«Le nostre città sono cambiate, la mafia è cambiata. Ai ragazzi dico: pretendete modelli concreti di legalità, persone che mettono davvero in pratica certi valori, oltre le liturgie dell’antimafia».
Cosa accade durante questi incontri? Chi sono i ragazzi che incontra?
«Questi incontri sono un momento di confronto importante, di grande partecipazione spontanea, specie se i ragazzi sono stati accompagnati, dai docenti e dagli operatori, ad avvicinarsi e ad interrogarsi su alcuni temi. Si tratta, di solito, di tappe di un percorso più articolato, in cui i ragazzi imparano a riflettere su ciò che accade attorno a loro».
Non ci sono dunque solo baby criminali? A Bari, in particolare, l’età media in cui si comincia a delinquere è sempre più bassa…
«È un tema che emerge spesso, anche oggi ne abbiamo parlato. I ragazzi sono affascinati da modelli negativi, alla ‘Gomorra’ per intenderci. E questo perché chi cresce in contesti di degrado spesso non ha alternative. Non che questo sia una giustificazione ma è indubbio che, per alcuni ragazzi, nati e vissuti in certi contesti, alcuni modelli sono più vicini, più attraenti. Ma c’è anche una seconda ragione. Questi modelli negativi offrono ai ragazzi l’opportunità di raggiungere, in poco tempo, il riconoscimento sociale e i soldi. Ma, attenzione, si tratta solo di un’illusione. Se uccidi a 16 anni, entri in una spirale di morte. Se delinqui da 16 anni, presto o tardi dovrai fare i conti con il carcere. Durante questi incontri, nelle scuole, parlo ai ragazzi di quest’illusione, invitandoli a guardare più lontano. Certo, questo non basta. È necessario offrire loro modelli concreti, non solo parole, di legalità».
Che ricordo ha di Palermo, e dei giovani palermitani, quando frequentava anche lei la scuole superiore?
«Sono sempre stata una ragazza che ha vissuto la sua città, frequentavo anche i quartieri più degradati, perché facevo volontariato e perché credevo e continuo a credere che proprio nei quartieri più difficili, più degradati, si nasconde la bellezza più autentica. Adesso Palermo, come Bari e altre città del Mezzogiorno, è molto cambiata: ci sono i turisti, le zone pedonali, le attività commerciali, un processo di riqualificazione molto complesso, in cui nuove realtà convivono con chi, in questi quartieri, ha sempre vissuto».
Significa che la mafia ha perso il controllo su certi quartieri?
«È semplicistico dire “la mafia ha vinto” così come “la mafia ha perso”. In primo luogo, perché la mafia si è riorganizzata, è cambiata e guarda con interesse tutti quei fenomeni, come per esempio il turismo, che portano soldi. Oggi poi, rispetto al passato, la mafia risiede nei centri del potere economico, se volessimo semplificare diremmo nei colletti bianchi, pur continuando a gestire, per esempio, lo spaccio in strada».
Come si fa spiegare ai ragazzi che le indagini sulla strage di via D’Amelio sono state sviate?
«Comincio col dire che il mio è un percorso di verità e memoria, che vuole superare certe liturgie dell’antimafia. Continuo col dire che sono stati attivati percorsi istituzionali, che sono in corso processi, che riguardano anche figure istituzionali importanti. Tutto ciò naturalmente non può spiegarsi in uno o due incontri, proprio perché riguarda figure istituzionali significative. Non è facile da affrontare, non è facile da capire, ma è indispensabile per ricostruire la verità e la memoria».
Andare oltre le liturgie non è semplice, specie se i ragazzi, spesso loro malgrado, ne sono protagonisti.
«Quello che suggerisco loro è di non soffermarsi all’apparenza, alle parole, alla vetrina dei fenomeni. Devono cercare chi, dall’amministratore locale in su, certi valori li mette in pratica, pretendere che certi valori, tanto proclamati, diventino concreti».
La figlia di Paolo Borsellino ha incontrato gli studenti dell’istituto Marconi di Bari e del Fiore di ModugnoENRICA D’ACCIÒ 29 OTTOBRE 2019 Gazzetta del Mezzogiorno