GIOVANNI BRUSCA, la belva dal cuore fragile – Intervista ad Arnaldo La Barbera

-ESCLUSIVA DI PANORAMA/ CHI E’ DAVVERO IL BOSS DI COSA NOSTRA NELLA TESTIMONIANZA DEL QUESTORE DI PALERMO, CHE L’HA ARRESTATO E POI L’HA CONVINTO A PARLARE. INTERVISTA CON ARNALDO LA BARBERA
 
di SANDRA RIZZA PANORAMA 11/10/1996
Ha passato lunghe ore a faccia a faccia con Giovanni Brusca che non spiccicava una parola. Ha trascorso intere settimane a studiare la psicologia del boia di San Giuseppe Jato, per scoprire i suoi punti deboli, per trovare un varco nella sua mente diabolica. Non era facile. Ma lui ha intuito che dietro quella maschera da criminale incallito si nascondeva una personalità vulnerabile. Allora lo ha incalzato, provocato, sfidato. E alla fine lo ha costretto ad arrendersi. Arnaldo La Barbera, questore di Palermo, è l’investigatore che ha convinto il capo militare dei corleonesi a “mollare” Cosa nostra. “E oggi” ammette “Brusca è il pentito, o meglio l’aspirante pentito, che fa più paura di tutti. Da lui ci aspettiamo di sapere chi c’ è dietro le stragi e quali apparati deviati, schegge impazzite della massoneria o centrali eversive hanno manovrato accanto a Cosa nostra per destabilizzare l’ Italia”. Nessuno conosce il boss meglio di lui. E nessuno meglio di lui può spiegare come e perché la clamorosa svolta di Brusca rischia di diventare un incandescente affare di Stato. In una intervista esclusiva, La Barbera racconta a Panorama chi è Brusca e qual è stato il percorso che lo ha portato a trasformarsi nel più temuto “dichiarante” della storia di Cosa nostra. Quando e come il boss ha cominciato a parlare, quali sono state le sue prime ammissioni, e soprattutto perché i sospetti di manipolazione sollevati dall’ avvocato Vito Ganci, ex difensore del capomafia corleonese, ora sostituito dall’ avvocato Luigi Li Gotti, sarebbero “totalmente privi di fondamento”. Ecco la sua verità sul caso Brusca.
–Dottor La Barbera, può raccontare che cosa è successo dal momento della cattura di Giovanni Brusca?
La sera dell’arresto, dopo il suo arrivo a Palermo, Brusca era chiaramente traumatizzato, aveva dipinto in volto lo shock della cattura, era sopraffatto dalla sorpresa, dal brusco cambiamento di prospettive, dalla necessità di mostrarsi all’ altezza della nuova situazione. Ma è stato molto corretto. La prima notte l’ha passata in questura, senza lamentarsi e senza dire una parola. E’ rimasto in silenzio, sembrava pensieroso, era evidentemente provato.
–Per quanto tempo Brusca è rimasto in questura?
La polizia di Stato ha avuto la disponibilità materiale di Giovanni Brusca dal 20 maggio, giorno dell’arresto, alle ore 14 del giorno successivo: questo è il periodo in cui è rimasto in questura. Solo il tempo di espletare le formalità. Poi il boss è stato trasferito in una struttura carceraria. E’ stato allora, al momento di lasciare gli uffici, che ha avuto il primo cedimento…
–Che cosa è successo?
E’ successo qualcosa quando ha salutato il figlio Davide, che ha solo quattro anni. Noi abbiamo permesso che Brusca abbracciasse il bambino prima di essere condotto in carcere. E quando lui ha stretto il figlio, la sua faccia si è contratta… non ha versato una lacrima, è riuscito a controllarsi, ma sembrava ugualmente commosso. Si è ripreso subito, è tornato alla sua espressione impenetrabile. Ma noi ci siamo resi conto che è molto attaccato al figlio. Che il legame con il bambino era il suo punto debole.
–E’ così che siete riusciti a trascinare un boss del calibro di Brusca alla scelta di collaborare con la giustizia?
C’era quella traccia… quella traccia impercettibile di commozione che apriva una possibilità. Abbiamo deciso di cominciare quasi subito i colloqui investigativi. Ufficiali di polizia giudiziaria sono andati a trovarlo, prima all’Ucciardone e poi nelle altre carceri dove era stato trasferito, e hanno cominciato a sondare il terreno. Parlavano con lui, parlavano per ore intere.
–Come si svolge esattamente un colloquio investigativo?
Nel modo previsto dalla legge. Il colloquio è uno strumento investigativo regolarmente autorizzato dal ministero della Giustizia, da quello dell’Interno e dalle varie autorità giudiziarie, e serve a far maturare nel detenuto il proposito di collaborare con la giustizia. Non c’è nulla di segreto o di misterioso. Tutti gli incontri con il detenuto Brusca sono avvenuti nel pieno rispetto della normativa.
–E’ vero che qualcuno ha dormito in cella con Brusca? E chi?
Per carità. Nessun funzionario ha mai dormito con Brusca, il carcere non è certo un albergo… E poi questi colloqui avvengono sempre alla presenza di un agente di polizia penitenziaria che sta dietro la porta e vede tutto. Non esiste la minima possibilità di derogare alla legge.
–Brusca avrà capito che puntavate al suo pentimento. Come ha reagito?
All’ inizio si rifiutava di rispondere. Ma in quei primi giorni di totale solitudine ha riflettuto molto su quello che lo aspettava e sullo squallore dei valori che avevano governato la sua vita. Il 41 bis, per un uomo che non ha ancora compiuto quarant’ anni, e che sa di dover scontare l’ergastolo, è una prospettiva terrificante.
–Ma come lo avete convinto a parlare?
Ognuno di noi ha un punto debole, e Brusca non è diverso. Avevamo capito che il suo punto debole sono gli affetti familiari, l’attaccamento al figlio. Nei colloqui gli veniva fatto presente che per lui la bella vita era finita, che poteva dire addio alla sua compagna e al bambino, che davanti a sé aveva solo la prospettiva di passare il resto della vita in isolamento. Abbiamo molto insistito su questo aspetto, dovevamo convincerlo che non gli restava nessun’ altra strada, se non quella della collaborazione.
–Quando ha ceduto?
La prima apertura, il primo segnale di disponibilità, è arrivato alla fine del secondo colloquio investigativo. Una ventina di giorni dopo l’arresto. Una resa a tempo di record per uno dei più efferati capi di Cosa nostra… In effetti è stato un percorso molto veloce, Brusca è stato molto più rapido di Calogero Ganci, che ha aspettato due anni prima di cominciare a confessare i suoi delitti.
–Perché? E’ un uomo più fragile?
Io credo che la sua decisione sia soprattutto il frutto di un calcolo di convenienza, e che dimostri anche una buona dose di cinismo. Ma riflettiamo: sul piano concreto, la scelta di collaborare era effettivamente l’unica possibile per lui. Potremmo dire che è un uomo estremamente pragmatico. Oppure semplicemente che non ce l’ha fatta.
–Che vuol dire?
Vuol dire che Brusca ha dimostrato una scarsa capacità di tenuta, una sorta di vulnerabilità sul piano emotivo, e questo è l’aspetto che ha sorpreso tutti.
–Ma lei che idea s’ è fatta di Brusca?
La sua storia criminale la conosciamo tutti. Brusca è un uomo senza istruzione, il suo titolo di studio è la quinta elementare. Da questo punto di vista, certamente, è alquanto rozzo, ma possiede una istintualità fortissima, quasi animalesca. Posso dire che è un uomo estremamente furbo. E un eccezionale calcolatore.
–Brusca ha la personalità del capo?
Certamente. E’ un lucidissimo stratega. Non dimentichiamo che è stato fino all’ultimo un criminale altamente operativo. E soprattutto che ha fatto parte della commissione mafiosa fin dal 1986. I grandi padrini come Riina e Provenzano si fidavano di lui, e non solo perché era il figlio di un vecchio boss come Bernardo.
Brusca ha dato una spiegazione della sua scelta di collaborare?
Lui si è ideologicamente dissociato da Cosa nostra, anche se finora solo a parole. Ha spiegato che la sua carriera criminale è stata un percorso obbligato. Ha sottolineato come, essendo nato da un certo tipo di famiglia, non avesse altra scelta. E poi ha confessato il peso di tanti anni di latitanza. La sua è stata una vita logorante. Io credo che fosse molto stanco.
–Ha raccontato la sua iniziazione?
Ha detto che da ragazzo era molto turbolento, era considerato troppo vivace, una sorta di teppistello. E che, a un certo punto, la famiglia gli ha imposto di entrare a far parte di Cosa nostra, come per calmarlo, per imporgli delle regole.
–E’ incredibile: l’iniziazione mafiosa vissuta come una “normalizzazione”?
Sì. Brusca era un ragazzo ribelle. Farlo diventare “uomo d’ onore” voleva dire irreggimentarlo.
–Secondo lei, Giovanni Brusca è realmente pentito?
Ha detto bene il procuratore Gian Carlo Caselli: Brusca, al momento, è un semplice dichiarante. Tanto è vero che è ancora in isolamento, secondo le regole dure del 41 bis, e non ha ancora usufruito di alcun beneficio della legge sui pentiti. Bisogna aspettare per capire se può essere considerato un collaboratore a tutti gli effetti. Fino a oggi è stato interrogato 3 o 4 volte: ed effettivamente ha ammesso le proprie responsabilità in alcuni efferati delitti. Di altre cose non ha ancora parlato. Non c’ è neppure stato il tempo.
–Come ha confessato?
Ha ammesso di avere partecipato alla strage di Capaci. E di essere proprio lui l’uomo che ha premuto il telecomando che ha assassinato Giovanni Falcone. Ha confessato di avere partecipato alla strage Chinnici. Ma uno come Giovanni Brusca, per essere un pentito credibile, deve fare ben altre rivelazioni.
–Quali per esempio?
Il tema degli interrogatori ora è quello delle “cointeressenze esterne” a Cosa nostra. I magistrati vogliono battere fino in fondo la cosiddetta “ipotesi B”: capire cioè se esistono e quali sono i mandanti occulti delle stragi, scoprire se ci sono apparati deviati, schegge impazzite della massoneria, o centrali eversive che hanno manovrato accanto a Cosa nostra per destabilizzare l’ Italia. Brusca deve spiegare questi misteriosi meccanismi perché si possa dire che è effettivamente un collaboratore.
–E’ per questo che Brusca pentito fa tanta paura?
Certo. Negli ultimi dieci anni, Brusca è stato al centro di tutte le strategie di Cosa nostra: ha partecipato alle decisioni politiche, economiche e militari. Se davvero ha deciso di collaborare, è l’uomo che finalmente potrebbe svelare il volto misterioso della mafia dei colletti bianchi. E’ l’uomo che potrebbe smascherare gli insospettabili professionisti, i prestanome, i fiancheggiatori occulti che gestiscono gli affari delle cosche. Con le dichiarazioni di Brusca, potremmo finalmente arrivare a colpire le leve economiche di Cosa nostra.
–Se Brusca, l’uomo chiave della strage di Capaci, l’assassino del piccolo Giuseppe Di Matteo, dimostrasse di essere un vero pentito, potrebbe forse sperare in una misura alternativa al carcere?
Anche se sull’ argomento decidono i magistrati, credo di poter dire che questa possibilità, al momento, sia molto, molto remota. Brusca può sperare in una carcerazione meno dura, può sperare di uscire dal 41 bis, di ottenere colloqui più frequenti con la sua compagna e con il figlio, può aspirare a una detenzione più sopportabile. Per ora, nient’ altro.
–Tirando fuori la storia del complotto tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni per eliminare dalla scena politica Giulio Andreotti, l’avvocato Vito Ganci ha insinuato che Brusca potrebbe essere un personaggio poco credibile…
Il tentativo di delegittimazione è un frutto di stagione a Palermo. Non poteva mancare stavolta. Una cosa è certa: incrinare l’attendibilità di Brusca significa neutralizzare in anticipo eventuali rivelazioni che potrebbero travolgere chissà quali equilibri. Brusca è il dichiarante che può sbaragliare la “zona grigia” che in questi anni ha prosperato all’ ombra di Cosa nostra. E’ il pentito, o meglio l’aspirante pentito, che fa più paura di tutti.
–Ganci sostiene anche che il pentimento di Brusca sarebbe stato “pilotato”.
Sono illazioni senza fondamento e mistificazioni della verità.
–Che cosa pensa dell’avvocato Ganci?
Non lo conosco. Quello che so è che i magistrati della procura di Palermo lo hanno già interrogato tre volte. Evidentemente le sue dichiarazioni non sono tanto limpide e trasparenti. Ganci ha insinuato la possibilità di una manipolazione di Brusca proprio da parte di funzionari di polizia. Dico solo che le bugie hanno le gambe corte. L’ avvocato Ganci può dire ciò che vuole. Poi,
però, deve riuscire a dimostrare le sue affermazioni.
–Ma in teoria è possibile trovarsi davanti a un pentito “pilotato”?
In teoria, sì. Ma non certo perché qualcuno può entrare in una cella e imbeccare il teste. Il rischio è, semmai, quello di trovarsi di fronte a un falso pentito. Per fortuna l’attività di riscontro fornisce sempre la prova dell’inattendibilità o della credibilità del collaboratore.
–Come hanno influito gli attacchi di queste settimane sull’ umore di Giovanni Brusca, apprendista pentito?
Le fughe di notizie, le polemiche, il can can di questi giorni hanno certamente alterato l’evoluzione del pentimento. Gli interrogatori hanno bisogno della massima serenità, del riserbo più assoluto. Brusca non può certo essere contento.
–C’è il rischio di una retromarcia?
No. Per quanto lo conosco io, Brusca non è uno che torna sulle sue decisioni.
–La sua resa segna la disfatta definitiva di Cosa nostra?
Nient’ affatto. Cosa nostra non è un’organizzazione che scompare con la resa di un capo, anche se il pentimento di Brusca è un colpo durissimo che provocherà certamente altre defezioni a catena. Quando il generale di un esercito getta la spugna, perché i soldati dovrebbero continuare a combattere? Eppure non ci illudiamo. Nella lotta alla mafia abbiamo raggiunto grandi successi, abbiamo vinto battaglie importanti, ma la guerra contro le cosche non è finita.
–Dopo il crollo della leadership corleonese, chi tiene le redini di Cosa nostra?
Molti mandamenti, vicini ai corleonesi, sono stati duramente colpiti dagli arresti e dalle dichiarazioni dei pentiti. Vecchi fortini mafiosi come quelli di Brancaccio, la Noce, Porta Nuova, San Lorenzo, Resuttana, Altofonte, San Giuseppe Jato, sono tra i più indeboliti. Ma a Palermo c’ è una famiglia che non è ancora stata toccata, o quasi, dalle indagini. E’ la famiglia di Santa Maria del Gesù, comandata dal superlatitante Pietro Aglieri. Noi pensiamo che Aglieri sia già al lavoro per riorganizzare l’esercito di Cosa nostra.
–Eppure il braccio destro di Aglieri, il boss Carlo Greco, poco più di un mese fa, è finito in manette.
E’ vero. Ma nonostante l’arresto di Greco, oggi Aglieri è sempre più forte, perché la cattura di tanti capi mandamento gli ha lasciato mano libera.
–Dopo l’uscita di scena di Riina, Bagarella e Brusca, la leadership di Cosa nostra torna dunque ai palermitani?
Di certo c’ è solo che, fallita la strategia stragista dei corleonesi, si è tornati alla vecchia massima del “calati junco che passa la china”. L’organizzazione mafiosa oggi è profondamente ferita dai successi investigativi. Ha bisogno che si allenti la morsa repressiva, che si allontani la pressione dell’opinione pubblica. Nell’ attesa di tempi migliori, Cosa nostra torna all’ invisibilità, rinuncia alle sfide eclatanti, e intanto prepara la propria riorganizzazione. Il leader di questa fase potrebbe essere proprio il palermitano Aglieri.
–E Bernardo Provenzano? L’ inafferrabile “grande vecchio” corleonese è ancora al vertice dell’organizzazione?
Provenzano continua a comandare. Aglieri è da sempre un suo pupillo, e risulta che negli ultimi tempi i due si siano avvicinati ulteriormente. Oggi anche Provenzano potrebbe adeguarsi all’ esigenza di agire silenziosamente.
–Dopo Brusca, è pensabile che anche Totò Riina possa diventare un pentito?
E’ un’ipotesi. Può accadere. Noi ce lo auguriamo.