La Commissione scomunica ai mafiosi invocata dal Papa in Calabria «bloccata da un Prefetto gesuita

 


Fu ordinata da Bergoglio nel 2014 ma l’iter è sospeso. Monsignor Pennisi: «Il cardinale mi disse che il Vaticano non c’entra»

 

LAMEZIA TERME I tempi sono quelli di un’istituzione millenaria, dunque uno stop di qualche anno può sembrare un battito d’ali. Eppure quel monito risuonato forte da Cassato allo Jonio avrebbe richiesto una maggiore applicazione.
Il 21 giugno 2014 papa Francesco utilizzò parole durissime, un’aggiunta a braccio nel suo discorso: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati».
Il monito risuonò nelle terre in cui si era consumato l’omicidio del piccolo Cocò Campilongo, ucciso dai killer e bruciato (a soli tre anni) qualche mese prima dalla ‘ndrangheta. 


A sette anni da quelle parole, il Vaticano comincia a dare forma a quell’anatema e crea il Gruppo di lavoro sulla scomunica.


La data è simbolica: il 9 maggio 2021, giorno della beatificazione di Rosario Livatino, primo magistrato elevato agli onori degli altari nella storia della Chiesa.
Quella commissione si riunisce per un anno, poi più niente. Lo ha raccontato nei giorni scorsi il Fatto Quotidiano in un servizio di Francesco A. Grana.
Con l’eloquente testimonianza di monsignor Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale, nel giorno della morte di Matteo Messina Denaro: «Il Gruppo di lavoro sulla scomunica alle mafie è andato avanti per un anno dopo la sua nascita e poi è stato sospeso.

Non è stato annullato, ma non siamo stati più riuniti. È cambiato il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, il cardinale canadese e gesuita Michael Czerny, che guida l’organismo vaticano al cui interno è stato istituito questo gruppo. Una volta mi ha detto: “La mafia è una questione italiana. Cosa c’entra la Santa Sede?”. Gli ho risposto che è un fenomeno mondiale». 

 

Oltre a monsignor Pennisi, ricorda il Fatto, fanno parte del Gruppo di lavoro il filosofo Vittorio Alberti, officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, come coordinatore, l’ex ministro Rosy Bindi, che dal 2013 al 2018 è stata presidente della Commissione parlamentare antimafia, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione nazionale antiusura Interesse uomo, don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, Giuseppe Pignatone, ex procuratore della Repubblica di Roma e attualmente presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, e Ioan Alexandru Pop, officiale del Dicastero per i testi legislativi.
Pennisi non si spiega lo stop e racconta una parte del lavoro fatto: «Avevamo già pronta la bozza di un documento in cui dicevamo che il problema delle mafie non è solo meridionale o italiano, ma è mondiale e va contrastato, certo per quanto riguarda la Chiesa, dal punto di vista morale.
Però è un problema che riguarda un po’ tutti, anche se le mafie sono diverse in altri Paesi.
In molte di queste mafie c’è sempre un legame con la religione e quindi sarebbe stata importante una presa di posizione forte da parte anche della Chiesa universale.
Comunque, il Papa diverse volte ne ha parlato con i suoi appelli.
Però, poi, comminare la scomunica non competeva a noi, ma al Dicastero per la dottrina della fede.
Ora che è stato nominato il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Víctor Manuel Fernández, vedremo cosa ne pensa lui». Sperando in tempi meno che millenari. (redazione@corrierecal.it) 1.10.2023.


 

Il Vaticano blocca i lavori sulla scomunica ai mafiosi: “Le priorità sono altre”

 

La commissione che era al lavoro per redigere il documento non si riunisce da mesi perché secondo il cardinale “il problema è solo italiano e le priorità sono altre”

 

Città del Vaticano – Bloccati i lavori della Commissione vaticana che, da qualche anno, stava lavorando per rendere effettiva la scomunica ai mafiosi annunciata nel giugno del 2014 da Papa Francesco. “Le priorità sono altre”, le parole dette ai membri della Commissione, nata presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale nel 2021, dai vertici dello stesso Dicastero.

In Vaticano, infatti, tutte le attenzioni – in particolare quelle del suddetto Dicastero – sono rivolte ai confini est dell’Europa, dove infuria il conflitto tra Russia e Ucraina. Per carità, una guerra non è un problema da sottovalutare. Tutt’altro. Ma, a quanto pare, è il cardinal Michael Czerny, gesuita, a sottovalutare il problema della mafia.
Infatti, è proprio dalla sua nomina a Prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale che la Commissione non viene più convocata. Formalmente non è stata sciolta, ma ad oggi non vi sono più riunioni perché secondo il porporato quello della mafia “è una questione solo italiana”.
Parole che fanno male e che nei fatti sono smentite. Quello della mafia non è un problema che riguarda solo l’Italia. Con i loro tentacoli, le organizzazioni mafiose sono riuscite a prosperare in diverse nazioni, in Europa e non. Tant’è che diversi Conferenze Episcopali, soprattutto dall’America Latina, hanno chiesto aiuto al Vaticano su come comportarsi riguardo al peccato di mafia.
Una definizione universale, infatti, non esiste. La Commissione era al lavoro proprio su questo.
La scomunica pronunciata da Papa Francesco nella piana di Sibari traccia sì un confine netto tra religione cattolica e mafia ma, secondo alcuni canonisti, senza una definizione universale del peccato la scomunica non può essere effettiva. Ed è proprio a questo che la Commissione stava lavorando. Era anche pronto un documento di ben 4 pagine che però al Pontefice non è mai stato presentato perché, appunto, il “problema non è universale”.
Eppure, sono state circa trenta le Conferenze Episcopali di tutto il mondo che hanno chiesto aiuti alla Santa Sede. Ma il Dicastero non ha risposto, ignorando anche l’aiuto di questi Vescovi che si erano proposti di collaborare in seguito a una lettera del cardinal Turkson, Prefetto del medesimo Dicastero fino al 2021.
Ricapitolando: il documento sulla scomunica ai mafiosi è pronto ma manca l’ok del Pontefice perché uno dei collaboratori più stretti dello stesso Bergoglio ritiene quello della mafia un problema “minore”. Eppure, l’Italia – e non solo – la guerra contro la mafia, iniziata anni fa, continua a combatterla. Lo Stato piange ancora oggi i suoi caduti. La Chiesa stessa li venera come martiri (basti pensare a don Pino Puglisi o al giudice Livatino).
Cosa si aspetta allora per agire? Qualcuno dalla Commissione ci dice che il discorso potrebbe essere ripreso dal Dicastero finita l’emergenza della guerra in Ucraina. Che dire, un’occasione sprecata. FABIO BERETTA FARO ON LINE 8 luglio 2023



Al lavoro in Vaticano il Gruppo sulla “scomunica alle mafie”

 

Della commissione, creata nel Dicastero per lo Sviluppo Umano, fanno parte il vescovo Pennisi, Giuseppe Pignatone, don Luigi Ciotti e Rosy Bindi. Vittorio V. Alberti, coordinatore, spiega a Vaticannews: “Vogliamo sia chiaro che non è possibile appartenere alle mafie e far parte della Chiesa”

 

Fabio Colagrande – Città del Vaticano VATICANO NEWS

“Per onorare Rosario Livatino, primo magistrato beato nella storia della Chiesa, che ha esercitato coraggiosamente la professione come missione laicale, presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale è stato costituito un Gruppo di lavoro sulla ‘scomunica alle mafie’, con l’obiettivo di approfondire il tema, collaborare con i Vescovi del mondo, promuovere e sostenere iniziative.” Lo comunica oggi una nota del Dicastero, in coincidenza con la cerimonia di Beatificazione ad Agrigento del magistrato siciliano ucciso dalla mafia nel 1990. L’iniziativa è un ulteriore passo dell’impegno su questo tematiche del Dicastero presieduto dal cardinale Peter Turkson che aveva già dato vita, nell’agosto 2018, a una rete globale internazionale contro corruzione, criminalità organizzata e mafie.

Solitudine e paure “terreno fertile per le mafie”

Al paragrafo 28 della sua recente enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco sottolinea come la “solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie”. Nel testo Francesco ricorda come quest’ultime s’impongano presentandosi come “protettrici” dei dimenticati “mentre perseguono i loro interessi criminali”. L’affermazione sembra richiamare un rischio sottovalutato sotteso anche alla crisi socio-economica generata dalla pandemia e sviluppa il più recente magistero pontificio sul tema della criminalità organizzata.

“I mafiosi non sono in comunione con Dio”

Dal vibrante storico appello per la conversione dei mafiosi, pronunciato da Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento nel maggio 1993, passando per la definizione della mafia come “strada di morte”, pronunciata da Benedetto XVI a Palermo nel 2010, per arrivare alla recente “scomunica” dei mafiosi di Papa Francesco a Sibari, in Calabria, nel 2014. In quell’occasione il Pontefice, nell’omelia della Santa Messa celebrata il 21 giugno sulla spianata dell’area Ex Insud, definì la ‘ndrangheta “adorazione del male e disprezzo del bene comune” e aggiunse che i mafiosi “non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”.

Un’appartenenza inconciliabile

Il Gruppo di lavoro sulla “scomunica alle mafie” nasce proprio per dare sostanza pastorale a quelle parole di Francesco e far sì che l’universalità della Chiesa possa rispondere alla mondialità delle mafie chiarendo che l’appartenenza ad esse è inconciliabile con il Vangelo. Degli obbiettivi della neonata commissione Vaticannews ha parlato con il coordinatore, Vittorio V. Alberti, officiale del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

R.- La commissione è stata costituita proseguendo il lavoro che avevamo iniziato quattro anni fa su mafia e corruzione. A un certo punto, infatti, ci siamo resi conto che nella Dottrina sociale della Chiesa, nel Diritto canonico, nel Catechismo non si fa menzione della scomunica ai mafiosi. Quindi, per rafforzare la scomunica, i pronunciamenti e il magistero di Papa Francesco su questo tema abbiamo pensato che occorreva intervenire. Di qui la creazione del gruppo di lavoro.

Su quali aspetti lavorerete?

R.- Intanto vogliamo sensibilizzare, creare una contro mentalità seria su questi temi. Approfondiremo, faremo rete, perché abbiamo la necessità di collaborare con l’episcopato mondiale, proprio perché manca una specifica dottrina della Chiesa universale e quindi dobbiamo collaborare e sostenere i vescovi del mondo che già lavorano su queste tematiche. Vogliamo promuovere e sostenere le iniziative in questo campo e coordinarle. L’aspetto a cui teniamo di più è quello culturale e cioè la necessità di sensibilizzare, fare rete, approfondire e promuovere questi temi per rafforzare il messaggio del Papa e eliminare definitivamente qualunque possibile compromissione di certo cattolicesimo con le mafie. Questo è un fatto storico. Poi affronteremo naturalmente l’aspetto dottrinale e quello canonistico.

Chi fa parte di questo gruppo?

R.- Del gruppo fanno parte l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone, il presidente dell’Associazione Libera don Luigi Ciotti e Rosy Bindi, già presidentessa della Commissione parlamentare antimafia. Poi ci sono don Raffaele Grimaldi, l’ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, don Marcello Cozzi, sacerdote docente alla Lateranense che ha una lunga esperienza su questi argomenti e mons. Ioan Alexandru Pop del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Infatti, come Dicastero, abbiamo stabilito di coinvolgere altri dicasteri dai quali abbiamo già pieno sostegno, come la Congregazione per la Dottrina della Fede e appunto il dicastero che si occupa dei Testi Legislativi.

Perché annunciare la costituzione di questa commissione proprio nel giorno della betificazione di Rosario Livatino?

R.- La beatificazione di Livatino è veramente un fatto epocale perché è il primo magistrato della storia della Chiesa a diventare Beato e si tratta di un laico, un laico autentico. Il riconoscimento poi da parte della Santa Sede, della Chiesa universale, del martirio di un giudice che si è mosso contro le mafie è un messaggio potentissimo per affermare che la mafia non ha nulla a che vedere con il Vangelo e quindi con la Chiesa. Quello che ci sta a cuore è, prima di tutto, affermare una volta per tutte che non è possibile nel mondo appartenere alle mafie e far parte della Chiesa. A partire da qui vogliamo poi costruire una nuova pastorale, un nuovo percorso culturale che coinvolga in primo luogo le vittime, lavorando anche nelle carceri, parlando con i detenuti e accompagnandoli per un percorso di speranza.  9.5.2021

 

CHIESA e MAFIA nel Trentennale dell’ANATEMA di GIOVANNI PAOLO II