Palermo, domenica pomeriggio, cento secondi alle cinque: il sismografo dell’osservatorio geofisico ha un sussulto, mentre fuori già si alza una lama di fumo nero. Vent’anni dopo, un uomo guarda la sua città dalla finestra, assaporando l’aroma persistente di una sigaretta. Sulla scrivania il minuzioso lavoro di ricostruzione che sta portando a termine: la mappa di un depistaggio lungo due decenni attorno alla strage di via D’Amelio.
In un gioco di pesi e contrappesi saranno le voci dei pentiti a dominare la scena: quella dell'”orsacchiotto con le batterie” Vincenzo Scarantino in primis, sulle cui dichiarazioni verranno istruiti i processi; e quella di Gaspare Spatuzza poi, il collaboratore che ha rimesso in discussione le sicurezze acquisite in tanti anni di indagine. Una ricerca di verità e giustizia che condurrà il protagonista a muoversi tra mille piste e sentieri intricati, sino a culminare in un incontro che, alla fine, gli regalerà una nuova prospettiva sulla strage, aiutandolo a mitigare il senso di sconcerto e impotenza.
La storia del depistaggio della strage di Via D’Amelio: ne parliamo oggi a Marsala
Il tema è di grandissima attualità: i depistaggi delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, in cui morirono, nel 1992, Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta. Per parlare di quanto è avvenuto, il pretesto è un ottimo lavoro di inchiesta fatto da due giornalisti, Elena Invernizzi e Stefano Paolocci, nel 2012 scrissero:
“Un orsacchiotto con le batterie”. Così si è definito, in aula, Vincenzo Scarantino, il falso pentito che si era accusato di tutta la strage e che poi ha detto di essere stato “manovrato”.
“Un orsacchiotto con le batterie – Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio”, insegue verità mai rivelate, depistaggi, dichiarazioni false e altre che hanno rimesso in discussione le sicurezze acquisite in tanti anni di indagine.
“Palermo, 19 luglio 1992, cento secondi alle cinque: il sismografo dell’osservatorio geofisico ha un sussulto, mentre fuori già si alza una lama di fumo nero.Vent’anni dopo, un uomo guarda la sua città dalla finestra, assaporando l’aroma persistente di una sigaretta. Sulla scrivania il minuzioso lavoro di ricostruzione che sta portando a termine: la mappa di un depistaggio lungo due decenni attorno alla strage dove furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. In un gioco di pesi e contrappesi saranno le voci dei pentiti a dominare la scena: quella dell’ “orsacchiotto con le batterie” Vincenzo Scarantino in primis, sulle cui dichiarazioni verranno istruiti i processi; e quella di Gaspare Spatuzza poi, il collaboratore che ha rimesso in discussione tutto. Una ricerca di verità e giustizia che condurrà il protagonista a muoversi tra mille piste e sentieri intricati, sino a culminare in un incontro che, alla fine, gli regalerà una nuova prospettiva sulla strage, aiutandolo a mitigare il senso di sconcerto e impotenza”.
Rita Borsellino, parlando alla biblioteca comunale di Palermo, tornando sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio e si pose un interrogativo:
“Vent’anni fa non un solo magistrato se n’è accorto di come si stavano conducendo le indagini sulla strage di via D’Amelio. Ma com’è mai possibile? E’ questa la domanda che oggi mi inquieta e mi addolora”.
“Se una cosa abbiamo capito in questi 20 anni è che sulle stragi ci hanno raccontato un mucchio di fandonie – ha poi continuato – c’è stata una rete fatta da chi ha diffuso ad arte le bugie per oscurare la verità. Chi e perché ha voluto tutto questo?. La manifestazione di questa sera è intitolata ‘Vent’anni dopo non è solo mafia’, e non contiene più un punto interrogativo – ha aggiunto Rita Borsellino – che in questi 20 anni non avrebbe dovuto esserci. Lo stesso Paolo disse qui: ‘Ricordate che quando mi ammazzeranno non sara’ stata soltanto la mafia’. Com’è possibile che si sia arrivati a sentenze passate in giudicato e che tutto quel castello di bugie sia passato al vaglio anche di magistrati senza che venisse fuori prima la verità?”. “Oggi resta l’amarezza più grande – ha concluso – di sapere che anche una persona soltanto non ha voluto o saputo vedere la verità; per questo ringrazio i tanti che con fatica, in mezzo alle delegittimazioni, stanno continuando un lavoro di verità e giustizia”
Un “orsacchiotto con le batterie”: cronaca di un depistaggio
Il primo quesito lo pongono i giornalisti ai magistrati subito dopo l’arresto di Scarantino ed è abbastanza ovvio: è normale che la mafia si affidi a un balordo per compiere una strage importante come quella di via d’Amelio? “Non ci siamo posti la domanda. I fatti, secondo noi, si sono svolti in un certo modo, Scarantino non è uomo da manovalanza”, risponderà Gianni Tinebra, all’epoca procuratore capo di Caltanissetta. È il 29 settembre del 1992, dalla strage di via d’Amelio sono trascorsi appena settantuno giorni e il colpevole era già stato “scelto”: era, appunto, Scarantino. “Un’offesa alla nostra intelligenza”, lo definirà più volte l’avvocato Rosalba Di Gregorio. L’infimo livello culturale del balordo della Guadagna era fin troppo evidente già subito dopo l’arresto per fare anche solo ipotizzare che Cosa nostra avesse affidato ad un simile soggetto un incarico tanto importante. La situazione peggiora quando il giovane diventa addirittura un collaboratore di giustizia e inizia a lanciare accuse che fanno scattare arresti a raffica.
“Ma a questo come gli date ascolto?Attenzione, state attenti: è falso, non credete nemmeno a una virgola di quello che vi sta dicendo. A questo qua queste parole gliele hanno messe in bocca, gli hanno fatto una lezione e ora la sta ripetendo”, dirà di Scarantino un pentito di rango come Salvatore Cancemi, durante un confronto davanti ai magistrati. I verbali di quel confronto non saranno resi disponibili agli avvocati, mentre Scarantino a ritrattare ci ha provato più volte: con un’intervista telefonica a un giornalista di Studio Aperto nel 1995, e addirittura in aula, a Como, durante un’udienza del Borsellino bis nel 1998. Niente da fare però: mentre il balordo confessa tra le lacrime la sua impostura, i giudici di ben tre processi (Borsellino 1, 2 e 3) e in tutti e tre i gradi di giudizio metteranno il bollo sulla sua autenticità.
“Sono stato usato come un orsacchiotto con le batterie costretto con le minacce a prendere in giro lo Stato, in galera ho mangiato anche i vermi, le guardie mi dicevano che mentre ero in carcere mia moglie andava a battere, e facevano allusioni al suicidio di Gioè”, dirà anni dopo, raccontando per l’ennesima volta le violenze subite: “Io non sapevoneanche dov’era via D’Amelio. Ho parlato solo per paura: mi torturavano, mi picchiavano, mi facevano morire di fame”. di Giuseppe Pipitone| 18 Luglio 2017 FQ
Libri La storia di un istante di ELISA LATELLA
Un orsacchiotto con le batterie è un titolo innocente, sembrerebbe quello di un libro per bambini. Se non fosse per la riga in corsivo che si legge subito dopo sulla copertina del libro: “ Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio”.
È la storia di un istante, quello in cui all’istituto geosismico di Palermo alle ore sedici, cinquantotto minuti e venti secondi del 19 luglio 1992, il pennino riempie di inchiostro nero la carta quadrettata del sismogramma, mentre un sussulto assordante scuote il capoluogo, la Sicilia, l’Italia. L’istante in cui si consuma la strage. Un istante con cui si apre e si chiude il libro, che racconta di come vent’anni dopo, un uomo guarda la sua città dalla finestra, fumando una sigaretta. Sulla scrivania il minuzioso lavoro di ricostruzione che sta portando a termine: la mappa di un depistaggio lungo due decenni attorno alla strage di via D’Amelio, fatto di confronti tra voci dei pentiti. Voci che però ora non hanno alcun suono, sono voci scritte nei verbali da leggere e rileggere, per trovare contraddizioni e passi falsi. E’ Vincenzo Scarantino che parla attraverso i verbali: “ I verbala sono sessantacinquemila ed in ogni verbala io faceva dichiarazioni diverse… signor presidente mi permetta di dire queste cose ai parenti delle vittime, di sperare sempre ai colpevoli. Non vi convincete che i colpevoli sono quelli che io accuso. Non lo so, io quelli che accuso li accuso falsamente.” E ancora: “ Sono stato usato come un orsacchiotto con le batterie e costretto a prendere in giro lo Stato con le minacce”. Scarantino si autoaccusa di essere una delle menti delle strage, ma già da subito questa auto- accusa appare strana, viste certe particolarità del passato del personaggio. Ma com’è possibile che questo inganno sia durato così tanto? Su quelle dichiarazioni contraddittorie verranno istruiti i processi; su quelle del collaboratore Gaspare Spatuzza verranno rimesse in discussione le sicurezze acquisite in tanti anni di indagine. Una ricerca di verità e giustizia che condurrà il protagonista ( il “ Dottore”, come lo chiamano gli altri personaggi) a muoversi in strade intricate fin all’incontro finale che mitiga il senso di sconcerto e impotenza e dà atto almeno della sua volontà di “ guardare lontano”. I documenti giuridici, e ormai storici, alla base del libro, si intrecciano ai ricordi personali, già resi noti attraverso l’ampia produzione libraria e cinematografica sulla figura del giudice Paolo Borsellino: la lettera di risposta alla professoressa di Padova, l’incoraggiamento alla figlia Lucia, impaurita dall’esame in farmacia che sosterrà poi coraggiosamente due giorni dopo la strage, la telefonata della figlia piccola Fiammetta, dalla Thailandia, che riuscirà a rientrare solo dopo la strage in Italia.