ERBA: Parco dedicato a Cristina Mazzotti. Raccolto l’invito del Progetto San Francesco

 


Il parco di via Foscolo a Crevenna che sarà intitolato alla giovane

Il parco di via Foscolo nella frazione di Crevenna verrà intitolato a Cristina Mazzotti e ai martiri della mafia. Lo ha deciso la giunta comunale su proposta dell’assessore alla legalità Matteo Redaelli, copia della deliberazione verrà inviata alla Prefettura di Como per il nulla osta. Se non ci saranno ostacoli, la targa all’ingresso del giardino pubblico verrà svelata nel corso di una cerimonia in autunno

Nell’estate del 1975, all’età di 18 anni, Cristina venne rapita per conto della ‘ndrangheta davanti alla villa di famiglia a Eupilio, dove trascorreva l’estate; il suo corpo senza vita venne ritrovato settimane più tardi in una discarica in provincia di Novara, le trattative e il pagamento del riscatto non evitarono un epilogo drammatico. La vicenda scosse le coscienze degli italiani e ancor più quelle degli erbesi: la ragazza trascorreva molto tempo in città, dove aveva tanti amici che la ricordano ancora con affetto.

La proposta

«Nel 2022 – ricorda l’assessore Redaelli – in occasione del trentennale delle terribili stragi di mafia l’amministrazione provinciale e il Centro studi sociali contro le mafie invitarono i sindaci a partecipare al “Progetto San Francesco”, ricordando i martiri della libertà e delle legalità intitolando loro una via, piuttosto che un edificio. L’ex sindaco Veronica Airoldi, in una delle ultime riunioni di giunta, accolse la proposta ma non ci fu il tempo di scegliere un luogo per le elezioni imminenti»

Due anni più tardi, i tempi sono maturi.

«Da assessore alla legalità – dice Redaelli – ho ripensato alla vicenda di Cristina Mazzotti, una ragazza che aveva ancora tutta la vita davanti quando è stata uccisa dalla criminalità organizzata. Venne rapita a Eupilio, il paese in cui riposa insieme alla mamma, ma il suo legame con Erba era davvero forte. Da qui la scelta di dedicare il parco di Crevenna, un luogo frequentato da bambini e ragazzi, ai martiri delle mafie e nello specifico a Cristina Mazzotti. In questo modo il suo ricordo non andrà perduto e le nuove generazioni potranno interrogarsi sulla storia di quella giovane ragazza».

«Sono sorpresa»

La notizia ha raggiunto a sorpresa Arianna Mazzotti, nipote di Cristina e presidente della Fondazione Mazzotti che da decenni tiene vivo il ricordo della tragedia con iniziative a favore dell’educazione giovanile. «Proprio in questi giorni – commenta a caldo – sto girando le scuole con progetti dedicati a Cristina. Sono piacevolmente sorpresa dall’iniziativa erbese, non ero stata informata prima dell’adozione della delibera, è davvero una bella notizia».

Il 2024 è un anno importante nella storia del sequestro di Cristina Mazzotti. Il 24 settembre, davanti alla Corte d’Assise di Como, si aprirà il processo nei confronti del boss Giuseppe Morabito, considerato il mandante del rapimento, e dei suoi sodali Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia: dopo tanti anni, altri presunti responsabili potrebbero essere puniti dalla legge.

 

 


Cristina Mazzotti rapita e uccisa a soli 18 anni. Dopo quasi mezzo secolo l’anonima calabrese è sotto processo

 

La ragazza fu sequestrata il primo luglio del 1975 a Eupilio. A distanza di quasi 50 anni a giudizio ci sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito

 

Eupilio (Como) – Quarantotto anni dopo. Una sorella strappata alla famiglia, agli affetti, a tutte le promesse che può fare la vita. Cristina Mazzotti ha diciotto anni quando viene sequestrata, la notte del primo luglio del 1975, mentre sta rientrando nella villa di famiglia, a Eupilio, nel Comasco, in compagnia del fidanzato e di un’amica. La famiglia versa un riscatto di un miliardo e 50 milioni di vecchie lire. Il primo settembre una telefonata anonima fa ritrovare il corpo senza vita in una discarica a Galliate (Novara). In tribunale a Milano è iniziata l’udienza preliminare che, fra ideatori ed esecutori, vede imputate quattro persone. Marina Mazzottiè la sorella maggiore di Cristina.

Signora Mazzotti, prima ancora di chiederle cosa si attende, le chiediamo se si attendeva la riapertura del caso.

“Un avvocato ha contattato mia nipote, vice presidente della Fondazione Cristina Mazzotti, e l’ha avvertita di questi personaggi. Da lì abbiamo iniziato a seguire. Siamo parti civili. Ormai, dopo il processo fatto all’epoca, non pensavamo che ci sarebbero stati nuovi sviluppi. Mai avremmo pensato che tutto ricominciasse”.

Aspettative?

“Vogliamo giustizia. Hanno fatto danni a tutta la nostra famiglia, non solo ai miei genitori, ai noi fratelli, ma anche agli zii, ai cugini. Eravamo e siamo una famiglia molto unita. Abbiamo sofferto tutti insieme. Sono passati tanti anni. Questi uomini erano giovani come lo eravamo noi, ma è giusto che paghino per quello che hanno commesso. Il nostro modo di vedere la vita, la nostra indole, sono sempre rivolti al perdono, ma per questo no. Anni fa lo ha chiesto uno del gruppo di quelli condannati. Con mio fratello Vittorio abbiamo deciso di no. Pensiamo che si debba fare giustizia anche se è trascorso tanto tempo. Bisogna credere nella giustizia. Io ci credo. Noi crediamo nella giustizia”.

Quarantotto anni. Quasi mezzo secolo. Come lo ha vissuto?

“Proteggendo mia madre. Mio fratello e io abbiamo fatto ogni possibile sforzo. Non le abbiamo detto di quella domanda di perdono. L’abbiamo sempre protetta come una bambina. Aveva sofferto in modo indicibile. In casa evitavamo di parlare dell’accaduto. I figli miei e quelli di mio fratello non sapevano nulla. Mio padre, prima di morire, ci aveva raccomandato: ‘Allevate i vostri figli nell’amore del prossimo’. Mia nipote ha saputo di Cristina da un’altra bambina di Eupilio. Allora con mio fratello abbiamo deciso che era il momento di raccontare qualcosa. I ragazzi sono andati a informarsi, hanno consultato i giornali dell’epoca. Ancora oggi, che ha quarantadue anni, mia figlia me lo dice: ‘Mamma, non me ne hai mai parlato’”.

Come vi arrivò la notizia del sequestro?

“Ero in Argentina con mio padre. Mi ha chiamato in ufficio. Piangeva. Ho pensato a mia mamma, a un incidente. La mattina dopo abbiamo preso il primo aereo. Ero incinta e non avevo ancora informato mio padre. L’ha saputo in aeroporto quando ho presentato i vari certificati sanitari. Siamo arrivati a Eupilio. È iniziato il calvario. I rapitori non ci telefonano a casa. Chiamavano un amico di mia sorella e mio fratello andava da questo ragazzo. Gli amici ci si sono stretti attorno, hanno fatto scudo attorno a mio padre. Abbiamo ricevuto grandi manifestazioni di affetto. A pagare il riscatto sono andati mio zio e un amico di papà. È nata allora mia nipote Arianna. L’amo moltissimo perché è arrivata in un periodo di grande tristezza. È una nipote speciale”.

Come ricorda Cristina?

“Aveva undici anni meno di mio fratello e otto meno di me. Era la nostra bambina, la piccolina di casa. L’abbiamo tirata grande un po’ tutti. Molto intelligente e molto diligente. Molto più diligente di mio fratello e di me”.

Il vostro ultimo incontro.

“Abbiamo passato il Natale del 1974 tutti insieme in Argentina. Cristina era venuta con Manuela, l’amica che era con lei anche quella sera”.

Se fosse vissuta oggi che donna sarebbe?

“Avrebbe fatto una certa carriera nel lavoro. Avrebbe la sua famiglia. Amava i bambini. Era felice quando noi aspettavamo i nostri”.

La sente vicina?

“Sempre. Tante volte le dico: ‘Guarda giù, dammi una mano’. Lo dico a lei e a mio padre: ‘Ho bisogno di voi. Guardate giù’”.

Cristina vive nella Fondazione che porta il suo nome.

“L’aveva voluta mio padre. Per i giovani. Per quelli in difficoltà, per quelli che hanno avuto esperienze negative. Per aiutarli a inserirsi nella società. Per dare una speranza. Siamo esseri umani, certe cose non si perdonano Però, se tutti pensassero come mio padre, che nel momento di maggiore tristezza pensò a risolvere il problema alla radice e a mettere il proprio granello con la Fondazione, il mondo sarebbe più giusto. Mia nipote Arianna onora il messaggio di mio padre portando avanti la Fondazione”.  IL GIORNO 24.10.2023

 

Dopo 50 anni in 4 a processo per Cristina Mazzotti, la prima donna rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta al Nord

 

Dopo 50 anni dalla morte di Cristina Mazzotti, la prima donna rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta nel Nord Italia, è stato aperto un nuovo processo dove ci sono 4 imputati che sono stati rinviati a giudizio.

 
Dopo cinquant’anni dalla morte di Cristina Mazzotti, la prima donna rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta nel Nord Italia, ci sarà un altro processo dove saranno imputate quattro persone. La studentessa di 18 anni, residente a Eupilio (Como), è stata sequestrata durante la sua festa di maturità avvenuta il primo luglio 1975.

Rinviate quattro persone a giudizio

La giudice dell’udienza preliminare di Milano, Angela Minerva, ha deciso di rinviare a giudizio Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito: tutti e quattro sono accusati di sequestro e omicidio. L’inizio del dibattimento è previsto per il 24 settembre 2024 e avverrà davanti alla Corte d’Assise di Como. Il fratello e il sorella della 18enne sono parti civili. La giovane, infatti, è stata rapita mentre rientrava nella villa di famiglia. Il giorno successivo, al padre – che era un imprenditore di cereali – sono stati chiesti cinque miliardi di lire di riscatto. Dopo solo un mese, l’uomo è riuscito a mettere da parte un miliardo e cinquanta milioni che ha lasciato in un appartamento di Appiano Gentile.  La ragazza però è stata uccisa durante la detenzione a Castelletto Ticino. E infatti, a due mesi dalla sparizione, è stato indicato ai carabinieri di scavare in un discarica di Galliate, in provincia di Novara, dove è stato trovato il cadavere. Le indagini sono state riaperte dopo 48 anni grazie al libro “I soldi della P2” scritto dall’avvocato Fabio Repici – che assiste il fratello di Cristina Mazzotti – e ad Antonella Beccaria e Mario Vaudano. La Procura ha avviato il caso proprio grazie alla documentazione che è stata utilizzata per la realizzazione del libro. Ilaria Quattrone