Sentenza della Corte d’Appello processo Trattativa Stato mafia
E negli ultimi tempi si erano incrinati anche i rapporti tra Giammanco e Paolo Borsellino. Ciò sarebbe avvenuto, per quanto a conoscenza dei più, in relazione alla mancata assegnazione del fascicolo relativo alle dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia, Gaspare Mutolo.
Questi aveva già avuto un primo contatto con Giovanni Falcone, che però era già al ministero e quindi l’inizio della collaborazione del nuovo pentito — accreditato dello spessore di un pentito di serie A, equiparabile a Contorno se non addirittura a Buscetta: cfr. De Francisci – era stata preceduta da una serie di colloqui investigativi con il dott. De Gennaro. Alla fine di giugno del ‘92, Mutolo, che era detenuto a Firenze, aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia purché ad interrogarlo fosse Paolo Borsellino.
Il procuratore Vigna notiziò il Capo della procura di Palermo circa questa disponibilità condizionata del nuovo collaboratore; ma Giammanco non se ne diede per inteso, e assegnò il fascicolo all’Aggiunto Aliquò e al dott. Lo Forte, applicando pedissequamente il criterio di riparto per aree territoriali, con l’effetto di escludere il dott. Borsellino, pur avendo coassegnato il fascicolo anche al dott. Natoli, che pure era inserito nel poo1 che si occupava delle indagini scaturite dalle rivelazioni del pentito Calcara e dei procedimenti di c.o. per fatti commessi nelle zone di Trapani e Marsala (coordinato proprio dal dott. Borsellino).
Ma si fece un’eccezione per lui in quanto aveva raccolto le dichiarazioni di un pentito di minor calibro (tal De Caro, sentito come teste in quanto non era affiliato a Cosa nostra), che però era parente di Mutolo e aveva parlato a lungo della composizione e delle attività della famiglia di Partanna Mondello cui era affiliato Mutolo.
Sia Lo Forte che Natoli ritennero che fosse necessario attendere il ritorno di Borsellino (dal convegno di Bari) per informarlo ed eventualmente coordinarsi con lui.
E in effetti lo stesso Giammanco, dopo un chiarimento avuto con Borsellino — che non aveva nascosto la sua amarezza per l’estromissione: cfr. ancora Natoli — e dopo l’intercessione, come s’è visto, di Liliana Ferraro, dispose con un’annotazione scritta di proprio pugno (ma non firmata) che i magistrati assegnatari del fascicolo si coordinassero con il dott. Borsellino per quanto concerneva l’attività di raccolta delle dichiarazioni del nuovo pentito, rendendo nota tale disposizione nel corso di una riunione della Dda tenutasi o il 2 o il 3 luglio.
Ma già prima di procedere al primo interrogatorio di Mutolo, assunto dal dott. Borsellino e dall’Aggiunto Aliquò in data 1° luglio 1992 (vincendo non senza qualche difficoltà le iniziali remore del dichiarante a che fosse presente un altro magistrato, oltre al dott. Borsellino), aveva invitato l’Aggiunto predetto a coordinarsi con Borsellino in vista di quel primo interrogatorio.
Sta di fatto che la formale assegnazione del fascicolo non fu modificata, e ciò fu motivo di cruccio per il dott. Borsellino al punto che si fece scrupolo di proseguire gli interrogatori di Mutolo, quando questi ribadì la sua condizione che fosse lo stesso Borsellino non solo ad assistere agli interrogatori, ma ad occuparsi delle indagini che ne fossero scaturite.
Ma furono i colleghi che partecipavano a quegli interrogatori (Lo Forte e Natoli) a convincerlo che la disposizione impartita dal Capo dell’Ufficio non poteva che intendersi nel senso che sarebbe stato Borsellino a coordinare le indagini, e che a lui avrebbero dovuto rapportarsi per tutto ciò che concerneva la gestione del nuovo pentito. E a tale interpretazione essi si sarebbero attenuti.
L’indagine su Angelo Siino
Di un incrinamento del rapporto di fiducia del dott. Borsellino con Giammanco hanno poi riferito i pochi magistrati a conoscenza di un fatto che è rimasto ignoto alla maggior parte dei collegi che facevano parte della procura di Palermo.
Nell’ambito di un processo per un omicidio di matrice mafiosa — che si è accertato poi essere quello del M.llo Guazzelli — il dott. Borsellino aveva confidato al dott. Teresi, cui era assegnato quel fascicolo, di avere ricevuto una segnalazione di fonte attendibile, e raccolta da un organo di polizia, circa presunti rapporti tra un noto esponente politico e alcuni indagati del reato di associazione mafiosa. E gli aveva raccomandato di non fame parola con nessuno, perché non voleva che la notizia giungesse alle orecchie del procuratore Giammanco, prima che venissero espletati i dovuti e rigoRosi accertamenti.
In pratica, come poi il dott. Teresi ebbe a confermare, deponendo all’udienza del 23.04.2013 nel processo Borsellino Quater (limitandosi peraltro a confermare le dichiarazioni che aveva reso alla procura nissena il 7 dicembre 1992, e contestategli in ausilio alla memoria) vi sarebbe stato un tentativo, o un progetto, di avvicinare il procuratore Giammanco per propiziare un esito favorevole per l’indagine a carico di Angelo Siino, o per un alleggerimento della sua posizione processuale nell’ambito dell’indagine mafia e appalti.
Borsellino era stato informato di una soffiata ritenuta attendibile secondo cui Siino si sarebbe rivolto a Lima affinché questi tramite D’Acquisto, sensibilizzasse il procuratore Giammanco al problema che affliggeva Siino, dopo che era andato a vuoto un analogo tentativo esperito nei riguardi del M.llo Guazzelli. Da qui la preoccupazione di Borsellino che la notizia filtrasse e circolasse all’interno della procura, giungendo alle orecchie dello stesso Giammanco.
Nelle s.i.t. rese alla procura nissena che indagava sulle stragi, il dott. Teresi aggiunse che la notizia era stata oggetto di commenti tra Falcone e Borsellino; ed entrambi avevano convenuto sull’ipotesi, tutta da verificare, ovviamente, che in quel retRoscena potesse annidarsi la causale, o almeno una concausa non solo dell’omicidio Guazzelli, ma anche dell’omicidio Lima, sotto il profilo che questi non avrebbe voluto o saputo prestare l’apporto che gli era stato richiesto.
E in effetti, con una coincidenza temporale inquietante, il 9 marzo 1992, ossia tre giorni prima che Lima venisse ammazzato, la procura di Palermo aveva chiuso l’indagine a carico di Angelo Siino, che era stato arrestato il 10 luglio 1991, chiedendone il rinvio a giudizio per il reato di associazione mafiosa.
Nel corso della sua audizione dinanzi al Csm, il dott. Teresi ha aggiunto che solo dopo la strage di via D’Amelio aveva appreso che la stessa confidenza il dott. Borsellino aveva fatto ad un altro collega a lui molto vicino — ancorché non assegnatario del procedimento per l’omicidio Guazzelli — e cioè al dott. Ingroia, che a sua volta ne aveva parlato con il dott. Scarpinato.
Questi, a sua volta, ha dichiarato di essere stato informato (per sommi capi e senza scendere nel merito della notizia) in effetti dal collega Ingroia, ma di averne poi avuto conferma dallo stesso Borsellino, che questi stava conducendo delle indagini molto delicate a insaputa di Giammanco. E anche al dott. Scarpinato fu raccomandato di mantenere il più assoluto riserbo con il procuratore.
E ciò lo colpi in modo particolare, perché la regola professata e rispettata da Paolo Borsellino, che ne pretendeva il rispetto anche da parte degli altri colleghi, era quella di riferire sempre e per tutti i processi al procuratore (“Paolo riferiva tutto e sempre, ecco perché vengo colpito, proprio perché la normalità era quella e se così non fosse stato non sarei rimasto colpito”).
Da Siino a D’Acquisto e Lima
Una eco di tale vicenda si rinviene nelle risultanze agli atti del procedimento, anzi dei procedimenti connessi che furono istruiti dal gip di Caltanissetta dott.ssa Lo Forti, e si conclusero con l’ordinanza di archiviazione più volte citata. Si è accertato infatti che la signora Bertolino, moglie del Siino, aveva chiesto ed ottenuto di essere ricevuta, con la mediazione del legale di fiducia, dall’on. D’Acquisto, per perorare la causa del marito, che era stato già arrestato. Ma la visita non aveva sortito l’effetto sperato, al pari dell’incontro che la stessa Bertolino, a dire del figlio, Siino Giuseppe, avrebbe avuto per la medesima finalità con l’on. Lima (il quale, sempre a dire di Giuseppe Siino, si sarebbe limitato ad allargare le braccia).
E infatti, Siino era rimasto in carcere e in tale stato si trovava quando la procura diretta da Pietro Giammanco avanzò nei suoi confronti la richiesta, accolta dal gip, di rinvio a giudizio. Sicché l’episodio, come riconosciuto dal gip di Caltanissetta nulla prova in ordine alla prospettata ipotesi di corruzione (in atti giudiziari) per cui si era proceduto a carico dell’ex procuratore di Palermo, derivandone semmai una smentita, unitamente alla prova di una condotta ineccepibile.
Può concedersi però che, negli ambienti di Cosa nostra, la notorietà dei rapporti personali di amicizia del Capo della procura palermitano con l’on. D’Acquisto, e, per proprietà transitiva, con lo stesso Salvo Lima, avesse fatto credere che egli fosse influenzabile o condizionabile nel suo operato professionale (come propende a ritenere il gip Lo Forti nella citata ordinanza); né può escludersi che i politici chiamati in causa per propria convenienza avessero incoraggiato o quanto meno non avessero scoraggiato tale falsa credenza, così alimentando aspettative puntualmente deluse.
Deve però ritenersi che gli ufficiali del Ros avessero all’epoca tutti gli elementi e gli strumenti di conoscenza delle vicende giudiziarie in corso e dei comportamenti e delle scelte dell’Ufficio requirente palermitano necessari per non cadere vittima della stessa falsa credenza e per valutare se la condotta concretamente tenuta, in questo caso nei riguardi del Siino da parte del procuratore capo o dei magistrati titolari dell’inchiesta, fosse stata men che corretta, quali che fossero le convinzioni o le (false, anch’esse) propalazioni degli stessi indagati.
26.11.2022 DOMANI