12.2.1999 – «Contro il pool notizie manipolate»

 

Dottor Lo Forte, che cosa succede nella procura di Palermo? «Sono indignato per quanto è stato scritto in questi intimi giorni.
La procura di Caltanissetta ha chiesto da tempo l’archiviazione, accertando l’estraneità mia e degli altri colleghi alla vicenda originata dalle dichiarazione del capitano De Donno e affermando che le accuse erano infondate.
Io ho fatto opposizione a questa richiesta di archiviazione perché si accertasse definitivamente la calunnia e l’identità del calunniatore.
Il gip ha accolto la mia richiesta, disponendo gli accertamenti che io stesso avevo sollecitato.
Tutto ciò si è trasformato in una aggressione nei miei confronti.
L’inchiesta, da me sollecitata, è stata presentata come una fantomatica, inesistente inchiesta sulla procura di Palermo.
Con una operazione giornalistica illogica e incivile».
Non è vero, quindi, che l’informativa dei carabinieri fu illegalmente recapitata ai mafiosi e ai politici coinvolti nell’inchiesta?
«Proprio questo ho chiesto al gip di accertare e di  verificare se è vero quello che già risultava da una relazione dell’ispettorato del ministero di Grazia e Giustizia del 1992 e da una relazione, in possesso della commissione parlamentare antimafia, firmata da tutti i magistrati di Palermo che si sono occupati di mafia e appalti». E che cosa aveva accertato l’ispezione del 92?
«Le leggo le parole testuali dell’ispettore generale Bruno Ferrare: “Emerge, dunque, una responsabilità diretta dell’Arma dei carabinieri, in persona del cap. De Donno sotto forma di uso strumentale dei documenti in suo possesso, di errate informazioni ai magistrati da cui erano state rilasciate deleghe di indagini, di spregiudicate forme di collaborazione…”.
E ciò anche in relazione a “notizie di stampa riconducibili alla stessa fonte”».
Però è un fatto che l’informativa fini realmente nelle mani degli indagati. «Come risulta dalla relazione in possesso dell’Antimafia, firmata da sette magistrati specialisti del fenomeno mafia e appalti, i politici e i mafiosi, nelle persone dell’onorevole Lima e di Angelo Siino, nel febbraio del 1991 entrarono in possesso di carte in cui si facevano i nomi di alcuni parlamentari tra cui lo stesso Lima, l’ex ministro Mannino e Rino Nicolosi.
Nel rapporto consegnato alla procura di Palermo questi nomi non esistevano, mentre figuravano in alcune intercettazioni del 1990 trasmesse alla magistratura solo alla fine del 1992». Sta dicendo che la fuga di notizie veniva dai carabinieri? «Certamente non veniva dai magistrati che quelle carte non le avevano.
Da chi poi venisse lo accerterà il gip di Caltanissetta». Eppure, secondo qualche ufficiale del Ros, la procura di Palermo insabbiò il rapporto, facendo un regalo all’intreccio mafioso che avrebbe potuto essere disvelato già nel 1991. «La valutazione sulle decisioni da prendere fu collettiva e coinvolse tutti i pm che si occupavano della vicenda. A parte me, i colleghi Sciac chitano, Pignatone, Morvillo, Carrara, De Francisci e Scarpinato. Sette magistrati che si riunirono almeno cinque volte.
E pensabile una simile congiura? D’altra parte la procura e il gip di Caltanissetta, che indagarono su questa storia già nel 1993, scrissero testualmente che la valuta¬ zione del rapporto del Ros “è da riferirsi all’intero ufficio, giacché essa fu il frutto di una decisione collegiale del pool… in aderenza ad una particolare analisi che l’allora giudice Falcone aveva elaborato circa i rapporti tra la mafia e il mondo degli appalti”.
Affermava, la sentenza del gip, che “mai avvennero manipolazioni della realtà processuale”».
De Donno, però, sostiene che i provvedimenti presi erano acqua fresca rispetto all’entità del lavoro investigativo. «I provvedimenti di cattura, allora richiesti, si basarono sulle prove che offriva il rapporto».
Scusi, procuratore, ma i politici di riferimento di boss e imprenditori? Il nome di Salvo Lima? L’europarlamentare che parla al telefono col mafioso Cataldo FarineUa? «Ripeto: U rapporto del Ros non conteneva nessuna denuncia a carico di uomini politici. C’era una scheda che “segnalava”, non denunciava, per l’ipotesi di associazione semplice i soli Domenico Io Vasco e Giuseppe Di Trapani.
Per quanto riguarda invece Salvo Lima, che poi si sarebbe scoperto essere il regista deU’affare Sirap di 1000 mUiardi, basti ricordare che queUa famosa intercettazione con FarineUa ci è stata trasmessa solo aUa fine del ’92, molti mesi dopo l’omicidio deU’europarlamentare». E’ stato detto che c’era un pm che proteggeva la latitanza di Bernardo Provengano.
E’ una invenzione pure questa? «Così com’è stata presentata è ima manipolazione deUa verità». E qual è la verità?
«L’unica cosa vera è che il collaboratore Angelo Siino ha indicato alcuni parenti di un magistrato da tempo non più alla procura di Palermo come soci occulti di Provenzano.
Queste persone sono state da noi arrestate l’anno scorso. E’ evidente, dunque, che non c’è alcun mistero sul fantomatico pm, se non per mera utilità giornalistica».
Però queste voci finiscono per alimentare un clima di sospetti che coinvolge addirttura le indagini sulla morte di Falcone e Borsellino. «Non vorrei che eventi tragici che ci hanno colpito in prima persona diventino oggetto di pettegolezzi strumentali sui giornali. Sono vicende troppo importanti per essere liquidate con tre articoli». Eppure esiste una ipotesi investigativa che individua nel grumo mafia-appalti-politica un possibile movente deUe stragi di Capaci e di via D’Amelio. «E’ a tutti noto che esiste una complessa e difficile inchiesta sui cosiddetti mandanti occulti della strage Borsellino, portata avanti dai colleghi di Caltanissetta a stretto contatto con le procure di Palermo e Firenze. Ovviamente su questo non posso dire nulla perché si tratta di indagini delicatissime e coperte dal segreto». Insisto: il fatto che nelle indagi- ni sia presente anche la procura di Firenze apre imo scenario più vasto, dove gli interessi non si limitano ai lavori pubblici siciliani e i personaggi non sono più imprenditori e politici liquidati con la fine della prima Repubblica. «Alla sua domanda non posso rispondere perché conduce a temi che sono oggetto di investigazioni non della sola procura di Palermo». Significa che il cosiddetto movente degli appalti siciliani viene ritenuto riduttivo rispetto ad ipotesi più gravi? «Su questo tema la prego di non insistere». Vorrei chiudere, dottor Lo Forte, con una domanda.
 
E’ vero che Borsellino ebbe dei contrasti all’interno della procura di Palermo, di cui anche lei faceva parte, negli anni in cui fu procuratore aggiunto?
“Ci furono ed esplosero dolorosamente dopo la strage».
E i suoi rapporti personali con Borsellino, quali erano?
«Voglio ricordare solo un fatto. Il 16 e 17 luglio del 1992 sono stato insieme a Paolo Borsellino e al collega Gioacchino Natoli in una località protetta di Roma a condurre i primi interrogatori di Gaspare Mutolo.
Quegli interrogatori che avrebbero dato il via ad una nuova fase della lotta alla mafia. Mutolo aveva detto di voler parlare solo con Borsellino. Paolo gli disse: “Parli pure con Lo Forte e Natoli, è come se parlasse con me”».  LA STAMPA