Guido Ruotolo TERZOGIORNALE
Fa tristezza che uno “zio” si accanisca pubblicamente contro i “nipoti”, ne prenda le distanze, alzi la voce. E si avventi contro un pensiero “scandaloso” dei nipoti, che mette in crisi il suo teorema.
Soprattutto è scandaloso che nessuno protesti, dica qualcosa.
È vero che siamo in tempi di guerra. Il Covid, l’Ucraina, oggi Gaza. Ma che il dramma dell’antimafia passi così sotto silenzio davvero stupisce.
Questo silenzio ha il sapore della complicità.
Del resto siamo abituati al mondo dei media (con alcune eccezioni), che ormai non fa più informazione ma soltanto comunicazione. Insomma, la commissione parlamentare Antimafia ha deciso di convocare i figli di Paolo Borsellino per rendere omaggio al magistrato ucciso e per indagare sui “buchi neri” delle inchieste della magistratura nissena, che ancora oggi non ha saputo spiegare chi c’era in via D’Amelio.
Ma Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha protestato pretendendo (e ottenendo) di essere sentito anche lui, con il suo avvocato, a palazzo San Macuto.
Fa tristezza assistere impotenti all’eclissi dell’antimafia (su cui peraltro siamo già intervenuti, vedi qui) senza che nessuno avverta il bisogno di rianimare e ridare un significato al lavoro parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso.
I figli di Paolo Borsellino sono andati all’Antimafia per spiegare la loro tesi, cioè che le ragioni della morte del padre vanno ricercate nella inchiesta sui rapporti tra grandi imprese, politica e mafia.
Si tratta dell’indagine nata sulla base di un rapporto del Ros dei carabinieri, su “mafia e appalti”. In quelle settimane esplodeva Tangentopoli a Milano, che avrebbe messo in crisi la Prima Repubblica.
Le indagini del padre – su quel rapporto del Ros di Palermo, secondo i figli di Borsellino – avrebbero potuto svelare il “tavolino” su cui mafia, imprese e politica si spartivano gli appalti. E, dunque, Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso per non scoperchiare gli intrecci istituzionali, imprenditoriali e mafiosi.
Un’ipotesi, naturalmente, quella dei figli del magistrato. Ma lo zio, animatore del movimento delle “Agende rosse”, doveva contrastare questa ipotesi anche a costo di prendere le distanze dai nipoti, pur di lasciare in piedi il teorema della “trattativa”, della presenza in via D’Amelio dei servizi segreti.
Ipotesi, questa di Salvatore Borsellino, che non ha trovato alcun riscontro processuale, finora.
Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare Antimafia, esponente di Fratelli d’Italia, deve pagare il suo peccato originale, e dunque è diventata il bersaglio della “cupola” di quell’Antimafia che vede il ruolo dei servizi (e negli ultimi mesi anche della destra eversiva del secolo scorso) nella stagione stragista del 1992-1993.
Prendiamo come coordinate geografiche il Senato, a Roma.
Ci sono anche Firenze e Reggio Calabria, e infine Caltanissetta e Palermo. Il “grumo” di ex e nuovi sostituti procuratori antimafia è guidato dall’attuale senatore dei 5 Stelle, ex magistrato di Palermo e Caltanissetta, Roberto Scarpinato.
Poi ci sono alcuni magistrati degli uffici di procura di Firenze, Reggio Calabria, Palermo e Caltanissetta. E infine i fedelissimi giornalisti (in testa c’è “Il Fatto”) che si occupano di “giudiziaria” e hanno giurato fedeltà fino alla morte a questi magistrati.
Mentre gran parte della magistratura italiana è rientrata nei ranghi (sonnolenta, attratta dal potere, sfaticata), sopravvive un gruppo ristretto di ultras dell’Antimafia che fu, che gestisce una fetta importante di potere.
È suggestiva la trama che si sta svelando nelle inchieste di Firenze, Reggio Calabria, Palermo e Caltanissetta.
Qualcosa si intuisce dalla condanna per la strage di Bologna del “nero” Paolo Bellini, tra le altre cose trafficante d’arte.
Il suo ruolo nelle stragi sul continente del 1993 (Firenze, Roma, Milano) emerse nella inchiesta di Firenze del pm Gabriele Chelazzi.
In sostanza, Bellini “suggerì” al mafioso Nino Gioè (che aveva conosciuto in carcere anni prima) la strategia di colpire i monumenti e non le personalità, per raggiungere gli obiettivi dei corleonesi.
Ora, dopo la condanna di Bologna, si stanno riannodando i fili di un’unica trama che vede l’eversione di destra agire insieme a Cosa nostra. Siamo all’ultima puntata di una serie televisiva.
In attesa della nuova stagione, l’antimafia è tramontata.