FIAMMETTA BORSELLINO – Rassegna stampa novembre 2023

 

2.11.2023 Napoli, FIAMMETTA BORSELLINO tra i detenuti di Poggioreale

 

«Vi racconto papà e la passione per la giustizia»: l’iniziativa in carcere della Comunità di Sant’Egidio

 

C’era una grande attesa tra i detenuti del carcere di Poggioreale per l’incontro con Fiammetta Borsellino.
Un appuntamento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, preceduto dalla proiezione delle due puntate della miniserie televisiva andata in onda qualche anno fa, dove il giudice ucciso dalla mafia è stato interpretato da Giorgio Tirabassi.
Oltre tre ore di visione seguiti con grande attenzione e qualche occhio lucido.
«Io l’ho incontrata dodici anni fa a Monreale – esordisce un po’ per rompere il ghiaccio un giovane recluso – stavo in vacanza con i miei e ci siamo incrociati mentre lei partecipava a una conferenza».
Fiammetta Borsellino comincia a raccontare della sua famiglia di origine, una bella squadra che ha sostenuto e accompagnato quel padre che amava la giustizia e voleva liberare la Sicilia dal male e dall’oppressione del potere criminale.
«Lui non era contento di far arrestare i mafiosi, ma sperava di entrare in relazione con loro e suscitare così una reazione umana che avrebbe potuto produrre un cambiamento», ha rivelato la figlia del giudice, che ha ricordato una frase della madre: «Paolo faceva venire la luce anche nel peggiore degli uomini».
Subito si è creata una forte empatia con i quindici detenuti presenti, che hanno fatto molte domande personali sulla vita familiare e sul rapporto così complicato con un genitore che viveva sotto scorta tutte le ore del giorno.
«Suo padre chiedeva consigli alla famiglia? Vi faceva partecipe delle sue scelte?». Fiammetta ha ricordato che l’esempio del papà li coinvolgeva, trasmettendo la passione per la giustizia e il suo lavoro.
«Noi lo capivamo e lo seguivamo, ci trascinava come un’onda del mare che ti trasporta e tu ti lasci andare.
Tanto che quando dovevamo uscire insieme, spesso mi avviavo davanti a lui e lo precedevo per le scale di casa, un po’ per gioco che voleva essere però un senso di protezione».
Poi si è lasciata andare a qualche confidenza: «Io ero un po’ discola e certe sere tornavo a casa alle due di notte.
Arrivata sotto il portone lo scorgevo affacciato in canottiera, con la sigaretta tra le mani che in ansia mi stava aspettando.  
E, appena la porta si apriva, ero pronta a ricevere i suoi rimproveri».
Altre volte era il giudice che trasgrediva: «Andava in garage, prendeva il motorino di Lucia e se ne andava in giro senza avvisare la scorta».
C’è chi si sofferma sulla solitudine di Borsellino con la scena che lo vede in un salone immenso del tribunale senza nessuno accanto, e chi ricorda quando venne a sapere per caso che era arrivato il tritolo per lui.
Ma è il perdono il tema più sentito dai detenuti.
La figlia del giudice racconta che ha incontrato colui che rubò la macchina dove poi venne collocato l’esplosivo che causò la strage di via D’Amelio, un mafioso di Brancaccio che poi si pentì.
«Dopo aver visto il documentario sono tornato in cella e mi sono sentito triste», racconta un recluso.
Poi chiede: «Io nella mia vita ho perdonato, ma piccole cose non vicende così atroci.
Come è possibile perdonare chi ha commesso un crimine così crudele?
Io credo che non meriti di essere perdonato».  
Fiammetta Borsellino è risoluta nella risposta: «Il dolore non va tenuto dentro altrimenti è come una prigione come quella che vivete voi.  
La violenza genera altra violenza e coltivare rabbia non fa bene, non è costruttivo.  
Il perdono non fa resuscitare i morti ma non può prescindere da un incontro e da una relazione.
Deve avere contenuti, altrimenti è una cosa fine a sé stessa.
Il pentito di Brancaccio rinunciò ai figli la cosa più bella che aveva perché la moglie non lo seguì e fu il primo a far emergere il depistaggio.
Lui ha allargato le braccia e mio padre ci ha insegnato a trovare risorse in ogni essere umano.
Siamo anche noi Borsellino e abbiamo voluto vivere con lo stesso suo amore».  
C’è chi ricorda la scena del documentario quando un killer chiede parlare con il giudice svelandogli che era stato incaricato di ucciderlo.
E poi lo abbraccia. Fiammetta rivela che quel mafioso avrebbe poi chiamato i suoi tre figli Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Parole che suscitano grande attenzione e generano un forte applauso spontaneo.
«Mio padre – conclude Fiammetta – diceva che la principale lotta alla mafia si fa con la cultura e non con le pistole».  
Alla fine dell’incontro i detenuti le regalano un quaderno che hanno realizzato nella tipografia del carcere, con le loro firme.
All’interno sono stampate diverse foto della vita di Paolo Borsellino. Poi un saluto caloroso e tornano pensierosi nelle loro celle.  IL MATTINO 2.11.2023

 


2.11.2023 Fiammetta Borsellino incontra i detenuti di Poggioreale/ “Perdono nasce in un incontro: non coltivate rabbia”

 

Si è tenuto ieri l’incontro nel carcere di Poggioreale a Napoli con Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino ucciso dalla mafia di Cosa Nostra nell’attentato di Via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992.L’appuntamento è stato organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio ed è stato proceduto dalla proiezione delle due puntate della miniserie tv con protagonista Giorgio Tirabassi. Dalla famiglia di origine all’amore del padre per la giustizia, con l’obiettivo di liberare la Sicilia dal male e dall’oppressione del potere criminale: “Lui non era contento di far arrestare i mafiosi – le parole di Fiammetta Borsellino riportate dal Mattino – ma sperava di entrare in relazione con loro e suscitare così una reazione umana che avrebbe potuto produrre un cambiamento”. A tal proposito, la figlia del giudice ha tenuto a ricordare una frase della madre: “Paolo faceva venire la luce anche nel peggiore degli uomini”.

Fiammetta Borsellino a Poggioreale

Il dialogo tra Fiammetta Borsellino e i detenuti è stato appassionato, con tante domande personali e relative alla vita della famiglia. Immancabile un cenno alla passione per la giustizia e per il suo lavoro: “Noi lo capivamo e lo seguivamo, ci trascinava come un’onda del mare che ti trasporta e tu ti lasci andare. Tanto che quando dovevamo uscire insieme, spesso mi avviavo davanti a lui e lo procedevo per le scale di casa, un po’ per gioco che voleva essere però un senso di protezione”.  I retroscena, gli aneddoti ma anche la grande commozione. Qualche detenuto si è emozionato dopo aver visto il documentario. E sul valore del perdono: “Il dolore non va tenuto dentro altrimenti è come una prigione come quella che vivete voi. La violenza genera altra violenza e coltivare rabbia non fa bene, non è costruttivo. Il perdono non fa resuscitare i morti ma non può prescindere da un incontro e da una relazione. Deve avere contenuti, altrimenti è una cosa fine a se stessa. Mio padre – conclude Fiammetta Borsellino – diceva che la principale lotta alla mafia si fa con la cultura e non con le pistole”.


3.11.2022 Borsellino, la polemica social dopo l’audizione di Trizzino: “Sul gruppo creato per sostenere la moglie Agnese ora si riabilita Subranni”

di Giuseppe Pipitone| 3 Novembre 2023 FQ

Era stato creato nel marzo del 2012 per offrire sostegno pubblico ad Agnese Piraino Leto, la moglie di Paolo Borsellino, che in quei giorni era stata attaccata da Antonio Subranni: in pochi giorni su Facebook aveva raggiunto migliaia di iscritti, ottenendo le attenzioni anche dei telegiornali nazionali. Undici anni dopo, però, il gruppo “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino” diventa fonte di roventi polemiche che spaccano ancora una volta il mondo dell’antimafia.
Il motivo? “Oggi, nel gruppo si sostiene che le parole pronunciate da Agnese Borsellino sono da rivedere… da capirne il senso. Insomma si riabilita Subranni“, scrive in un post Gianfranco Criscenti, esperto cronista di giudiziaria e storico collaboratore dell’agenzia Ansa da Trapani.
Nel marzo del 2012 era stato lui ad aprire quel gruppo Facebook, insieme a Nico Gozzo, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia che da aggiunto a Caltanissetta ha indagato sulla strage di via d’Amelio, svelando il depistaggio condotto con le false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino. “Il gruppo l’ho fondato nel marzo 2012, assieme al magistrato Nico Gozzo, per esprimere solidarietà alla vedova del giudice, pesantemente apostrofata dal generale Subranni, dopo che la signora disse di aver appreso dal marito che l’ufficiale era punciuto, ricorda Criscenti.
Che poi però aggiunge: “Gli amministratori del gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino, farebbero bene a chiuderlo“.
Per capire cosa sta succedendo bisogna tornare indietro nel tempo. Nell’agosto del 2009 Agnese Piraino Leto racconta ai magistrati di Caltanissetta alcune confidenze raccolte dal marito poco prima della strage di via d’Amelio. “Il 15 luglio 1992, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto. Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni è punciutu“, sono le parole messe a verbale dalla moglie di Borsellino.
Un racconto confermato nel gennaio del 2010: “Confermo che mi disse che il generale Subranni era punciuto.
Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo.
Non mi disse chi glielo aveva detto. Mi disse, comunque, che quando glielo avevano detto era stato tanto male da aver avuto conati di vomito.
Per lui, infatti, l’Arma dei Carabinieri era intoccabile”.
Punciuto” vuol dire essenzialmente essere affiliato a Cosa nostra. Un’accusa grave per Subranni, ex generale del Ros dei carabinieri, che aveva negato ogni addebito, attaccando la consorte del magistrato assassinato: “Purtroppo, la signora Borsellino non sta bene in salute. Forse un Alzheimer, non so quando cominciato”, aveva detto in un’intervista al Corriere della Sera.
“Le insinuazioni del generale Antonio Subranni non meritano alcun chiarimento. Si commentano da sole”, si era limitata a replicare Agnese Piraino Leto, poi deceduta nel maggio del 2013.
La vedova Borsellino, contrariamente alle insinuazioni del generale, è rimasta “lucida fino alla morte“, come ha raccontato suo figlio Manfredi, deponendo come testimone al quarto processo celebrato sulla strage di via d’Amelio.
Nel frattempo le dichiarazioni della signora Piraino Leto avevano fatto finire sotto inchiesta il generale del Ros.
Un’indagine per concorso esterno a Cosa nostra poi chiusa con l’archiviazione. Pochi mesi fa, tra l’altro, Subranni è stato anche assolto in via definitiva nel processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra.
Insomma: la confidenza fatta da Borsellino alla moglie si riferiva evidentemente su un’accusa falsa o comunque mai dimostrata.
Recentemente, però, c’è chi ha dato una lettura diversa di quelle dichiarazioni della signora Borsellino. Si tratta di Fabio Trizzino
, il marito di Lucia e l’avvocato di Manfredi e Fiammetta Borsellino. Durante una lunga audizione davanti alla commissione Antimafia il legale ha spiegato che, dal suo punto di vista, il movente nascosto della strage di via d’Amelio è legato all’interesse di Borsellino per Mafia e appalti, l’indagine dei carabinieri sull’accordo miliardario tra Cosa nostra, l’imprenditoria e la politica.
Una pista storicamente sostenuta dal centrodestra – coalizione che esprime la presidente di San Macuto, Chiara Colosimo – ma anche da Subranni e dal suo successore al vertice del Ros, Mario Mori.
Nella sua lunga relazione Trizzino ha anche fornito un’interpretazione inedita delle parole riferite da Borsellino alla moglie.
Insistendo sulla struttura semantica della frase – “Ho visto la mafia in diretta perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu” – l’avvocato ha sostenuto che per Borsellino “chi glielo stava riferendo era il mafioso”.
In pratica, secondo Trizzino, per il giudice ucciso in via d’Amelio “la mafia in diretta” era quella che stava cercando di portare avanti “una linea di delegittimazione del Ros“, cioè di Subranni.
Un’interpretazione che non tiene conto del secondo verbale di Agnese Piraino Leto (quello del 2010 in cui le affermazioni della vedova sono più dirette) e neanche di quanto raccontato da Diego Cavaliero, che fu un giovane collega e amico di Borsellino: “Circa dieci anni fa – disse il magistrato durante un’udienza del processo sulla Trattativa nel 2014 – la signora Agnese mi disse che poco tempo prima di morire, in un momento di rabbia, il marito le aveva detto che il generale Subranni era punciuto. Mi disse anche che in quella occasione Paolo aveva vomitato dopo essere rientrato a casa”.
Al netto delle varie opinioni che si possono avere sulla tesi di Trizzino, va registrato che la riabilitazione di Subranni sembra aver convinto la maggior parte degli animatori del gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino.
“Bastano queste poche parole per mettere a tacere tutti i teoremi contro il generale e non solo“, scrive uno degli utenti, rilanciando un pezzo dell’audizione dell’avvocato.
“In democrazia ognuno è libero di esprimere il proprio parere, certo. Ma che lo faccia in un gruppo nato con uno scopo specifico, ribaltando la volontà di chi l’ha fondato, non è tollerabile“, dice Criscenti.
Dal gruppo, tra l’altro, è stata bandita la pubblicazione di articoli giornalistici che si permettono di avanzare qualsiasi contestazione alle ricostruzioni di Trizzino, a cominciare dal Fatto Quotidiano.
In compenso, negli ultimi tempi, trovano ampio spazio link che riportano le opinioni di Mori sulle stragi e pezzi che denunciano un presunto conflitto d’interessi di Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo oggi componente della commissione Antimafia. Da qui nasce la richiesta di Criscenti: “Quel gruppo va chiuso. O almeno gli va cambiato nome”.


 

FB, gruppo “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino”. Il fondatore Criscenti: “Va chiuso”

 
Il gruppo su Facebook era stato creato da Gianfranco Criscenti, giornalista alcamese ed ora residente a Valderice, ex direttore del tg di Alpa 1, nel marzo del 2012 in collaborazione con Nico Gozzo, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia. 

Era nato per offrire sostegno pubblico e solidarietà ad Agnese Piraino Leto, la moglie di Paolo Borsellino, che in quei giorni era stata attaccata da Antonio Subranni, ex generale dei carabinieri e comandante dei ROS. In pochi giorni aveva raggiunto migliaia di partecipanti e aveva anche ottenuto spazi su giornali e tg nazionali.
Dopo undici anni il gruppo “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino” torna ad accendersi con roventi polemiche che hanno nuovamente spaccato il fronte dell’antimafia.
Tutto è partito proprio da un post del fondatore del gruppo, Gianfranco Criscenti, storico cornista dell’ANSA, che ha scritto: “Oggi, nel gruppo si sostiene che le parole pronunciate da Agnese Borsellino sono da rivedere… da capirne il senso.
Insomma si riabilita Subranni.
Il gruppo l’ho fondato nel marzo 2012,  per esprimere solidarietà alla vedova del giudice, pesantemente apostrofata dal generale Subranni, dopo che la signora disse di aver appreso dal marito che l’ufficiale era punciuto“, ha aggiunto Criscenti che poi ha concluso: “Gli amministratori del gruppo ’Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino’, farebbero bene a chiuderlo“. “Punciuto” vuol dire essenzialmente essere affiliato a Cosa nostra.
Un’accusa gravissima per Subranni, ex generale del Ros dei carabinieri, che aveva negato ogni addebito, attaccando la moglie del magistrato ucciso in via D’Amelio: “Purtroppo, la signora Borsellino non sta bene in salute.
Forse un Alzheimer, non so quando cominciato”, aveva detto l’alto ufficiale dei carabinieri al Corriere della Sera.
Poi le dichiarazioni della signora Piraino Leto avevano fatto finire sotto inchiesta il generale del Ros per concorso esterno a Cosa nostra poi chiusa con l’archiviazione.
Pochi mesi fa, tra l’altro, Subranni è stato anche assolto in via definitiva nel processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra.
Insomma: la confidenza fatta da Borsellino alla moglie si riferiva evidentemente su un’accusa falsa o comunque mai dimostrata. Recentemente, però, c’è chi ha dato una lettura diversa di quelle dichiarazioni della signora Borsellino. Si tratta di Fabio Trizzino, il marito di Lucia e l’avvocato di Manfredi e Fiammetta Borsellino.
Durante una lunga audizione davanti alla commissione Antimafia il legale ha fornito un’interpretazione inedita delle parole riferite da Borsellino alla moglie.
A prescindere dalla tesi di Trizzino, va registrato che la riabilitazione di Subranni pare abbia convinto la maggior parte degli animatori del gruppo ’Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino. 
“In democrazia ognuno è libero di esprimere il proprio parere, certo.
Ma che lo faccia in un gruppo nato con uno scopo specifico, ribaltando la volontà di chi l’ha fondato, – ha detto Gianfranco Criscenti – non è tollerabile“. “Il gruppo va chiuso. O almeno gli va cambiato nome”.