7 maggio 1992 VOLEVANO UCCIDERE IL GIUDICE BORSELLINO

 

 

Il capo della cosca è un rispettatissimo notabile dc che da sedici anni è consigliere comunale nel suo paese. Ha fatto l’ assessore, è stato pure sindaco. Mai accusato di nulla, mai una grana con la giustizia, neanche una contravvenzione per divieto di sosta. La sua qualifica dentro Cosa Nostra: “reggente” della famiglia di Castelvetrano. Un capomafia vero, discreto e potente, un uomo al di sopra di ogni sospetto con tanti amici sparsi per la Sicilia e per il mondo. Trafficanti di stupefacenti, onorevoli della Regione, avvocati, agenti di custodia, “fratelli” di una loggia segreta e, per sua sfortuna, anche un uomo d’ onore che si è pentito. E che ha raccontato tutto quello che sapeva su Antonino Vaccarino e il suo clan, 43 affiliati arrestati nella notte fra la Sicilia, Roma, Milano e un’ altra dozzina di città italiane. Nell’ inchiesta sono finiti come “indagati” anche 85 personaggi di vario spessore, da insospettabili corrieri a consiglieri comunali del trapanese, un po’ di fiancheggiatori, qualche penalista. In gergo l’ hanno chiamata “operazione Concorde”, il nome viene dal superaereo sul quale uno dei boss volava per raggiungere New York. Poi dal superaereo sul quale uno dei boss volava per raggiungere New York. Poi andava a Santo Domingo, lì Tommaso Inzerillo aveva un’ attività di import-export e anche un “allevamento di aragoste”. Oltre naturalmente la base di traffici e affari, eroina e cocaina soprattutto. Nell’ elenco dei 43 arrestati ci sono anche due romani. Il primo è Giuseppe Schiavone, un impiegato in pensione della Cassazione. Tutti lo conoscevano come “il cancelliere”, favoriva gli amici degli amici dirottando certi processi di mafia, come dice il procuratore capo Giammanco “ai giudici più buoni” della Suprema Corte. Il secondo è Francesco Lamonaca, quel geometra comunale preso un anno fa a Ostia con le mani nel sacco, una tangente di 17 milioni per agevolare l’ iter della concessione di una licenza edilizia. Chi è l’ uomo d’ onore che ha deciso di collaborare con i giudici? Si chiama Vincenzo Calcara, è un mafioso con un passato da semplice “soldato” in Cosa Nostra, s’ è pentito poco prima dell’ esecuzione di un “piano” studiato dalla mafia di Castelvetrano: uccidere il procuratore Borsellino. Sei mesi di indagini L’ “operazione Concorde” è nata dalle rivelazioni di Vincenzo Calcara e da 6 mesi di investigazioni sull’ asse Castelvetrano-Palermo-Roma con puntate a Milano e a Torino e anche in Germania dove sono stati catturati tre emissari della “famiglia” siciliana. Più di 500 gli uomini schierati per il blitz, bersaglio centrato, i latitanti sono solo 3. “Possiamo affermare, e a ragion veduta, di avere reso inoffensiva una cosca”, spiega il procuratore capo di Palermo Piero Giammanco all’ inizio di una conferenza stampa convocata insolitamente alle 9 del mattino. Accanto a lui c’ è il procuratore Borsellino e ci sono anche i sostituti Natoli e Lo Voi, alle loro spalle tutti gli uomini dell’ “intelligence”, gli ufficiali dei carabinieri del Ros, i funzionari della Dia, dello Sco, del Nucleo anticrimine, della Criminalpol, tutte le sigle dei nuovi reparti speciali anticlan. L’ operazione, al di là dei 43 arresti e del Ko inflitto alla “famiglia” di Castelvetrano, è importante per almeno due ragioni. E’ la prima volta che s’ indaga a fondo in questa parte di Sicilia al confine fra le province di Trapani e Agrigento, territorio fino a pochi mesi inesplorato, una sorta di “zona franca” dove sembrava quasi che la mafia non esistesse. Ed è anche la prima volta della Dia, annuncia il superpoliziotto Gianni De Gennaro, il numero due della nuova task force antimafia. Insomma, è la prima volta che il cosiddetto coordinamento sembra aver funzionato davvero (a parte qualche malumore per un servizio radiofonico che attribuiva il “merito” dell’ operazione a un questore che ben poco sapeva fino all’ altro ieri di quello che stava accadendo), polizia e carabinieri hanno lavorato bene insieme, si sono divisi i compiti, continuano ad indagare su traffici di droga sulla rotta Medio-Oriente Sicilia via Milano. E anche su vecchi carichi sbarcati anni fa nell’ isola, come un grosso quantitativo di morfina destinato alla raffineria di Alcamo, il più grosso laboratorio per la raffinazione di eroina mai impiantato in Europa, quello scoperto da Carlo Palermo. Ma la “famiglia” di Castelvetrano non si occupava soltanto di droga e non era interessata solo a infiltrare uomini come Vincenzo Calcara o Salvatore Cinardo nel duty free shop dell’ aeroporto di Milano per avere libero accesso in dogana. Il clan gestiva il business degli stupefacenti ma aveva le sue radici a Castelvetrano e in alcuni paesi vicini. Radici e interessi. Anche politici. Il pentito Calcara racconta ad un certo punto ai giudici come si pilotavano le campagne elettorali per il rinnovo del consiglio comunale o di quello provinciale. “Ho ricevuto l’ incarico, con il benestare del Vaccarino, di procurare voti a Di Benedetto Filippo (Pli n.d.r.), cugino dell’ avvocato Pantaleo Gino, che era candidato per il consiglio provinciale…”. Il pentito spiega anche il sistema del controllo del voto basandosi sulla scelta delle “terne” e delle “quaterne”. Scrivono i magistrati: “Veniva fatto credere al singolo elettore contattato che il suo sarebbe stato l’ unico voto così “composto” nella sua sezione elettorale, e che sarebbe stato facile verificare se l’ indicazione era stata rispettata”. I candidati dei boss Per chi votava la mafia di Castelvetrano? Il commento dei magistrati: “I boss sostenevano i loro candidati e manifestavano una sostanziale indifferenza per il partito politico cui appartenevano”. Sarà anche così, ma il “reggente” della cosca di Castelvetrano è da più di tre lustri un big della Dc locale con agganci a Trapani, il più stretto con Giuseppe Giammarinaro, deputato regionale della corrente andreottiana. Nelle 250 pagine che raccontano l’ “operazione Concorde” ci sono i nomi di altri uomini politici locali e anche quello dell’ ex deputato Massimo De Carolis. Un’ informativa ricostruisce un incontro di 10 anni fa, a Selinunte, tra l’ ex parlamentare dc e 3 mafiosi siciliani, il Vaccarino, Stefano Accardo e Michele Lucchese, “picciotto che operava a Paderno Dugnano e Seregno”. Nell’ inchiesta c’ è anche traccia di una loggia massonica segreta frequentata da uomini d’ onore, gli investigatori dicono che stanno indagando anche su questo fronte. Come indagano dentro il carcere di Marsala. Un agente di custodia, Giovanni Romano, è già stato arrestato ma ben poco si sa sul ruolo che avrebbe svolto dietro le mura. Le storie svelate da Vincenzo Calcara sono state confermate anche da altri 2 pentiti, Rosario Spatola e Giacoma Filippello, i collaboratori della giustizia che nell’ estate del 1991 fecero i nomi di 6 uomini politici siciliani. Allora non furono creduti. O meglio, si disse che erano attendibili ma solo in parte, solo quando parlavano di droga e di armi, di picciotti e di boss. Mai di onorevoli. LA REPUBBLICA