29.6.2024 Avola quali delitti commise per conto dei servizi segreti?

 

Una figura controversa quella del collaboratore di  giustizia Maurizio Avola, sicario del clan catanese Santapaola–Ercolano, che aveva già rivelato – non creduto dalla procura di Caltanissetta –  la sua partecipazione all’attentato di via D’Amelio.

L’attenzione di alcuni organi stampa, dopo due giorni di udienza camerale a porte chiuse durante le quali è stato sentito l’ex collaboratore di giustizia, nonostante questi abbia accennato ad aspetti che andrebbero approfonditi, sembra soffermarsi all’articolo del Fatto Quotidiano che avrebbe adombrato la figura  dell’avvocato Colonna – difensore di Avola – avendo definito anomalo il comportamento del legale anche rispetto al fatto che si fosse fatto garante del mutuo acceso dall’ex moglie dell’ex pentito per acquistare un appartamento.

Una difesa a spada tratta riguardo le propalazioni dell’ex pentito che ricondurrebbe a sola ‘Cosa nostra’ la strage nella quale persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, a tal punto da indurre qualche giornalista a dover ritenere che vi sia una certa ostilità nei confronti di Avola rispetto ad altri pentiti che avrebbero trattato e ritrattato narrando storie surreali.

La narrazione proposta, prosegue – com’è giusto che sia – con le intercettazioni del ’93 effettuate nel covo di via Ughetti 17 a Palermo, utilizzato dai mafiosi Nino Gioè e Gioacchino La Barbera, che confermerebbero il ruolo della mafia catanese nelle stragi del ’92 e del ’93.

Non manca il riferimento al libro di  Guido Rutolo e Michele Santoro che insieme all’avvocato di Avola vennero indagati, pedinati e intercettati, e poi sospettati di depistaggio.

Un’attività che portò a un nulla di fatto, nonostante la procura avesse ritenuto assai probabile che l’allora collaboratore di giustizia fosse stato indottrinato da parte di soggetti non identificati a rilasciare quelle dichiarazioni.

Avola aveva dichiarato che mandanti ed esecutori delle stragi del 1992 erano stranieri, appartenenti alla famiglia Gambino di New York che avrebbe mandato a Palermo un esperto in esplosivi e telecomandi perché insegnasse a lui e a Brusca ad adoperarli, oltre a prospettare un’ennesima versione sulla posizione della macchina di Paolo Borsellino in via D’Amelio e cadere in diverse contraddizioni di carattere temporale e al colore e tipo di esplosivo utilizzato per la strage di via D’Amelio, è tornato a puntare il dito contro Aldo Ercolano, nipote di Nitto Santapaola, per l’omicidio di Renatino De Pedis, boss della Banda della Magliana.

Ma i veri colpi di scena sono avvenuti nel secondo round dell’incidente probatorio, quando Avola – autore di una ottantina di omicidi – ha fatto rivelazioni inedite: “Ho commesso degli omicidi fuori dalla Sicilia per conto dei servizi segreti prima di essere arrestato ma sono cose troppo gravi ed io non ne posso parlare perchè rischio di scomparire dalla sera alla mattina”.

La stessa cosa è accaduta ricostruendo un suo viaggio in Sardegna dove avrebbe dovuto fare “una cosa”: “Non vi posso dire cosa è. Perché è una cosa troppo grossa”, lasciando intendere che avrebbe rischiato la vita se ne avesse parlato.

Avola ha parlato delle stragi, del coinvolgimento e della partecipazione di mafiosi di rango, di vari omicidi commessi con altri uomini d’onore; di cosa e di chi ha paura a parlare?

Eppure, su quella stampa che vorrebbe le stragi a opera solo di ‘Cosa nostra’, non leggerete neppure un accenno alle paure di Avola e agli omicidi che dice di aver commesso per conto dei servizi segreti.

Delitti dei quali non parlerà mai nemmeno sotto tortura, perchè – a suo dire – rischierebbe la vita.

Finora l’ex collaboratore di giustizia aveva sempre escluso la presenza di mandanti esterni a Cosa nostra nelle stragi di Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano, che secondo la sua ricostruzione non esistono.

Che rapporti aveva Maurizio Avola con i servizi segreti?

Quali omicidi commise per loro conto?

Quali verità inenarrabili si celano dietro il suo ostinato silenzio?

Perché per una certa stampa Maurizio Avola risulta credibile quando esclude la presenza di mandanti esterni alle stragi, mentre evidentemente non lo era quando tirava in ballo l’ex ministro Cesare Previti?

Perché non lo era quando a proposito dell’attentato ad Antonio Di Pietro,  allora pm di Mani Pulite, disse di un omicidio che dovevano eseguire per fare un favore ai socialisti?

E della nascita all’epoca di una nuova forza politica?

Qualcosa non torna.

Già, non torna davvero.

Ancora una volta sembra che la credibilità di un collaboratore o ex tale la si voglia misurare secondo il livello che toccano le sue propalazioni.

Fin quando non si alza l’asticella toccando entità pubbliche e istituzionali, soggetti politici di carattere nazionale e interessi che vanno anche oltre oceano, tutti i pentiti sono credibili.

Persino quando le accuse vengono mosse – e spesso a ragione – ad appartenenti alla magistratura si è credibili.

Non lo si diventa più quando si va oltre.

Qual è il limite di quel “oltre”?

E di quel al di là, hanno paura solo i pentiti o anche i giornalisti che preferiscono tenersi lontani a tal punto da non scrivere quelle quattro parole pronunciate da Maurizio Avola?

Gian J. Morici