanno nulla su chi fosse realmente Matteo Messina Denaro ed arrivano in Sicilia l’alba del giorno dopo. Studiano la struttura, la clinica e vogliono sfruttare l’effetto sorpresa facendo in modo di non farlo più uscire dopo che egli stesso si sia introdotto all’interno della struttura sanitaria.

Il 15 pomeriggio i Ros si riuniscono con il procuratore De Lucia e il sostituto Guido per capire come intervenire. Era necessario, una volta entrati, far capire a tutti che era un’operazione dei carabinieri e la presenza dello Stato senza far spaventare nessuno. La notte del 16 gennaio non ha dormito nessuno ed erano sempre più convinti che dietro il nome di Andrea Bonafede si celasse Matteo Messina Denaro.

La mattina seguente si introducono dentro la struttura e da lì iniziano le telefonate dei giornalisti alle loro fonti e al dottore De Lucia che cerca di far finta di non sapere nulla. Scoprono che Andrea Bonafede è entrato ma non si trova e si doveva cercare di conoscere almeno il volto per rintracciarlo; inizia a salire la paura che sarebbe stata l’ennesima mancata cattura.

Un operatore chiede ad un infermiere informazioni su Andrea Bonafede: l’infermiere lo conosce, guardano le telecamere e vedono che è in attesa del risultato del tampone ed era stato fatto salire al settimo piano.

Ma, dalle riprese, notano che era uscito dalla clinica. Così inizia ad operare il muro di cinta che avevano creato su vari livelli all’esterno della struttura.

Fotografano la sua faccia e la fanno girare tra tutti gli operatori. D’un tratto un carabiniere lo nota difronte a se all’interno di una vettura e chiama il collega il quale si muove verso l’autista. Li fanno scendere e li stringono al muro in attesa di rinforzi. Nel frattempo il vero Andrea Bonafede era monitorato a Campobello di Mazara ed in questo momento hanno avuto la consapevolezza di avere davanti a Matteo Messina Denaro; lo stesso lo conferma per diverse volte.

Si inizia a capire cosa è successo realmente e parte l’applauso dei presenti durante i festeggiamenti degli operatori. Viene portato in caserma dove viene notificato tutto ciò che gli è stato sequestrato e gli elencano tutte le condanne passate in giudicato e quelle in secondo grado. La sera verrà trasferito al carcere di massima sicurezza dell’Aquila al 41bis.

 

“Nel momento in cui ho realizzato quello che era successo, in cui mi sono reso conto che finalmente lo avevamo preso, il primo pensiero è andato al nostro maresciallo capo Filippo Salvi che è morto nel 2007 proprio nell’ambito delle attività di ricerca di Matteo Messina Denaro.

Ovviamente è andato anche alla piccola Nadia Nencioni che il 27 maggio 1993, a soli 9 anni, ha perso la vita nella strage dei Georgofili.Sicuramente, con la cattura di Matteo Messina Denaro, abbiamo chiuso un’epoca che è quella stragista corleonese.

Era l’ultimo tassello che mancava e non poteva morire da latitante come il padre. Perché la cattura di Matteo Messina Denaro è un segnale per tutti i mafiosi. È il segnale che lo Stato c’è e continuerà a cercarli, fino a quando non saranno assicurati alla giustizia.

– chiude così il colonnello Lucio Arcidiacono.

“Tutte le volte che andavo a Palermo e quindi arrivavo a Punta Raisiquando facevamo le indagini, poi passavo sul tratto autostradale a Capaci, il carabiniere che mi veniva a prendere e mi accompagnava, rallentava in prossimità di Capaci e io mi segnavo con la croce e mi dicevo una preghiera.

E passare lì era pesante. Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro passavo di lì con l’animo più sollevato e questo l’ho proprio avvertito.Perché comunque abbiamo consegnato alla giustizia l’ultimo dei responsabili di queste stragi che sono state fatte.”

– finisce così il generale Pasquale Angelosanto.


LA STORIA CRIMINALE DELL’ULTIMO  STRAGISTA