Tra esplosioni e auto blindate, il super corso dei poliziotti per diventare agenti di scorta: «Papà morì in servizio, ma io non ho paura»

 

Tra esplosioni e auto blindate, il super corso dei poliziotti per diventare agenti di scorta: «Papà morì in servizio, ma io non ho paura»

L’istruttore Marco Puggioni con una corsista al Caip di Abbasanta (foto di Massimo Locci)


ABBASANTA (ORISTANO) — L’attentato ai miei danni scatta alle 13.30 di un mercoledì di sole, in un piazzale deserto. Uscendo da un bar, seguo Diego, l’«uomo punta», verso l’auto che ci sta aspettando con il motore acceso e lo sportello aperto; non devo perderlo mai di vista. Marco, il capo scorta, è dietro di me che mi tiene una mano sulla schiena. Lo scoppio è inaspettato, Marco mi abbassa la testa bruscamente e mi spinge dentro l’abitacolo, coprendo il mio corpo con il suo. L’autista parte a razzo, la portiera resta spalancata: anche un secondo perso per chiuderla può costarmi la vita.
Non è vero niente, l’esplosione era quella di un petardo. Ed era una esercitazione dentro il Caip di Abbasanta, il Centro Addestramento della Polizia di Stato nell’Oristanese, dove vengono formati gli uomini e le donne delle scorte e dove a me è stato appena assegnato il ruolo di «Vip» durante la simulazione. In Italia, invece, ci sono circa 600 persone sottoposte a uno dei quattro livelli di protezione stabiliti dall’Ucis, l’Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale. E per loro non è mai un gioco di ruolo.
«Il Centro è nato nel 1980», racconta Nicola Colitti
, 54 anni, per cinque dirigente del Commissariato di Carbonia e per altri 15 vicecomandante del Reparto Mobile di Cagliari, prima di assumere l’incarico al Caip, a gennaio. «Da allora sono stati formati novemila agenti. La scuola rappresenta un’eccellenza: vengono da noi a fare i corsi anche le polizie straniere, dalla Libia, dalla Serbia, dall’Egitto, dagli Emirati Arabi e dalla Tunisia».

Le donne

Adesso stanno partecipando 41 agenti, le donne sono quattro. «La media femminile è di circa il 5 per cento», prosegue Colitti. Tra loro c’è Linda (di tutti gli agenti del corso sarà omesso il cognome, per tutelarne la sicurezza), 31 anni di Campobasso, da un anno in servizio in Vaticano. «Sono appassionata di storia di mafia fin da piccola, la vicenda di Emanuela Loi, uccisa nella strage di via D’Amelio, mi ha toccata molto: per me è un modello femminile in un ambiente tipicamente maschile». Minimizza sulla paura della morte. «Può essere più rischioso un controllo dei bagagli in piazza San Pietro». Sua madre, però, non la pensa come lei. «Ha perso il fratello a un posto di blocco sulla Parma-Piacenza, un’auto pirata lo ha travolto e ucciso». Se potesse scegliere, farebbe la scorta al Papa. «Dopotutto, sono lì apposta!».
Linda non è l’unica ad aver perso un familiare in servizio. «Mio padre era carabiniere. È morto nel Duemila, durante un’esplosione: era intervenuto di supporto per sventare un tentato suicidio, io avevo cinque anni», racconta Marco, 28 anni, di Teramo. La madre non riesce a condividere la sua scelta. «Ma io ho sempre desiderato fare questo mestiere, mio zio lavora nella Polizia. Non ho seguito le orme di mio padre solo perché l’Arma non consente il ricongiungimento familiare e io ho bisogno di restare vicino a mia mamma».

I requisiti

«Per accedere al corso ci sono dei requisiti generali, come avere meno di 45 anni, anche se ci sono delle eccezioni. Quindi vengono eseguiti esami clinici e test attitudinali. Al Caip c’è una verifica di ingresso, a cura degli istruttori. E al termine dell’addestramento c’è l’esame finale», prosegue il direttore. Consiste nella simulazione di un servizio di protezione di primo livello, il più alto, con tre auto blindate e 10 agenti, quello che si riserva al presidente della Repubblica o al ministro dell’Interno. E anche lì sono previsti dei potenziamenti a seconda del rischio valutato: a Mattarella, per dire, si applica quello «eccezionale» durante gli spostamenti ufficiali, come al presidente degli Stati Uniti in visita in Italia; il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri, invece, è sottoposto a questo tipo di protezione eccezionale tutti i giorni. In generale, nella scala dell’Ucis, si va dal «Primo livello» al «Quarto provvisorio», una misura temporanea con un’auto non blindata. «I corsisti devono pianificare tutto il servizio di protezione per il “Vip”, da quando lo si va a prendere a casa, a quando entra in farmacia, al bar o al cinema», spiega l’ispettore Sebastiano Deriu, 57 anni, decano degli istruttori. La simulazione avviene nel villaggio fantasma di Santa Chiara, costruito nel 1920 per ospitare gli operai dell’Enel che lavoravano alla diga del lago Omodeo terminata nel 1924. A questa tornata la «Vip» sarà la funzionaria del Caip Claudia Carta, 30 anni, alla sua prima assegnazione nel Centro.

Le attività

Gli agenti che frequentano il corso studiano le tecniche di protezione, come si gestisce lo stress, come si disinnescano gli esplosivi o si fa una bonifica. Imparano la guida di disimpegno, sul bagnato o per evitare gli ostacoli, per le auto blindate, e anche come muoversi quando ci si sposta in elicottero. Ma gran parte dell’attività viene svolta al Poligono, fiore all’occhiello della struttura. Deriu lo fa capire: «Vengono a esercitarsi qui da tutta la Sardegna, perché è l’unico all’aperto, il che consente di provare anche gli interventi in formazione, a dispetto dei poligoni in galleria. Questo lo abbiamo creato noi dopo che l’ultima bonifica aveva sommerso il precedente: abbiamo piantato gli eucalipti e costruito il parapalle, lo teniamo in ordine noi». Sullo sfondo ci sono i paesi di Nughedu Santa Vittoria, Sorradile, Bidonì, Ardauli, i nuraghi e le domus de janas nascoste nella macchia mediterranea. «Quando i corsisti arrivano, restano incantati dal posto», ammette il direttore, che del resto è romano eppure dopo averci messo piede, non ha più lasciato la Sardegna.

Al Poligono

I poliziotti devono rimparare a sparare da zero, dimenticando come lo hanno fatto prima, perché il «tiro», per loro, «è sempre orientato alla protezione, non è offensivo». Sparano a gruppi di dieci, con le cuffie e gli occhiali obbligatori, a distanze da tre, da cinque, da dieci o venti metri. L’istruttore di volta in volta indica le parti del bersaglio da colpire. Due infermieri con l’ambulanza devono essere sempre presenti, per garantire l’assistenza sanitaria, in caso serva. Il direttore di tiro è Mauro Miriello, 57 anni. «Sono arrivato due anni fa, dopo 38 alla Questura di Torino. Ormai ho i figli grandi e mia moglie ama la Sardegna». È lui a definire il Caip «l’università della Polizia di Stato». Un buon agente di scorta lo riconosce «da come impugna la pistola e dalla capacità di tradurre in atti concreti le indicazioni di un istruttore».

Bossoli

In questo momento due dei tre campi sono occupati dai corsisti, i loro zaini sono ammucchiati sopra delle panche, mentre in uno si stanno esercitando gli uomini della Questura di Nuoro. «Ingaggiare, sparare e copertura»sono gli ordini che risuonano più di frequente; nell’aria si diffonde subito l’odore della polvere da sparo. Tutti i bossoli, al termine dell’esercitazione, dovranno essere raccolti da terra e contati, non ne deve mancare uno (speriamo che nessuno abbia avuto problemi per quello che abbiamo portato via per ricordo di nascosto, e che poche ore dopo passerà incredibilmente i controlli all’aeroporto di Cagliari Elmas). Gianluca, 42 anni, quindici in Polizia, arriva da Catanzaro. Da qualche mese fa l’autista alla scorta di un politico locale. «Ho due bambini, mia moglie mi vede felice, dunque non si preoccupa». Tutti sanno di non poter scegliere a chi fare la scorta. «Potrebbe essere anche un pentito — argomenta uno di loro — e magari non il magistrato che avremmo desiderato. Ma non puoi ragionare così: noi scegliamo di proteggere un’altra persona, chiunque sia». CORRIERE DELLA SERA 31.3.2024 ELVIRA SERRA