Mafia a Milano, ma non c’è una cupola… Scontro tra DDA e GIP

 


Il Gip di Milano ha rigettato la misura cautelari per 142 indagati. In carcere finiscono in 11 per una struttura con una gerarchia orizzontale e trasversale. Un 76enne era il riferimento al Nord delle cosche siciliane e manteneva rapporti anche con Matteo Messina Denaro

L’inchiesta della Dda di Milano sulla presunta esistenza di un “sistema mafioso lombardo” che vedrebbe in Lombardia un’alleanza tra esponenti di cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra è stata smontata dal gip di Milano Tommaso Perna.
Il giudice, con un’ordinanza di custodia cautelare, ha concesso solo 11 misure in carcere e rigettato la richiesta per altri 142 indagati.

“Non è stato possibile ricavare l’esistenza di un’associazione di tipo confederativo che raggruppa al suo interno le diverse componenti criminali – sottolinea il giudice – Quel che è del tutto assente nella presente indagine, da una parte, è la prova dell’esistenza del vincolo associativo tra tutti i sodali rispetto al sodalizio consortile, dall’altra, dell’esternazione del metodo mafioso che deve caratterizzare l’unione tra persone e beni, tale da assurgere al rango di un fatto penalmente rilevante”.

Secondo il gip, dall’inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano, invece, “è emersa la presenza di contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali e in ogni caso afferenti a cointeressenze rispetto a singoli affari, talvolta leciti e talaltra illeciti, circostanza questa, che diversamente da quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, non costituisce un elemento innovativo nel contesto lombardo”.

La pm Alessandra Cerreti – da quanto appreso – ha impugnato l’ordinanza davanti al Tribunale del Riesame.

Tra gli indagati figura anche il pregiudicato per mafia Paolo Aurelio Errante Parrino, 76 anni, ritenuto il punto di riferimento del mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia.
Secondo la pm Alessandra Cerreti, avrebbe mantenuto i rapporti con Matteo Messina Denaro “rappresentando il punto di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e l’ex latitante”, scomparso lo scorso 25 settembre, “a lui trasferendo comunicazione relative ad argomenti esiziali per l’associazione mafiosa”.
Per lui i pm dell’antimafia avevano chiesto la custodia cautelare in carcere. Istanza respinta dal gip.

Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice della “locale” di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese) arrestato nel 2019 nell’operazione “Krimisa”, a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda e dei Carabinieri del nucleo investigativo di Milano sull’esistenza di un presunto “sistema mafioso lombardo”. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano Tommaso Perna.
In particolare, De Castro avrebbe fornito alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Alessandra Cerreti i nomi di Massimo Rosi (arrestato) e Gaetano Cantarella, detto ‘Tanu u’ curtu’, dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra.

A Rosi, 37enne con precedenti, è stato attribuito un ruolo centrale nella “creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale”.
Una ricostruzione non condivisa dal gip che ha ritenuto, invece, che Rosi abbia agito “soprattutto nel settore del narcotraffico” in qualità di “componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi”.

“Le indagini hanno svelato l’esistenza di una organizzazione a struttura orizzontale all’interno della quale non esiste un vertice, ma più gruppi che si muovono parallelamente e che, in virtù di un accordo preventivo, assumono determinazione comuni funzionali allo sviluppo dell’associazione stessa”.
È quanto sostiene la pm della Dda di Milano, Alessandra Cerreti, negli atti della maxi inchiesta condotta dai Carabinieri del nucleo investigativo che ha portato all’esecuzione di 11 misure cautelari in carcere, alla notifica 153 avvisi di chiusura delle indagini e al sequestro preventivo di beni per oltre 225 milioni di euro.
In questo contesto, – osserva il magistrato inquirente, “anche le diatribe tra le diverse componenti”, come, ad esempio, quella tra Gioacchino Amico, presunto referente del clan Senese con i Pace della componente castelvetranese, “trovano una soluzione funzionale e necessaria a mantenere in vita quell’accordo  che consente, a tutti, di trarre profitto”. 


28.10.2023 Una “supercupola” delle mafie a Milano? Ecco perché l’Antimafia è divisa

 

Repubblica spiega perché la tesi dei pm di Milano su un consorzio ‘ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra ancora non è accoglibile

 «La procura distrettuale antimafia di Milano sostiene in una richiesta al giudice del tribunale del capoluogo lombardo — che l’ha rigettata motivandola — che c’è una grande alleanza societaria tra le mafie tradizionali del nostro Paese, tanto da creare un “consorzio” tra queste organizzazioni: Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra, per gestire e condividere gli affari. Se fosse vera questa alleanza sarebbe un fatto gravissimo. Nelle carte si parla di un “network criminale evoluto ed espressione di un sistema confederativo”, se così fosse ci troveremmo davanti a una nuova “supercupola”. Nessuno però finora, almeno nei distretti giudiziari in cui sono nate e cresciute le mafie tradizionali, si è accorto del nuovo ingresso societario nel panorama nazionale». Così su Repubblica Lirio Abbate commenta le risultanze di una recente inchiesta di Pm di Milano su un presunto consorzio tra le principali mafie del Paese, tesi che però non ha convinto il gip che ha negato numerosi arresti richiesti dagli investigatori. Secondo Abbate  «ci troveremmo, così come viene descritta nelle migliaia di pagine depositate dagli investigatori a Milano, davanti a una “mafia 3.0” e sarebbe necessario affrettarsi a riscrivere la storia giudiziaria della lotta alle cosche da Palermo a Catania, da Reggio Calabria a Catanzaro, da Napoli a Roma, che è fatta soprattutto di sentenze.  I pm delle procure distrettuali del Mezzogiorno non hanno ricevuto segnali investigati o catturato movimento da parte dei capimafia indagati fa configurare qualcosa di nuovo in ambito di alleanze mafiose. Già l’alleanza è qualcosa che trova difficile applicazione nella realtà mafiosa, perché ogni organizzazione va per la sua strada senza farsi la guerra reciprocamente. E nemmeno gli investigatori che controllano il territorio hanno notato questa proiezione che mette insieme le tre mafie, Perché se risultasse che Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra hanno creato una Supercupola con base a Milano allora ci sarebbe da tremare. Le risultanze investigative dalla Sicilia alla Calabria, dalla Campania al Lazio non portano nella direzione sostenuta dia pm lombardi. Occorre a questo punto comprendere se gli indagati a Milano hanno proceduto per proprio conto, e quindi si tratta di un clan autonomo, oppure se ci sono elementi da cui emerge una proiezione delle cosche…». (redazione@corrierecal.it)

 


‘Ndrangheta, camorra e mafia insieme per spartirsi gli affari in Lombardia: undici arresti

 

I carabinieri hanno chiuso all’alba un’operazione su delega della Direzione distrettuale antimafia milanese. In tutto 153 gli indagati e sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro

‘Ndrangheta, camorra e cosa nostra insieme per spartirsi gli affari maturati a Milano. E’ questa la tesi investigativa che ha portato, all’alba di oggi, ad un blitz dei carabinieri che sta portando all’esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, al sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro e alla notifica dell’avviso di conclusione indagini nei confronti di 153 indagati.
“Si tratta – spiegano gli investigatori – di una complessa attività di indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano che ha riguardato un contesto criminale operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare, tra la città di Milano e la sua provincia, la città di Varese e la sua provincia, formato da soggetti legati alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra”.
Nelle carte dell’inchiesta – per cui i pm avevano chiesto oltre cento misure cautelari, quasi totalmente respinte dal gip – si leggono i nomi di diverse famiglie di criminalità organizzata: dai Fidanzati ai Mazzei passando per uomini particolarmente vicini a Matteo Messina, alle storiche locali di ‘ndrangheta della Lombardia fino ai Senese.
REGGIO TODAY 25.10.2023


La “supermafia” lombarda e i contatti con la politica, 11 arresti e sequestri per 225 milioni

 

Chiesti 153 arresti dalla Dda di Milano ma il giudice smonta l’impianto dell’accusa

Una «supermafia» in grado di governare gli affari in Lombardia, che può vantare contatti importanti con il mondo imprenditoriale e con la politica.
È al centro di una imponente inchiesta della Dda di Milano che ha richiesto 153 arresti al gip. Solo 11 però sono state le misure accolte dal giudice Tommaso Perna, che ha anche disposto sequestri per 225 milioni di euro ma non ha abbracciato la tesi della procura e non ha riconosciuto l’associazione mafiosa. I pm hanno già fatto ricorso al tribunale del riesame
Stando alle ipotesi accusatorie si parla di una «imponente e capillarmente strutturata associazione mafiosa» che avrebbe operato soprattutto in Lombardia, tra Milano e Varese, costituita da «appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso, cosa nostra, “ndrangheta e camorra” con una «struttura confederativa orizzontale» dove i vertici di ciascuna delle tre mafie «operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo».
Tra i 153 indagati nell’inchiesta della pm Alessandra Cerreti della Dda diretta dalla aggiunta Alessandra Dolci compaiono, tra gli altri, diversi componenti della famiglia palermitana dei Fidanzati, esponenti della provincia di Trapani collegati al mandamento di Castelvetrano, e quindi direttamente a Matteo Messina Denaro, ma anche esponenti della locale di Lonate Pozzolo, della cosca Iamonte, Romeo di San Luca, con anche camorristi del gruppo «Senese» di Roma.

Tra il settembre del 2020 e il maggio del 2021, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e Varese certificano una serie di summit soprattutto nell’hinterland di Milano tra gli esponenti delle tre mafie consociati, almeno per l’accusa, allo scopo di commettere estorsioni, truffe, rapine, traffico di droga e di armi, riciclaggio e anche una lupara bianca, l’omicidio di Luciano Cantarella del 3 febbraio 2020 su cui indaga la procura di Agrigento c’era anche una «cassa comune» in cui veniva imposto il versamento di somme «per il sostentamento dei detenuti»: «I soldi servono per i carcerati…

I carcerati vanno mantenuti prima di ogni cosa a questo mondo!», dicevano intercettati.
Soprattutto, per l’accusa, gli indagati avrebbero «mantenuto contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario, in modo da ottenerne favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti» e sarebbero così stati in grado di condizionare anche il voto.
Vantando peraltro contatti con il mondo della politica di Forza Italia e di Fratelli d’Italia soprattutto, come la ministra Daniela Santanchè e la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti.
Contatti e frequentazioni anche con esponenti politici locali come il sindaco di Abbiategrasso, Cesare Nai, e l’ex vicesindaco di Vigevano. Il «capitale sociale» delle mafie vengono definiti nelle carte di un’indagine andata avanti per tre anni che però non ha retto il vaglio del gip.


La Procura di Milano ricostruisce la “federazione mafiosa” in Lombardia. il Gip firma solo 11 misure su 153

MILANO – La “federazione mafiosa” in Lombardia, con cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta unite come i tentacoli di una gigantesca piovra, per mettere le mani su Milano. Undici le persone arrestate a fronte di 153 richieste di misura cautelare, che secondo il fascicolo di inchiesta della Procura di Milano, firmato dalla pm Alessandra Cerreti, costituirebbero l’ossatura di un accordo tra malavitosi unico in Italia. Il Gip di Milano Tommaso Perna però non ha ritenuto di accogliere il quadro ricostruito dagli inquirenti, le indagini sono del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Milano, accordandone solamente 11 con il sequestro di 200 milioni di euro.

I reati, i nomi e la super mafia

Estorsioni aggravate dal metodo mafioso, traffico di droga, spaccio, porto d’armi ed evasione fiscale, sono le accuse contestate a vario titolo agli undici arrestati all’alba di oggi. Si tratta di Dario e Francesco Nicastro, Massimo Rosi, Sergio Sanseverino, Giuseppe Sorce, Gioacchino Amico, Francesco Bellusci, Rosario Bonvissuto, Giacomo Cristello, Giuseppe Fiore, Pietro Mazzotta, a fronte delle altre 153 misure richieste dalla Procura e rigettate dal Gip Perna, sulla base di una chiusura indagine depositata di oltre cinquemila pagine, durata tre anni. Secondo il giudice non ci sarebbero le basi per dimostrare l’esistenza del consorzio “super mafia”, il primo ricostruito in Italia da magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di comprovata esperienza, quali Alessandra Cerreti, Alessandra Dolci e Marcello Viola e che hanno già presentato ricorso al Riesame per vedersi avvalorare la tesi.

L’indagine Hydra “mozzata”

È partito tutto dalle indagini dei carabinieri sulla locale di Lonate Pozzolo, in provincia di Varese, nel 2020, dove secondo la testimonianza del pentito Emanuele De Castro, proprio lì si stava riattizzando il fuoco delle attività di matrice calabrese.
 A sancire il matrimonio criminale, secondo gli investigatori, sono anche i matrimoni veri e propri, dove ad essere invitati sono i rappresentanti di tutte le organizzazioni malavitose.
Poi ci sono i“summit”, 21 per la precisione quelli documentati nei filmati dei carabinieri, tra Cinisello Balsamo, Castano Primo, Abbiategrasso, Busto Garolfo, Dairago e Inveruno, dove attorno tavole imbandite si sarebbero presi accordi per far girare “la macchina” del maxi consorzio criminale, tra cui l’apertura di società con capitali da oltre 300 milioni di euro, che investono nel settore petrolifero, nelle sanificazioni e acquisti di dispositivi di sicurezza personale per il Covid, e si infiltrano nella gestione di Rsa, parcheggi di ospedali pubblici e privati in Lombardia, carceri e persino in quella dell’ortomercato.
Per il gip però, non c’è mafia e patto tra mafie perché “manca la forza tipica dell’intimidazione mafiosa”.
I tentacoli malavitosi e l’ombra di Matteo Messina Denaro
Parte da Palermo il collegamento di Cosa Nostra a Milano, legata alla cosa dell’Aquasanta e dei fidati castelvetranesi di Matteo Messina Denaro, tanto che per un soffio non è partita proprio dal capoluogo lombardo la cattura del super boss.
Non mancano neppure i gelesi consolidati a Busto Arsizio(Varese) e i catanesi, i “carcagnusi” legati al boss Santo Mazzei. Sono invece i fedeli del clan Senese di Roma a rappresentare su Milano la camorra.

 

 

 

La MAFIA a COMO e in LOMBARDIA