Tony Gentile e la sua celebre foto di Falcone e Borsellino: “Vivi e sorridenti, un simbolo contro la mafia”


Tony Gentile al Ducale accanto alla sua foto più celebre

 

È uno degli scatti più famosi al mondo, il ritratto dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a pochi mesi dalla loro morte per mano della mafia nel 1992. Per l’autore, il fotoreporter Tony Gentile, è semplicemente “la foto”. Per eccellenza. D’altra parte, quell’immagine è diventata un simbolo, un’icona immortale della lotta contro la mafia. E il fotografo ne è diventato testimone.

Tony Gentile ha accettato di parlare con GenovaToday in occasione della sua mostra “Luce e memoria”, ospitata nel Munizioniere di palazzo Ducale inizialmente fino al 2 giugno poi, visto il grande successo, prorogata al 9 e voluta dal Comune di Genova nell’ambito della Settimana della Legalità. Lo troviamo mentre racconta i suoi scatti ai bambini di una scolaresca: immagini della guerra contro la mafia, ma anche della quotidianità della sua Sicilia. Due contrasti solo in apparenza. Da una parte c’è la lotta, dall’altra cittadini che cercano di vivere la normalità, che hanno mille storie positive da raccontare, che non si arrendono.

“Ma i mafiosi uccidono anche i bambini?” chiede un alunno. “Sì, la mafia non ha morale, non ha mai avuto nessuna etica contrariamente a quanto a volte viene detto” è la risposta senza esitazioni.

E perché concentrare il lavoro nella sua Palermo? “Abitavo lì – risponde a una bambina – e per lavoro raccontavo quelle cose, era anche la mia guerra. Vedevo amici morire, compagni di scuola che venivano arrestati. Quando vivi nei luoghi che devi raccontare, quelle storie ti appartengono e tu appartieni a loro”

La storia della foto di Falcone e Borsellino

Per raccontarsi, Gentile parte da “la foto”, un’immagine che ha letteralmente fatto il giro del mondo trasformandosi in memoria. Non lo avrebbe detto, lui, all’epoca un fotoreporter di neanche 30 anni che lavorava per il Giornale di Sicilia e che seguì il suo istinto: “Ero stato mandato a fotografare la candidatura alla Camera dei Deputati di Giuseppe Ayala, nel marzo 1992, e c’erano anche Falcone e Borsellino. Per me, che mi occupavo di cronaca, i veri protagonisti erano loro. Così scattai una serie di foto, pensai che avrei potuto utilizzarle più avanti, ma non potevo immaginare che una di quelle sarebbe diventata così importante”.
Poi, dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, l’immagine venne pubblicata, ripresa da più testate in più paesi, e divenne un’icona. Ma cos’è che l’ha trasformata in un simbolo? “Penso che sia la semplicità – dice Gentile – loro sono stati immortalati mentre scherzavano, era un momento genuino, vero, senza finzione. Erano insieme, vivi, sorridenti, in quel momento si scambiavano lo sguardo complice di due amici, ci possiamo identificare in loro”. Dunque due amici sorridenti e vivi, a loro modo invincibili nonostante la sorte: l’immagine, così, diventa messaggio di speranza. “Pensiamo ad altri personaggi che hanno giocato una parte importante nella storia dell’Italia contemporanea: mi viene in mente Aldo Moro e una delle foto più famose è quella del ritrovamento del suo corpo. Di Falcone e Borsellino non abbiamo foto in cui si vedono i cadaveri, li vediamo in fotografie positive”.  Un potente veicolo di memoria e testimonianza: “Mi piace immaginare – spiega – che le foto fatte oggi potranno essere più utili domani, per raccontare un momento, un episodio del passato. Sì, il fotogiornalismo è anche conservazione del ricordo”.

La mostra è arrivata a Genova in un momento particolare, segnato dall’indagine sulla corruzione in Liguria. Nelle carte dell’inchiesta le parole “mafia” e “Cosa Nostra” compaiono più volte. 

Certo, l’esposizione è stata organizzata prima degli arresti, ma Gentile pensa che sia importante confrontarsi con le persone, soprattutto con coloro che credono che la mafia sia un fenomeno che appartiene solo alle regioni del sud Italia. “Sull’indagine in corso si esprimeranno i giudici e vedremo cosa verrà confermato – sottolinea – ma mi preme dire che la mafia non è solo in certe zone d’Italia come molta gente ancora crede. La mafia sta dove c’è la possibilità di fare soldi e gestire il potere. Qualche giorno fa parlavo con alcuni studenti che pensavano che fosse un fenomeno solo siciliano e non nazionale: non è così, per questo è importante confrontarsi soprattutto con le nuove generazioni”. 

Perché si debba sempre stare all’erta, Gentile lo spiega con le parole di Falcone: “Lui distingueva i fatti criminali dalla cultura mafiosa. Quest’ultima non è detto che coincida con i reati, ma è il loro terreno fertile, instaurandosi spesso dove ci sono potere e affari. Per questo bisogna tenere sempre gli occhi aperti”.

Com’è cambiata la professione di fotoreporter: “Bisogna investire negli approfondimenti”

 

Dal 1992 al 2024 il mondo è profondamente cambiato e così quello dei professionisti dell’informazione. “Non penso che consiglierei più a un giovane di fare il fotogiornalista – dice Gentile – il fotografo sì, ma quello che si intreccia con il giornalismo è un filone che purtroppo a mio parere si sta esaurendo. Il cambiamento è talmente potente che non si può fermare e ormai le foto di cronaca le scattano i cittadini con gli smartphone, oppure si utilizzano le immagini dei sistemi di videosorveglianza”. E se non si può fermare, è difficile anche da regolare. Gentile, da sempre molto attento sulla questione dei diritti d’autore, non nasconde la grande difficoltà nel cercare di tutelare il lavoro da chi “saccheggia” il web alla ricerca di una fotografia, spesso senza domandarsi chi l’abbia scattata.  Difficile però pensare che la foto di un fatto di cronaca di un passante possa sostituire gli scatti esposti al Munizioniere: non solo immagini, ma simboli e denunce. Come – una su tutte – la foto in cui Falcone passa in mezzo alla folla e nessuno lo guarda, interpretata come segno di solitudine.Davvero non c’è speranza? “C’è un fotogiornalismo di approfondimento che può avere uno sviluppo – chiude Gentile – ma dev’essere valorizzato dal punto di vista economico, come per tutte le attività che richiedono tempo e studio. Temo, però, che non si stia andando in questa direzione e molti aspiranti giovani reporter in gamba sono fortemente sottopagati, con la conseguenza che non riescono a permettersi approfondimenti e devono cercare altre strade per poter vivere dignitosamente. Un danno non solo per la categoria, ma per tutti”. PALERMO TODAY 1.6.2024