IL DUBBIO DAMIANO ALIPRANDI
Caso Mori – La fuga di notizie
7 Giugno 2024 LA VALLE DEI TEMPLI
Come non essere d’accordo con quanto lamentato dal generale Mario Mori nella sua nota stampa?
Mori, dopo essere stato ascoltato dai pm fiorentini che indagano sulle stragi del ’93 ha visto pubblicati stralci dell’interrogatorio e della sua audizione dello scorso anno coperti da segreto investigativo.
“Il tutto -afferma Mori, il quale è indagato per concorso in strage – in aperta violazione di legge e delle disposizioni impartite dal procuratore”.
A giudicare però dalla foga di alcuni giornalisti e di tanti utenti dei social nel condannare un fatto grave, sembra quasi di trovarsi innanzi al primo caso di fughe di notizie da ambienti giudiziari o investigativi.
Si tratta, purtroppo, di fatti che accadono molto più spesso di quanto non si possa immaginare, ai quali il più delle volte non viene neppure dato risalto da parte della stampa.
Cosa cambia tra una vicenda e un’altra?
Saremmo tentati di dire che può cambiare la gravità dei fatti oggetto d’indagine, ma mentiremmo a noi stessi e a chi ne è stato vittima, talvolta non soltanto mediaticamente ma anche pagando con la propria vita fuga di notizie.
Come nel caso dell’omicidio di Luigi Ilardo, il quale con le sue rivelazioni portò i carabinieri del Ros a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano.
Ad attribuire a una fuga di notizie interna l’uccisione di Ilardo, è stato Pasquale Pacifico, procuratore aggiunto di Caltanissetta, che ha affermato:
“Ho sempre avuto la percezione che, in merito a questa vicenda, non tutto sia venuto fuori […] il collaboratore di giustizia Giuffré ci ha raccontato che c’era stata una fuga di notizie proveniente da ambienti giudiziari di Caltanissetta”.
Una fuga di notizie coperte dal massimo riserbo, rispetto la quale non si è mai individuato il colpevole.
In quel caso intervenne il Csm?
Tanta pressione mediatica fu fatta anche allora sul Consiglio Superiore della Magistratura?
Ma la storia di fughe di notizie è più vecchia del cucco.
Anche la Corte di Caltanissetta ne ebbe a dire richiamando la deposizione del giudice Borsellino dinanzi al Csm nel 1991, facendo riferimento ai verbali di Rosario Spatola, pubblicati sul settimanale Epoca, dei quali lo stesso Borsellino non era neppure a conoscenza pur avendo competenza per territorio su alcune dichiarazioni del collaborante.
Una fuga di notizie che avrebbe permesso a falsi collaboratori di giustizia di approfittarne per ottenere credibilità usata poi anche nel depistare le indagini sulle stragi – tra la quale quella di via D’Amelio -, senza che i tanto valorosi giornalisti pronti oggi a difendere il sacrosanto diritto di Mori – ma prima ancora del rispetto del segreto investigativo e della ricerca della verità – per decenni battessero ciglio.
Ancora una volta, dunque, con il caso Mori sembra di assistere più a interessi di schieramenti contrapposti che non al rispetto delle norme, dei diritti dell’indagato e dell’interesse della giustizia.
La critica – specie sui social – e l’invito al Csm a volere intervenire, riguarda soltanto la vicenda che vede coinvolto il generale Mori, o ce ne ricorderemo anche quando non si tratterà di difendere i nostri piccoli “affarucci di bottega”?
Gian J. Morici
P.S. Generale Mori, cosa significa “Avevo altro da fare in quel periodo” in merito alla mancata comunicazione dell’allerta da Lei ricevuta sui possibili attentati?
𝗣𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗶 𝗲 𝗰𝗮𝗿𝗮𝗯𝗶𝗻𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗮𝗰𝗰𝘂𝘀𝗮𝗻𝗼 𝗶𝗹 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮𝗹𝗲 𝗠𝗼𝗿𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗶 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗴𝗶 𝗱𝗲𝗹 ‘𝟵𝟯
di Luca Serranò su la Repubblica del 06/06/2024
Ci sono dichiarazioni di collaboratori di giustizia e testimonianze di ex ufficiali dei carabinieri a formare il quadro d’accusa nei confronti del generale 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐌𝐨𝐫𝐢, già comandante del Ros e direttore dei servizi segreti. Per la procura di Firenze 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐠𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝟏𝟗𝟗𝟑 𝐧𝐨𝐧𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐞𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐞 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢, 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐪𝐮𝐢𝐫𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐢 𝐦𝐚𝐠𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐭𝐢𝐳𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨. Per questo motivo Mori è indagato e ieri è stato convocato per essere interrogato. Si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Ma la struttura d’accusa ruota sulle rivelazioni dell’infiltrato 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐁𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐢, sulle dichiarazioni di 𝐀𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨 𝐒𝐢𝐢𝐧𝐨 che riporta le confidenze del mafioso 𝐀𝐧𝐭𝐨𝐧𝐢𝐧𝐨 𝐆𝐢𝐨𝐞̀, sulle 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞𝐬𝐜𝐢𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐓𝐞𝐦𝐩𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐞 𝐬𝐮 𝐮𝐧 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐧𝐮𝐧𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐨𝐥𝐨𝐧𝐧𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐌𝐢𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨.
Sentito a Firenze il 17 maggio 2023, l’ex capo del Ros ha confermato di non aver riferito all’autorità giudiziaria le rivelazioni di Bellini — apprese col tramite del maresciallo Tempesta-, spiegando di non averlo fatto neanche dopo la strage di via dei Georgofili il 27 maggio 1993.
Ha inoltre sostenuto di aver distrutto il biglietto a cui faceva riferimento Tempesta. Poi, alla richiesta di spiegazioni sul perché avesse trascurato la pista investigativa: «𝑨𝒗𝒆𝒗𝒐 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒐 𝒅𝒂 𝒇𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒏 𝒒𝒖𝒆𝒍 𝒑𝒆𝒓𝒊𝒐𝒅𝒐».
Sentito nel corso dell’inchiesta anche il maresciallo, secondo cui Mori nell’agosto 1992 era stato informato delle “soffiate” di Bellini, compreso il progetto di possibili attentati alla Torre di Pisa e a monumenti nazionali. Tempesta ha detto di aver consegnato a Mori il biglietto contenente nomi per i quali Cosa nostra chiedeva l’ottenimento di benefici: l’ex capo del Ros, però, gli avrebbe detto di non predisporre relazioni di servizio.
Un altro capitolo riguarda poi le confidenze di Siino, su cui a lungo si sono soffermate le indagini dei pm 𝐋𝐮𝐜𝐚 𝐓𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐨𝐥𝐢, 𝐋𝐮𝐜𝐚 𝐓𝐮𝐫𝐜𝐨 e 𝐋𝐨𝐫𝐞𝐧𝐳𝐨 𝐆𝐞𝐬𝐭𝐫𝐢. Secondo la ricostruzione, agli inizi del 1993 Gioè, a Rebibbia, incontrò Siino, e gli confidò che 𝐋𝐞𝐨𝐥𝐮𝐜𝐚 𝐁𝐚𝐠𝐚𝐫𝐞𝐥𝐥𝐚 e i 𝐛𝐨𝐬𝐬 𝐆𝐫𝐚𝐯𝐢𝐚𝐧𝐨 si stavano muovendo anche in ragione «𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑟𝑎𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑖 𝑆𝑒𝑟𝑣𝑖𝑧𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎𝑣𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝐺𝑖𝑜𝑒̀». Quest’ultimo (trovato morto nella notte fra il 28 e il 29 luglio del ‘93 a Rebibbia) avrebbe detto a Siino che Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrarlo per avviare contatti con Craxi, e che lo stesso Bagarella stava assumendo posizioni dominanti in Cosa nostra dopo l’arresto di Riina — tanto da intimorire anche Provenzano -, progettando azioni eclatanti in danno di monumenti ed edifici di interesse artistico, tra i quali la Torre di Pisa.
Gioè avrebbe inoltre fatto trovare a Siino un biglietto in cui erano scritti gli attentati che dovevano essere compiuti. Un progetto «di mettere sottosopra l’Italia» di cui il Ros, il 25 giugno 1993, venne a conoscenza. Senza però conseguenze concrete.
Nell’indagine su Mori (assolto in via definitiva per la trattativa Stato-mafia), infine, spunta anche un esposto presentato sempre a Firenze, circa un anno fa, dal colonnello Michele Riccio. Un esposto in cui 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐚𝐜𝐜𝐮𝐬𝐚 𝐢𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐛𝐨𝐢𝐜𝐨𝐭𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐥’𝐢𝐧𝐝𝐚𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐬𝐮𝐢 𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐞𝐬𝐭𝐞𝐫𝐧𝐢, 𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐠𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐫𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐢𝐜𝐮𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐋𝐮𝐢𝐠𝐢 𝐈𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨, 𝐚𝐬𝐬𝐚𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐂𝐚𝐭𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐢𝐥 𝟏𝟎 𝐦𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝟏𝟗𝟗𝟔: 𝐌𝐨𝐫𝐢, 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐞, 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐨 𝐥’𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚𝐝 𝐚𝐟𝐟𝐫𝐨𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚, 𝐟𝐚𝐜𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐩𝐚𝐫𝐢𝐫𝐞 𝐯𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐟𝐞𝐫𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐚𝐢 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐨𝐠𝐡𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐈𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨.
Le accuse riguardano anche il presunto boicottaggio per impedire una collaborazione che avrebbe fornito accuse nei confronti di Dell’Utri e di Berlusconi, anche in riferimento alle stragi